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Infallibilitá del Papa come e quando

Ultimo Aggiornamento: 15/02/2011 19:33
15/02/2011 19:29
 
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Dio procede con logica!

Ecco allora che Gesù compie i miracoli attraverso dei segni, a volte delle cose (come quando impasta della terra con la saliva...). Ecco che ci lascia la sua presenza sacramentale (cioè attraverso segni misteriosi) mediante i gesti dell'ultima cena, il pane e il vino, l'imposizione delle mani, l'acqua del battesimo, ecc. In un'opera a lungo attribuita a san Tommaso d'Aquino (in perfetta conformità d'altronde con il suo pensiero) troviamo questa bellissima espressione: la Chiesa e i sacramenti sono come delle reliquie dell'Incarnazione di Cristo. (7)

In quel grande movimento di rinascita di interesse e di teologia attorno alla Chiesa che si è sviluppato nell'ottocento in Germania (Johann Adam Möhler, Matthias Joseph Scheeben) e a Roma (Giovan Battista Franzelin, Clemens Schrader, Giovanni Perrone, Carlo Passaglia) troviamo un'altra espressione molto significativa: la Chiesa è come "la continuazione dell'Incarnazione nella storia"! (8)

Come trasmettere una dottrina e una vita nel bel mezzo della storia degli uomini? Dio ha scelto di far tutto humano modo, in modo umano. Dunque facendo sì che questo avvenisse nel contesto di una particolare comunità di uomini. Una comunità da lui creata ad hoc , da lui animata e da lui assistita: la Chiesa (= la convocazione).

4. La mediazione nella Chiesa

Questa Chiesa ovviamente, anche se ha una struttura sociale, non è una società come le altre. Non è neppure solo società. San Paolo la descrive come il corpo di Cristo. E questa è certamente la formula più comprensiva e più significativa per designarla. E' un corpo, quindi non è un coacervo informe, ma ha una struttura. Una struttura che non è "democratica"! Almeno nel significato istituzionale e soprattutto "ideologico" della parola. Qui la fede, ancora una volta, ci insegna a non essere succubi degli idoli del tempo. Una forma di governo - e, a maggior ragione, una ideologia politica - per quanto possa essere ritenuta dagli uomini del proprio tempo come la migliore in assoluto, non è un assoluto. Sta di fatto che non è la struttura della Chiesa. Il che, si badi bene, non significa affatto che la Chiesa debba essere, per ciò stesso, anti-democratica! Semplicemente la sua struttura di governo non è riconducibile a quello delle moderne democrazie rappresentative. E questo per la natura stessa della cosa. Le verità della fede non sono dei ritrovati dell'uomo, che l'uomo fa e di cui logicamente dispone e decide a piacimento. Sono dei doni che vengono dall'alto. Ecco, questa è la parola decisiva: dall'alto. Tutto nella Chiesa è dall'alto. La Chiesa è corpo di Cristo. La Chiesa è popolo di Dio. Ciò che è della Chiesa, ciò che formalmente la costituisce, non può essere deciso dal basso, come è nella logica della democrazia.

"Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" (Gv 15, 16). Gesù non è "eletto" dagli Apostoli, e neppure gli Apostoli sono eletti dal più vasto gruppo dei discepoli o dalle "folle" che seguivano (non sempre molto stabilmente...) Gesù ma è lui che li sceglie. E, fra gli Apostoli, sceglie Pietro.

Così è successo agli inizi della Chiesa, così deve continuare a succedere. Questa è la sua struttura. Molte cose possono e debbono essere cambiate, perché la Chiesa è una realtà vivente che si adatta al mutare delle circostanze e delle esigenze, ma la sua struttura non può cambiare, altrimenti la Chiesa cesserebbe di essere quello che è, cesserebbe semplicemente di esistere. Cesserebbe di essere tutta un dono gratuito di Dio che opera humano modo in mezzo agli uomini. Ma sappiamo che le "porte" (cioè la potenza) dell'Inferno non prevarranno su di lei (9).

Se la Chiesa è un corpo, non tutti i suoi membri hanno le stesse funzioni. C'è chi guida e chi è guidato. Questo non significa un rapporto meccanico, per cui c'è chi è tutto attivo e chi è tutto passivo. Corpo dice organicità, cioè struttura, differenziazione e vita. Tutto deve essere attivo in un corpo, ma in modo differenziato.

5. Il magistero

Fra le varie funzioni c'è quella magisteriale. Ad essa non compete in modo esclusivo il compito di trasmettere la fede. La fede è trasmessa da tutta la Chiesa con una molteplicità di gesti pressoché impossibile da analizzare compiutamente e distintamente. Parole, segni, cose, ambiente… Anche la madre che guida la mano del suo piccolo che si fa per la prima volta il segno di croce è trasmettitrice della fede, espressione della più alta maternità della Chiesa. All'interno di questa trasmissione il magistero ha un compito specifico, quello di vegliare autorevolmente su di essa, di discernere ciò che è conforme e ciò che non è conforme alla dottrina ricevuta dagli apostoli, di giudicare di volta in volta come questa dottrina deve essere tradotta nella vita.

Per questo giudizio occorre una facoltà proporzionata. Nella materia in oggetto entrano in gioco due elementi:

a) Dei principi soprannaturali;

b) delle realtà contingenti e quindi molteplici e mutevoli.

Ora, come è possibile, con forze puramente naturali, giudicare della conformità fra i principi soprannaturali e le realtà del mondo e della vita? Ci vuole una funzione di insegnamento con una base non naturale ma soprannaturale, che, nella presente economia non può essere che sacramentale. Bisogna che la "carne" sia vivificata dallo Spirito di Gesù e che sia anche visibilmente, storicamente, collegata con Gesù. Ci vogliono dei maestri che insegnino non sul fondamento del loro ingegno o della loro applicazione allo studio, ma sul fondamento di un mandato ricevuto. Degli araldi del Vangelo che siano anche dei missi per insegnare con autorità. Non che ingegno e studio siano da escludersi, o che non siano richiesti secondo il modo umano di procedere, ma non sono affatto essenziali in questo ordine di cose. Quanto al fondo della questione, qui, sono del tutto secondari.

Quando un teologo, in virtù della sua scienza teologica, pretende di dare giudizi autonomi in questa materia o di sganciarsi dalla guida superiore del magistero, allora si produce fatalmente una secolarizzazione della fede. La fede viene uccisa o, il che è lo stesso, trasformata in "gnosticismo" (10), in ideologia. La scienza teologica perde così il suo carattere sacro e soprannaturale, la sua "unzione".

A questo proposito si danno (e si sono dati) due atteggiamenti possibili:

a) Risolvere il problema dei rapporti fra la fede e le contingenze della vita e della storia alla luce della pura scienza teologica sganciata da qualsiasi magistero sacro. In questo modo la natura prende il sopravvento sulla fede. Si arriva così al naturalismo e alla secolarizzazione.

b) Rifiutarsi, puramente e semplicemente, di affrontare questi problemi, favorendo una spaccatura netta fra Chiesa e mondo. E' l'atteggiamento del fissismo e della sclerosi.

Entrambi questi atteggiamenti, lo vediamo bene, anche se in modi diversi e, all'apparenza, contraddittorî, conducono a consumare quella separazione fra Vangelo e vita che è il peccato capitale della nostra epoca (11).

L'unica possibilità di sfuggire a questa falsa alternativa è riconoscere il ruolo decisivo di un magistero vivente. Questa parola "vivente" è decisiva per caratterizzare senza equivoci ciò di cui vogliamo parlare. A volte infatti si parla di magistero riferendosi ai suoi documenti del passato. Ma il magistero formalmente non è costituito da documenti. Questo è un magistero morto. Il magistero del passato, assieme a tante altre cose, costituisce un elemento molto importante nella trasmissione della fede: la Tradizione. Tuttavia anche la Tradizione sarebbe qualche cosa di morto, di insufficiente a trasmettermi la fede in modo efficace se non fosse accompagnato dal magistero di persone viventi che, hic et nunc, presiede alla trasmissione di quello che devo credere, spiegando, giudicando e discernendo... Da questo punto di vista certo tradizionalismo non si differenzia dal protestantesimo. Il protestantesimo riconosce la sufficienza di un libro: la Bibbia, per regolarsi nelle cose di fede. Il tradizionalismo aggiunge a questo libro altri libri (come per es. il "Denzinger", la raccolta classica dei pronunciamenti più importanti del magistero di tutti i tempi), ma sempre libri sono. Gesù però non ha detto: andate e scrivete, ma andate e predicate. Il modo naturale della trasmissione nella Chiesa è quello personale. Tutto nella Chiesa è fondato sulle persone. Una gestione burocratica del potere e anche della funzione di insegnamento non le è affatto connaturale. Così il magistero non è innanzitutto magistero del passato, e neppure del futuro (molti contestano la Chiesa di oggi in nome della Chiesa di domani...), ma magistero del presente. E' questa "carne" che oggi vediamo e palpiamo che ci tocca e ci trasmette la salvezza. "Ecco, io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo" (Mt 28, 20). "Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita [...], quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi" (1 Gv 1, 1-3).

Tuttavia non è che questo magistero non debba avere rapporti con il passato, anzi, questo legame gli è strutturale. Non si tratta infatti di un magistero inventivo, come quello di un professore di università che fa le sue ricerche e poi ne trasmette i risultati agli studenti. Ciò che questo magistero deve insegnare è dono, che riceve dall'alto (in verticale) proprio attraverso la consegna (orizzontale) dei suoi predecessori. E' quindi un magistero strutturalmente tradizionale. Questo implica una unità morale col suo passato. Il maestro di oggi fa tutt'uno moralmente col maestro di ieri. Passano le persone, ma il discorso continua come se fosse la stessa persona a parlare. Cambiano i papi, ma è sempre Pietro che parla. E' Pietro che parla per bocca di Pio, di Paolo, di Giovanni Paolo. In definitiva è Cristo, attraverso questa secolare linea ininterrotta, che parla. Questo è il senso niente affatto retorico di un luogo comune dei documenti pontifici: "Come diceva il mio predecessore N.N. di venerata memoria...", e il senso non soltanto "scientifico" delle note a pie' di pagina che rimandano, con apparente pedanteria, ai documenti precedenti.

E' la continuità dell'Incarnazione: "Ecco, io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo".

Finora abbiamo parlato genericamente di "magistero". E' venuto il momento di dare un volto a questo nome astratto. Chi sono i depositari concreti di questa vitale funzione di insegnamento? Ascoltiamo una voce che viene da molto lontano: san Clemente, vescovo di Roma, che, verso il 95-98 scrive una lettera, di tono omiletico, ai Corinti. Ricordiamo che, per es., il vangelo di san Giovanni è stato scritto nei primi anni del secondo secolo, quindi certamente dopo questo antichissimo scritto.

"Gli apostoli predicavano il vangelo da parte del Signore Gesù Cristo che fu mandato da Dio. Cristo da Dio e gli apostoli da Cristo. Ambedue le cose ordinatamente dalla volontà di Dio. [...] Predicavano per le campagne e le città e costituivano le loro primizie, provandole nello spirito, nei vescovi e nei diaconi dei futuri fedeli. E questo non era nuovo [...]. I nostri apostoli conoscevano da parte del signore Gesù Cristo che ci sarebbe stata contesa sulla carica episcopale. Per questo motivo, prevedendo esattamente l'avvenire, istituirono quelli che abbiamo detto prima e poi diedero ordine che alla loro morte succedessero nel ministero altri uomini provati. " (12)

Il mandato di Cristo non poteva spegnersi con la morte degli apostoli: "Ecco, io sono con voi fino alla fine del tempo". Ecco allora che gli Apostoli impongono le mani a dei successori, i vescovi. Ed è bene che fossero molti i successori degli Apostoli, perché la Chiesa doveva diffondersi in tutto il mondo. Tuttavia, poiché la dottrina doveva rimanere rigorosamente una, era necessario un principio di unità. Nel collegio degli Apostoli Gesù aveva scelto Pietro, e il suo ministero doveva continuare nei papi di Roma. Lì doveva risiedere il fondamento della Chiesa, un fondamento che, partecipando della solidità della pietra che è Cristo, doveva garantire fino alla fine dei secoli stabilità e unità. Fra molti infatti possono sorgere delle differenze e dei conflitti. Chi ha ragione allora? A chi fare riferimento se sorgono differenze di dottrina o scismi? Il criterio è visibile e alla portata di tutti: il papa di Roma. Anche il magistero dei vescovi è vincolante quando è "in comunione col Papa", e solo a questa condizione.

6. Il problema dell'infallibilità

Questo insegnamento è impartito humano modo. Nell'opera di Melchior Cano, uno dei teologi più importanti della Controriforma, troviamo questo "assioma": "Come Dio non manca nelle cose necessarie, così non abbonda in quelle superflue". (13) Certamente l'insegnamento autentico è garantito da Dio, ma ciò non significa che lo sia sempre nello stesso modo e che qua o là i limiti dell'uomo non possano segnarne il suo esercizio.

Qui però bisogna distinguere accuratamente due problemi.

a) L'assistenza dello Spirito Santo che garantisce la conformità fra quello che la Chiesa insegna oggi e quello che ha insegnato Gesù. "Chi ascolta voi ascolta me" (Lc 10, 16).

b) La certezza che questo singolo insegnamento della Chiesa sia conforme a quello che ha insegnato Gesù.

Sono due problemi distinti.

Non era assolutamente necessario che ogni e singolo insegnamento dei vescovi e anche del Papa fosse garantito infallibilmente. C'è spazio per la debolezza dell'uomo, e quindi per l'errore. Uno spazio però tale che non impedisca che la "carne" sia portatrice della presenza di Dio. "Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo". Non c'è spazio neppure per eclissi temporanee: "tutti i giorni".

Sappiamo che lo Spirito che Gesù ha lasciato alla sua Chiesa in modo permanente è "Spirito di verità" (14).

Ci sono dei casi in cui abbiamo una certezza assoluta. Quando il pronunciamento del magistero si presenta sotto la forma di un giudizio definitivo. Si tratta allora di una "definizione". Se ci fosse errore, tutta la Chiesa cadrebbe in errore. La "carne" non sarebbe più la carne di Gesù.

D'altra parte, come succede per l'insegnamento umano, non tutto il magistero della Chiesa è impartito con la stessa autorità. Ci sono insegnamenti definitivi e insegnamenti provvisori, o impartiti con minore sicurezza ed impegno. Se tutto fosse certo al 100% non sarebbe più "carne". Ma Dio vuole salvarci proprio attraverso l'infermità umana.

Come faccio allora se non posso essere sempre sicuro? Devo avere fiducia, la fiducia teologale che, al di là di qualche sdrucciolata accidentale il cammino della Chiesa porta infallibilmente alla meta. D'altra parte, se ci pensiamo bene, anche la vita quotidiana in società, senza fiducia sarebbe impossibile. Vado dal medico, vado dall'avvocato e faccio quello che mi dicono di fare, anche se non ci capisco un gran ché, perché mi fido di loro. Se dovessi verificare sempre tutto e sottoporre tutto al vaglio della mia esperienza e della mia scienza la vita diventerebbe per me un peso insopportabile. Anche la vita "profana" sarebbe qualcosa di assolutamente superiore alle mie forze. Qui ci troviamo in un campo ben più elevato: "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono nel cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano." (1 Cor 2, 9). Qui abbiamo dunque una garanzia ben più grande.

Il problema vero davanti al magistero, quello più pratico, non è se è o non è infallibile. Ma se la persona che mi parla è o non è inviata da Gesù e quindi da lui assistita. "Chi ascolta voi ascolta me". Non è che tutte le volte debbo verificare puntigliosamente se quanto mi è detto è infallibile o meno (e non è sempre facile stabilirlo neppure per gli specialisti) ma se chi mi parla è inviato da Gesù, se mi parla con autorità e, eventualmente, se è proprio in comunione con il Papa.

Non esiste neppure un confine troppo netto e assolutamente rigoroso fra infallibile e non infallibile. A volte è molto difficile dire con certezza se un determinato insegnamento lo è o non lo è. Un insegnamento, e un insegnamento tradizionale, è una realtà vitale, complessa, ricca di sfumature. Ci possono essere dei casi in cui ci si avvicina molto ad una certezza assoluta. Non tutto nell'esercizio del Magistero è giudizio definitivo, cioè è "definizione". Il modo ordinario in cui si dà è piuttosto quello dell'insegnamento. E un insegnamento è fatto di molti giudizi. Di tante affermazioni variamente articolate. Tanto più articolate quanto l'insegnamento è ampio, concerne anche realtà contingenti o si dispiega nel tempo. Più il carattere dell'intervento è puntuale più è preciso. Un giudizio è un intervento puntuale che cerca, per sua natura, precisione dogmatica e rigore giuridico. Evidentemente le modalità del giudizio (della "definizione") e dell'insegnamento vanno lette diversamente. E' tutta la differenza che c'è fra il magistero "ordinario" e quello "straordinario".

E' un grave errore, condannato dalla Chiesa, ridurre l'infallibilità al magistero straordinario. Sarebbe anche qualcosa di ridicolo: negli ultimi cento anni, per es., abbiamo, con assoluta certezza, un solo atto del magistero straordinario. Si tratta della famosa definizione del dogma dell'Assunzione di Maria SS. in cielo, contenuta nella costituzione apostolica Munificentissimus Deus del 1° novembre 1950. Se così fosse non avrebbe poi tutti i torti Brian Tierney ad ironizzare sulla teologia neoscolastica dell'infallibilità con il suo noto "assioma": "Ogni pronunciamento infallibile è certamente vero, ma nessun pronunciamento è certamente infallibile..." (15). Ma questo errore è sicuramente meno grave di quell'altro che riduce il motivo dell'assenso al magistero alla sua infallibilità. Quando i due errori si sommano, ed è stato uno slittamento massicciamente presente nella teologia contemporanea, si arriva a togliere al magistero ogni reale incidenza nella vita di fede della Chiesa e nella teologia. Se il magistero si riduce a darmi delle garanzie saltuarie, a singhiozzo (con ritmi di cento anni...), allora non si vede proprio che rapporto possa avere con quella fede di cui "il giusto vive" e di cui deve vivere quotidianamente. La critica antiinfallibilistica recente (Küng, Tierney, Hasler) è venuta come a portare a compimento un processo, a dare il colpo di grazia ad una costruzione che, poggiando su quei due colossali equivoci, era già ampiamente fatiscente.

Anche se non possiamo attribuire ad ogni e singolo pronunciamento del magistero ordinario la stessa infallibilità di una definizione (questo d'altra parte vanificherebbe la stessa differenza fra straordinario e ordinario), tuttavia appare ovvio che, quando un insegnamento è di tutta la Chiesa non possiamo pensare che, "globalmente preso" non contenga la verità di Gesù. Così come quando un insegnamento - uno stesso insegnamento - si protrae a lungo nella Chiesa, viene ribadito e confermato spesso, senza interruzioni, nel corso del tempo, non si può più pensare che non rifletta la Rivelazione divina, senza ipso facto smettere di considerare l'insegnamento autentico, quello degli "inviati", come la regola del proprio credere, per sostituirvi il proprio pensiero personale. Pensare una cosa del genere sarebbe vanificare tutta l'economia della trasmissione della rivelazione voluta da Dio: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo". Un caso del genere è certamente quello dell'Humanae vitae. Si è discusso, e si discute accanitamente, attorno alla sua infallibilità. Se non si vuole restare indebitamente attaccati alle parole e cadere in una pura discussione di parole, il problema non è poi così difficile: se nell'affermare che l'Humanae vitae non è in sé infallibile, si vuol sottolineare che non si tratta di magistero straordinario, lo si può agevolmente concedere, ma se si vuole affermare che l'insegnamento in essa contenuto, in quanto riflesso di un magistero di tutta la Chiesa costante ed ininterrotto nei secoli, può essere discusso, allora ciò è aberrante e conduce a conseguenze disastrose, non solo per la questione della contraccezione in sé, ma per tutta la vita di fede della Chiesa.

In definitiva chi pretende di giudicare il magistero e preferisce la propria opinione al suo insegnamento, attribuisce a sé stesso quella infallibilità che nega la magistero. E' vero che nella Chiesa tutti "abbiamo lo Spirito Santo". Ma non nello stesso modo. C'è chi lo ha per credere ed eventualmente per indagare le profondità della fede e chi lo ha per insegnare. L'uomo può sbagliare, ma non sbaglia chi si affida allo Spirito di verità diffidando delle sue forze. Fra un insegnamento non assolutamente garantito contro l'errore e la mia opinione contraria che cose devo scegliere? Entrambi sono "fallibili". Non lo sono però nello stesso modo, perché non godono della stessa garanzia. Un insegnamento del magistero, anche se in sé fallibile, è sempre un insegnamento soprannaturalmente assistito proprio in quanto insegnamento. Se opto per la mia opinione è perché mi fido di più del mio ingegno e penso, in virtù di non si sa quel promessa, che io di fatto non mi possa sbagliare.
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