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Addio CFA, benvenuto ECO: anche l’Africa vuole liberarsi dall’oppressione della BCE

Ultimo Aggiornamento: 24/04/2024 15:21
06/04/2024 01:39
 
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Senegal: la vittoria del giovane Faye

Annunciando la vittoria alle presidenziali del Senegal, il giovanissimo Bassirou Diomaye Faye ha ribadito che, pur preservando le alleanze pregresse, il suo mandato sarà di “rottura” e che dismetterà il franco coloniale, simbolo della servitù parigina. L’ennesima ferita alla France-Afrique non si è consumata con un colpo di Stato (com’è avvenuto in Mali, Niger e Burkina Faso) ma attraverso libere elezioni. Nonostante la narrativa occidentale abbia raccontato tale evento come fulgido esempio di un processo democratico da contrapporre agli asseriti regimi instaurati via golpe negli stati succitati, la realtà dice tutt’altro. Se Diomaye Faye ha vinto, infatti, è stato proprio perché la giunta militare del Niger, instauratasi dopo il golpe del luglio 2023, ha resistito alle immani pressioni internazionali e alla destabilizzazione provocata dalle Agenzie del terrore che si sono scatenate contro di essa. Infatti, mentre il malcontento cresceva sottotraccia in Niger, per appalesarsi nell’improvviso golpe, si manifestava apertamente in Senegal, con manifestazioni di piazza represse duramente, con decine di morti ammazzati e ancor più imprigionati. Non solo la repressione interna: il padre padrone del Senegal, Macky Sall, è stato il più sollecito a offrire truppe per reprimere i golpisti del Niger e a mettere a disposizione il suo Paese alle forze transalpine, nella prospettiva di un intervento armato contro Niamey.

Senegal: la repressione e quella occulta
Forte della posa muscolare transalpina (e di tutto l’Occidente) e del ruolo che si era ritagliato, Sall ha inasprito la repressione, destinando alle patrie galere, tra gli altri, anche la figura più rappresentativa dell’opposizione, Ousmane Sonko, leader del PASTEF (Patrioti Africani del Senegal per il Lavoro, l’Etica e la Fraternità), e lo stesso Faye, allora esponente di basso profilo dello stesso partito. Allo stesso tempo, per placare le piazze, Sall annunciava che non avrebbe cercato il terzo mandato, fissando le elezioni per dicembre 2023. Ma nel frattempo le cose cambiavano. Il Niger resisteva, forte anche del sostegno di Mali e Burkina Faso, che avevano annunciato che sarebbero scesi in guerra accanto a Niamey in caso di attacco. Ma anche della ritrosia della Nigeria (colosso indispensabile per l’intervento) a eseguire gli ordini del padrone coloniale, a causa delle resistenze interne a tale prospettiva. Così l’idea dell’intervento svaporava e, con essa, anche le speranze di Sall di restare al potere grazie alla Forza. Non che non ci abbia provato, procrastinando le elezioni a febbraio 2024 e ricandidandosi nonostante l’annuncio pregresso, ma la sua resistenza è risultata inane. Anche perché la Francia, dismessa la velleitaria posa muscolare, aveva capito che i tempi erano cambiati e, temendo un rivolgimento in stile nigerino, lo ha costretto a più miti consigli, imponendogli di porre fine al braccio di ferro giudiziario e repressivo con le opposizioni. Allo stesso tempo, Parigi inviava una delegazione di alto profilo da Sonko per rassicurarlo sul fatto che la Francia avrebbe lavorato con chiunque avesse vinto le elezioni, fissate in via definitiva per il 24 marzo. Ma, nonostante i tanti passi distensivi, a Sonko era stato comunque impedito di candidarsi, rimanendo consegnato alle patrie galere fino a pochi giorni dal voto. Certo, era riuscito a candidare Diomaye Faye, ma evidentemente il vecchio establishment franco-senegalese non temeva il giovane virgulto. Insomma, al di là della facciata, le elezioni avrebbero dovuto conservare il potere al vecchio establishment. Ma un coup de théatre ha mandato in fumo i piani. Dal carcere, il team di Sonko registra un messaggio da rendere pubblico a sorpresa a ridosso del voto, in cui il detenuto sosteneva Faye. “Lo slogan del loro manifesto elettorale era ancora più diretto: ‘Diomaye moy Sonko’ (Diomaye è Sonko)”.
- www.africa-express.info/2024/04/01/senegal-la-vittoria-di-bassirou-diomaye-faye-scuote-la-...

Uscire dai vincoli post-coloniali

Il resto è storia recente: Faye stravince con un “impressionante 54%” dei voti, evitando così il pericoloso ballottaggio, grazie al voto dei giovani e della classe media, stanca di repressione e corruzione, che gli ha assicurato la vittoria nelle città. Ma anche per l’appoggio “dell’ex Presidente Abdoulaye Wade, un Mouride, e di suo figlio Karim, squalificato dalle elezioni”, che gli ha guadagnato il successo nella città santa di Touba, “sede della confraternita religiosa dei Mouride”. Lo annota AfricaExpress, che spiega come il successo di Faye porrebbe criticità ai governi di Niger, Mali e Burkina Faso nei modi che abbiamo smentito in precedenza, avvertendo che però mette in crisi anche i presidenti di Nigeria e Costa d’Avorio, Bola Tinubu e Alassane Ouattara, entrambi espressione dell’establishment post-coloniale e restii alla libera dialettica politica, che il processo democratico del Senegal dovrebbe favorire anche nei loro Paesi. Quanto al fatto che la vittoria di Faye non ponga affatto criticità ai Paesi del Sahel guidati dai militari, lo dimostra anche l’incipit del comunicato di felicitazioni inviato da Abdourahamane Tiani, Capo di Stato nigerino, a Faye:“Signor Presidente, caro fratello”… In realtà, al di là della dialettica democrazia-dittatura, buona per la propaganda nostrana, le forze che hanno preso il potere tramite elezioni in Senegal e quelle che hanno dovuto ricorrere al golpe in altri Paesi del Sahel hanno un minimo comun denominatore: la necessità di porre un argine alla miseria e la difesa, per quanto possibile, della sovranità nazionale. Appena eletto, Faye ha nominato Sonko Primo Ministro, nomina che disvela il vero vincitore di questo braccio di ferro. Il potere è passato così ai detenuti di un tempo, metafora di un Paese che cerca di uscire dagli antichi vincoli del post-colonialismo.

05 aprile 2024
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