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Sorrell dopo Zuckerberg, nessun trono è più al sicuro

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2018 01:34
19/04/2018 01:34
 
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Sir Martin Sorrell sta alla pubblicità degli ultimi trent'anni come Sir Walter Scott sta al romanzo storico dell'Ottocento: entrambi innovatori e creatori seriali, con i loro messaggi hanno condizionato le vite di milioni di persone, ovunque nel mondo. I titoli nobiliari non c'entrano. Il cavaliere londinese, nato nel 1945, figlio di un negoziante ebreo di elettronica, ha creato dal nulla WPP, la più potente conglomerata globale di aziende (46 marchi nella sola Italia, tra i quali GroupM, Mindshare e Young & Rubicam), che coprono segmenti diversi della filiera di vendita, ideazione, realizzazione, distribuzione degli annunci, degli spot, delle promozioni esplicite e implicite. Per merito o colpa di WPP, la pubblicità ci insegue e raggiunge sul WEB, in TV, alla radio, sui giornali, al cinema, quando guidiamo o siamo in bagno. Il baronetto scozzese, morto a 61 anni nel 1832, contribuì ad accendere i fuochi nazionalisti di mezza Europa con le sue opere più popolari, da Ivanhoe a Waverley. Dopo aver venduto più libri di qualsiasi contemporaneo, soffrì un drammatico tracollo finanziario, che gli guastò gli ultimi anni di vita. Sorrell è stato invece costretto nel weekend a lasciare la guida di WPP, che lui chiama "mia figlia". Un'indagine indipendente ha definito "impropria" la sua "condotta personale" nella gestione del gruppo: in pratica, avrebbe esagerato con i rimborsi spese.

È ovviamente una scusa. La verità è che gli azionisti di controllo lo hanno cacciato dopo 33 anni di dominio assoluto perché WPP, pur mantenendo la leadership mondiale nella gestione della pubblicità su tutte le piattaforme con un fatturato di 64 miliardi di euro nel 2017 (+0,6% nel confronto anno su anno, -5,4% a perimetro omogeneo), sta affrontando una pesante crisi di borsa, con un calo del valore di circa il 30 per cento negli ultimi dodici mesi. Insomma, Sir Martin e Sir Walter sono accomunati, a quasi due secoli di distanza, dalle straordinarie capacità come comunicatori, dai blasoni ottenuti dalla Corona Britannica e dalle uscita di scena non proprio all'altezza della fama. La notizia della caduta di Sorrell, che possiede meno del 2 per cento delle azioni di WPP, non ha particolarmente colpito le opinioni pubbliche oltre Manica. Invece è un segnale che va preso in seria considerazione da quanti hanno consapevolezza di come la comunicazione e la pubblicità stanno mutando di nuovo pelle. Nel fine millennio le agenzie come WPP, Publicis, Omnicom e Dentsu hanno dettato legge sui mercati imponendo prezzi e relative provvigioni, ampliando le proprie competenze a furia di acquisizioni, riducendo la concorrenza allo scontro tra pochi giganti globali. Nel primo decennio del secolo la crescita degli aggressivi soggetti digitali, Google e Facebook in primis, i cui poderosi imperi si fondano sulla pubblicità autogestita, ha accelerato i processi di concentrazione delle agenzie, spesso senza conseguenti e necessari risparmi di scala.

Di recente il modello supergruppo ha cominciato a dare segni di obsolescenza, fino a convincere molti analisti a prevedere un suo rapido declino. Sorrell ha tuttavia mantenuto ferma la strategia della crescita infinita, facendo lo stesso con i propri emolumenti: il suo ultimo stipendio annuale comunicato è passato da 50 a 81 milioni di euro. Che succederà adesso di WPP, affidata pro-tempore al manager italoamericano Roberto Quarta? Molti scommettono sulla vendita dei pezzi più pregiati della collezione, magari quelli che meno dipendono dalle sinergie con le altre aziende della ex collezione Sorrell. Lo stesso Sir Martin, che non ha firmato patti di non concorrenza, potrebbe ricomprarne alcuni in proprio. Altri analisti ritengono che il nuovo management lavorerà di forbici, sfrondando le partecipazioni meno 'core'. E se WPP rinuncerà a raggiungere il match finale con Google (dieci anni fa Sorrell ed Eric Schmidt, allora CEO dell'azienda di Mountain View, puntavano esplicitamente al duopolio globale della raccolta e gestione della pubblicità) anche i suoi concorrenti faranno lo stesso. Pochi mesi fa Sorrell prese atto che la "digital disruption", alla quale WPP aveva dato nel tempo un rilevante contributo, "sta forzando le agenzie a cambiare i propri business model al fine di raggiungere ovunque i consumatori": venne considerato l'annuncio che da Londra si sarebbe ulteriormente incrementato il ricorso ai grandi depositi di dati personali. Non è un caso, quindi, che il ribaltone in casa sua sia giunto poco dopo lo scoppio dello scandalo Facebook-Cambridge Analytica, che ha portato alla ribalta l'abuso, senza alcun rispetto di regole ed etica, dei dati personali degli utenti per fini pubblicitari e di influenza sociale e politica.

È evidente che i principali azionisti nei board dei grandi gruppi digitali vogliono sottrarsi alla stretta soffocante dei cittadini-consumatori che chiedono più privacy, degli investitori che non vogliono siano sporcate le proprie immagini pubbliche, delle autorità di controllo e dei legislatori che pongono limiti più precisi e costosi al trattamento dei dati personali a partire dall'imminente applicazione nell'Unione Europea della GDPR, la General Data Protection Regulation. Persino i troni più saldi sono sempre a rischio. Qualcosa del genere sta accadendo in un'altra one-man-band-company, Facebook: il Financial Times ha scritto lunedì che molti investitori stanno chiedendo a Mark Zuckerberg, fondatore e capo assoluto (Presidente e Amministratore Delegato con il controllo del 60 per cento dei voti in Consiglio d'Amministrazione), di fare un passo indietro perché "non rende conto a nessuno. È lui il boss di se stesso. Chiaramente così non funziona". Nelle fasi di difficoltà, dovute anche a carenze di trasparenza aziendale, persino chi s'è conquistato palmo dopo palmo i nuovi grandi imperi di Wall Street e della City può essere chiamato a rispondere dei propri errori. Accade più raramente, purtroppo, a Piazza Affari.

Claudio Giua
17/04/2018
www.huffingtonpost.it/claudio-giua/sorrell-dopo-zuckerberg-nessun-trono-e-piu-alsicuro_a_2...
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