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Addio CFA, benvenuto ECO: anche l’Africa vuole liberarsi dall’oppressione della BCE

Ultimo Aggiornamento: 24/04/2024 15:21
08/02/2024 15:17
 
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La Brexit dell’Africa Occidentale

Con una dichiarazione trasmessa in contemporanea sulle TV pubbliche nazionali, il 28 gennaio le giunte militari di Mali, Burkina Faso e Niger hanno annunciato l’uscita dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Cédéao, in inglese ECOWAS), che riunisce quindici Paesi, da Capo Verde alla Nigeria. Dopo una serie di recenti colpi di Stato, i tre Paesi sono guidati da governi di transizione in mano a militari. Spesso si sono scontrati con l’organizzazione regionale, che ha usato la minaccia delle sanzioni per convincere le nuove autorità a cedere il potere ai civili, invitandole ad accelerare il ritorno all’ordine costituzionale. La Cédéao aveva già sospeso i tre Paesi, insieme alla Guinea, imponendo sanzioni economiche e amministrative. Nel caso del Niger era arrivata a prospettare un intervento militare per riportare al potere il Presidente deposto, Mohamed Bazoum, alzando la voce anche per scoraggiare eventuali tentativi di golpe in altri Stati.

Di fronte a questi tentativi di isolamento, i tre Paesi hanno stretto i ranghi e nel settembre 2023 hanno formato una loro organizzazione, l’Alleanza degli Stati del Sahel, con la promessa di aiutarsi a sconfiggere le rivolte armate (non ultima quella dei gruppi jihadisti) e di affrontare insieme eventuali aggressioni esterne. Sul piano strategico e militare, l’uscita dei tre Paesi complica la lotta contro i gruppi jihadisti, che nelle intenzioni del Presidente di turno del blocco, il nigeriano Bola Tinubu, doveva vedere un ruolo più centrale della Cédéao dopo il ritiro di molti contingenti internazionali. Simbolicamente, è l’ennesima denuncia della presenza francese in Africa dopo la fine della colonizzazione, e un’apertura alla Russia, che si presenta come nuovo partner dei Paesi africani. La settimana scorsa a Ouagadougou è arrivato per la prima volta un contingente russo degli Africa Corps, l’organizzazione che sta cercando di rilevare le attività della compagnia di sicurezza privata Wagner, dopo la morte del fondatore Evgenij Prigožin.

Sui mezzi d’informazione della regione l’annuncio ha suscitato reazioni contrastanti e molti dubbi perché, oltre al significato simbolico e politico, l’uscita avrà conseguenze sulla vita delle persone, creando “una crisi politica ed economica senza precedenti”, scrive Jeune Afrique. La Cédéao, nata nel 1975, è infatti considerata un modello d’integrazione economica. Tra gli Stati che ne fanno parte, che contano 425 milioni di abitanti, c’è la libera circolazione di persone e merci, mentre gli scambi commerciali e di servizi ammontano complessivamente a quasi 150 miliardi di dollari all’anno. Nel corso degli ultimi decenni sono stati fatti progressi nell’armonizzazione delle politiche nazionali, delle regole e delle strategie di sviluppo; sono state realizzate importanti infrastrutture internazionali ed è stato creato un mercato unico dell’energia. È in cantiere anche una moneta unica, l’eco, per sostituire il franco CFA. L’uscita dei tre Paesi dalla Cédéao, comunque, non sarà immediata: dalla notifica formale dell’uscita, dovrà passare un anno. “Sarà un lungo periodo di negoziati, che alcuni paragonano a quelli tra il Regno Unito e l’Unione Europea ai tempi della Brexit”.

Francesca Sibani
02 febbraio 2024
www.internazionale.it/notizie/francesca-sibani/2024/02/02/cedeao-usci...
07/03/2024 16:01
 
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Dagli USA si torna in Africa, il movimento Blaxit

Il fenomeno raccontato da Colette Coleman sul New York Times viene chiamato Blaxit: è quel fenomeno di migrazione al contrario per cui le persone nere americane stanno migrando verso Paesi africani, come Sierra Leone, Uganda e Ghana.

www.nytimes.com/2024/02/16/realestate/african-americans-afr...

Questi migranti statunitensi sostengono di voler tornare in Africa per ricollegarsi alle loro radici ancestrali, godere di un basso costo della vita, smetterla di subire discriminazioni e vivere in società in cui “la razza” è un’idea sostanzialmente astratta e inesistente. Le persone nere rappresentano oggi il 14% della popolazione statunitense ma recenti fenomeni epocali, come la pandemia di Covid e la resa dei conti razziale nella società americana sulla scia dell’omicidio di George Floyd, hanno portato alcuni neri americani a cercare uno stile di vita diverso all’estero, in Africa, in un movimento che alcuni chiamano “Blaxit”. È un modello migratorio che non guarda tanto al denaro quanto più all’accettazione, un percorso che nei decenni scorsi è stato già intrapreso da numerosi intellettuali e artisti e che ora sembra essere sempre più comune, sociale, complice anche i nuovi modelli di realtà lavorativa, che permettono a chiunque di lavorare in remoto più o meno da ovunque.

Questa spinta è accolta a braccia aperte dall’Africa: politiche immigrazioniste come il programma per la cittadinanza della Sierra Leone o la campagna Beyond the Return del Ghana sono un volano interessante per chi vuole trasferirsi in Africa: tra il 2019 e il 2023, secondo l’Ufficio per gli Affari della Diaspora del Ghana, almeno 1.500 persone afroamericane di passaporto statunitense si sono trasferite in Ghana e, nonostante alcune politiche diametralmente opposte in materia di diritti civili rispetto alla loro provenienza, come la legge anti-LGBT, il flusso continua imperterrito ancora oggi. Sicuramente c’è il tema dell’accoglienza e della de-razzistificazione:“Vedere i neri africani sui soldi, sui cartelloni pubblicitari, ti fa eliminare immediatamente la tua nerezza”, ha detto al quotidiano statunitense Ashley Cleveland, 39 anni, madre di due figli che gestisce un’azienda che aiuta gli stranieri a investire e far crescere le loro attività in Africa, e che si è trasferita da Atlanta a Dar es Salaam, in Tanzania, nel 2020 e ora vive in Sudafrica. Dice di apprezzare il fatto che “in gran parte dell’Africa la razza è un concetto astratto”.

Questo movimento di persone nere dall’America all’Africa è agevolato da numerose organizzazioni come l’Exodus Club che, fondato nel 2017, aiuta gli afrodiscendenti a tornare nel continente e, secondo le sue stime, la domanda è cresciuta almeno del 20% ogni anno dalla sua fondazione, quando contava circa 30 clienti. Erieka Bennett, 73 anni, fondatrice dell’organizzazione no-profit Diaspora African Forum, ha detto al New York Times che i neri americani sono arrivati in Ghana “a frotte” nel 2020. E continuano ad arrivare. Bennett, che vive in Africa da 40 anni, ha detto che molti americani non sono tagliati per la vita in Africa e ha esortato coloro che stanno pensando di trasferirsi a visitarla, prima di prendere la decisione:“L’Africa non è per tutti”.

Andrea Spinelli Barrile
29 febbraio 2024
www.africarivista.it/dagli-usa-si-torna-in-africa-il-movimento-blaxit...
18/03/2024 05:09
 
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Il Niger rompe l’accordo di cooperazione militare con gli USA e si avvicina alla Russia

Il Governo del Niger ha annunciato sabato che avrebbe interrotto “con effetto immediato” il suo accordo di cooperazione militare con gli Stati Uniti. La dichiarazione è arrivata appena un giorno dopo che una delegazione governativa degli Stati Uniti ha lasciato il Niger, dopo una visita di tre giorni per rinnovare i contatti con la giunta militare che ha estromesso il Presidente e si è avvicinata alla Russia. Evidentemente la visita non ha avuto un grosso sucesso, perché alla sua partenza è seguita la dichiarazione ufficiale che ha affermato che il governo ha deciso di “denunciare con effetto immediato” l’accordo relativo ai dipendenti militari e civili del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti in Niger. La dichiarazione è stata letta sabato sera alla televisione nazionale e mette la parola fine alla presenza legale di qualsiasi membro delle forzze armate USA nel suolo del Niger. Gli Stati Uniti stazionano ancora circa 1.000 truppe in Niger, in una base di droni nel deserto costruita al costo di 100 milioni di dollari. I movimenti sono stati limitati dal colpo di Stato del luglio 2023 e Washington ha ridotto gli aiuti al governo. Ora dovranno fare i bagagli. Il Segretario di Stato americano Anthony Blinken ha fatto una rara visita in Niger un anno fa, nella speranza di sostenere il Presidente Mohamed Bazoum, un alleato forte negli sforzi di sicurezza occidentali contro i jihadisti. Solo quattro mesi dopo, i militari hanno deposto Bazoum e lo hanno messo agli arresti domiciliari. Ricordiamo che anche la Francia è stata sfrattata e presto terminerà la sua presenza militare, a seguito della linea dura del nuovo governo verso l’ex Paese coloniale che vantava la propria presenza militare da un decennio, sempre per la lotta contro i jiadisti. In passato, l’Esercito del Niger aveva lavorato a stretto contatto con gli Stati Uniti e i Paesi occidentali, ma la lotta ai gruppi estremisti islamici o comunque rivoltosi non ha avuto molto successo, per cui ora è incrementata la cooperazione con Mosca. Non una allenaza secca e decisa ma una maggiore vicinanza che interessa anche i vicini Mali e Burkina Faso. Comunque i tre Paesi governati da giunte militari stanno contando, soprattutto, sulla collaborazione reciproca.

Giuseppina Perlasca
17 marzo 2024
scenarieconomici.it/il-niger-rompe-laccordo-di-cooperazione-militare-con-gli-usa-e-si-avvicina-alla...
06/04/2024 01:39
 
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Senegal: la vittoria del giovane Faye

Annunciando la vittoria alle presidenziali del Senegal, il giovanissimo Bassirou Diomaye Faye ha ribadito che, pur preservando le alleanze pregresse, il suo mandato sarà di “rottura” e che dismetterà il franco coloniale, simbolo della servitù parigina. L’ennesima ferita alla France-Afrique non si è consumata con un colpo di Stato (com’è avvenuto in Mali, Niger e Burkina Faso) ma attraverso libere elezioni. Nonostante la narrativa occidentale abbia raccontato tale evento come fulgido esempio di un processo democratico da contrapporre agli asseriti regimi instaurati via golpe negli stati succitati, la realtà dice tutt’altro. Se Diomaye Faye ha vinto, infatti, è stato proprio perché la giunta militare del Niger, instauratasi dopo il golpe del luglio 2023, ha resistito alle immani pressioni internazionali e alla destabilizzazione provocata dalle Agenzie del terrore che si sono scatenate contro di essa. Infatti, mentre il malcontento cresceva sottotraccia in Niger, per appalesarsi nell’improvviso golpe, si manifestava apertamente in Senegal, con manifestazioni di piazza represse duramente, con decine di morti ammazzati e ancor più imprigionati. Non solo la repressione interna: il padre padrone del Senegal, Macky Sall, è stato il più sollecito a offrire truppe per reprimere i golpisti del Niger e a mettere a disposizione il suo Paese alle forze transalpine, nella prospettiva di un intervento armato contro Niamey.

Senegal: la repressione e quella occulta
Forte della posa muscolare transalpina (e di tutto l’Occidente) e del ruolo che si era ritagliato, Sall ha inasprito la repressione, destinando alle patrie galere, tra gli altri, anche la figura più rappresentativa dell’opposizione, Ousmane Sonko, leader del PASTEF (Patrioti Africani del Senegal per il Lavoro, l’Etica e la Fraternità), e lo stesso Faye, allora esponente di basso profilo dello stesso partito. Allo stesso tempo, per placare le piazze, Sall annunciava che non avrebbe cercato il terzo mandato, fissando le elezioni per dicembre 2023. Ma nel frattempo le cose cambiavano. Il Niger resisteva, forte anche del sostegno di Mali e Burkina Faso, che avevano annunciato che sarebbero scesi in guerra accanto a Niamey in caso di attacco. Ma anche della ritrosia della Nigeria (colosso indispensabile per l’intervento) a eseguire gli ordini del padrone coloniale, a causa delle resistenze interne a tale prospettiva. Così l’idea dell’intervento svaporava e, con essa, anche le speranze di Sall di restare al potere grazie alla Forza. Non che non ci abbia provato, procrastinando le elezioni a febbraio 2024 e ricandidandosi nonostante l’annuncio pregresso, ma la sua resistenza è risultata inane. Anche perché la Francia, dismessa la velleitaria posa muscolare, aveva capito che i tempi erano cambiati e, temendo un rivolgimento in stile nigerino, lo ha costretto a più miti consigli, imponendogli di porre fine al braccio di ferro giudiziario e repressivo con le opposizioni. Allo stesso tempo, Parigi inviava una delegazione di alto profilo da Sonko per rassicurarlo sul fatto che la Francia avrebbe lavorato con chiunque avesse vinto le elezioni, fissate in via definitiva per il 24 marzo. Ma, nonostante i tanti passi distensivi, a Sonko era stato comunque impedito di candidarsi, rimanendo consegnato alle patrie galere fino a pochi giorni dal voto. Certo, era riuscito a candidare Diomaye Faye, ma evidentemente il vecchio establishment franco-senegalese non temeva il giovane virgulto. Insomma, al di là della facciata, le elezioni avrebbero dovuto conservare il potere al vecchio establishment. Ma un coup de théatre ha mandato in fumo i piani. Dal carcere, il team di Sonko registra un messaggio da rendere pubblico a sorpresa a ridosso del voto, in cui il detenuto sosteneva Faye. “Lo slogan del loro manifesto elettorale era ancora più diretto: ‘Diomaye moy Sonko’ (Diomaye è Sonko)”.
- www.africa-express.info/2024/04/01/senegal-la-vittoria-di-bassirou-diomaye-faye-scuote-la-...

Uscire dai vincoli post-coloniali

Il resto è storia recente: Faye stravince con un “impressionante 54%” dei voti, evitando così il pericoloso ballottaggio, grazie al voto dei giovani e della classe media, stanca di repressione e corruzione, che gli ha assicurato la vittoria nelle città. Ma anche per l’appoggio “dell’ex Presidente Abdoulaye Wade, un Mouride, e di suo figlio Karim, squalificato dalle elezioni”, che gli ha guadagnato il successo nella città santa di Touba, “sede della confraternita religiosa dei Mouride”. Lo annota AfricaExpress, che spiega come il successo di Faye porrebbe criticità ai governi di Niger, Mali e Burkina Faso nei modi che abbiamo smentito in precedenza, avvertendo che però mette in crisi anche i presidenti di Nigeria e Costa d’Avorio, Bola Tinubu e Alassane Ouattara, entrambi espressione dell’establishment post-coloniale e restii alla libera dialettica politica, che il processo democratico del Senegal dovrebbe favorire anche nei loro Paesi. Quanto al fatto che la vittoria di Faye non ponga affatto criticità ai Paesi del Sahel guidati dai militari, lo dimostra anche l’incipit del comunicato di felicitazioni inviato da Abdourahamane Tiani, Capo di Stato nigerino, a Faye:“Signor Presidente, caro fratello”… In realtà, al di là della dialettica democrazia-dittatura, buona per la propaganda nostrana, le forze che hanno preso il potere tramite elezioni in Senegal e quelle che hanno dovuto ricorrere al golpe in altri Paesi del Sahel hanno un minimo comun denominatore: la necessità di porre un argine alla miseria e la difesa, per quanto possibile, della sovranità nazionale. Appena eletto, Faye ha nominato Sonko Primo Ministro, nomina che disvela il vero vincitore di questo braccio di ferro. Il potere è passato così ai detenuti di un tempo, metafora di un Paese che cerca di uscire dagli antichi vincoli del post-colonialismo.

05 aprile 2024
www.piccolenote.it/mondo/senegal-la-vittoria-del-giov...
24/04/2024 15:21
 
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L’UNESCO accusata da Survival di complicità in sfratti e abusi dei popoli indigeni

In occasione della Giornata Internazionale del Patrimonio Mondiale che ricorre oggi, 18 aprile, Survival International lancia un nuovo rapporto in cui accusa l’UNESCO di complicità in sfratti illegali e abusi contro i popoli indigeni. Il rapporto denuncia che molti Siti Patrimonio dell’Umanità UNESCO sono teatro di gravi e continui abusi dei diritti umani legati alla conservazione. Le indagini sul campo condotte dai ricercatori di Survival International in varie comunità indigene di Africa e Asia hanno portato alla luce ripetuti casi di torture, stupri e uccisioni di indigeni all’interno e intorno ai Siti Patrimonio dell’Umanità. Un rapporto dettagliato descrive sei casi di Siti dichiarati Patrimonio Mondiale nelle terre rubate ai popoli indigeni, tra cui:

- L’Area di Conservazione di Ngorongoro, in Tanzania

In questa celebre località turistica vengono condotte operazioni di sicurezza intimidatorie e vengono negati i servizi di base, mentre il governo prosegue con il suo programma per sfrattare migliaia di Masai dalle terre in cui hanno vissuto per generazioni. L’UNESCO ha esplicitamente appoggiato la rimozione dei Masai. “Il sostegno dell’UNESCO viene usato per sfrattarci. Siamo davvero stanchi e confusi, non sappiamo quando moriremo”, ha spiegato un leader masai citato da Survival nel rapporto.

- Il Parco Nazionale di Kahuzi-Biega, nella Repubblica Democratica del Congo
Questo parco è diventato Patrimonio Mondiale nel 1980. Nel 2019 le autorità del parco, con il sostegno dell’Esercito Congolese, hanno avviato una campagna per ripulire la foresta dai Batwa, che erano tornati a vivere nella loro terra ancestrale, all’interno del parco. Hanno condotto diversi attacchi estremamente violenti contro i villaggi batwa, con numerose atrocità ben documentate.
L’UNESCO ha promosso un approccio basato sulla forza e sulla militarizzazione e ha chiesto al governo di “aumentare la portata e la frequenza dei pattugliamenti” e di “evacuare gli occupanti illegali”. I Batwa sono stati colpiti pesantemente dalla violenza che ne è seguita, ma hanno dichiarato:“Viviamo nella foresta. Quando ci vedono, ci violentano. Se dovremo morire, moriremo, ma resteremo nella foresta”.

- Il Parco Nazionale di Odzala-Kokoua, nella Repubblica del Congo
È stato dichiarato Sito Patrimonio dell’Umanità nel 2023 nonostante nell’area siano stati ben documentati abusi, tra cui stupri e torture.

www.survival.it/documenti/RapportoDecolonizeUNESCOutm_medium=email&utm_source=engagingnetworks&utm_campaign=utm_campaign&utm_content=240417+PR+UNESCO+r...

Survival International chiede all’UNESCO di smettere di sostenere abusi dei diritti dei popoli indigeni nel nome della conservazione; togliere lo status di Patrimonio dell’Umanità a qualsiasi sito in cui si verificano atrocità contro i diritti umani; promuovere un modello di conservazione basato sul pieno riconoscimento dei diritti territoriali indigeni. “L’UNESCO ha svolto un ruolo chiave nel legittimare molte delle più famigerate Aree Protette di Africa e Asia e ha ampiamente ignorato le atrocità ben documentate commesse sotto i suoi occhi”, ha commentato la Direttrice Generale di Survival International, Caroline Pearce. “Quelli che l’UNESCO definisce ‘Siti Patrimonio Naturale dell’Umanità’ sono molto spesso terre ancestrali rubate ai popoli indigeni, che poi da queste terre vengono tenuti fuori con la forza, l’intimidazione e il terrore. La sua complicità è andata oltre il silenzio per arrivare fino a sostenere attivamente governi e iniziative che violano i diritti indigeni. L’UNESCO deve togliere lo status di Patrimonio Mondiale a qualsiasi sito in cui avvengono abusi simili”.

18 aprile 2024
www.africarivista.it/lunesco-accusata-da-survival-di-complicita-in-sfratti-e-abusi-dei-popoli-indigeni...
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