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Storia e NWO

Ultimo Aggiornamento: 10/03/2024 19:54
01/08/2013 23:28
 
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La Banca d'Inghilterra oggi confessa: aiutammo a vendere l'oro dei nazisti


Nella foto il dettaglio di uno dei lingotti d'oro nazisti custoditi nella Banca d'Inghilterra

LONDRA - Entente cordiale fra banchieri centrali, probabilmente. Non resta che leggere in questo modo la notizia svelata dalla stessa banca centrale inglese sul suo sito web e rilanciata dai media britannici che riscrive un pezzetto di storia della seconda guerra mondiale , rivelando che la Bank of England aiutò indirettamente l'omologo tedesco in epoca hitleriana a vendere oro razziato dai forzieri della banca centrale di Praga. Cinque milioni e seicentomila sterline di lingotti che oggi avrebbero un valore non inferiore ai 736 milioni di pound. Un tesoretto non da poco che ha già macchiato la reputazione della Banca dei regolamenti internazionali: nel 1939 infatti l'oro razziato dall'istituto centrale ceco fu trasferito alla Bri, che accettò il diktat nazista macchiandosi perennemente di un'infamia che si credeva circoscritta alla banca dei banchieri centrali.

Londra in questa dinamica era rimasta nell'ombra, coperta dallo scudo della politica che, la storia narra, impose il congelamento dei beni cechi sul territorio britannico dopo l'invasione tedesca. La volontà politica - in realtà debole nel caso inglese alla luce del blitz nazista - fu aggirata dagli uomini in grigio di Threadneedle street che all'epoca avevano la guida di turno della Bri. Lungo l'asse Basilea-City si consumò un patto scellerato che portò, fisicamente, l'oro ceco rubato dai nazisti nei caveau della BoE dove rimase per qualche tempo come fu già riportato dai media britannici. Quello che non si seppe mai, invece, e che la Bank of England ha ora "confessato", è il ruolo ricoperto dall'istituto centrale nella successiva cessione dei lingotti razziati.

La Banca vendette e organizzò il trasferimento di parte dell'oro a New York mantenendo un'equivoca comunicazione con il governo. Non è del tutto chiaro infatti quanto il Cancelliere dello Scacchiere dell'epoca avesse saputo di operazioni che sembrano svelare un legame di fedeltà e di intesa più stretta fra i banchieri centrali britannici e la controparte alla Bri - per non parlare di Bri e Reichsbank - piuttosto che Bank of England e Downing Street. Sulla pelle, comunque, di un'altra banca centrale, quella ceca occupata e svuotata di ogni ricchezza dagli uomini di Adolfo Hitler.

Leonardo Maisano
31 luglio 2013
www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-07-31/banca-inghilterra-oggi-confessa-125623.shtml?uuid=...
26/09/2013 22:32
 
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Spionaggio made in Usa, anche Martin Luther King spiato dalla Nsa
I documenti finora rimasti segreti svelano che ai tempi dell'intervento in Vietnam l'agenzia di intelligence intercettava l'opposizione interna alla guerra. Operazione rispetto alla quale la rete messa in luce dalle rivelazioni della "talpa" Snowden risulta molto meno potente

di Roberto Festa | 26 settembre 2013

La National Security Agency spiava Martin Luther King e Muhammad Ali. L’operazione della Nsa, definita in codice “Minareto”, prese il via nel 1967, ai tempi della contestazione contro la guerra in Vietnam, e portò all’intercettazione di altri personaggi noti della politica e della cultura americana: il leader dei diritti civili, Whitney Young, il giornalista del New York Times Tom Wicker, il columnist del Washington Post Art Buchwald. La rivelazione arriva grazie alla George Washington University, che ha chiesto la declassificazione di documenti rimasti sinora segreti, e promette di rinfocolare la discussione attorno a ruolo, scopi e limiti dello spionaggio USA.
Le intercettazioni della Nsa cominciarono dopo che il presidente Lyndon Johnson chiese alle agenzie di intelligence del governo di monitorare l’opposizione interna all’intervento militare in Vietnam, cercando soprattutto di capire quanto questa opposizione fosse nutrita e alimentata dai governi stranieri.

Iniziò dunque un’attività di spionaggio e intercettazione – la Cia ne aveva una propria, denominata “Operazione Chaos” – che portò la Nsa a controllare centinaia di persone e i loro contatti con l’estero. Gran parte degli spiati – almeno 1650 persone, secondo i documenti declassificati – erano oppositori della guerra o membri di organizzazioni che il governo americano riteneva sovversive. Oltre a Martin Luther King e Muhammad Ali, tra gli spiati c’erano due senatori, il democratico Frank Church (più tardi attivo proprio per limitare i poteri della Nsa) e il repubblicano Howard Baker, l’attrice Jane Fonda e il marito Tom Hayden, la militante della sinistra radicale Kathy Boudin e l’attivista nero e membro delle Black Panther Stokely Carmichael.

Il reverendo King, mostrano i documenti, entrò nella “watch list” di “Minareto” nel 1967 per varie ragioni: la sua costante e attiva opposizione alla guerra in Vietnam ma anche la presenza, tra i suoi collaboratori, di Stanley Levison, membro del partito comunista negli anni Cinquanta e ispiratore di discorsi e attività politica e sociale del reverendo King (le cui telefonate vennero spiate sino al giorno del suo assassinio, a Memphis, nel 1968). Il programma della Nsa continuò anche durante la presidenza di Richard Nixon; nel 1973, all’apice dello scandalo Watergate, il segretario alla giustizia Elliot Richardson decise di mettere fine alle intercettazioni. I documenti sul passato della Nsa arrivano nel momento in cui l’agenzia del governo, la più potente e radicata macchina spionistica mondiale, è al centro di una vera e propria tempesta di polemiche e critiche seguite alle rivelazioni della “talpa” del Datagate, Edward Snowden. Secondo Matthew Aid e William Burr, che hanno studiato il programma “Minareto”, la rete di controlli rivelata da Snowden è comunque meno radicata rispetto agli anni Sessanta e Settanta.

“Per quanto scioccanti siano le recenti rivelazioni sulle intercettazioni della Nsa, non c’è al momento alcuna prova che siano così potenti come quelle messe in atto ai tempi del Vietnam contro i nemici politici della Casa Bianca”. Sul fronte presente, una rivendicazione orgogliosa del lavoro della Nsa è venuta nelle scorse ore dal direttore dell’agenzia, il generale Keith Alexander, che ha accusato i media di aver montato ad arte un caso politico e ha messo in guardia quei politici, alla Camera e al Senato, che sulla base delle polemiche di stampa stanno pensando di limitare i poteri della Nsa. “Non spiamo le mail e le telefonate dei cittadini americani”, ha ribadito Alexander, che ha spiegato che tutte le comunicazioni intercettate all’interno del Paese sono state accuratamente scremate; e che solo quelle utili alle indagini sul terrorismo sono state utilizzate, come consentito dalla Sezione 215 del suo ordinamento.

Alexander ha ricordato che le informazioni raccolte in questo modo sono state utili per risolvere il caso dell’attentato alla maratona di Boston e in occasione delle minacce nei confronti delle ambasciate Usa in Medio Oriente e Nord Africa. Nonostante la difesa di Alexander, che ha ricordato come l’attivismo della Nsa in questi ultimi anni sia anche il risultato delle falle dell’intelligence prima dell’11 settembre, prosegue al Congresso americano l’azione per arrivare a una nuova disciplina legislativa sulle agenzie di spionaggio. I senatori Ron Wyden, Mark Udall, Rand Paul e Richard Blumenthal mirano soprattutto a proibire la raccolta da parte della Nsa dei cosiddetti metadata, e cioè tempo, durata e localizzazione delle telefonate partite dall’interno del territorio nazionale.

www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/26/spionaggio-made-in-usa-anche-martin-luther-king-spiato-dalla-nsa...
07/10/2013 20:47
 
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Wheaton80, ti volevo ringraziare x tutto quello che stai facendo sul Forum!! [SM=g27811]
08/10/2013 00:01
 
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Ma di niente, figurati, lo faccio con piacere ^^
31/10/2013 00:31
 
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E gli Usa divennero il rifugio dei nazisti
Rivelazione del New York Times: dopo la guerra molti criminali di guerra furono impiegati da Cia e Nasa

WASHINGTON – Dopo la sconfitta del Terzo Reich gli Stati Uniti ospitarono più criminali di guerra nazisti di quanto si sospettasse e lo nascosero agli alleati. Ne fecero uso in particolare la Cia, lo spionaggio, e in secondo luogo la Nasa, l’ente spaziale. Lo svela un rapporto del Ministero della giustizia, più precisamente del suo Office of special investigation (Osi) istituito nel ’79, rapporto venuto in possesso del New York Times. Il rapporto, di cui il Ministero della giustizia aveva già consegnato una parte, pesantemente censurata, agli Archivi della sicurezza nazionale, consta di 600 pagine e racconta molte storie. Per esempio, quella di Josef Mengele, «l’angelo della morte», il medico che condusse atroci esperimenti sugli ebrei internati ad Auschwitz. Per anni l’Osi tenne in laboratorio frammenti della pelle del cranio e capelli di Mengele. Li diede al Brasile attorno al 1985, tramite essi fu possibile stabilire che il medico aveva trovato rifugio nel grande stato sudamericano e vi era morto nel ’79.

CASI CLAMOROSI - Ma i casi più clamorosi di cui parla il rapporto sono quelli di Otto Von Bolschwing e di Arthur Rudolph. Bolschwing era il braccio destro di Adolph Eichmann, uno dei massimi architetti dello sterminio degli ebrei, che venne poi catturato dal servizio segreto israeliano in Argentina e processato e condannato a morte in Israele. Bolschwing si stabilì negli Stati uniti nel ’54 e fu assunto dalla Cia, che preparò un dossier a suo discarico nell’eventualità che venisse scoperto. L’Osi, che aveva il compito di fare giustizia dei criminali di guerra nazisti, avviò la procedura di estradizione in Germania nell’81. Bolschwing morì quell’anno.

IL PADRE DEL «SATURNO» - Rudolph era l’ex direttore della Mittelwerk, la fabbrica del Terzo Reich responsabile della produzione dei razzi V2. Fu portato negli Stati uniti nel ’45 nel quadro della Operation paperclip, il programma di trasferimento negli Usa degli scienziati nazisti, per lavorare alla produzione di missili. Più tardi fu assunto dalla Nasa, che si era già affidata a un suo collega, Von Braun, per il programma spaziale. Anni dopo, la Nasa lo onorò come «il padre del missile Saturno» per le esplorazioni spaziali. L’Osi accertò che Rudolph aveva impiegato manodopera schiava e cercò di deportarlo. Come Bolschwing, lo scienziato morì prima che vi riuscisse.

L'ATTENTATO MISTERIOSO -
Un terzo caso fu quello di Tscherim Soobzokov, un ex SS che prese la residenza nel New Jersey, e che per motivi mai precisati fu protetto dal Ministero della giustizia. I suoi trascorsi divennero pubblici nell’80 ma non fu processato nonostante le proteste delle comunità ebraiche. Soobzokov venne ucciso in un attentato – una bomba in casa – nell’85 e i suoi assassini non furono mai scoperti. L’Osi commise un grosso errore quando identificò in John Demjanjuk, un lettone, altro rifugiato nazista, il boia di Treblinka, detto Ivan il terribile. Demjanuk venne discolpato da vari connazionali, ma venne poi mandato in Germania a rispondere di altri crimini di guerra.

L'ORO NAZISTA -
Secondo il New York Times, il rapporto e la condotta del Ministero della giustizia dovrebbero essere oggetto di una inchiesta. Il giornale afferma che nei documenti si trovano anche le prove che durante le seconda guerra mondiale la Svizzera comprò dai nazisti oro di ebrei vittime dell’Olocausto. Questa circostanza fu sempre tenuta nascosta, ma di essa sarebbe stato al corrente il Dipartimento di stato.

Ennio Caretto
14 novembre 2010
www.corriere.it/esteri/10_novembre_14/nazisti-usa-caretto_7bfb289e-eff5-11df-aa12-00144f02aa...
14/03/2014 19:55
 
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Caso Moro, ex poliziotto all’Ansa:“I Servizi protessero le Br in via Fani”



“Due agenti dei Servizi segreti aiutarono le Brigate Rosse in via Fani durante il rapimento di Aldo Moro“. Questo il contenuto di una lettera scritta, presumibilmente, da uno dei due uomini che la mattina del 16 marzo ’78 si trovavano sulla moto Honda presente sul luogo dell’agguato. A rivelare l’esistenza della missiva all’Ansa è un ex ispettore di polizia che dal 2011 al 2012 ha indagato per identificare l’altro uomo alla guida del mezzo, che nel frattempo è morto. Un’indagine, sostiene il poliziotto in pensione, “ostacolata fin dall’inizio”. “L’ennesima occasione persa” per capire chi partecipò – o diede appoggio logistico ai brigatisti – al rapimento del presidente della Democrazia Cristiana e al massacro della sua scorta. L’ex ispettore di polizia Enrico Rossi racconta all’Ansa: ”Tutto è partito da una lettera anonima scritta dall’uomo che era sul sellino posteriore dell’Honda in via Fani. Diede riscontri per arrivare all’altro, quello che guidava la moto”. Ma chi inviò quelle righe svelò anche un dettaglio inquietante: gli agenti presenti sul luogo della strage avevano il compito di “proteggere le Br da disturbi di qualsiasi genere. Dipendevano dal colonnello del Sismi Camillo Guglielmi che era in via Fani la mattina del 16 marzo 1978″. Quella lettera nell’ottobre 2009 arrivò al quotidiano La Stampa di Torino. Eccola: “Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente…”. L’anonimo forniva elementi per rintracciare il guidatore della Honda: il nome di una donna e di un negozio a Torino. “Tanto io posso dire, sta a voi decidere se saperne di più”. Il quotidiano all’epoca passò alla Questura la missiva per i dovuti riscontri. Sul tavolo di Rossi, una vita passata all’antiterrorismo, arrivò nel febbraio 2011 in modo casuale. Non era protocollata e non vennero fatti accertamenti.

Ma gli indizi per risalire al presunto guidatore della Honda di via Fani erano precisi. Quell’uomo, secondo un testimone ritenuto molto credibile, era a volto scoperto e aveva tratti del viso che ricordavano Eduardo De Filippo. “Non so bene perché – racconta Rossi – ma questa inchiesta trova subito ostacoli. Chiedo di fare riscontri ma non sono accontentato. L’uomo su cui indago ha, regolarmente registrate, due pistole. Una è molto particolare: una Drulov cecoslovacca; pistola da specialisti a canna molto lunga, di precisione. Assomiglia ad una mitraglietta”. “Per non lasciare cadere tutto nel solito nulla – prosegue l’ex ispettore – predispongo un controllo amministrativo nell’abitazione. L’uomo si è separato legalmente. Parlo con lui al telefono e mi indica dove è la prima pistola, una Beretta, ma nulla mi dice della seconda. Allora l’accertamento amministrativo diventa perquisizione e in cantina, in un armadio, ricordo, trovammo la pistola Drulov poggiata accanto o sopra una copia dell’edizione straordinaria cellofanata de La Repubblica del 16 marzo”. Il titolo era: “Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse”. “Nel frattempo – va avanti il racconto di Rossi – erano arrivati i carabinieri non si sa bene chiamati da chi. Consegno le due pistole e gli oggetti sequestrati alla Digos di Cuneo. Chiedo subito di interrogare l’uomo che all’epoca vive in Toscana. Autorizzazione negata. Chiedo di periziare le due pistole. Negato. Ho qualche ‘incomprensione’ nel mio ufficio. La situazione si ‘congela’ e non si fa nessun altro passo, che io sappia”. “Capisco che è meglio che me ne vada e nell’agosto del 2012 vado in pensione a 56 anni. Tempo dopo, una ‘voce amica’ di cui mi fido – dice l’ex poliziotto – m’informa che l’uomo su cui indagavo è morto dopo l’estate del 2012 e che le due armi sono state distrutte senza effettuare le perizie balistiche che avevo consigliato di fare. Ho aspettato mesi. I fatti sono più importanti delle persone e per questo decido di raccontare l’inchiesta ‘incompiuta’”. Rossi sequestrò una foto e ricorda che quell’uomo aveva un viso allungato, simile a quello di De Filippo:“Sì, gli assomigliava”. Fin qui l’ex ispettore, che rimarca di parlare senza alcun risentimento personale ma solo perché “quella è stata un’occasione persa. E bisogna parlare per rispetto dei morti”. Il signore su cui indagava Rossi è effettivamente morto – ha accertato l’Ansa – nel settembre del 2012 in Toscana. Le pistole sembrerebbero essere state effettivamente distrutte, ma il fascicolo che contiene tutta la storia dei due presunti passeggeri della Honda è stato trasferito da Torino a Roma dove è tuttora aperta un’inchiesta della magistratura sul caso Moro.

23 marzo 2014
www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/23/caso-moro-ex-poliziotto-allansa-i-servizi-protessero-le-br-in-via-fani...
26/03/2014 04:22
 
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”Segreto Novecento”. Nei meandri della Storia



Per avere una chiave interpretativa degli avvenimenti storici, soprattutto del XX Secolo, necessaria anche per capire le vicende contemporanee, è importante leggere il libro di G. P. Pucciarelli: “Segreto Novecento”. E’ una ricostruzione particolareggiata e documentata, senza viaggi di fantasia, su certe vicende storiche, indispensabile anche perché non ci sono nella letteratura italiana testi ben documentati in materia. In questo libro si descrivono le strategie e i progetti di un pugno di Famiglie, di antica ed enorme potenza finanziaria, veri e propri imperi economico-finanziari, con al vertice i Rothschild e attorno i Rockefeller, i Morgan, poi i Goldman & Sachs, i Lehman, i Kuhn & Loeb, i Ginzburg, i Warburg, ecc… Imperi bancari, assestati sull’asse City di Londra – Wall Street di New York, e presenti con banche, succursali, assicurazioni e dependance in tutte le Nazioni e aree strategiche del pianeta. Sono coloro che ora definiamo i BANKSTERS, o gangsterismo finanziario, soprattutto perché dopo il varo del Federal Reserve System (nel 1913) hanno stretto attorno al collo degli Stati un cappio di usura e un totale controllo monetario delle Banche Centrali, tale da sottomettere tutto e tutti e trasformare le classi politiche locali in veri e propri “camerieri”, come le definì Ezra Pound. Si da però il caso che, con i primi del ‘900, queste “Famiglie” dell’Alta Finanza, grazie al controllo delle più importanti risorse della terra, in particolare il petrolio, che oramai stava sostituendo nell’Industria e nei trasporti la vecchia energia carbonifera, si stavano trasformando in una specie di “capitalismo monopolista”, una immensa forza finanziaria delle Power Elites, che detenevano il possesso o il controllo anche di buona parte della grande Industria strategica, e si imbarcarono in questo nuovo capitalismo d’assalto e monopolista. Un vero e proprio Corporate Banking, in grado di creare imperi e succursali capitaliste in ogni parte del pianeta. L’Alta Finanza, quindi, poteva ora pensare in grande, anche grazie al fatto che gli Stati Uniti, area in cui avevano un loro punto di forza finanziario e vi controllavano buona parte della Amministrazione, dopo la breve guerra con la Spagna, si proiettavano anche verso i mercati del Pacifico, affiancandosi così all’Impero britannico. Si determinavano quindi le condizioni affinchè il Corporate Banking potesse dare corpo e fattualità alla sua atavica “volontà di potenza”, mettendo in atto un vero e proprio progetto di dominio mondiale, la cui prima fase doveva essere la conflagrazione in Europa che poi divenne mondiale (la Grande Guerra). Dobbiamo inoltre considerare che, pur se su diversi piani, in realtà erano all’opera tre forze, solo apparentemente diverse, strutture e lobby di carattere mondialista, ovvero finalizzate al dominio mondiale: una specie di trinità Una e Trina, dove vi giravano spesso gli stessi potentissimi uomini: dagli Untermeyer ai Baruch, ai Warburg, ai Mandel House, agli Hammer, agli Helphand, ecc…, tutti insieme a costituire una potentissima Casta capace di imporsi ai Governi e condizionare gli Stati nazionali. Queste tre Forze possono essere così riassunte: l’Alta Finanza con il suo Corporate Banking; la Massoneria Universale in tutte le sue onnipresenti logge e obbedienze; l’internazionale ebraica, sionista e talmudista, incarnata in particolare nel Congresso Mondiale Ebraico. Tutte forze sostanzialmente cosmopolite, con punti di forza in tutto il pianeta, non antitetiche tra loro, ma complementari e con lo stesso progetto di dominio mondiale.

Per la prima volta nella Storia, la presenza di questa “Trinità” tesa al dominio mondiale, sostanzialmente, rompeva vecchi schemi geopolitici, nel senso che, pur avendo i suoi punti di forza e la principale residenza in Inghilterra e negli Stati Uniti, non era propriamente vincolata a queste nazioni e alle loro esigenze geopolitiche. Si è pertanto verificato che il “motore della storia”, ovvero le cause prime che innescano interessi e contrasti che poi determino le guerre o le evoluzioni diplomatiche che scompongono e ricompongono le alleanze, non siano state più, o almeno non siano state più solo le strette esigenze geopolitiche delle singole nazioni, ma appunto gli interessi e la volontà di potenza di queste Forze il cui aspetto più visibile e materiale è rappresentato dal Corporate Banking. Non possiamo qui riportare tutti questi particolari storici, ma ne vogliamo sottolineare almeno due, che mostrano la spregiudicatezza e il modus operandi di questi Banksters usi da sempre a sostenere e finanziare tutte quelle situazioni che possono tornar loro utili. In particolare finanziare il riarmo delle Nazioni, pur schierate in campi opposti, in modo da legarle con il debito in tal modo contratto e costringerle poi all’utilizzo di quegli armamenti, a cui la maggior parte dei finanziamenti erano finalizzati, per scatenare guerre che ritornano opportune ai banksters stessi sia per speculazioni finanziarie che per progettualità politiche (oltretutto non si dimentichi che, al tempo, il tesoro e i beni di varie famiglie dinastiche, per esempio gli Zar, erano al sicuro e di fatto, sotto ipoteca, nelle banche dei Rothschild a Londra).

Qui accenneremo, sempre per sommi capi (chi vuole i dettagli e le documentazioni veda il libro di Pucciarelli “Segreto Novecento”), ai finanziamenti che vennero elargiti a mani basse dai banksters alla rivoluzione bolscevica e in parte all’ascesa del nazionalsocialismo di Hitler. Due forze opposte sulle quali il Banking Corporate aveva puntato per conseguire alcuni scopi. In genere, per la finanza monopolista, finanziare opposte fazioni, Stati in guerra tra loro, e paradossalmente anche “forze” nemiche giurate dei banksters, è una costante da sempre utilizzata da questi vampiri. Finanziare significa controllare, avere voce in capitolo e poi, in definitiva non rimetterci mai, perché una delle forze finanziate deve pur vincere, quindi poi paga e l’altra, quella che soccombe, è obbligata a pagare obtorto collo. Nel caso però dei bolscevichi soprattutto, ma anche dei nazionalsocialisti, vi erano dietro progetti, da parte dei banksters, molto più complessi e di grande respiro. E’ importante conoscerli per capire la politica internazionale. Per iniziare occorre premettere che nella decifrazione di questi “enigmi” si deve sempre partire da una Legge storica: quando si affaccia alle cronache storiche una forza, un uomo, un partito che mostra determinate “idee forza”, una determinata spinta dinamica, grandi capacità di aggregazione, ecc…, sempre e comunque ci sono poteri costituiti, interessi, che cercano di utilizzare per i propri scopi queste forze e questi uomini.

Un’altra necessità storica invece ci dice che qualsiasi entità rivoluzionaria non può mai fare a meno di finanziamenti, perché la politica costa, costano i giornali, le sedi, l’attività, ecc…, e se il caso le armi. Nessun leader o dirigente di un gruppo o partito rivoluzionario può permettersi di rinunciare a determinati sostegni. L’importante semmai, per “salvare” l‘ideale, è sempre e solo il concetto che questi finanziamenti, pur condizionando, in chi li accetta non devono mai far perdere di vista o stravolgere quelli che erano gli obiettivi politici di fondo e gli ideali per i quali si sono mobilitate ed entusiasmate tante anime ed energie. Purtroppo non sempre questo avviene e per gli idealisti la fregatura spesso è inevitabile. Come vedremo la rivoluzione Bolscevica rimase sempre, anche con Stalin, condizionata dai progetti del Corporate Banking, mentre invece Hitler e il Nazionalismo andarono dritti per la loro strada finendo ovviamente per entrare in contrasto insanabile proprio con i banksters, che infatti dovettero impegnare ogni loro energia per distruggere la Germania e il nazionalsocialismo e ammazzare Hitler come un cane rabbioso.

Il criminale progetto del Corporate Banking
Come accennato, il progetto di dominio mondiale dei banksters passava per una grande conflagrazione europea, la liquidazione di ogni Istituzione e struttura che ostacolasse progetti mondialisti e la realizzazione di Istituti e organismi trans e over nazionali in grado di condizionare le Nazioni e di limitare la sovranità degli Stati. Ma attenzione: la Grande Guerra non poteva risolvere tutti i problemi che si presentavano ai banksters, i quali erano ben consci che necessitava una Seconda Guerra Mondiale, risolutiva, come infatti lo fu. Ergo la Prima e la Seconda Guerra Mondiale furono due tempi di uno stesso film, mentre i perfidi e insanabili assetti di Versailles e la grande crisi finanziaria del 1929 furono tutte tappe intermedie programmate per la realizzazione di questi obiettivi. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale e l’imposizione di altre grandi Istituzioni e Organismi mondialisti, FMI e Banca Mondiale, con una miriade di istituzioni trans nazionali che ruotano anche attorno all’Onu, si potè dire che il progetto di dominio mondiale entrò in una fase decisiva, anche a livello ideologico, con la pianificazione e omologazione delle culture, del linguaggio e dell’informazione per tutti gli esseri umani verso standard e modelli ideologici ben definiti. Nella prima decade del ‘900 quindi, dopo aver finanziato il riarmo delle Nazioni europee, strangolate dal debito pubblico contratto verso i banksters, tanto che oramai l’unica soluzione per queste nazioni era quella di scannarsi in una guerra europea, dopo aver manovrato le varie diplomazie attraverso un sottile gioco massonico in modo da rendere i contrasti insanabili (la massoneria aveva anche la necessità di liquidare una volta per tutte, attraverso la guerra, il potere di Trono e Altare), i banksters misero in conto di realizzare un progetto di ordine anche, se non soprattutto, economico-finanziario, funzionale all’espansione di quel capitale monopolistico a cui i Banksters puntavano.

Il capitalismo monopolista del Corporate Banking
Il progetto principale era quello di togliere di mezzo la Russia degli Zar e di creare poi in Medioriente lo Stato sionista. Vediamo perché. A parte varie valutazioni di ordine ideale, come per esempio quelle confacenti al sionismo, presenti, ma non decisive, il problema vero partiva dal presupposto che la Russia, come gli Stati Uniti, era una riserva immensa di materie prime, petrolio compreso. A differenza degli USA però la Russia era notevolmente arretrata, ma fino a quando lo sarebbe stata? Con l’avanzamento del progresso scientifico e tecnologico, infatti, che proprio a cavallo dei due secoli stava facendo salti da gigante, la Russia zarista, arretrata non lo sarebbe rimasta per molto e quindi sarebbe diventata un pericoloso concorrente per il Corporate Banking, costretto non solo alla concorrenza, ma anche a non poter imporre i suoi prezzi specialmente sul petrolio, che gli Zar per espandersi e finanziarsi avrebbero potuto vendere sottocosto. Per impedire alla Russia di risolvere annose e penose situazioni interne, come quella della sua agricoltura e il servaggio in cui vivevano i contadini, già si era dovuto far assassinare il ministro Stolypin che aveva in progetto una riforma agraria di ampio respiro che avrebbe non solo moltiplicato la produzione, accontentato i tanti contadini nel possesso della terra, ma anche stemperato ogni contrasto sociale foriero di esplosioni rivoluzionarie. La Russia zarista doveva dunque scomparire, con tutto il suo potenziale di materie prime che sarebbe potuto, sia pure a medio termine, esplodere in un agguerrito e concorrenziale capitalismo monopolista, e questa necessità era per i banksters preminente, perché senza il totale monopolio dei mercati futuri, non si sarebbe poi avuto il necessario potere per attuare tutti gli altri progetti di dominio politico.

Al contempo il Corporate Banking aveva anche la necessità nel Medio Oriente, dove si erano scoperti i più importanti giacimenti petroliferi (accaparrati dai Rockefeller e dalla British Petroleum), con la immancabile presenza finanziaria dei Rothschild, di instaurare un presidio, anche militare, per il controllo di quelle delicate rotte e condizionare tutta quella turbolenta area geografica in buona parte anche strappata all’ex Impero Ottomano. Non a caso, dopo l’apertura del Canale di Suez, attorno alla metà dell’ ‘800, era cresciuta di importanza la “portaerei naturale” nel Mediterraneo che era l’Italia, di cui ci si prefiggeva di utilizzare come “base” permanente in quello che veniva considerato un “lago inglese”, tanto che venne finanziata e promossa la rivoluzione del Risorgimento e l’ascesa della “anglofila” Casa Savoia. Adesso però, con le esigenze petrolifere enormemente cresciute e la prospettiva di una creazione dello Stato israeliano, che oltretutto soddisfaceva gli atavici desideri del sionismo, si creava un altro fondamentale presidio sulle rotte del petrolio. Se ne gettarono le basi durante la Grande Guerra, con la dichiarazione Balfour e l’intervento americano in Europa, e si prese subito a programmare questa realizzazione dell’ ‘emporio’ ebraico, con il riversare in Palestina più ebrei possibili, in particolare gli ebrei tedeschi, una popolazione molto qualificata, non facile però da esportare dalla Germania. Vedremo come a questo fine tornò anche utile il nazionalsocialismo.

Il finanziamento della rivoluzione bolscevica
Per la distruzione della Russia zarista si resero necessarie la sconfitta in guerra e soprattutto la rivoluzione bolscevica, sulla quale si mossero enormi finanziamenti dalle banche newyorkesi. Il Corporate Banking quindi, non solo sostenne la rivoluzione bolscevica in modo determinate, ma poi pilotò tutta la ricostruzione della Russia e i suoi piani economici, anche ai fini degli interessi dei banksters. Il principio perverso del capitale monopolistico finanziario era quello secondo cui una Russia comunista avrebbe prodotto un tipo di economia non concorrenziale, avrebbe annullato ogni spinta euro-asiatica di quell’immenso paese verso la genialità e spregiudicatezza del capitalismo, e quindi, la Russia comunista non sarebbe mai stata un concorrente dei banksters. Cosa puntualmente verificatasi. Ma c’era di più: la Russia doveva anche servire per una nuova conflagrazione in Europa, il secondo atto della guerra mondiale, che l’avrebbe dovuta proiettare verso una parziale occupazione, a partire dalla Germania, del continente europeo, cooperando alla distruzione totale della entità Europa e quindi garantire il potere planetario del grande capitale monopolistico e consentirgli, in una ulteriore fase, dopo lo sbaraccamento della stessa URSS, di attuare il progetto di un Governo Mondiale, se non addirittura di una Repubblica Universale. Non a caso i banksters, attraverso i grandi intermediari della finanza americana, tra questi il ricco petroliere e delle ferrovie Hammer, potentati che passavano come progressisti, finanziarono i piani quinquennali sovietici, atti a non far morire di fame vasti strati della popolazione, in particolare i contadini, ridotti all’indigenza dopo la scossa rivoluzionaria e a riarmare la potenza sovietica. Pochi sanno che l’URSSS ha sempre devoluto o è stata finanziata a questo scopo, enormi fette del proprio prodotto lordo delle sue finanze, denaro impiegato per gli armamenti, toccando sempre cifre incredibili, attorno al 34 percento, che nessun paese ha mai raggiunto.

E la Russia, anche con Stalin, che ben si guardò dal toccare gli interessi privati della finanza internazionale nella sua Banca Centrale, la Gosbank, si mosse sempre con questi presupposti, anche se i sovietici puntavano ad esportare la rivoluzione comunista nel mondo espandendosi sulle stesse rotte degli Zar. Ma questo non era un problema per il Corporate Banking, anzi. Cosicchè, fin dagli anni ’20, quando i sovietici in gran segreto aiutarono i tedeschi per la ricostruzione della Wehrmacht, fino ad arrivare al Patto Molotov-Ribbentrop del ‘39, dove i sovietici si impegnarono a sostenere lo sforzo economico della Germania costretta alla guerra con gli anglo-francesi, lo scopo di Stalin era sempre stato uno solo: aiutare la Germania a rialzarsi, metterla in condizione di sostenere uno sforzo bellico e spingerla ad una guerra in Europa, per poi attaccarla al momento opportuno con una potenza di fuoco straordinaria, frutto di pluriennali piani di riarmo. E’ oramai certo che il 22 giugno 1941, i sovietici furono preceduti dai tedeschi di un paio di settimane nell’attacco, trovandosi in tal modo sbilanciati in avanti senza poter, in breve tempo, correre ai ripari su posizioni difensive. La Germania, che non ignorava questi intenti, li aveva miracolosamente preceduti. Insomma, i veri architetti di una immane carneficina che sconvolse il XX Secolo furono appunto i Corporate Banking con la loro criminale casta e il comunismo è stato un utile mezzo, pilotato da questi criminali, per raggiungere i loro fini. Del resto il comunismo, un’utopia al di fuori della portata umana, non solo non si realizzò con la rivoluzione bolscevica, nonostante gli orrori, le violenze e la dittatura, quando già si poteva constatare come in Russia quello che si era configurato con la nomenklatura con falce e martello, non era certo una fase transitoria verso il comunismo, ma un capitalismo di Stato che ben presto si strutturò in varie oligarchie, mentre l’URSS, lungi dall’essere quella Nazione guida, madre del comunismo, non fu altro che una nazione imperialista, preposta ad un transitorio dominio mondiale, in accordo strategico con la superpotenza americana.

I finanziamenti a Hitler e al Nazionalsocialismo
Quando in Germania si rese evidente che si stava affacciando una personalità di grande carisma e forza rivoluzionaria, Adolf Hitler, la finanza internazionale non poteva di certo ignorare questa realtà. Quindi, come ha sempre fatto, cercò di finanziarne l’ascesa nella speranza di poterne controllare gli sviluppi. Gli investimenti a favore dello NSDAP non furono di certo paragonabili a quelli elargiti ai sovietici, ma comunque ci furono. A parte gli aspetti spiccioli e contingenti che consigliavano questi finanziamenti, il Corporate Banking si prefiggeva, sostenendo l’ascesa di Hitler, di raggiungere due obiettivi:

- Primo: l’avvento in Germania di un partito estremista, sciovinista, pangermanico che, unito alle insanabili contraddizioni, ruberie e imposizioni della pace di Versailles, avrebbe sicuramente creato le condizioni per il riarmo della Germania, la rinascita di una sua volontà di potenza e quindi di una futura guerra perché, dall’altra parte, si stava al contempo predisponendo il grande riarmo dell’URSS, con presupposti di distruzione della Germania stessa, e quindi si sarebbe anche potuta proiettare la Germania contro l’URSS, mentre gli inglesi, come avevano sempre fatto nella loro storia, si sarebbero sicuramente mobilitati per impedire che nel continente si realizzasse una forte entità nazionale che andava contro i loro interessi. Gli interessi per un'altra guerra non mancavano. E’ interessante notare che il Corporate Banking, anche attraverso il controllo di grandi industrie americane, in particolare della chimica, della meccanica, e dell’energia petrolifera, sostennero in qualche modo la potenza tedesca, onde spingerla alla guerra, che comunque poi gli avrebbero prima o poi sicuramente scatenato contro, ben sapendo che la Germania, priva soprattutto di petrolio, non avrebbe potuto confrontarsi a lungo sul piano militare, né contro l’URSS, né contro gli occidentali. Al momento opportuno quindi, chiudendo i rubinetti, la Germania sarebbe stata spazzata via.

- Secondo: il programma del nazionalsocialismo, pangermanista, contemplava anche un forte programma antiebraico, il cui fine ultimo era l’ espulsione degli ebrei dalla Germania. Proprio quello che necessitava al sionismo e al Corporate Banking: l’uscita dei preziosi ebrei tedeschi dalla Germania per farli arrivare in Palestina. Del resto due propositi, sia del sionismo che del nazionalsocialismo, andavano a incontrarsi: l’evacuazione degli ebrei dalla Germania e la proibizione di matrimoni misti. A questo proposito, dagli USA, il Congresso Mondiale Ebraico non perse tempo e scatenò, dal momento stesso in cui Hitler arrivò al governo (gennaio 1933), una serie crescente di ricatti, intimidazioni e dichiarazioni di guerra contro la Germania, al solo fine di indurla a incattivire le misure antiebraiche. Al contempo la stampa, soprattutto anglo-americana, sparava titoli, spesso inventati di sana pianta, per dipingere un clima invivibile e di persecuzioni subite dagli ebrei nel Reich. Si arrivò addirittura al punto che eminenti membri della comunità ebraica tedesca, preoccupati veramente che la loro situazione in Germania potesse precipitare, smentirono più di una volta che sul posto essi fossero sottoposti a tutte queste angherie. La guerra e quello che accadde dopo, con tutto l’ebraismo oramai compattato contro i tedeschi e la Germania decisa a liberarsi degli ebrei nel Reich e nel resto dell’Europa, sono fatti arcinoti, che ancora una volta mostrano come vennero a realizzarsi i piani del Corporate Banking che, nel 1948, vide premiati i suoi investimenti, con la nascita dello Stato ebraico in Medioriente.

Resta solo da far osservare che, come accennato, mentre il Bolscevismo, fino alla sua implosione, restò in definitiva sempre funzionale ai progetti del Corporate Banking, Hitler e il nazionalsocialismo, come del resto il fascismo, finirono per rappresentare una grave minaccia per questi immondi interessi. Il fatto era che fascismo e nazionalsocialismo non rinunciarono mai alla loro forma dirigistica dello Stato, uno Stato nazionalpopolare, che vedeva l’adesione delle masse, le quali percepivano tangibilmente che il governo protendeva ogni sforzo al suo benessere e al mantenimento di una giustizia in ogni campo, anche sociale. Uno Stato, quello fascista, dove gli aspetti etici e politici dovevano avere la preminenza su quelli economici e finanziari. Questi presupposti, uniti alla gelosa tutela dell’ indipendenza e della sovranità nazionale, erano la più netta antitesi del liberismo e della speculazione finanziaria. Non a caso, l’Italia con l’IRI, con il corporativismo e con la riforma bancaria del 1936, che limitò il potere delle banche private nella Banca Centrale, e il nazionalsocialismo, che addirittura arrivò nel 1939 a nazionalizzare la Banca Centrale tedesca e a sperimentare una forma di baratto negli scambi internazionali in modo da tagliare le intermediazioni bancarie e a sostituire il valore dell’oro con quello della “forza lavoro”, furono i veri e soli oppositori al sistema dei banksters. Fascismo e Nazionalsocialismo andavano assolutamente distrutti e cancellati dalla faccia della Storia, come infatti avvenne con la grande carneficina della Seconda Guerra Mondiale. Riusciranno i banksters, entità che dal dopoguerra in avanti, nel momento in cui si realizzarono concretamente i presupposti per la realizzazione di un Governo Mondiale, possiamo anche chiamare MONDIALISMO, nel loro proposito di Governo Mondiale, nella edificazione di una Repubblica Universale, magari con capitale a Gerusalemme? Non lo sappiamo. Certo sul piano della formattazione della mentalità del genere umano, sempre più impregnato di ideologia mondialista. I risultati conseguiti sembrerebbero dover dare una risposta positiva, così come il potenziale militare del braccio armato del mondialismo, vale a dire gli Usa-Israel, sembra non avere rivali, ma sul piano geopolitico le cose stanno altrimenti. Gli interessi geopolitici dei popoli e delle nazioni, alla fin fine, pur sotto altre configurazioni, riemergono sempre e intralciano i piani mondialisti, ma soprattutto per la “legge di Newton”: ogni volta che si producono azioni che si prefiggono certi scopi, sempre si verificano anche altri effetti imprevedibili e spesso divergenti. Questo vuol dire che il progetto mondialista finisce per diventare una specie di tela di Penelope: da una parte si mettono insieme i pezzi del mosaico del Governo Mondiale, dall’altra forze contrarie imprevedibili scombinano tutto costringendo a ricominciare da capo. Staremo a vedere: la lotta del sangue contro l’oro è sempre aperta.

Maurizio Barozzi
25 Marzo 2014
www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23202
28/03/2014 00:33
 
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nwo e satanismo
Dietro l'nwo e gli illuminati vi è il culto del diavolo.
sapete qual'è l'inganno più grande del diavolo?
Far credere a Gesù al suo ritorno che è Gesù stesso il diavolo.
Ma cosa, direte potrebbe succedere? Potrebbe succedere che Gesù
uccida una persona, in particolare suo padre.
E cosa succederebe se Dio uccide?
29/10/2014 01:44
 
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Guerra fredda, mille nazisti usati come spie dagli Usa

Lo scrive il New York Times (http://www.nytimes.com/2014/10/27/us/in-cold-war-us-spy-agencies-used-1000-nazis.html?&hp&action=click&pgtype=Homepage&version=HpSumSmallMediaHigh&module=second-column-region®ion=top-news&WT.nav=top-news&_r=1) citando documenti e interviste. Edgar Hoover e Allen Dulles, capo rispettivamente di Fbi e Cia, avrebbero reclutato i nazisti come spie antisovietiche, sulla base della convinzione che la loro utilità superasse il "decadimento morale" di cui erano stati colpevoli servendo il Terzo Reich. Tra i reclutati ci sarebbe stato anche un ex ufficiale delle SS colpevole, probabilmente, di "crimini di guerra minori". Un altro dettaglio importante: nel 1994 la Cia fece pressioni per fermare le indagini su un’ex spia implicata nel massacro nazista di decine di migliaia di ebrei in Lituania. I primi sospetti emersero negli anni ’70, ma solo oggi, grazie a migliaia di documenti declassificati (su cui è venuto meno il segreto di Stato) ed ad altri resi pubblici grazie al Freedom of Information Act e altre fonti, emerge che questo fenomeno fu molto più vasto di quanto finora creduto. Per decenni, dunque, le amministrazioni statunitensi hanno cercato di nascondere i loro legami con i nazisti. Nel 1980, l’Fbi si rifiutò di fornire informazioni ai "cacciatori di nazisti" del dipartimento della Giustizia statunitense su 16 presunti nazisti che vivevano negli Stati Uniti. Ora si apprende che quegli uomini erano tutti informatori dell’Fbi. Tra le spie c'erano anche ex ufficiali nazisti di alto livello, come Otto von Bolschwing, consigliere di Adolf Eichmann, uno dei maggiori responsabili dello sterminio degli ebrei. Dopo la guerra la Cia lo portò, insieme alla famiglia, a New York nel 1954, come "premio per i suoi servizi e vista la sua innocua attività per il partito nazista". Evitò però di assumerlo. Suo figlio, Gus von Bolschwing, molti anni dopo venuto a conoscenza del passato del padre, considera il rapporto tra l’agenzia di spionaggio e suo padre come una relazione di mutua convenienza forgiata dalla Guerra fredda. "Lo hanno usato, e lui li ha usati" ha detto in un’intervista. "Non sarebbe dovuto succedere. Non avrebbe mai dovuto essere ammesso negli Stati Uniti - ha detto l’uomo, che oggi ha 75 anni - perché non in accordo con i nostri valori come Paese". Il passato nazista della spia emerse intorno al 1980; l’uomo rinunciò alla cittadinanza statunitense nel 1981, morendo pochi mesi dopo. A "turarsi il naso" per esigenze di intelligence non furono solo gli americani. Lo scorso agosto Der Spiegel rivelò che alcuni criminali di guerra del Terzo Reich avrebbero ottenuto l'immunità giudiziaria dopo aver accettato di lavorare come agenti segreti per la Stasi, l'intelligence della Ddr. E, come sottolineava il giornale tedesco, "dietro una facciata antifascista la Germania comunista scese a patti con molti ex nazisti."

Orlando Sacchelli
27/10/2014
www.ilgiornale.it/news/mondo/guerra-fredda-mille-nazisti-usati-spie-dagli-usa-1062...
03/11/2014 00:38
 
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Quelle trattative con il boss decisive per vincere la guerra

Pubblichiamo uno stralcio del libro del giornalista Carlo Maria Lomartire "La prima trattativa Stato-mafia", appena uscito in libreria. Il saggio racconta in forma narrativa e col supporto di documenti ufficiali la vicenda delle trattative tra Stato e mafia durante la Seconda guerra mondiale, da cui emerge un ritratto a tutto tondo del celebre boss Lucky Luciano

Nei primi giorni di febbraio del '43, in uno di quei loro incontri periodici che servivano a fare il punto sulla situazione nel porto di New York, la cui sicurezza sembrava ormai rientrata nei parametri della normalità, Haffenden (Comandante Charles R. Haffenden della Marina degli Stati Uniti - Nota di Wheaton80) rivelò a Polakoff (Moses Polakoff, avvocato di Lucky Luciano - Nota di Wheaton80) qualcosa di grosso.

(...)«Quando dico che l'invasione dell'Europa comincia dall'Italia e dal Sud, intendo proprio il Sud dell'Italia. Sbarcheremo in Sicilia: il nome in codice è Operazione Husky. La pianificazione dell'organizzazione è stata affidata al generale Dwight Eisenhower. Credo che questo basti per dimostrare l'importanza che i comandi alleati attribuiscono all'operazione. Dicono che sarà la più colossale azione di sbarco della storia. Comunque metteremo piede in Europa per la prima volta dall'inizio della guerra». «Perché proprio la Sicilia?». «Be', a parte considerazioni strategiche più generali, ci sono buone ragioni per ritenere che sull'isola possiamo trovare più collaborazione che altrove». «Quali sarebbero queste buone ragioni?». «Prima di tutto perché lì il fascismo pare che non abbia mai attecchito troppo. In Sicilia è sempre stato vivo un certo sentimento indipendentista, che in questi mesi sembra particolarmente fervido. E poi perché, come lei sa fin troppo bene, gli Stati Uniti hanno accolto centinaia di migliaia di immigrati siciliani. Il nostro esercito è pieno di gente originaria della Sicilia. Tutti bravi soldati».

(...) «Abbiamo bisogno, e rapidamente, di aggiornare e completare queste informazioni, perché l'operazione deve essere conclusa entro luglio. E c'è un solo modo per averle presto e attendibili: ottenerle da gente del posto, dai siciliani. Che amano molto gli Stati Uniti a cui, come le dicevo, sono legati anche dai vincoli di sangue creati dall'emigrazione. Ma, si sa, sono anche un popolo molto diffidente. Perciò chi può chiedere loro queste informazioni senza suscitare sospetti e chiusure se non altri siciliani, o meglio: americani originari della Sicilia?». «Comincio a capire, temo». «Si tratta di contattare tutti i siciliani di immigrazione recente e metterli a disposizione dei nostri cartografi e navigatori per correggere, aggiornare e completare le carte esistenti. E pensiamo che nessuno meglio di Luciano, con l'aiuto dei suoi amici, possa radunare in fretta questa gente e convincerla a collaborare». «Era proprio quello che temevo». «Naturalmente questo ulteriore servigio renderebbe ancora più ingente il debito di riconoscenza dello zio Sam verso il suo cliente».

(...)Il nome di Luciano, assicurò la collaborazione dei più potenti boss della costa orientale: personaggi come Vito Genovese, che intanto era tornato in Italia, Albert Anastasia, Vincenzo Mangano, Frank Costello, Nick Gentile, Thomas Buffa, Frank e Joe De Luca, Joe Profaci, Toni Lopiparo, Leonard Calamia, Jim Balestrieri, Joseph e Peter Di Giovanni. Un gioco da ragazzi, per costoro, contattare, direttamente o indirettamente, centinaia di siciliani, non tutti necessariamente mafiosi ma tutti certamente disponibili, mettendoli in contatto con una squadra del Nis, detta per l'occasione «dei siciliani» e non a caso comandata da due ufficiali con origini siciliane: Paul Alfieri e il solito Anthony Marzullo, i quali rispondevano direttamente ad Haffenden. Con loro collaborava un gruppo di cartografi coordinato dal primo geografo-navigatore della Marina, George Tarbox.

(...)«Avvocato, faccia presente ai suoi amici dell'intelligence che le prigioni siciliane sono piene di antifascisti, uomini d'onore, perché gli uomini d'onore sono per forza antifascisti. Se per caso gli Alleati dovessero un giorno sbarcare in Sicilia, liberando questi prigionieri si farebbe un atto di giustizia. E poi potrebbero essere molto utili, questo glielo posso assicurare io». Moses colse perfettamente il senso della richiesta: liberare i mafiosi detenuti nelle carceri siciliane, considerandoli prigionieri politici, e impiegarli per assicurarsi il pieno controllo delle zone occupate. «Lo terrò presente», rispose.

(...) «È superfluo che io le dica, capitano, che nella loro grande maggioranza, le persone con cui abbiamo preso contatto per arricchire la nostra documentazione sulla Sicilia o che incontreremo dopo lo sbarco sono, chi più chi meno, tutte vicine alla mafia», fece notare, con discrezione, l'avvocato Polakoff ad Haffenden quando questi gli descrisse compiaciuto il lavoro fatto. «Affidarsi a loro dopo l'invasione significa accrescerne ulteriormente il controllo del territorio, dare loro più potere. Oltre tutto sono ansiosi di rivalsa perché il fascismo è effettivamente riuscito, almeno in parte, a metterli momentaneamente in un angolo. Io li conosco, so come ragionano e come si muovono, non so se è prudente..». In realtà l'avvocato di Luciano non era minimamente preoccupato della rinascita della mafia in Sicilia. Semplicemente, ancora una volta voleva acquisire benemerenze con Haffenden per spenderle a favore della futura liberazione del suo assistito. «Lo capisco perfettamente, avvocato», lo interruppe secco l'ufficiale, «ma, come lei sa, noi ora stiamo facendo la guerra ai nazi-fascisti. Alla mafia penseremo in un altro momento».

(...)Proprio in quei primi giorni di febbraio del 1943 in cui Haffenden si assicurava la collaborazione di Luciano anche per spianare la strada all'invasione della Sicilia, accadde qualcosa che, partendo da altri ambienti, sembrò andare nella stessa direzione.

Carlo Maria Lomartire
30/10/2014
www.ilgiornale.it/news/politica/quelle-trattative-boss-decisive-vincere-guerra-1063...
[Modificato da wheaton80 03/11/2014 00:39]
10/02/2015 23:00
 
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La strage di Porzûs 70 anni dopo: il vero volto dei partigiani



Prima che il prossimo 25 aprile si dia fiato alle fanfare e si aprano le danze per festeggiare il 70° anniversario della nostra sconfitta militare nella seconda guerra mondiale, c’è purtroppo un’altra ricorrenza che, c’è da scommetterci, passerà senz’altro sotto silenzio. Si tratta del cosiddetto “eccidio di Porzûs”. E si farà finta di non ricordarsene proprio perché questo fatto, pressoché misconosciuto al grande pubblico (nonostante l’omonimo film del 1997), rappresenta il volto oscuro o, molto più probabilmente, il “vero” volto della cosiddetta “liberazione” e della sedicente “resistenza”. Ma che cosa è successo di preciso nella piccola località friulana di Topli Uork, poi nota come Porzûs, tra il 7 e il 18 febbraio del 1945? Ebbene, un centinaio di partigiani gappisti (cioè comunisti) massacrarono 17 partigiani appartenenti alla brigata Osoppo, i cosiddetti “partigiani bianchi”. Al comando degli assassini si trovava Mario Toffanin detto “Giacca”, mentre a capo degli assassinati c’era “Bolla”, al secolo Francesco De Gregori, zio dell’omonimo e noto cantautore. Sempre tra gli osovani era presente, inoltre, Guido Pasolini, fratello del famoso regista Pier Paolo. Si trattò di un vero e proprio massacro, tanto efferato da non risparmiare neanche la donna del gruppo, Elda Turchetti. Questo è tutto quello che c’è di certo su quei terribili eventi, poiché il Pci e gli altri interessati tenteranno in tutti i modi di nascondere o distorcere a proprio vantaggio l’accaduto. In principio ad esempio – secondo consolidata prassi antifascista – si diede la colpa ai fascisti, proprio come si fece per l’assassinio del filosofo Giovanni Gentile. In un secondo momento, invece, Toffanin e sodali scrissero una relazione ufficiale in cui si giustificava la strage come atto di guerra voluto e ordinato dal Pci, in quanto – a loro dire – gli osovani sarebbero stati collaboratori dei tedeschi e dei fascisti. Senza contare il fatto che il Toffanin cambierà più volte versione, spesso in maniera radicale. E seguitò a cambiar versione anche dopo essere fuggito in Jugoslavia a causa della sopravvenuta condanna per “omicidio aggravato continuato e saccheggio”, pur continuando – ovviamente – a percepire lo stipendio elargito dallo Stato italiano che paradossalmente lo aveva condannato.


Lapide in ricordo delle vittime della Brigata Osoppo

Nel dopoguerra i giudici, infatti, per la strage di Porzûs condanneranno in sede processuale 41 imputati, comminando complessivamente tre ergastoli e circa 700 anni di reclusione. Ma tra latitanze, indulti, condoni e amnistie nessuno dei colpevoli fece un solo giorno di prigione. Si fece in tempo però, già nel 1945, a riconoscere al defunto De Gregori la medaglia d’oro al valor militare alla memoria con la seguente motivazione:“Cadeva vittima della tragica situazione creata dal fascismo ed alimentata dall’oppressore tedesco in quel martoriato lembo d’Italia dove il comune spirito patriottico non sempre riusciva a fondere in un sol blocco le forze della Resistenza”. È vero che quello era il periodo delle medaglie di latta e dei nastrini di cartone, di cui praticamente ogni scalcagnato poteva far sfoggio, tuttavia è interessante notare quella curiosa menzione del “comune spirito patriottico”. È interessante perché è opinione oggi prevalente tra gli storici che le brigate comuniste – le quali pretendevano di richiamarsi al patriota Giuseppe Garibaldi – abbiano ricevuto l’ordine di sterminare la brigata Osoppo direttamente dagli sloveni appartenenti al IX Corpo d’armata titino. Pare infatti che gli osovani avessero realmente avuto un abboccamento con esponenti della Decima Mas con lo scopo di organizzare una resistenza (una “resistenza” vera) alle mire espansionistiche del panslavismo titino. Si sarebbe trattato, cioè, di difendere l’italianità delle terre istriano-dalmate dalla pulizia etnica perpetrata dagli iugoslavi ai danni dei nostri connazionali, infoibati e poi costretti all’esodo.


Mario Toffanin, detto “Giacca”

I partigiani comunisti pertanto, per ordine degli sloveni, avrebbero agito contro gli interessi nazionali. Tanto che l’accusa di alto tradimento, avanzata nel processo del 1954, venne accolta, in quanto “la strage […] fu un atto tendente a porre una parte del territorio italiano sotto la sovranità jugoslava”. Questo, evidentemente, era lo “spirito patriottico” che animava i gappisti. Benché sia stato appurato che la loro azione fosse “diretta al fine del tradimento”, gli imputati vennero tuttavia assolti dall’accusa di tradimento, poiché tale azione non avrebbe determinato “una situazione di pericolo per l’interesse dello Stato al mantenimento della sua integrità territoriale”. Che l’Istria e la Dalmazia fossero state occupate e ripulite etnicamente da Tito e dai suoi infoibatori, a quanto pare, deve essere sfuggito ai probi inquirenti. Questa, dunque, la cruda realtà, per troppo tempo velata dai toni insopportabilmente agiografici della cosiddetta “gloriosa epopea della Resistenza”, come l’ha definita nel 2012 il presidente della repubblica Giorgio Napolitano proprio in occasione di una storica commemorazione della strage. Del resto tutto ciò non stupisce, visto che si è chiamata “liberazione” un’occupazione militare (quella anglo-americana) e “resistenza” l’avanzata di soverchianti truppe nemiche (sempre anglo-americane), coadiuvata dagli atti terroristici di partigiani come Mario Toffanin. Proprio la figura di “Giacca” è emblematica: comandante di numerose “brigate” (e non quindi semplice gregario), oltre che per la strage di Porzûs fu accusato e condannato per “furto, rapine, estorsioni, omicidi, anche ai danni di una compagna di lotta”. Forse proprio Toffanin rappresenta lo specchio più fedele di un’epopea di cartone che, animata da un fervente “spirito patriottico”, finì col consegnare Roma a Roosevelt e Fiume a Tito. Con buona pace di Garibaldi, di 20 mila connazionali infoibati e di 350 mila istriano-dalmati condannati all’esilio e al pubblico ludibrio.

Valerio Benedetti
7 febbraio 2015
www.ilprimatonazionale.it/cultura/anniversario-strage-di-porzu...
[Modificato da wheaton80 10/02/2015 23:03]
14/07/2015 21:06
 
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Europa - Hitler profeta dell'Unione. Quando il Führer diceva:"Siamo una famiglia di popoli"

E se il sogno europeo strangolasse la democrazia? Se i tecnocrati di Bruxelles si preparassero a sospendere le libertà costituzionali, come hanno fatto a suo tempo i militari algerini? E' il sospetto angoscioso che avanza Barbara Spinelli dalle colonne de La Stampa. Un'ipotesi neanche tanto "fantapolitica", viste le difficoltà di far quadrare i parametri della Moneta Unica. Del resto, questi rischi di involuzione illiberale sono stati più volte denunciati anche da un'autorità come Ralf Dahrendorf. Ma nessuno finora, neppure tra gli euroscettici più inveterati, si era mai azzardato a mettere in dubbio i sacri principi, l'ispirazione democratica del processo di integrazione. A infrangere quest'ultimo tabù provvede ora lo storico John Laughland con un libro documentato e feroce appena uscito in Gran Bretagna, “The Tainted Source” (“La sorgente infetta”), editore “Little, Brown and Company”. Sottotitolo: le origini antidemocratiche dell'idea europea. Capovolgendo uno dei luoghi comuni più tenaci della vulgata federalista, Laughland cerca di dimostrare che il progetto di un'Europa unificata non è figlio del pensiero liberale, ma delle ideologie totalitarie, naziste e fasciste, nelle loro molteplici varianti. E che lungi dal rappresentare una conquista di libertà, il superamento della sovranità nazionale mina alla base lo Stato di diritto e le garanzie fondamentali del cittadino. Laughland, un intellettuale di idee thatcheriane che collabora al Wall Street Journal e al Sunday Telegraph, non è nuovo a simili provocazioni. Tre anni fa il suo pamphlet “The Death of Politics” (“La morte della politica”) aveva fatto infuriare gli europeisti bigotti. Ma questa volta l'impatto potrebbe essere ancora più devastante. Proprio mentre Tony Blair riapre il dialogo con Bruxelles e rivendica per il suo Paese un ruolo-guida nella UE al fianco di Francia e Germania, un suo concittadino getta una bomba ad altissimo potenziale contro il mausoleo dei padri fondatori. Staccate dalla parete i ritratti di Adenauer, di Schuman o di Jean Monnet - ci dice Laughland - e sostituiteli con quelli di Hitler, di Mussolini o di Pétain. Sono loro i veri apostoli dell'idea europea.

E' dai loro cromosomi che discendono, senza saperlo, i "ragionieri" di Maastricht, quelli che danno pagelle ai governi e decidono chi dev'essere promosso e chi bocciato. Verrebbe spontaneo liquidare queste affermazioni come semplici boutade dettate da pregiudizi antitedeschi, un po’ come quel filmaccio hollywoodiano nel quale i capi della Bundesbank portano la svastica al braccio: se non fosse che l'autore ha corredato il suo atto di accusa con un poderoso apparato di note. E allora visitiamo insieme questa galleria degli antenati. Cominciamo da Joseph Goebbels. Fu il Ministro della Propaganda del Terzo Reich, un personaggio che viene di solito associato a iniziative poco simpatiche, come il rogo dei libri "proibiti" o la campagna contro gli ebrei. Bene, se riascoltassimo oggi i discorsi di questo signore a proposito dell'Europa, potremmo scambiarlo per Helmut Kohl. La tecnologia dei trasporti e delle telecomunicazioni sta accorciando le distanze tra i popoli - diceva Goebbels nel 1940 - e questo condurrà inevitabilmente all'integrazione europea. "I popoli dell'Europa stanno rendendosi sempre più conto che molte delle controversie che ci dividono sono semplici baruffe famigliari in confronto alle grandi questioni che devono essere risolte tra i continenti". Circa il modo di riportare la pace in famiglia, sappiamo bene che cosa il nostro avesse in mente. Ma con le buone o con le cattive, il risultato che si prefiggeva era l'abolizione delle frontiere tra gli Stati nazionali, che è per l'appunto l'obiettivo del trattato di Maastricht.

"Voi siete già membri di un grande Reich che si prepara a riorganizzare l'Europa, abbattendo le barriere che ancora dividono i popoli europei e rendendo più facile per loro lo stare assieme". Goebbels non è propriamente un modello per i giovani d'oggi, ma bisogna riconoscere che aveva la vista lunga:"Tempo cinquant'anni - disse - e la gente non penserà più in termini di nazione". Sortite propagandistiche, si dirà, la classica foglia di fico per nobilitare una politica di aggressione. Obiezione respinta. Laughland ci spiega che in realtà Hitler la pensava così ben prima di scatenare le sue panzerdivisionen. Parlando all'adunanza del partito nazista a Norimberga, nel 1937, il Führer disse testualmente:"Noi siamo più interessati all'Europa di qualsiasi altro Paese. La nostra nazione, la nostra cultura, la nostra economia, sono cresciute entro un più ampio contesto europeo. Pertanto dobbiamo essere i nemici di ogni tentativo di introdurre elementi di discordia e distruzione in questa famiglia di popoli". Nell'agosto 1941, un comunicato congiunto italo-tedesco, controfirmato dall'alleato Mussolini, avrebbe ribadito in termini più bellicosi un concetto analogo:"La distruzione del pericolo bolscevico e dello sfruttamento plutocratico renderà possibile una pacifica, armoniosa e proficua collaborazione tra tutti i popoli del continente europeo, nel campo politico come in quello economico e culturale". Ma la più articolata riflessione nazista sull'argomento sarebbe venuta l'anno successivo, con la grande conferenza organizzata dagli imprenditori berlinesi sul tema Europäische Wirtschaftsgemeinschaft (letteralmente: Comunità Economica Europea), con la partecipazione di autorevoli esponenti del regime.

Il Ministro dell'Economia del Reich, Walter Funk, che era anche Presidente della Banca Centrale, sostenne in quell'occasione che la costruzione di aree economiche "segue una naturale legge di sviluppo", e ricordò che quando la Germania era frazionata in tanti staterelli ciascuno con la sua moneta, il Paese non era in grado di fare fronte alla concorrenza di Francia e Inghilterra. Pur ammettendo che l'integrazione del continente sarebbe stata più difficile da realizzare della Zollverein, l'unione doganale tedesca, il Ministro concludeva che si sarebbe dovuta comunque fare, "perché il suo momento è venuto". Un mercato unico, con il Reichsmark come valuta di riferimento: questo il sogno degli economisti nazisti. Non molto diverso, dopotutto, da quello degli gnomi della Bundesbank degli anni Novanta. Ma il dibattito non si ferma a Berlino, coinvolge anche l'Italia fascista. Alberto de Stefani, che fu Ministro delle Finanze di Mussolini dal '22 al '25, scrive nel 1941:"Le nazionalità non costituiscono una solida base per il progettato nuovo ordine, a causa della loro molteplicità e della loro tradizionale intransigenza... Un'Unione Europea potrebbe non essere soggetta alle oscillazioni di politica interna che sono caratteristiche dei regimi liberali". Gli fa eco il direttore di Civiltà Fascista, Camillo Pellizzi:"Una nuova Europa: questo è il punto, e questa la missione che abbiamo di fronte a noi. Il che non significa che Italiani, Tedeschi e le altre nazioni della famiglia europea debbano... diventare irriconoscibili... Sarà una nuova Europa per la nuova ispirazione e il principio determinante che emergerà tra tutti questi popoli".

L'anello mancante, il trait-d'union tra fascismo e federalismo, secondo Laughland, è una corrente filosofica alla quale dice di ispirarsi uno dei più grandi eurocrati, Jacques Delors: il personalismo di Emmanuel Mounier. Una dottrina "nebulosa" nella quale tendenze ecumeniche e comunitarie si mescolano, soprattutto negli anni Trenta, a forti dosi di anticapitalismo e di antiparlamentarismo. Intorno a Esprit e a Ordre Nouveau, le due riviste del gruppo, dirette rispettivamente da Mounier e da Denis de Rougemont, si aggregano diversi intellettuali che guardano almeno inizialmente con favore all'esperimento nazionalsocialista. E lo stesso Mounier partecipa nel 1935 a un convegno a Roma sullo Stato corporativo, al termine del quale loda lo "slancio costruttivo" degli studiosi in camicia nera. C'è dunque una continuità tra l'europeismo totalitario degli anni Trenta e Quaranta e quello "democratico" del dopoguerra. Entrambi hanno un avversario comune: lo Stato nazionale, in cui vedono una minaccia per la pace e un recinto troppo angusto per un'economia di dimensioni planetarie. Per entrambi, "la molteplicità implica disordine e l'ordine richiede uniformità. Intorno a questi concetti, nell'Europa di oggi, si realizza una inedita convergenza tra liberali tecnocratici alla Leon Brittan e socialisti alla Delors.

"A differenza dei conservatori, i liberali tecnocratici pensano di poter avere la ciliegina dell'ordine liberale senza la torta della nazionalità, della legge e della politica che dovrebbero sottostare a esso". Niente di più sbagliato, sostiene l'autore. Fin dall'antichità, la cittadinanza è strettamente legata all'esistenza di confini. Lo stesso termine greco polis, come il latino urbs, rimanda al concetto di cerchio, di mura perimetrali. E il vocabolo inglese town (città) ha la stessa radice etimologica del tedesco zaun, che vuol dire appunto recinto. "La chiarezza territoriale - dice Laughland - è un prerequisito essenziale per l'organizzazione non tribale" delle società umane. "E' per questo che la storia dello Stato di diritto e quella dell'idea nazionale sono inseparabili... Lungi dall'essere una minaccia per l'ordine liberale, la nazione ne costituisce il fondamentale presupposto". Ubbie di un thatcheriano nostalgico? Può darsi. Ma se qualcuno pensa di riesumare dopo due secoli la Serenissima Repubblica, forse un pò di colpa ce l'hanno anche i tiranni della Moneta Unica.

Riccardo Chiaberge
14 maggio 1997
archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/14/EUROPA_Hitler_profeta_dell_Unione_co_0_9705145874.shtml?refre...
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Sionismo, il vero alleato di Hitler



Le dichiarazioni incendiarie del Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, scagionano Hitler dal genocidio. Il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, forse ignora che sotto la legislazione europea relativa al revisionismo storico in materia di olocauto ebraico, le sue dichiarazioni incendiarie, scagionando Hitler dal genocidio, potrebbero costituire un delitto, allineandosi chiaramente con quelle dei revisionisti più radicali che, come lui, pretendono che Hitler voleva soltanto espellere gli ebrei dall'Europa Centrale. Le sue assurde dichiarazioni che accusano il Mufti di Gerusalemme Haj Amin al-Husseini di essere il reale responsabile intellettuale dell'olocausto ebraico, che incitò (secondo B.N.) Adolf Hitler all'adozione della "soluzione finale" contro gli ebrei, sono assolutamente false e totalmente prive di rigore storico. Nell'incontro avuto tra il chierico palestinese e Hitler il 28 novembre del 1941 a Berlino, è chiaro l'interesse del Führer, nel suo compromesso per combattere il giudaismo mondiale, mentre il Mufti al-Husseini esprimeva solo preoccupazione per gli interessi arabi in generale e quelli dei palestinesi in particolare. In nessun momento al-Husseini (come si denota dalla trascrizione ufficiale dell'incontro in questione), fa allusione al "bruciare gli ebrei" come ha faziosamente suggerito il Primo Ministro israeliano. La versione sballata del revisionista Netanyahu è già stata smentita da storici e politici israeliani come palestinesi, alcuni dei quali sono arrivati a dire che tali incongruenze non solo vogliono banalizzare l'olocausto, ma avrebbero come obbiettivo quello di scaldare ancor più l'ambiente di scontro tra la parte più radicale della società ebraica e la nascente sollevazione popolare palestinese. Ciononostante, se ci avvaliamo di un assoluto rigore storico, scopriremo che le relazioni tra il terzo Reich ed il sionismo nella Germania hitleriana, lontano dal preteso clima di persecuzione, erano intime. Dalla salita al potere di Hitler nel 1933, il nazionalsocialismo appoggiò il sionismo in maniera significativa nel suo progetto di immigrazione ebraica in Palestina. Sulla base della confluenza ideologica ultranazionalista, e di un'evidente intesa sulla prospettiva etnico/identitaria, il nazismo ed il sionismo rafforzarono le loro posizioni affini. Il sionismo sperimentò un'importante progressione durante il nazismo. Pubblicazioni come il "Jüdische Rundschau" (periodico della Federazione Sionista Tedesca) incrementarono le vendite, e la celebrazione nel 1936 a Berlino della Convenzione Sionista, dà un'idea della vita politica dei sionisti tedeschi ai tempi del terzo Reich. Le SS erano particolarmente entusiaste dell'appoggio dato al sionismo. Nel 1934 una pubblicazione interna alle SS raccomandava ai suoi membri un appoggio incondizionato e attivo al sionismo, tanto da parte del governo che del partito nazista, visto come la miglior soluzione per incitare gli ebrei tedeschi all'immigrazione in Palestina. Leopold von Mildenstein, un importante ufficiale SS, e Kurt Tuchler, rappresentante della Federazione Sionista Tedesca, realizzarono insieme un viaggio di sei mesi in Palestina per verificare lo sviluppo e l'espansione degli insediamenti in territorio palestinese. Al suo ritorno, von Mildenstein pubblicò, alla fine del 1934, una serie di dodici articoli per l'importante quotidiano berlinese "Der Angriff" , dove esprimeva il suo apprezzamento per gli straordinari traguardi raggiunti dai coloni sionisti in Palestina. Il quotidiano berlinese emesse una medaglia commemorativa della visita che esibiva su una faccia la croce uncinata e sull'altra la stella di Davide, come dimostrazione degli stretti legami tra sionismo e nazismo.



I servizi di sicurezza di Himmler (capo di SS e Gestapo) collaborarono con la Haganah (squadroni terroristi paramilitari ebraici in Palestina) nel dirigere l'emigrazione ebraica in Palestina, così come nella consegna di armamenti tedeschi ai coloni ebrei da usare negli scontri con la popolazione araba palestinese. Nel gennaio del 1941 un'altra banda criminale ebraica, il Lehi, o Stern Gang (scissione di un altro gruppo paramilitare sionista, "Irgun Zvai Leumi"), comandata da Avraham Stern, lanciò la proposta formale di un'alleanza politico-militare con la Germania nazista per mezzo di Otto Werner von Hentig, consule tedesco a Beirut. Quello che risulta certamente paradossale è che questi gruppi terroristici ebraici parteciparono attivamente alla guerra dal lato dei nazisti, quando erano già note le deportazioni di massa di ebrei dall'Europa Centrale, e che lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti era già cominciato con massicci massacri in Lituania. La spiegazione starebbe nel fatto che il movimento sionista è laico/riformista (il padre del sionismo, Theodor Herlz, era ateo), mentre la maggioranza delle vittime dell'olocausto erano ebrei ortodossi haredim, contrari al sionismo e alla creazione dello Stato di Israele, dunque in molti si rifiutarono di partecipare al progetto di emigrazione massiva nazi-sionista. Oggi la comunità ebraica haredim è tra le più odiate in Israele. Però quello che sì, si può addossare al Netanyahu storico, è il fatto di non conoscere nemmeno la storia del partito politico in cui milita, il Likud, di cui Albert Einstein, illustre ebreo, arrivò a dire in una lettera:"... un partito politico con enormi somiglianze in quanto a organizzazione, metodo, filosofia politica e radicamento sociale, al partito nazista e a quello fascista". Il Likud, una formazione fondata su consiglio di uno dei padri fondatori dell'entità sionista, Zeev Jabotinsky, non lascia indifferente nessuno. "Hitler Jabotinsky", come lo chiamava Ben Gurion, fu l'istigatore del sionismo revisionista dal quale naque il gruppo terrorista ebraico di estrema destra Irgun Zvai Leumi, tristemente celebre per i suoi innumerevoli massacri compiuti ai danni della popolazione palestinese negli anni '40.



Jabotinsky era un ammiratore della Germania nazista, ma soprattutto dell'Italia fascista; Mussolini arrivò a dire di lui nel 1935:"... per l'esito del sionismo, avete bisogno di uno Stato ebraico, con una bandiera ebraica e una lingua ebraica. La persona che capisce davvero ciò è il vostro fascista, Jabotinsky". Benzion Netanyahu, padre biologico e mentore politico di Benjamin Netanyahu, fu, negli anni '30, segretario personale di Zeev Jabotinsky. Benzion Netanyahu pronunciò nel 1998 un discorso commemorativo per il 50esimo anniversario della nascita di Israele, dove elogiò la figura di Abba Achimier, uno stretto collaboratore di Jabotinsky che abbracciò il nazionalsocialismo di Hitler "per salvare la germania dalla guerra civile e dalla dittatura socvietica", e non ebbe nessun problema nel descrivere questo personaggio come il suo modello politico da imitare. La parola olocausto è un termine biblico che significa "sacrificio", perché dunque si utilizza il termine "sacrificio" per denominare un genocidio? La risposta, secondo alcuni, sta nel fatto che il movimento sionista internazionale avrebbe sacrificato gli ebrei europei nell'olocausto per compiere scrupolosamente la sua sinistra agenda geopolitica, creare senso di colpa e guadagnare sostegno dalla finanza internazionale, con l'obbiettivo di legittimare un "focolare nazionale ebraico" in terra araba, un progetto irrealizzabile senza le radici vittimistiche dell'olocausto. Netanyahu tutto ciò lo sa bene, e per questo il suo recente tentativo di riscrivere una storia dove il suo "entourage" più vicino giocò una carta tanto vergognosa, sbaglia ad aprire il Vaso di Pandora delle miserie sioniste.

Alberto García Watson
Fonte: hispantv.com/newsdetail/Sionismo/72725/sionismo-netanyahu-hitler-holocausto-p...

Traduzione: Amedeo Sartorio
28 ottobre 2015
amedeosartorio.blogspot.ch/2015/10/sionismo-il-vero-alleato-di-hitler...
31/10/2015 08:40
 
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Ciao Wheaton, innanzitutto ti ringrazio per il gran lavoro che stai facendo qui nel forum, senza i tuoi articoli il forum sarebbe morto. Una cosa molto importante, siccome in questa pagina vi sono articoli molto interessanti (vedi il caso Moro e questo tuo ultimo sul Sionismo), sarebbe meglio che quando posti nuovi articoli così interessanti e 'inediti', tu aprissi una nuova discussione, per due semplici motivi, il primo è che il nuovo articolo avrebbe un proprio titolo così almeno anche nelle ricerche verrebbe trovato meglio, e poi perchè articoli così interessanti non andrebbero dispersi dentro alle vecchie discussioni. Ovviamente decidi tu se il nuovo articolo è pertinente o meno alle già aperte discussioni tanto da poterlo accodare. Ciao e grazie di nuovo.
31/10/2015 15:20
 
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Ciao :)

Hai ragione, riflettendoci gli articoli particolarmente interessanti dovrebbero essere postati in maniera più visibile. Diciamo che finora ho dato la priorità all'attinenza con il titolo dei topic, ma in effetti in questo modo ne danneggio alcuni. Da adesso cercherò di fare più attenzione anche alla qualità e all'importanza degli articoli in questo senso. Purtroppo però quest'articolo ormai non posso più spostarlo, ci vorrebbe un intervento "dall'alto" :P

Grazie a te delle tue parole, mi motivano a continuare :)
08/12/2015 02:29
 
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Gli affari sporchi di nonno Bush. Si arricchì con l' industria nazista

LONDRA - Negli anni Trenta del secolo scorso, Prescott Bush, nonno dell' attuale Presidente degli Stati Uniti George W. Bush (oltre che padre del 41esimo Presidente), fu direttore e azionista di aziende che facevano affari con i finanziatori del nazismo in Germania. Nel '42 i beni di tali aziende furono confiscati dal governo americano in base al Trade with the Enemy Act, la legge che puniva ogni rapporto commerciale con il "nemico". Ora, a sessant' anni di distanza, l' attività del fondatore di una delle più fortunate dinastie politiche d'America ha spinto due ex-detenuti del campo di concentramento nazista di Auschwitz a fare causa alla famiglia Bush, chiedendo milioni di dollari di risarcimento. E la vicenda potrebbe creare nuove controversie nella campagna elettorale USA, a poco più di un mese dal voto per la Casa Bianca. A sollevare la questione è un' inchiesta del Guardian, a cui il quotidiano londinese dedica due intere pagine. Non si tratta di una storia del tutto inedita. Voci di connessioni tra "nonno Bush" e il nazismo circolano da anni. Del resto già nel 1942, quando scoppiò il caso, il New York Herald Tribune pubblicò un articolo intitolato:«L' angelo di Hitler ha 3 milioni di dollari in una banca americana». Prescott Bush, nonostante la confisca dei beni, fu pienamente assolto da ogni responsabilità. Ma il Guardian ha potuto consultare negli archivi di Washington una quantità di documenti sull' argomento, "declassificati" soltanto un anno fa, e ora afferma che in quelle voci ricorrenti c'è qualcosa di vero. Formulando un' ipotesi, sia pure da verificare: la fortuna guadagnata da Prescott Bush facendo affari con il nazismo, con gli amici di Hitler, con gli sfruttatori del lavoro carcerario a Auschwitz, servì a lanciare la dinastia che ha condotto "il nonno" sui banchi del Senato americano e i suoi discendenti, un figlio e un nipote (per adesso, in attesa di altri), alla Casa Bianca. Il titolo con cui il Guardian apre l' inchiesta, bisogna dire, non è uno dei migliori esempi di understatement, l' attitudine tutta inglese a sminuire anziché esagerare un concetto:«In che modo il nonno di Bush aiutò l' ascesa al potere di Hitler». Può dare l' impressione fuorviante che Prescott Bush fosse un simpatizzante del nazismo (non lo era) e del Fürher (nemmeno).

I fatti portati alla luce, in realtà, sono i seguenti. Dopo avere conseguito una laurea a Yale (la stessa università frequentata dal figlio e dal nipote: ma questo non è un reato), Prescott Bush ottenne un posto come direttore dell' Union Bank Corporation, banca d' affari di proprietà dei fratelli Harriman, ricchissima famiglia di banchieri newyorchesi. Per conto degli Harriman, la Union Bank gestiva gli interessi di Fritz Thyssen, l' industriale tedesco che aiutò (lui sì in modo cruciale) Adolf Hitler a prendere il potere. Tra le numerose società gestite dalla Union Bank, ce n' era una in particolare, la "Sielesian American Company", che agiva come holding, ovvero come la finanziaria, della "Consolidated Sielesian Steel Company", la grande acciaieria tedesca con cui Thyssen si arricchiva producendo cannoni e carri armati per il Terzo Reich. Scoppiata la seconda guerra mondiale, i detenuti di alcuni campi di concentramento nazisti vennero impiegati da Hitler come forza lavoro per l' industria bellica e civile. Quelli di Auschwitz lavorarono appunto per la "Consolidated Sielesian Steel Company", e in ultima analisi, sostiene il Guardian, per Prescott Bush. Il quale poi, finita la guerra, si candidò al Senato, vinse, ed ebbe una lunga, onorata carriera come repubblicano "moderato". Certamente aveva abilità e phisique du rôle, tanto da indurre un collega a commentare:«Non ho mai visto nessuno che somigli a un senatore più di Prescott». Ma aveva qualche scheletro nell' armadio? Fino a che punto trasse vantaggio dalle connessioni con l' industriale nazista? Come e quando si rese conto di fare "affari col nemico", affari che portavano sino al famigerato ingresso di Auschwitz? Il Guardian non è il solo a porre queste domande. Le pone anche “The Jewish Advocate", un noto settimanale ebraico newyorchese. Le pongono tre libri in uscita negli USA. Domande che ormai non toccano tanto Prescott Bush, morto nel 1972, quanto i suoi eredi. E, possibilmente, la campagna presidenziale USA.

Enrico Franceschini
26 settembre 2004
ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/09/26/gli-affari-sporchi-di-nonno-bush...
06/01/2016 20:50
 
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I 150mila “Soldati Ebrei di Hitler”



Quando la rivista di propaganda nazista “Signal” dedicò la copertina al “soldato tedesco ideale”, nel 1939, non poteva certo immaginare che quel volto appartenesse ad un giovane ebreo, il Gefreiter Werner Goldberg. Questa la foto più sorprendente, delle tante di ufficiali, generali, ammiragli, membri del partito nazista, contenute nel libro del giovane storico ebreo Bryan Mark Rigg, laureato alla Yale University, “I soldati ebrei di Hitler” (http://www.amazon.com/Hitlers-Jewish-Soldiers-Descent-Military/dp/0700613587) pubblicato recentemente da Newton & Compton nella collana “I Volti della Storia” (pagine 395, 16,90 euro). Uno studio accurato, una documentazione quasi esasperata, durata anni di viaggi, di incontri, di esami dettagliati di documenti pubblici e privati, superando l’ostilità e il boicottaggio degli studiosi “ufficiali” della “questione ebraica”. Nella prefazione, Rigg racconta d’essere stato ispirato alla ricerca dalla visione d’un film, “Europa, Europa”, in cui si racconta la storia dell’ebreo Perel che, falsificando la propria identità, prestò servizio nella Wehrmacht e studiò in un collegio per la gioventù hitleriana dal 1941 al 1945. Il film raccontava una vicenda reale. Tornato all’Università di Yale, dove frequentava il secondo anno di college, Rigg si mise al lavoro. Gli sarebbe bastato trovare una dozzina di Perel e ne avrebbe ricavato uno studio interessante. Ne trovò 150.000 (in maggioranza ebrei a metà o per un quarto) e questo sconvolse tutte le sue certezze.

Gli storici avevano sempre parlato di una cifra irrisoria di ebrei o mezzi ebrei (Mischlinge) che avevano militato sotto la croce uncinata. Mai tuttavia, ricoprendo alte cariche. Rigg iniziò una corsa contro il tempo, poiché quei veterani morivano ormai a migliaia di giorno in giorno. Si avvalse dell’effetto “valanga”, un metodo nelle scienze sociali in cui ogni intervistato fa i nomi di altri conoscenti. Quasi tutti si mostrarono disposti ad aprire le loro case e i loro cuori. In più autorizzarono il libero accesso ai fascicoli personali contenuti negli archivi. Vennero fuori documenti “che nessuno aveva mai esaminato prima” (siamo tra il 1994 e il 1998!) e “furono dette cose che non erano mai state dette prima”. Le loro vicende costituiscono la testimonianza diretta d’una storia oscura e raccapricciante. Una storia che molti professori avrebbero preferito restasse nei cassetti. Ma Rigg appartiene a quella schiera ormai folta di storici ebrei che, sulla scia di Kath, Arendt, Kimmerling, Novick, Finkelstein e altri, vogliono la verità sull’Olocausto. La critica, quando non li accusa di filo-nazismo (come accade per Hanna Arendt), li considera “revisionisti” nell’accezione staliniana del termine.

Sono quelli che alla domanda «perché un ebreo scrive queste cose?», rispondono:«Perché un ebreo NON dovrebbe scrivere queste cose?». Il suo lungo studio, i suoi documenti, i suoi testimoni ci conducono in un mondo di cui avevamo sentito parlare in fretta e per accenni, ma che mai avevamo penetrato e di cui mai prima d’ora avevamo incontrato gli abitanti: il mondo dei “soldati ebrei di Hitler”. Una popolazione, non uno sparuto gruppo come si è voluto far credere per oltre mezzo secolo. Una popolazione con i suoi generali, i suoi ufficiali, le sue truppe. L’elenco di Rigg è sconvolgente. Il Feldmaresciallo Erhard Milch, decorato da Hitler per la campagna del 1940 (aggressione della Norvegia). L’Oberbaurat della Marina e membro del partito nazista Franz Mendelssohn, discendente diretto del famoso filosofo ebreo Moses Mendelssohn. L’Ammiraglio Bernhard Rogge decorato da Hitler e dall’imperatore del Giappone. Il Comandante Paul Ascher, Ufficiale di Stato Maggiore sulla corazzata Bismarck. Gerhard Engel, Maggiore aiutante militare di Hitler. Il Generale Johannes Zukertort e suo fratello il Generale Karl Zukertort. Il Generale Gothard Heinrici. Il Generale Karl Litzmann, “Staatsrat” e membro del partito nazista. Il Generale Werner Larzahn decorato da Hitler. Il Generale della Luftwaffe Helmut Wilberg dichiarato ariano da Hitler. Philipp Bouhler, Capo della Cancelleria del Führer. Il maggiore Friedrich Gebhard, decorato da Hitler. Il superdecorato Maggiore Heinz Rohr, l’eroe degli U-802, i sottomarini tedeschi. Il Capitano Helmut Schmoeckel… Segue una sfilza di ufficiali, sotto-ufficiali, soldati. Tutti ebrei, o almeno mezzi ebrei o ebrei per un quarto, o addirittura per il 37,5 per cento, come il Gefreiter Achim von Bredow. Poi la ricerca scava impietosa fino ad un nome terribile: Reinhardt Heydrich, “la bestia bionda”, “Il Mosè biondo”, Capo dell’ufficio per la sicurezza del Reich, generale delle SS, “l’ingegnere dello sterminio”, diretto superiore di Heichmann. Era ebreo Heydrich? Molti assicurano di sì.

Di certo suo padre lo era. Di certo gli fu accordata da Hitler “l’esenzione”. È una foiba, il libro di Rigg, da cui si estraggono scheletri che si voleva dimenticare, nome e fatti da cancellare. Nomi di uomini che fecero la storia del XX secolo. Fatti che resero quella storia atroce. E forse fu per prudenza che al processo di Norimberga non si parlò di Olocausto, ma, più genericamente, di crimini di guerra o contro l’umanità. Forse fu per prudenza che tra gli imputati non sedesse Heichmann, esecutore degli ordini di Heydrich. «Non potevamo immaginare – ricordava Yitzhak Zuckerman, capo della rivolta del ghetto di Varsavia – che gli ebrei avrebbero condotto alla morte altri ebrei». E Zuckerman non si riferiva soltanto agli ebrei della Wehrmacht, della Luftwaffe, della Marina o delle SS, ma soprattutto ai sonderkommandos, la polizia ebrea collaborazionista così efficacemente e drammaticamente narrata dall’ebreo Roman Polanski nel suo ultimo film “Il pianista”. Perché dunque, un libro come questo di Rigg ci sconvolge tanto? Forse perché il peso della “soluzione finale” è insopportabile e scopriamo di poterlo distribuire su altre spalle, anche quelle ebree. Forse perché siamo ancora alle prese con la retorica del “caso Priebke”. Un ultranovantenne, ex ufficiale nazista, accusato di non aver disobbedito a ordini considerati disumani e che il libro di Rigg inevitabilmente pone a confronto con centinaia di generali e ufficiali ebrei, almeno un pò ebrei, che quegli ordini li eseguirono tanto bene da meritarsi le decorazioni e gli elogi di Hitler. Forse perché ci ha aiutato a capire che non esiste necessariamente una “colpa collettiva” del popolo tedesco, così come non esiste una “innocenza collettiva” del popolo ebraico.

Pasquale Squitieri
20/06/2007
Fonte: www.raixevenete.net/documenti/doc378.asp (ormai inattivo)

www.asiablog.it/2007/06/20/i-150mila-soldati-ebrei-di-hitler/
24/10/2016 22:32
 
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Tangentopoli investe l’Italia. Gli Stati Uniti temono un golpe


I giudici di Mani Pulite: da sinistra Gherardo Colombo, Antonio Di Pietro e Piercamillo Davigo (Foto Archivio RCS)

L’Italia rischia un golpe? È la sera del 12 marzo 1993, ore 18.49. L’aria di Roma è ancora fresca, la bufera giudiziaria infuria. Dall’ambasciata americana, l’incaricato d’affari Daniel Serwer invia al Dipartimento di Stato l’ennesimo rapporto sulla “rivoluzione” (la chiama così) di Tangentopoli. Tempi duri: da Washington premono per capire che cosa diavolo stia succedendo in Italia. Nelle ultime settimane si sono dimessi i Segretari Bettino Craxi e Giorgio La Malfa, il Presidente Scalfaro s’è rifiutato di firmare l’ennesimo decreto salvaladri, i manager Fiat sono finiti in manette, il finanziere Pacini Battaglia s’è costituito per svelare i fondi neri ENI… Un intero mondo sta crollando, scrive Serwer, e non manca “any worry about a possible coup”: qualche preoccupazione per un possibile colpo di Stato. Ma di chi? Il diplomatico fa un giro d’opinioni e riferisce le parole di vari leader italiani. C’è il Segretario PDS Achille Occhetto che esclude un simile rischio:“L’Italia non ha una tradizione di golpe”. E Piero Fassino, che rassicura di persona l’ufficio politico dell’ambasciata USA:“Le forze armate italiane sono di leva e riluttanti a farsi coinvolgere nella politica interna”. Gli americani però non si fidano, perché “il leader leghista Umberto Bossi in private conversazioni ha espresso ripetutamente preoccupazione per tentativi di golpe o per l’uso di forze paramilitari che ostacolino il cambiamento”.

Anche in ambienti del PDS, osserva il rapporto, si dubita che “i servizi d’Intelligence o i carabinieri rimangano spettatori neutrali”, tanto che Massimo D’Alema è stato esplicito nell’insinuare “che i servizi segreti siano coinvolti nelle rivelazioni sui collegamenti fra il PDS e un conto svizzero utilizzato per le tangenti”. Insomma, c’è da temere? La rivoluzione italiana è in corso e “i venti sono potenti”, dice l’ambasciatore, ma oltreoceano stiano tranquilli:“Roma oggi non è la Parigi del 1789, la Pietroburgo del 1917 e nemmeno la Boston del 1775, il cambiamento non si raggiungerà con armi e ghigliottina”. “E questo — il diplomatico spiega con un filo d’ironia le immagini TV dei giuramenti di Pontida — nonostante alcune persone si siano travestite da guerrieri medievali e abbiano contestato le tasse inique”. Sono 42 pagine “confidential”. Sette cablo, inviati fra il 15 settembre 1992 e il 27 luglio 1993. Report inediti e declassificati di cui il Corriere della Sera è entrato in possesso. Raccontano come l’ambasciatore americano Peter Secchia e il reggente Serwer valutassero Mani Pulite e la fine della Prima Repubblica. Con chi parlavano, di chi si fidavano, che cosa prevedevano. Con qualche sorprendente giudizio: sull’operato del Quirinale, per esempio, definito “insolito” quando Scalfaro suggerisce al Premier Giuliano Amato di stare alla larga dalle direzioni d’un PSI ormai morente (un’evidente reazione alle parole di Craxi, scrivono da via Veneto, dopo che il Segretario socialista ha chiesto una commissione parlamentare d’inchiesta sul finanziamento di tutti i partiti...).

Gli americani hanno le idee chiare: la strategia di Bettino è “disperata”, anche se “le possibilità che finisca in prigione sono remote”. I report dell’ambasciata non nascondono per il leader socialista un’antipatia che dura fin dai tempi del blitz di Sigonella ed è evidente che Washington, adesso, preferisca puntare sul PDS di Occhetto, considerato nei cablo “personalmente ostile” a Craxi e un interlocutore privilegiato degli americani: a Bettino, pur riconoscendo d’aver tenuto il PCI fuori dal governo fin dagli anni Settanta, si rimprovera proprio d’avere poi evitato di proposito l’unità delle sinistre, pur di non perdere il suo ruolo d’“indispensabile alleato della DC”. “Queste carte invertono la vulgata di un’America che temeva gli eredi del PCI”, commenta Andrea Spiri, storico e ricercatore che ha spulciato gli archivi di Washington. Tangentopoli aveva cambiato tutto rispetto al 1989, solo quattro anni prima, quando la storica visita del comunista Occhetto negli Usa era stata accolta ancora con grande diffidenza”. A un quarto di secolo da Mani Pulite, ci si chiede sempre quale fu il ruolo degli americani. Il socialista Formica lo dà per certo. L’ambasciatore Reginald Bartholomew, succeduto a Secchia in via Veneto, disse una volta che il suo predecessore era molto vicino al Pool. E anche il console a Milano, Peter Semler, ammise una stretta confidenza con Di Pietro. Dai nuovi report declassificati, affiora di sicuro una chiara simpatia:“Le intenzioni dei magistrati sono nobili”, si legge, “seguono solo la via giudiziaria, i martelletti delle loro decisioni sono risultati efficaci come pistole (…). Hanno intrapreso un processo di cambiamento che non possono controllare o guidare completamente (…), ma come giudici la loro responsabilità è d’assicurarsi che giustizia sia fatta, non d’indicare linee politiche per stabilire quando se ne ha abbastanza. Quello è un lavoro che spetta ad altri”.

A chi? L’Amico Americano qui ha meno certezze. Ed entrando nelle questioni interne del PSI, il più in crisi del Pentapartito, descrivendo nei dettagli gli ultimi congressi “senza garofani e in sale modeste”, punta senza troppa convinzione su Claudio Martelli bell’e “pronto a mollare Craxi”, sponsorizzando un suo viaggio negli USA. L’ambasciata è un’antenna e capta dove può: fonti dirette e privilegiate, convocate spesso a collaborare nella raccolta d’informazioni e citate nei report, sono i socialisti Gino Giugni (“Ci dice che Craxi è pronto a tutto per salvarsi”), Valdo Spini e Luca Josi, assieme a un non meglio specificato “portavoce del PDS”. Interessa la politica italiana, certo, ma soprattutto sapere se la portaerei Italia rischi la deriva. Il timore di via Veneto è che “i continui scossoni possano avere un impatto negativo” sulle relazioni bilaterali con gli USA:“Abbiamo avuto la dimostrazione nella saga di Ustica che politici fra loro rivali, come i ministri Martelli e Andò, possono lustrarsi a nostre spese”, mentre “in questa fase di cambiamento dovremo stare molto attenti a evitare d’essere trascinati nei maneggi politici italiani”. Intromettersi è sempre rischioso, come hanno insegnato gli endorsement di Obama e del suo ambasciatore sul referendum: già 25 anni fa, s’apprende, a Washington erano convinti che “senza una riforma elettorale che dia all’Italia governi più forti (…), si fa difficile la leggendaria arte italiana d’arrangiarsi”. Gli americani spulciavano le proposte in cantiere, nei cablo s’accenna anche a Mattarella, ma alla fine si trovavano a citare il Gattopardo: per tutto il dopoguerra, scrivevano, “l’Italia ha dato un nuovo senso all’adagio “tutto cambia perché tutto resti uguale”…”. E se questo “cambiamento politico senza precedenti” sarà pacifico e l’Italia resterà comunque ancorata all’Occidente, sempre meglio stare attenti: nessuna rivoluzione ha un esito prevedibile. La chiusa è truce:“Il vecchio sistema politico muore, il sangue versato continuerà a scorrere ancora per un pò e altre teste rotoleranno. Ci vorrà una buona dose di competenza e di fortuna, per venirne fuori”.

Francesco Battistini
22 ottobre 2016
www.corriere.it/cultura/16_ottobre_22/dispacci-esclusivi-mani-pulite-tangentopoli-ambasciata-usa-507db294-9860-11e6-bb29-05e9e8a16c...
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