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Trapassi d'élite

Ultimo Aggiornamento: 28/03/2024 20:29
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Musica nera - Ascesa e caduta di Phil Spector, genio del suono ma anche predatore e assassino



Il Covid ammazza anche Phil Spector, 81 anni, produttore-leggenda di una musica che non c’è più, ma che non tramonta mai. Il tutto è accaduto nella galera di Stockton, California (o meglio nell’ospedale dov’era ricoverato), in cui era rinchiuso dopo essere stato riconosciuto colpevole dell’omicidio, avvenuto nel 2003, di Lana Clarkson, una cameriera della House of Blues di Hollywood, che aveva accettato di seguirlo nella sua magione, alla fine di uno dei suoi raid predatori nelle notti di L.A. Dal 2009, all’indomani della condanna a 19 anni di prigione, le porte del carcere si erano chiuse dietro di lui, per non riaprirsi più, a dispetto dei suoi periodici appelli, nei quali invocava la casualità dell’episodio di cui s’era reso responsabile. Ormai l’America lo aveva bollato come il villain che lui del resto aveva sempre interpretato, coi suoi modi dispotici, la smodata passione per le armi, i suoi eccessi di droghe e alcool e un carattere semplicemente pestilenziale. Che nella sua vita ci fosse stato molto genio, in pochi ormai si davano pena di ricordarlo. Eppure Phil era stato un autentico fenomeno dei suoi tempi, emblema di un boom memorabile, spericolato talento che aveva saputo intercettare, o addirittura indirizzare, l’aria dei tempi. Campo della sua arte erano stati gli anni Sessanta americani e la fabbrica dei successi che usava la radiofonia come veicolo di diffusione. La sua ascesa era stata una questione veloce: nato nel Bronx da una famiglia di emigranti russi, orfano di padre a 8 anni, aveva seguito la madre in California e ancora teenager, con la band dei Teddy Bears messa su coi compagni di scuola alla Fairfax di L.A., aveva inciso un brano che nel ’58 era arrivato addirittura al primo posto delle classifiche di vendita:“To Know Him Is to Love Him”, ballata supersoft il cui titolo altro non era che l’epigrafe sulla tomba di suo padre.

Nel ‘65 niente meno che Tom Wolfe si occupa di raccontare la storia di colui che battezza come “Il primo tycoon minorenne”, dal momento che nei cinque anni precedenti Phil ha nel frattempo piazzato addirittura 24 pezzi nelle charts americane, molti destinati a diventare degli evergreen. La hit-factory targata Spector lavorava a pieno regime: l’idea di base era stata quella di trasformare un collaboratore invisibile alla creazione discografica, il produttore, nel protagonista assoluto dell’operazione, una nemesi dunque di quanto dall’altra parte dell’Atlantico traspariva nella collaborazione tra i Beatles e il quieto, disciplinato ma indispensabile George Martin. Spector, invece, era la stella assoluta, e suo era il copyright di quel suono, il wall of sound che generava sovrapponendo le registrazioni di dozzine di strumenti elettrici e orchestrali, conditi da poderosi cori in crescendo le cui proporzioni assumevano dimensioni “wagneriane” (definizione a lui gradita), condite delle risonanze di echi e riverberi che rendevano inconfondibili le sue canzoni. Praticamente i gruppi, perlopiù vocali e femminili, a cui venivano affidate queste creazioni, erano allestiti appositamente, in una subalternità dell’artista rispetto al produttore che non conosceva precedenti. È il sottotesto alla popolarità delle Crystals (“He’s a Rebel”, “Uptown”, “Then He Kissed Me”, “Da Doo Ron Ron”) e delle Ronettes (“Be My Baby” e “Walking in the Rain”) ma anche dei Righteous Brothers, la sigla più allegorica di quel pop, i cui indimenticabili campioni d’incasso “Unchained Melody” e “You’ve Lost That Lovin’ Feeling” costituiscono il picco creativo, il perfezionamento nella visione musicale, mistica e testosteronica, di Phil Spector. “Piccole sinfonie per ragazzi”, le chiamava immodestamente lui. Eppure già nel ’66, in coincidenza con l’inatteso fiasco americano di un’altra opera monumentale come “River Deep, Mountain High” di Ike & Tina Turner, la curva ascendente di Spector conosce la prima flessione, mentre la sua biografia si riempie di macchie sempre più impresentabili e il suo carattere iracondo lo rende una figura davanti alla quale cambiare marciapiede.

Ma i grandi continuano a rendergli omaggio: a lui va l’incarico di salvare il salvabile nella tormentata realizzazione di “Let It Be”, canto del cigno beatlesiano, e lui verrà adorato da John Lennon (che con lui realizzerà nel ’73 lo smagliante cover album solistico “Rock’n’Roll”) e odiato da Paul McCartney, che non gli perdonerà il profluvio orchestrale della title track e di “The Long and Winding Road” (al punto, molti anni più tardi, di ripubblicarne la versione epurata dagli arrangiamenti spectoriani). Perfino un caposcuola come Brian Wilson dichiarerà la sua totale venerazione per Spector e a lui s’ispirerà Bruce Springsteen, che letteralmente importa il wall of sound nella canzone-manifesto “Born To Run” e, più in generale, in tante sue saghe del Jersey. E anche Peter Fonda, archetipo della ‘60 coolness americana, lo vuole a tutti i costi sul set di quel film-passerella che è “Easy Ryder”, per interpretare Connection, lo spacciatore dai memorabili Ray-ban gialli. Poi il declino di Spector accelera, anche se il suo astro resta fisso almeno tra i musicisti, se addirittura i Ramones si ricordano di lui e lo convocano per produrre il loro album più disastroso, “End of the Century”. Ma ormai Spector è la perifrasi del bisbetico isolato e rancoroso: il mondo del pop non lo ama più, al massimo lo cita. E lui, abbandonato da mogli e amanti, vive solo in quel patetico castello da cui quella notte del 2003 emerge con una pistola in mano, balbettando all’autista:«Credo d’aver ucciso qualcuno». Il resto è rotocalco. Novello O. J. Simpson, Spector si difende rabbiosamente, sembra prima sfuggire alla giustizia per essere infine giudicato, imprigionato e svergognato. La sua figura nel frattempo ha assunto fattezze dickensiane, condannato a sembrare l’incarnazione del vizio. E l’America, l’America in particolare, ha preso a detestarlo, senza peraltro smettere di suonare all’infinito le sue canzoni nelle autoradio notturne. Ma questa, appunto, è l’America.

Stefano Pistolini
18 gennaio 2021
www.linkiesta.it/2021/01/phil-spector-morto/




Chi ha ucciso Sharon Tate, John Lennon e Michael Jackson

Prima la morte di Sharon Tate, moglie di Roman Polanski, massacrata in una villa in California. Un crimine costato l’ergastolo all’ambiguo Charles Manson, ritenuto il guru di una setta satanica. Poi la tragica fine di John Lennon, il leader dei Beatles, freddato a colpi di pistola da un fanatico. E infine quella di Michael Jackson, deceduto in circostanze mai del tutto chiarite, dopo un’iniezione praticatagli dal medico personale. Morti clamorose e in qualche modo collegate tra loro, attraverso singolari “coincidenze”. Lo sostiene l’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di esoterismo e simbologia, massone con alle spalle importanti relazioni internazionali. Nella sua ricostruzione, Carpeoro evoca la figura del celeberrimo produttore musicale Phil Spector, attualmente in carcere per omicidio. E spiega: fu Spector ad allontanare Polanski dalla moglie, organizzandogli un viaggio in Europa. Nel delitto fu incastrato Manson, che era in contatto con Spector. Lo stesso Spector era il produttore dei Beatles, voleva i loro diritti, ma Lennon si oppose e lo cacciò. Da allora, tra Spector e Lennon fu guerra. Poi i diritti vennero acquistati da Michael Jackson, a cui proprio Spector aveva fornito il medico che gli fu accanto nelle ultime ore, causandone il decesso. Intervistato da “Forme d’Onda”, trasmissione radio su WEB che si occupa di misteri irrisolti, Carpeoro si dice convinto che Phil Spector, di recente al centro di una scomoda ricostruzione cinematografica interpretata da Al Pacino, sia al crocevia di tanti delitti eccellenti. «Spector è stato un satanista», sostiene Carpeoro, «nonché un produttore musicale straordinario». Il suo carisma eccentrico e misterioso avrebbe però spinto molte star, da Brian Ferry a David Bowie, da Freddy Mercury a Elton John, a declinare le sue offerte di collaborazione.

Inventore della tecnica del “Wall of Sound”, Spector fu pioniere del suono dei gruppi femminili degli anni Sessanta come le Crystals e le Ronettes, e realizzò più di 25 singoli da classifica solo tra il 1960 e il 1965. Più tardi lavorò con Tina Turner e i Ramones, collaborò alla realizzazione di “Let It Be” dei Beatles e al “Concert for Bangla Desh” di George Harrison, rispettivamente vincitori di Oscar e Grammy. Phil Spector conosceva anche Charles Manson, l’ex giovane sbandato che, tra un arresto e l’altro, sperava di diventare una rockstar. "Attraverso un altro produttore", aggiunge Carpeoro, "Spector gli aveva promesso di aiutarlo a coronare il suo sogno". Poi, qualcuno ha convinto Manson a raggiungere la villa di Los Angeles, lasciando tracce della sua presenza, poco dopo la strage costata la vita a Sharon Tate. Lo stesso Spector, continua Carpeoro, "aveva organizzato il viaggio in Europa di Polanski, impegnato col film “Rosemary’s Baby”", che racconta di un “patto col diavolo” stipulato per avere successo:"In realtà era un film ispirato proprio alla storia di Spector, che aveva capito tutto e aveva deciso di fargliela pagare". La moglie del regista, l’attrice Sharon Tate, fu massacrata a coltellate la sera dell’8 agosto 1969 insieme ad altre quattro persone, secondo la polizia da membri della “Charles Manson’s Family”, il gruppo di esaltati che circondava il guru. Sul posto furono rilevate le impronte dello stesso Manson, arrestato e condannato a morte (pena poi commutata in ergastolo, con l’abrogazione della pena capitale in California). Ipotesi: è come se a Manson fosse stato chiesto un sacrificio temporaneo, per depistare le indagini, in cambio del futuro aiuto per la sua ipotetica carriera musicale. Secondo Carpeoro, una volta in carcere, completamente abbandonato a se stesso, Manson intuì probabilmente di essere finito in trappola. "Eppure non parlò mai: pur dichiarandosi innocente, finora si è ben guardato dall’accusare qualcuno. Poteva difendersi e uscirne, ma non ha parlato. Il nome di Spector non l’ha mai fatto". Un suo avvocato fu ucciso? "Forse Manson gli aveva raccontato la verità. Poi, vista la fine che ha fatto il legale, si sarà convinto a tenere la bocca chiusa: sulla ricostruzione di quella notte non ha mai detto nulla di quello che sa". Dal mancato musicista Manson, sepolto vivo in una cella (per la giustizia americana è lui il colpevole della morte di Sharon Tate) ad una delle più famose popstar del secolo, John Lennon. "I Beatles erano in crisi, da quando Lennon e Yoko Ono avevano preso ad abusare dell’LSD, che veniva fornita loro da Spector», dichiara Carpeoro.

"Le cose non facevano che peggiorare da quando, nel gruppo, era comparso il produttore: decisero di liquidarlo, dopo il duro scontro finale che proprio John Lennon ebbe con lui, anche perché Spector pretendeva di acquisire i diritti delle loro canzoni". Una decina d’anni dopo, Lennon è stato ucciso a colpi di pistola (l’8 dicembre 1980) all’ingresso della sua casa di Manhattan. L’omicida, Mark David Chapman, appena tre ore dopo il fermo, rilasciò una dichiarazione delirante, nella quale citava il protagonista del “Giovane Holden”, il capolavoro di Salinger, e il demonio. "Sono sicuro", disse, "che una grossa parte di me sia Holden Caulfield, il resto di me dev’essere il diavolo". Fu sempre Spector, aggiunge Carpeoro, a introdurre a Hollywood il dottor Conrad Murray, ora condannato a 4 anni di carcere per “omicidio involontario” dopo le cure praticate al cantante la sera in cui morì, il 25 giugno 2009. "Michael Jackson era entrato nella massoneria di potere degli Stati Uniti, attraverso Quincy Jones", rivela Carpeoro, "ma dopo un pò si era allontanato da quel mondo, da cui si sentiva sfruttato come strumento di consenso". Il cantante "aveva cominciato a mettersi di traverso lanciando segnali precisi, come la canzone “They Don’t Care About Us”, la denuncia delle incredibili ingiustizie del sistema carcerario americano e anche allusioni all’11 Settembre". Jackson, inoltre, si era rifiutato di cedere i diritti sui brani dei Beatles, che aveva acquisito dopo lo scioglimento del gruppo inglese. E’ noto che Spector, quei diritti, li avrebbe voluti per sé, al punto da litigare con John Lennon. Oggi, Phil Spector, duramente provato dal carcere (è stato condannato nel 2009 per la morte della modella e attrice statunitense Lana Clarkson), avrebbe perso la facoltà di parola. Muto, come Charles Manson, in prigione ormai da decenni. Tragedie a catena, dalle quali alla fine non si salva nessuno:"E’ il tipico esito del satanismo", conclude Carpeoro, "che travolge chiunque si illuda di stringere patti con chissà chi, basandosi su qualcosa che in realtà non esiste. Si finisce sempre col fare soltanto del male, agli altri e alla fine anche a se stessi".

15/05/2015
www.libreidee.org/2015/05/chi-ha-ucciso-sharon-tate-john-lennon-e-michael-...
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