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Sondaggio: A QUANDO UN III° CONCILIO VATICANO?
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A QUANDO UN III° CONCILIO VATICANO?

Ultimo Aggiornamento: 13/06/2010 01:11
02/06/2010 20:50
 
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Si sente sempre più l'esigenza di un nuovo Concilio Vaticano che ponga fine alle perplessità generate dal secondo, che faccia chiarezza una buona volta sui dogmi, l'ecumeniscmo e la Liturgia , nonché a proposito degli scandali sugli abusi sessuali.
Voi che ne pensate? Dite la vostra!


















[Modificato da =Foxtrott= 02/06/2010 20:56]
02/06/2010 22:20
 
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Il CVII è solo un concilio pastorale.
Significa che fu indetto per dare delle indicazioni temporali per lo specifico momento critico post bellico.
C'era il pericolo della guerra USA URSS.
Sono nozioni non vincolanti.
Il CVII venne redatto insieme a protestanti, che fino a prova contaria sono eretici non in vera comunione con Cristo.

Il Concilio Tridentino, solo per fare un esempio, invece è dogmatico.
Significa che gli insegnamenti che sono contenuti, sono dogmi e sono assolutamente vincolanti.

Il CVII essendo solo un insieme di dettami legati al momento storico(sempre discutibili comunque, visto che contiene degli errori dottrinali) teoricamente andrebbe seguito solo per l'autorità di chi lo ha indetto ma NON VA SEGUITO NEI PUNTI CHE SI DISCOSTANO DAI DOGMI VINCOLANTI DELLA CHIESA.

Dove il CVII dice il contrario dei Concili precedenti non VA SEGUITO, perchè vorrebbe dire offendere Cristo che ha insegnato immutabilmente per duemila anni.
Dove il CVII è ambiguo rispetto ai concili precedenti, tutti dogmatici, e lo è spesso e volentieri, va preso con le pinze.

Cmq essendo pastorale, meglio non fidarsi e ritenerlo solo un concilio adatto a quel critico momento storico che ormai è totalmente finito.


Meglio cominciare piano piano ad affossarlo per non dispiacere più a Dio e ritenerlo concluso in se.

Un ultima cosa: quando indissero il CVII essendo pastorale, non si richiese l'assistenza dello Spirito Santo, quindi il CVII è totalmente umano e non viene da Dio.


[Modificato da Ghergon 02/06/2010 22:21]
"Ciascuno deve salvare non solamente la propria anima ma anche tutte le anime che Dio ha posto sul suo cammino.

Suor Lucia Dos Santos



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02/06/2010 23:28
 
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Re:
Ghergon, 02/06/2010 22.20:

Il CVII è solo un concilio pastorale.
Significa che fu indetto per dare delle indicazioni temporali per lo specifico momento critico post bellico.
C'era il pericolo della guerra USA URSS.
Sono nozioni non vincolanti.
Il CVII venne redatto insieme a protestanti, che fino a prova contaria sono eretici non in vera comunione con Cristo.

Il Concilio Tridentino, solo per fare un esempio, invece è dogmatico.
Significa che gli insegnamenti che sono contenuti, sono dogmi e sono assolutamente vincolanti.

Il CVII essendo solo un insieme di dettami legati al momento storico(sempre discutibili comunque, visto che contiene degli errori dottrinali) teoricamente andrebbe seguito solo per l'autorità di chi lo ha indetto ma NON VA SEGUITO NEI PUNTI CHE SI DISCOSTANO DAI DOGMI VINCOLANTI DELLA CHIESA.

Dove il CVII dice il contrario dei Concili precedenti non VA SEGUITO, perchè vorrebbe dire offendere Cristo che ha insegnato immutabilmente per duemila anni.
Dove il CVII è ambiguo rispetto ai concili precedenti, tutti dogmatici, e lo è spesso e volentieri, va preso con le pinze.

Cmq essendo pastorale, meglio non fidarsi e ritenerlo solo un concilio adatto a quel critico momento storico che ormai è totalmente finito.


Meglio cominciare piano piano ad affossarlo per non dispiacere più a Dio e ritenerlo concluso in se.

Un ultima cosa: quando indissero il CVII essendo pastorale, non si richiese l'assistenza dello Spirito Santo, quindi il CVII è totalmente umano e non viene da Dio.






io non sono dello stesso parere, anche se hai perfettamente ragione a ritenere il CVII inferiore rispetto al Tridentino.
Penso che un terzo concilio vaticano risolverebbe alcuni dei problemi della Chiesa e dell'umanità, tenendo buoni i dogmi del Concilio di Trento così come i punti da non escludere del I e del II..infatti se il secondo concilio è stato deludente per diversi motivi, il terzo non fallirà.
Almeno spero che sia così [SM=g27823]











03/06/2010 12:09
 
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non serve un terzo concilio ,specialmente in tempo di apostasia,tocca solo continuare a fare quello che la chiesa ha sempre fatto e non come molti fedeli e parroci che vogliono personalizzare la fede cattolica con sperimentazioni selvagge,teorie strampalate ed ecumenismo satanico(relativismo) e no ecumenismo che la chiesa cattolica ha sempre fatto cioe' portare la vera fede al mondo.

un terzo concilio ,in questo momento dividerebbe la chiesa ancora di piu'





Ma tu perché ritorni a tanta noia? perché non sali il dilettoso monte ch'è principio e cagion di tutta gioia?".
03/06/2010 23:41
 
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ragazzi..mi deludete!
Che significa che un terzo concilio peggiorerebbe soltanto la situaizione?? [SM=g27820]
Se non erro molti di voi non accettano il concilio vaticano II, solo perché è pastorale..va beh, anche se non dice eresie è comunque difforme da quello di Trento..
Ricordiamoci che detto concilio risale alla metà del 1500, (iniziò nel 1545 per l'esattezza)
Che senso ha paragonare la vita di quell'epoca con l'attuale?? [SM=g27833]









[Modificato da =Foxtrott= 03/06/2010 23:43]
04/06/2010 08:11
 
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Re:
=Foxtrott=, 03/06/2010 23.41:

ragazzi..mi deludete!
Che significa che un terzo concilio peggiorerebbe soltanto la situaizione?? [SM=g27820]
Se non erro molti di voi non accettano il concilio vaticano II, solo perché è pastorale..va beh, anche se non dice eresie è comunque difforme da quello di Trento..
Ricordiamoci che detto concilio risale alla metà del 1500, (iniziò nel 1545 per l'esattezza)
Che senso ha paragonare la vita di quell'epoca con l'attuale?? [SM=g27833]


Credo che al giorno d'oggi il rischi di tornare nel 1500 è estremamente alto , visto che viviamo in una società corrotta a livello politico e a livello sociale.Lasciatemelo dire ma solo una piccola parte di persone si salva da questa regressione.
Peggiorerebbe le cose forse per il fatto che la chiesa attualmente deve pensare ad altre crisi ed altre batoste che ha preso ultimamente.Deve più ragionare spiritualmente e non 'politicamente.Un ritiro spirituale generale chiamato dal Papa me lo aspetterei in questi giorni!!!chissà come si evolveranno queste cose ! [SM=g10644]










05/06/2010 09:22
 
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Re:
=Foxtrott=, 03/06/2010 23.41:

ragazzi..mi deludete!
Che significa che un terzo concilio peggiorerebbe soltanto la situaizione?? [SM=g27820]
Se non erro molti di voi non accettano il concilio vaticano II, solo perché è pastorale..va beh, anche se non dice eresie è comunque difforme da quello di Trento..
Ricordiamoci che detto concilio risale alla metà del 1500, (iniziò nel 1545 per l'esattezza)
Che senso ha paragonare la vita di quell'epoca con l'attuale?? [SM=g27833]



I Concili non seguono la vita e il momento storico.
Un Concilio Dogmatico è un insegnamento sempre valevole e duraturo.
Dio è fuori dal tempo i suoi dogmi e il Suo Volere anche.
E' la vita dell'uomo che deve conformarsi all'insegnamento contenuto e datoci dallo Spirito Santo.
Più noi facciamo una società moderna che si discosta dai Suoi insegnamenti più andiamo fuori strada...il mondo moderno laico ateo, massone, pieno di false religioni e iper tecnologico è ben poco divino...

Poi va detto che il CVII è ambiguo, va incontro al mondo, e il mondo è diabolico, e contiene errori dottrinali come ad esempio il diritto alla libertà religiosa...che grida vendetta al cospetto di Dio.
















[Modificato da Ghergon 05/06/2010 09:22]
"Ciascuno deve salvare non solamente la propria anima ma anche tutte le anime che Dio ha posto sul suo cammino.

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05/06/2010 23:02
 
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Da leggere attentamente,MOLTO attentamente...


forumnwo.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...
05/06/2010 23:53
 
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letto e dunque [SM=g27833]
"Ciascuno deve salvare non solamente la propria anima ma anche tutte le anime che Dio ha posto sul suo cammino.

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06/06/2010 17:57
 
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07/06/2010 17:06
 
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il parere di gherardini


Valore "magisteriale" del Vaticano II
di Brunero Gherardini

M'è stato chiesto se il Concilio Ecumenico Vaticano II abbia valore magisteriale. La domanda è mal posta.
Un Concilio – qualunque sia la sua indole ed a qualunque finalità o necessità contingente intenda rispondere – è sempre Supremo Magistero della Chiesa. Il più solenne, al livello più alto. Sotto questo profilo e prescindendo dalla materia presa in esame, ogni suo pronunciamento è sempre magisteriale. E magisteriale nel senso più proprio e più nobile del termine.
Ciò non significa che sia in assoluto vincolante.
Dogmaticamente, intendo, e sul piano dei comportamenti etici. Magisteriale, infatti, non necessariamente allude al dogma o all'ambito della dottrina morale, limitandosi a qualificare un asserto o un documento o una serie di documenti provenienti dal Magistero, supremo o no.
Ho escluso che sia vincolante in assoluto, perché non in assoluto lo è sempre. Il fatto stesso che anche una semplice esortazione provenga da una cattedra di tale e tanta autorevolezza, crea certamente un vincolo.
Non quello che esige l'assenso incondizionato di tutti (vescovi, preti, popolo di Dio) e ne impegna la fede; ma quello che a tutti richiede un religioso ossequio interno ed esterno.

Perché insorga l'esigenza dell'assenso incondizionato e della sua traduzione in comportamenti coerenti occorre che intervengano alcune circostanze, mancando le quali un pronunciamento conciliare, indubbiamente magisteriale, resta privo della capacità giuridica e morale di vincolare la libertà della Chiesa e dei suoi singoli membri.
Nel tal caso, ovviamente, la richiesta dell'attenzione, dell'ossequio, del rispetto non solo in pubblico ma anche in privato, tocca la responsabilità d'ogni singolo cristiano-cattolico.
Quali sian le dette circostanze, è risaputo da tutti, immagino anche da coloro che non ne tengono conto.
Poiché non vorrei che qualcuno le considerasse idee mie, le prendo dalle labbra d'una personalità non discutibile sia per i meriti ad essa universalmente riconosciuti, sia per l'ufficio ricoperto e per il compito che stava allora svolgendo, quando le manifestò pubblicamente ed ufficialmente: 16 nov. 1964, in pieno svolgimento del Vaticano II ed a chiarimento del suo valore conciliare.
In risposta a reiterate domande, il Segretario del Concilio, S. E. Rev.ma Mons. Pericle Felici disse che "il testo dovrà sempre interpretarsi alla luce delle regole generali, da tutti conosciute". Secondo tali regole, tutta la Chiesa senz'eccezioni "è tenuta a professare le cose riguardanti la fede ed i costumi che il Concilio abbia apertamente dichiarato".
Trattandosi però d'un Concilio pastorale, senz'escludere ch'esso potesse riesumare qualche enunciato dogmatico tra quelli da altri Concili ed in altre circostanze definiti, l'Ecc.mo Mons. Felici precisò che anche gl'indirizzi pastorali son dal Vaticano II proposti "come dottrina del Magistero Supremo della Chiesa" ed in quanto tali essi "vanno accettati ed abbracciati in conformità alla mente dello stesso Santo Sinodo; la quale mente, secondo le norme dell'ermeneutica teologica, è resa manifesta sia dalla dottrina trattata, sia dal tenore dell'espressione usata"[1].

Come si vede, per indicare quale e di che natura fosse il valore stringente del Vaticano II, il Segretario del Concilio fece appello a diversi fattori. Parlando della sua pastoralità, richiamò:
i limiti imposti al Concilio da Giovanni XXIII, in apertura del medesimo: non la condanna degli errori né la formulazione di nuovi dogmi, ma l'adeguamento della verità rivelata "al mondo contemporaneo, alla sua mentalità e cultura"[2];
l'ermeneutica teologica, vale a dire l'analisi dei problemi emergenti, alla luce del dato rivelato e della Tradizione ecclesiastica;
il tenore delle espressioni usate.
Le prime due condizioni non abbisognano di molte spiegazioni; la terza si riferisce a moduli tecnici dai quali trasparisce l'intento o di dogmatizzare o più semplicemente d'esortare.
E' da notare che un dogma insorge non perché un Concilio (anche il Vaticano II fece altrettanto) ricorre a moduli come questi: "Haec Sancta Synodus docet...Nos docemus et declaramus...definimus", o simili, ma perché il contenuto dottrinale d'un intero capitolo o dei suoi articoli vien sintetizzato in un "canone" che affermi il dogma e condanni l'errore contrario.
Il tenore dell'espressione verbale è dunque formalmente decisivo. Si può serenamente asserire che un Concilio è o no dogmatico soprattutto in base alla sua "voluntas definiendi", chiaramente manifestata attraverso il suddetto tenore.

Il Vaticano II mai manifestò tale "voluntas", come si rileva facilmente dal tenore dei suoi moduli e delle sue formulazioni: mai un "canone", mai una condanna, mai una nuova definizione, ma, tutt'al più, il richiamo a qualche definizione del passato.
La conclusione che se ne trae è ovvia: si tratta d'un Concilio che, per principio, escluse la formulazione di nuove dottrine dogmatiche; queste, se pure di per sé non dogmatiche, avrebbero potuto assurgere a valore di dogma solo se la materia fosse stata definita in altri Concili ed ora riesumata.
In ogni altro caso, le eventuali novità non son che tentativi di rispondere alle istanze del momento e sarebbe teologicamente scorretto, anzi privo d'effetti, l'innalzarle a validità dogmatica senza il supporto dell'accennata "voluntas definiendi".
Ne consegue che un siffatto innalzamento equivarrebbe ad una forzatura del Vaticano II, il cui insegnamento potrà dirsi infallibile ed irreformabile solo là dove è un insegnamento precedentemente definito.

In base ai principi ermeneutici di S. E. Mons Felici, ciò non comporta per nessuno – né per un vescovo, né per un prete o un teologo, né per il popolo di Dio - la libertà di "snobbare" gl'insegnamenti del Vaticano II.

Provenendo essi dal Supremo Magistero, godono tutti d'una non comune dignità ed autorevolezza.

Nessuno potrà impedire allo studioso di verificarne il fondamento - lo esige anzi l'invocata ermeneutica teologica – ma nessuno dovrebbe mai osare di negar loro religiosa attenzione interna ed esterna.

C'è tuttavia un "ma" ed un "se".
Facciamo l'ipotesi che in qualcuno dei sedici documenti del Vaticano II, o addirittura in tutti, si rilevino errori. In astratto, è possibile: si è sempre discusso se un Concilio possa venir meno alle sue dichiarate intenzioni e finalità, o se possa addirittura cader in eresia.
Il mio sommesso parere è che ciò non sia da escludere, attesa la fragilità o la malizia del cuore umano; ritengo tuttavia che, ove ciò si verificasse, un Concilio cesserebbe d'esser tale.
Quanto al Vaticano II, da circa cinquant'anni l'attenzione critica s'è come assopita dinanzi ad esso, soffocata dal continuo osanna che l'ha circondato. Eppure i problemi non mancano, ed estremamente seri.
Non parlo ovviamente d'eresia, ma di spunti dottrinali non in linea con la Tradizione di sempre e quindi non facilmente riconducibili al "quod semper, quod ubique, quod ab omnibus" del Lerinense, mancando a tali spunti la continuità dell' "eodem sensu eademque sententia" del suo "Commonitorium".
Per esempio, un "subsistit in" non può esser accolto a cuor leggero, se non si dimostri, attraverso la ricerca e la discussione critica - intendo ad alto livello scientifico - che tutto sommato può esser interpretato in maniera ortodossa: il che, a mio avviso, dovrebbe escludere il decantato allargamento della "cattolicità" e della capacità salvifica alle denominazioni cristiane non cattoliche.
Se poi si consideri la "Dignitatis humanae" come l'antisillabo rispetto al famoso documento del beato Pio IX (1864), la continuità con la Tradizione viene infranta ancor prima di porne il problema.
Ed infine, se si dichiara tradizionale la dottrina dei due titolari della suprema piena ed universale potestà di governo nella Chiesa – il Papa e il Collegio dei vescovi, con il Papa e sotto il Papa, mai senza né sopra - giustificandola con "la relazione reale inadeguata", s'afferma un nonsenso ancor prima d'un errore storico e teologico.
C'è poi da tener presente un'altra circostanza, in base alla quale il valore dei documenti, pur se tutti conciliari e quindi magisteriali, non è sempre il medesimo: altro è una Costituzione, altro un Decreto ed altro ancora una Dichiarazione.
C'è una validità decrescente da documento a documento.
Ed anche se risultasse con ogni evidenza un eventuale errore del Vaticano II, la sua gravità varierebbe in base alla sua collocazione in una delle tre diverse tipologie di documenti.

Riassumendo, dunque, direi:

il Concilio Ecumenico Vaticano II è indubbiamente magisteriale;
altrettanto indubbiamente non è dogmatico, bensì pastorale essendosi sempre come tale presentato;

le sue dottrine son infallibili ed irreformabili solo se e là dove son desunte da pronunciamenti dogmatici;

quelle che non godono di supporti tradizionali costituiscono, nel loro complesso, un insegnamento autenticamente conciliare e quindi magisteriale, se pur non dogmatico, ingenerando così l'obbligo non della fede, ma d'un'accoglienza attenta e rispettosa, nella linea d'una leale e riverente adesione;

quelle, infine, la cui novità appare o inconciliabile con la Tradizione, o ad essa contrapposta, potranno e dovranno esser seriamente sottoposte ad esame critico sulla base della più rigorosa ermeneutica teologica.
Salvo ovviamente "meliore iudicio".

[1] Sacrosanctum Oecumenicum Concilium Vaticanum II, Constitutiones, Decreta, Declarationes, Poliglotta Vaticana 1966, p. 214-215.
[2] Ibid. p. 865-866.



"Ciascuno deve salvare non solamente la propria anima ma anche tutte le anime che Dio ha posto sul suo cammino.

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07/06/2010 17:49
 
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CAPITOLO II : UN CONCILIO DA RISCOPRIRE

Due errori contrapposti

Entrando nel vivo, il nostro discorso non poteva cominciare se non dall'evento straordinario il Concilio Ecumenico Vaticano II - del quale nel 1985 si celebrano i vent'anni dalla chiusura. Vent'anni che hanno cambiato la Chiesa cattolica ben più che due secoli.

Sull'importanza, la ricchezza, l'opportunità, l'imprescindibilità dei grandi documenti del Vaticano II nessuno che sia e voglia restare cattolico nutre né può nutrire - dubbi di sorta. A cominciare, naturalmente, dal Cardinale Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Ricordarlo sembra più ridicolo che superfluo: succede invece che in alcuni commenti sconcertanti al preannuncio dei contenuti di quest'intervista, qualcuno sia sembrato avanzare dubbi in proposito.

Eppure, non solo erano ben chiare le parole che riportavamo del card. Ratzinger a ferma difesa del Vaticano II e delle sue decisioni; ma quelle parole erano state da lui più e più volte ribadite in ogni sede.

Tra gli innumerevoli esempi possibili, c'è un suo intervento in occasione dei dieci anni dalla chiusura del Concilio, nel 1975. A Bressanone gli ho riletto le parole di quell'intervento, sentendolo confermare che vi si riconosce ancora interamente.

Scriveva dunque già dieci anni prima del nostro colloquio: "il Vaticano II sta oggi sotto una luce crepuscolare. Dalla cosiddetta ala "progressista", è ritenuto da tempo completamente superato e di conseguenza come un fatto del passato non più rilevante per il presente. Dalla parte opposta dall'ala "conservatrice", è ritenuto responsabile dell'attuale decadenza della Chiesa cattolica e persino giudicato apostasia rispetto al Concilio di Trento e al Vaticano I: tanto che qualcuno si è spinto al punto di chiederne un annullamento o una revisione che equivalga a un annullamento".

Continuava: "Nei confronti di entrambe le posizioni contrapposte, va precisato innanzitutto che il Vaticano II è sorretto dalla stessa autorità del Vaticano I e del Tridentino: e cioè, il Papa e il collegio dei vescovi in comunione con lui. Dal punto di vista dei contenuti va poi ricordato che il Vaticano II si pone in stretta continuità con . i due Concili precedenti e li riprende letteralmente in punti decisivi".

Da qui, Ratzinger derivava due conseguenze: "Primo: è impossibile per un cattolico prendere posizione in favore del Vaticano II e contro Trento o il Vaticano I.

Chi accetta il Vaticano II, così come si è chiaramente espresso nella lettera e così come ha chiaramente inteso nello spirito, afferma al tempo stesso l'ininterrotta tradizione della Chiesa, in particolare anche i due Concili precedenti. E ciò valga per il cosiddetto "progressismo" almeno nelle sue forme estreme. Secondo: Allo stesso modo è impossibile decidersi a favore di Trento e del Vaticano I e contro il Vaticano II. Chi nega il Vaticano II nega l'autorità che regge gli altri due Concili e così li stacca dal loro fondamento. E ciò valga per il cosiddetto "tradizionalismo", anch'esso nelle sue forme estreme. Davanti al Vaticano II, ogni scelta di parte distrugge un tutto, la storia stessa della Chiesa, che può esistere solo come unità indivisibile".

"Riscopriamo il Vaticano II vero"

Non è dunque il Vaticano II e i suoi documenti (è appena il caso di ricordarlo) che fanno problema. Semmai, per molti - e Joseph Ratzinger è tra questi, non da ieri - il problema è costituito da molte interpretazioni di quei documenti che avrebbero condotto a certi frutti dell'epoca postconciliare.

Da parecchio tempo, il giudizio di Ratzinger su questo periodo è netto: "è incontestabile che gli ultimi vent'anni sono stati decisamente sfavorevoli per la Chiesa cattolica. I risultati che hanno seguito il Concilio sembrano crudelmente opposti alle attese di tutti, a cominciare da quelle di papa Giovanni XXIII e poi di Paolo VI. I cristiani sono di nuovo minoranza, più di quanto lo siano mai stati dalla fine dell'antichità".

Spiega così il suo giudizio severo, che ci è stato ripetuto durante il colloquio: "I Papi e i Padri conciliari si aspettavano una nuova unità cattolica e si è invece andati incontro a un dissenso che - per usare le parole di Paolo VI - è sembrato passare dall'autocritica all'autodistruzione. Ci si aspettava un nuovo entusiasmo e si è invece finiti troppo spesso nella noia e nello scoraggiamento. Ci si aspettava un balzo in avanti e ci si è invece trovati di fronte a un processo progressivo di decadenza che si è venuto sviluppando in larga misura sotto il segno di un richiamo a un presunto "spirito del Concilio" e in tal modo lo ha screditato".

Dunque, già dieci anni fa concludeva: "Va affermato a chiare lettere che una reale riforma della Chiesa presuppone un inequivocabile abbandono delle vie sbagliate che hanno portato a conseguenze indiscutibilmente negative".

Ha scritto una volta: "Il card. Julius Dópfner diceva che la Chiesa del dopo Concilio è un grande cantiere. Ma uno spirito critico ha aggiunto che è un cantiere dove è andato perduto il progetto e ciascuno continua a fabbricare secondo il suo gusto. Il risultato è evidente".

È però costante in lui la preoccupazione di ripetere con altrettanta chiarezza che "nelle sue espressioni ufficiali, nei suoi documenti autentici, il Vaticano II non può essere ritenuto responsabile di questa evoluzione che - al contrario - contraddice radicalmente sia la lettera che lo spirito dei Padri conciliari".

Dice: "Sono convinto che i guasti cui siamo andati incontro in questi venti anni non siano dovuti al Concilio "vero" ma allo scatenarsi, all'interno della Chiesa, di forze latenti aggressive, centrifughe, magari irresponsabili oppure semplicemente ingenue, di facile ottimismo, di un'enfasi sulla modernità che ha scambiato il progresso tecnico odierno con un progresso autentico, integrale. E, all'esterno, all'impatto con una rivoluzione culturale: l'affermazione in Occidente del ceto medio-superiore, della nuova" "borghesia del terziario" con la sua ideologia liberal-radicale di stampo individualistico, razionalistico, edonistico".

Dunque, la sua parola d'ordine, l'esortazione a tutti i cattolici che vogliano rimanere tali, non è certo un "tornare indietro"; bensì: "tornare ai testi autentici del Vaticano II autentico".

Per lui, mi ripete, "difendere oggi la Tradizione vera della Chiesa significa difendere il Concilio. È anche colpa nostra se abbiamo dato talvolta il pretesto (sia alla "destra" che alla "sinistra") di pensare che il Vaticano II sia stato uno "strappo", una frattura, un abbandono della Tradizione. C'è invece una continuità che non permette né ritorni all'indietro né fughe in avanti; né nostalgie anacronistiche né impazienze ingiustificate. È all'oggi della Chiesa che dobbiamo restare fedeli, non allo ieri o al domani: e questo oggi della Chiesa sono i documenti del Vaticano II nella loro autenticità. Senza riserve che li amputino. E senza arbitrii che li sfigurino".

Una ricetta contro l'anacronismo

Critico a "sinistra", Ratzinger si mostra inequivocabilmente severo anche a "destra", verso quel tradizionalismo che è simboleggiato per lo più dal vecchio vescovo Marcel Lefebvre. Mi ha detto al proposito: "Non vedo alcun futuro per una posizione che si ostina in un rifiuto di principio del Vaticano II. Infatti essa è in se stessa illogica. Punto di partenza di questa tendenza è infatti la più rigida fedeltà all'insegnamento, in particolare di Pio IX e di Pio X e, ancor più a fondo, del Vaticano I e la sua definizione del primato del Papa. Ma perché i Papi sino a Pio XII e non oltre? Forse che l'obbedienza alla Santa Sede è divisibile secondo le annate o secondo la consonanza di un insegnamento alle proprie convinzioni già stabilite?".

Resta però il fatto, osservo, che se da Roma si è intervenuti "a sinistra", non si è sinora intervenuti "a destra" con lo stesso vigore.

Dice, per rispondere: "I seguaci di mons. Lefebvre affermano il contrario. Essi sostengono che, mentre si è intervenuti subito, con la pena severa della sospensione, nei confronti di un benemerito arcivescovo a riposo, si tollera in maniera incomprensibile ogni forma di deviazione dalla parte opposta. Non voglio qui impelagarmi in una polemica sulla maggiore o minore severità verso l'una o l'altra tendenza. Del resto i due tipi di opposizione presentano caratteristiche molto differenti. Le deviazioni "a sinistra" rappresentano senza dubbio una vasta corrente del pensiero e dell'iniziativa contemporanea nella Chiesa, tuttavia quasi da nessuna parte hanno trovato una forma comune giuridicamente definibile. Al contrario, il movimento dell'arcivescovo Lefebvre è probabilmente molto meno ampio dal punto di vista numerico, tuttavia è dotato di un ordinamento giuridico ben definito, di seminari, di istituzioni religiose, ecc. È chiaro che si deve fare tutto il possibile perché questo movimento non dia origine a uno scisma in senso proprio, che si avrebbe qualora mons. Lefebvre decidesse di consacrare un vescovo. Grazie a Dio finora egli non ha fatto ciò, nella speranza di una riconciliazione. Oggi, nell'ambito ecumenico, si deplora che nel passato non si sia fatto di più per impedire le divisioni via via emergenti attraverso una maggiore disponibilità alla riconciliazione e una comprensione per i diversi gruppi. Ebbene, ciò dovrebbe valere come massima di comportamento anche per noi nel tempo presente. Dobbiamo impegnarci per la riconciliazione, fin tanto che e per quanto essa è possibile, e usare tutte le opportunità concesseci a questo scopo".

Ma Lefebvre, obietto, ha ordinato e continua a ordinare dei sacerdoti.

"Per il diritto della Chiesa sono ordinazioni illecite ma non invalide. C'è da considerare anche l'aspetto umano di questi giovani che, per la Chiesa, sono preti "veri" anche se in una situazione irregolare. Il punto di partenza e l'orientamento dei singoli sono certamente differenziati. Alcuni sono stati fortemente, influenzati dalla loro situazione di famiglia e hanno accettato la decisione di questa. In altri giocano un certo ruolo delusioni nei confronti della Chiesa attuale, delusioni che li hanno spinti all'amarezza e alla negazione. Altri ancora desidererebbero collaborare pienamente alla normale attività pastorale della Chiesa, e tuttavia nella loro scelta si sono lasciati determinare dalla insoddisfacente situazione che si è venuta a creare nei seminari di alcuni paesi. Quindi: così come si trovano taluni che in qualche modo hanno subìto la divisione, vi sono anche molti che sperano nella riconciliazione e solo in tale speranza rimangono nella comunità sacerdotale di mons. Lefebvre".

La sua ricetta per "smontare" il caso Lefebvre e altre resistenze anacronistiche sembra riecheggiare quella degli ultimi Papi, da Paolo VI a oggi: "Simili situazioni così assurde hanno potuto reggere sino ad ora proprio nutrendosi dell'arbitrarietà e dell'imprudenza di certe interpretazioni postconciliari di segno opposto. E un ulteriore impegno a mostrare il volto vero del Concilio: così si potranno troncare queste proteste false".

Spirito e anti-spirito

Ma, dico, quanto al Concilio "vero", i pareri sono discordi: a parte casi di quel "neo-trionfalismo" irresponsabile cui accennava e che si rifiuta di guardare la realtà, si è in generale d'accordo che la situazione attuale della Chiesa sia di difficoltà. Ma le opinioni si dividono sia per la diagnosi che per la terapia. La diagnosi di alcuni è che gli aspetti della difficoltà, se non della crisi, non sono che benefiche febbri di un periodo di crescita; per altri sono invece sintomi di una malattia grave. Quanto alla terapia, gli uni chiedono una maggiore applicazione del Vaticano II, anche al di là dei testi; gli altri una dose minore di riforme e cambiamenti. Come scegliere? A chi dare ragione?

Risponde: "Come chiarirò ampiamente, la mia diagnosi è che si tratti di un'autentica crisi che va curata e guarita. Così, confermo che per questa guarigione il Vaticano II è una realtà da accettare in pieno. A condizione però che non sia considerato come un punto di partenza dal quale allontanarsi correndo, bensì come una base sulla quale saldamente costruire. Oggi, poi, stiamo scoprendo la sua funzione profetica: alcuni testi del Vaticano II al momento della loro proclamazione sembravano davvero in anticipo sui tempi che allora si vivevano. Sono venute poi rivoluzioni culturali e terremoti sociali che i Padri non potevano assolutamente prevedere ma che hanno mostrato come quelle loro risposte - allora anticipate - erano quelle che ci volevano in seguito. Ecco dunque che ritornare ai documenti è di particolare attualità: ci danno strumenti giusti per affrontare i problemi d'oggi. Siamo chiamati a ricostruire la Chiesa non malgrado, ma grazie al Concilio vero".

A questo Concilio "vero" , stando ancora alla sua diagnosi, "già durante le sedute e poi via via sempre di più nel periodo successivo si contrappose un sedicente "spirito del Concilio" che in realtà ne è un vero "anti-spirito". Secondo questo pernicioso anti-spirito - Konzils-Ungeist per dirlo in tedesco - tutto ciò che è "nuovo" (o presunto tale: quante antiche eresie sono riapparse in questi anni, presentate come novità!) sarebbe sempre e comunque migliore di ciò che c'è stato o c'è. E l'anti-spirito secondo il quale la storia della Chiesa sarebbe da far cominciare dal Vaticano II, visto come una specie di punto zero".

"Non rottura ma continuità"

Su questo mi conferma che vuol essere ben preciso: "Bisogna decisamente opporsi a questo schematismo di un prima e di un dopo nella storia della Chiesa, del tutto ingiustificato dagli stessi documenti del Vaticano II che non fanno che riaffermare la continuità del cattolicesimo. Non c'è una Chiesa "pre" o "post", conciliare: c'è una sola e unica Chiesa che cammina verso il Signore, approfondendo sempre di più e capendo sempre meglio il bagaglio di fede che Egli stesso le ha affidato. In questa storia non ci sono salti, non ci sono fratture, non c'è soluzione di continuità. Il Concilio non intendeva affatto introdurre una divisione del tempo della Chiesa". Continuando nella sua analisi, ricorda che "l'intenzione del Papa che prese l'iniziativa del Vaticano II, Giovanni XXIII, e di quello che lo continuò fedelmente, Paolo VI, non era affatto di mettere in discussione un depositum fidei che, anzi, entrambi davano per indiscusso, ormai messo al sicuro".

Vuol forse, come alcuni fanno, sottolineare l'intenzione soprattutto pastorale più che dottrinale del Vaticano II?

"Voglio dire che il Vaticano II non voleva di certo "cambiare" la fede, ma ripresentarla in modo efficace. Voglio dire inoltre che il dialogo con il mondo è possibile solo sulla base di una identità chiara: che ci si può, ci si deve "aprire", ma solo quando si è acquisita la propria identità e si ha quindi qualcosa da dire. L'identità ferma è condizione dell'apertura. Così intendevano i Papi e i Padri conciliari, alcuni dei quali certamente indulsero a un ottimismo che noi, a partire dalla nostra prospettiva attuale, giudicheremmo come poco critico e poco realistico. Ma se hanno pensato di potersi aprire con fiducia a quanto c'è di positivo nel mondo moderno, è proprio perché erano sicuri della loro identità, della loro fede. Mentre da parte di molti cattolici c'è stato in questi anni uno spalancarsi senza filtri e freni al mondo, cioè alla mentalità moderna dominante, mettendo nello stesso tempo in discussione le basi stesse del depositum fidei che per molti non erano più chiare".

Continua: "Il Vaticano II aveva ragione di auspicare una revisione dei rapporti tra Chiesa e mondo. Ci sono infatti dei valori che, anche se nati fuori della Chiesa, possono trovare il loro posto - purché vagliati e corretti - nella sua visione. In questi anni si è adempiuto a questo compito. Ma mostrerebbe di non conoscere né la Chiesa né il mondo chi pensasse che queste due realtà possono incontrarsi senza conflitto o addirittura identificarsi".

Sta forse proponendo di ritornare alla vecchia spiritualità di "opposizione al mondo"?

"Non sono i cristiani che si oppongono al mondo. È il mondo che si oppone a loro quando è proclamata la verità su Dio, su Cristo, sull'uomo. Il mondo si rivolta quando il peccato e la grazia sono chiamati con il loro nome. Dopo la fase delle "aperture" indiscriminate, è tempo che il cristiano ritrovi la consapevolezza di appartenere a una minoranza e di essere spesso in contrasto con ciò che è ovvio, logico, naturale per quello che il Nuovo Testamento chiama - e non certo in senso positivo - "lo spirito mondano". E' tempo di ritrovare il coraggio dell'anticonformismo, la capacità di opporsi, di denunciare molte delle tendenze della cultura circostante, rinunciando a certa euforica solidarietà postconciliare".

Restaurazione?

A questo punto - anche qui, come durante tutto il colloquio, il registratore frusciava nel silenzio della stanza sul giardino del seminario - ho posto al card. Ratzinger la domanda la cui risposta ha suscitato reazioni vivacissime nel mondo intero. Reazioni dovute anche ai modi incompleti con cui è stata spesso riferita e al contenuto emotivo della parola in gioco ("restaurazione") che rinvia a epoche storiche certamente non ripetibili né - a nostro avviso, almeno - neppure auspicabili.

Ho chiesto dunque al Prefetto della Fede: ma allora, riguardando quanto lei dice, sembrerebbero non avere torto coloro che affermano che la gerarchia della Chiesa intenderebbe chiudere la prima fase del dopo Concilio; e che (seppure ritornando non certo al pre-Concilio ma ai documenti "autentici" del Vaticano II) la stessa gerarchia intenderebbe procedere a una sorta di "restaurazione".

Ecco la risposta testuale del Cardinale: "Se per restaurazione, si intende un tornare indietro, allora nessuna restaurazione è possibile. La Chiesa va avanti verso il compimento della storia, guarda innanzi al Signore che viene. No: indietro non si torna né si può tornare. Nessuna "restaurazione", dunque, in questo senso. Ma se per "restaurazione" intendiamo la ricerca di un nuovo equilibrio (die Suche auf ein neues Gleichgewicht) dopo le esagerazioni di un'apertura indiscriminata al mondo, dopo le interpretazioni troppo positive di un mondo agnostico e ateo; ebbene, allora una "restaurazione" intesa in questo senso (un rinnovato equilibrio, cioè, degli orientamenti e dei valori all'interno della totalità cattolica) è del tutto auspicabile ed è del resto già in atto nella Chiesa. In questo senso si può dire che è chiusa la prima fase dopo il Vaticano II" (1).

Effetti imprevisti

E che per lui, come mi spiega, "la situazione è cambiata, il clima è molto peggiorato rispetto a quello che sorreggeva una euforia i cui frutti stanno davanti a noi, ammonendoci. Il cristiano è tenuto a quel realismo che non è che attenzione completa ai segni del tempo. Per questo escludo che si possa pensare (irrealisticamente) di riprendere la strada come se il Vaticano II non ci fosse mai stato. Molti degli effetti concreti quali li vediamo ora non corrispondono alle intenzioni dei Padri conciliari, ma non possiamo certo dire: "Sarebbe stato meglio che non ci fosse stato". Il card. John Henry Newman, lo storico dei concili, il grande studioso passato dall'anglicanesimo al cattolicesimo, diceva che il concilio è sempre un rischio per la Chiesa, che bisogna dunque convocarlo solo per poche cose e non protrarlo troppo a lungo. È vero che le riforme esigono tempo, pazienza, espongono a dei rischi, ma non è lecito neppure dire: "Non facciamole perché sono pericolose". Credo anzi che il tempo vero del Vaticano II non sia ancora venuto, che la sua ricezione autentica non sia ancora cominciata: i suoi documenti sono stati subito sepolti da un cumulo di pubblicazioni spesso superficiali o francamente inesatte. La rilettura della lettera dei documenti potrà farci riscoprire il loro vero spirito. Se riscoperti così nella loro verità, quei grandi testi potranno permetterci di capire ciò che è successo e di reagire con nuovo vigore. Lo ripeto: il cattolico che con lucidità, e dunque con sofferenza, vede i guasti prodotti nella sua Chiesa dalle deformazioni del Vaticano II, in quello stesso Vaticano II deve trovare la possibilità della ripresa. Il Concilio è suo, non è di coloro che vogliono continuare su una strada i cui esiti sono stati catastrofici; non è di coloro che non a caso non sanno più che farsene del Vaticano II al quale guardano come a un "fossile dell'era clericale"".

È stato osservato, dico, che il Vaticano II è un unicum anche perché è forse il primo Concilio della storia convocato non sotto la spinta di esigenze pressanti, di crisi, ma in un momento che sembrava di tranquillità per la vita ecclesiale. Le crisi sono venute dopo, e non solo nella Chiesa, ma nella società tutta intera. Non crede si possa dire che la Chiesa avrebbe dovuto fronteggiare in ogni caso quelle rivoluzioni culturali ma che, senza il Concilio, la sua struttura sarebbe stata più rigida e i danni avrebbero potuto essere più gravi? La sua struttura postconciliare più flessibile, elastica, non ha forse potuto meglio assorbire l'impatto, pur pagando uno scotto comunque necessario? "impossibile dirlo - risponde -. La storia, soprattutto la storia della Chiesa, che Dio guida attraverso percorsi misteriosi, non si fa con i "se", dobbiamo accettarla così come essa è. In quell'inizio degli anni Sessanta stava per apparire sulla scena la generazione del dopoguerra, quella che non aveva partecipato direttamente alla ricostruzione, che trovava un mondo già ricostruito e cercava dunque altrove motivi di impegno, di rinnovamento. C'era un'atmosfera generale di ottimismo, di fiducia nel progresso. Tutti poi, nella Chiesa, condividevano l'attesa di un'evoluzione tranquilla della sua dottrina. Non bisogna dimenticare che anche il mio predecessore al S. Uffizio, card. Ottaviani, appoggiava il progetto di un Concilio ecumenico. Dopo l'annuncio della sua convocazione, dato da Papa Giovanni, la Curia romana lavorò insieme ai rappresentanti più stimati dell'episcopato mondiale a preparare quegli schemi che poi furono accantonati dai Padri conciliari come "troppo teorici, manualistici e troppo poco pastorali". Papa Giovanni non aveva messo in conto la possibilità di un rifiuto: si attendeva una votazione rapida e senza difficoltà di questi progetti che egli aveva letti e accolti tutti con favore. È chiaro che nessuno di quei testi voleva cambiare la dottrina; si trattava piuttosto di ripresentarla, al più di giungere a un chiarimento in qualche punto non ancora precisamente definito e in tal modo di svilupparla ulteriormente. Anche il rifiuto di questi testi da parte dei Padri conciliari non riguardava la dottrina come tale, ma piuttosto il modo insufficiente della sua presentazione e certamente anche alcune definizioni che non si erano mai avute fino a quel momento e che anche ora non si ritengono necessarie. Bisogna dunque riconoscere che il Vaticano II sin da subito non prese la piega che Giovanni XXIII prevedeva (si ricordi che Paesi come l'Olanda, la Svizzera, gli Stati Uniti erano vere roccaforti del tradizionalismo e della fedeltà a Roma!). E bisogna anche riconoscere che - almeno sinora - non è stata esaudita la preghiera di Papa Giovanni perché il Concilio significasse per la Chiesa un nuovo balzo in avanti, una vita e un'unità rinnovate".

La speranza dei "movimenti"

Ma, chiedo inquieto, la sua immagine negativa della realtà della Chiesa del dopo Concilio non lascia spazio a qualche elemento positivo?

"Paradossalmente - risponde - è proprio il negativo che può trasformarsi in positivo. Molti cattolici, in questi anni, hanno fatto l'esperienza dell'esodo, hanno vissuto i risultati del conformismo alle ideologie, hanno provato che significhi attendersi dal mondo redenzione, libertà, speranza. Che aspetto avesse una vita senza Dio, un mondo senza Dio, finora lo si era saputo solo in teoria. Ora lo si è constatato nella realtà. È a partire da questo vuoto che noi possiamo nuovamente scoprire la ricchezza della fede, la sua indispensabilità. Per molti, questi anni sono stati come un'ardua purificazione, quasi una via attraverso il fuoco che ha aperto la possibilità nuova di una fede più profonda".

"Non dimenticando mai - continua - che ogni concilio è prima di tutto una riforma dal vertice che deve poi espandersi alla base. Ogni concilio, cioè, per dare davvero frutto, deve essere seguito da un'ondata di santità. Così è stato dopo Trento che proprio grazie a questo raggiunse il suo scopo di vera riforma. La salvezza per la Chiesa viene dal suo interno, ma non è affatto detto che venga dai decreti della gerarchia. Dipenderà da tutti i cattolici, chiamati a dargli vita, se il Vaticano II e i suoi esiti saranno considerati un periodo luminoso per la storia della Chiesa. Come ha ripetuto di frequente Giovanni ,Paolo II: "La Chiesa di oggi non ha bisogno di nuovi riformatori. La Chiesa ha bisogno di nuovi santi"".

Non vede dunque, insisto, altri segni positivi oltre a quelli che vengono dal negativo di questo periodo della storia ecclesiale?

"Certamente ne vedo. Non mi soffermo qui a parlare dello slancio delle giovani chiese (come quella della Corea del Sud) o della vitalità delle chiese perseguitate, perché ciò non può essere ricondotto immediatamente al Vaticano II; così come non possono essere direttamente attribuiti a esso i fenomeni di crisi. Ciò che apre alla speranza a livello di Chiesa universale - e ciò avviene proprio nel cuore della crisi della Chiesa nel mondo occidentale - è il sorgere di nuovi movimenti, che nessuno ha progettato, ma che sono scaturiti spontaneamente dalla vitalità interiore della fede stessa. Si manifesta in essi - per quanto sommessamente - qualcosa come una stagione di pentecoste nella Chiesa".

A che pensa in particolare?

"Mi riferise o al Movimento carismatico, ai Cursillos, al Movimento dei Focolari, alle Comunità neocatecumenali, a Comunione e Liberazione, ecc. Certamente tutti questi movimenti sollevano anche qualche problema; comportano anche, in misura maggiore o minore, dei pericoli. Ma questo accade per ogni realtà vitale. In numero crescente, mi capita ora di incontrare gruppi di giovani, nei quali c'è una cordiale adesione a tutta la fede della Chiesa. Giovani che vogliono vivere pienamente questa fede e che portano in loro un grande slancio missionario. Tutta l'intensa vita di fede presente in questi movimenti non implica una fuga nell'intimismo o un riflusso nel privato, ma semplicemente una piena e integrale cattolicità. La gioia della fede che vi si sperimenta ha in sé qualcosa di contagioso. E qui crescono ora in maniera spontanea nuove vocazioni al sacerdozio ministeriale e alla vita religiosa".

Nessuno ignora però che tra i problemi suscitati da questi nuovi movimenti c'è anche il loro inserimento nella pastorale generale. La sua risposta è pronta: "Ciò che stupisce è che tutto questo fervore non è stato elaborato da alcun ufficio di programmazione pastorale, ma è apparso in qualche modo da solo. Questo dato di fatto ha come conseguenza che gli uffici di programmazione - proprio quando vogliono essere molto "progressisti" - non sanno che cosa fare con loro: essi non rientrano nel loro piano. Così, mentre sorgono tensioni nell'inserimento dei movimenti all'interno delle istituzioni attuali, non vi è assolutamente nessuna tensione con la Chiesa gerarchica come tale".

Un giudizio il suo, dunque, pieno di simpatia. Il cardinale lo conferma: "Emerge qui una nuova generazione della Chiesa, a cui guardo con grande speranza. Trovo meraviglioso che lo Spirito sia ancora una volta più forte dei nostri programmi e valorizzi ben altro da ciò che noi ci eravamo immaginati.

In questo senso il rinnovamento è sommessamente ma efficacemente in cammino. Vecchie forme, che si erano arenate nell'auto-contraddizione e nel gusto della negazione, escono di scena e il nuovo sta già facendosi strada. Naturalmente esso non ha ancora piena voce nel grande dibattito delle idee dominanti. Cresce nel silenzio. Il nostro compito - in quanto incaricati di un ministero nella Chiesa e in quanto teologi - è quello di tenergli aperte le porte di preparargli lo spazio. Infatti le tendenze, che attualmente sono ancora prevalenti, si muovono in tutt'altra direzione. Se si guarda proprio a questa "situazione meteorologica generale" dello Spirito, si deve parlare, come facevamo prima, di una crisi della fede e della Chiesa. Solo se noi ci poniamo davanti ad essa senza pregiudizi, potremo anche superarla".



(1) In molti commenti giornalistici a questa risposta, il termine "restaurazione" non è stato colto con tutte le precisazioni necessarie qui riportate. Pertanto, interpellato da un giornale, il card. Ratzinger dichiarava con una lettera quanto segue:

"Innanzitutto voglio semplicemente ricordare quel che ho detto veramente: non si dà nessun ritorno al passato, una restaurazione così intesa non solo è impossibile, ma non è neppure auspicabile. La Chiesa va avanti verso il compimento della storia, guarda innanzi al Signore che viene. Se però il termine "restaurazione" si intende secondo il suo contenuto semantico, vale a dire come recupero di valori perduti all'interno di una nuova totalità, allora direi che è proprio questo il compito che si impone oggi, nel secondo periodo del post-concilio. Tuttavia la parola "restaurazione" per noi uomini contemporanei è determinata linguisticamente in modo tale che risulta difficile attribuirle questo significato. Essa in realtà vuol letteralmente dire la stessa cosa della parola "riforma", termine quest'ultimo che per noi suona dei tutto diverso.

"Forse posso chiarire la cosa con un esempio tratto dalla storia. Per me Carlo Borromeo è l'espressione classica di una vera riforma, cioè di un rinnovamento che conduce in avanti proprio perché insegna a vivere in modo nuovo i valori permanenti, tenendo presente la totalità del fatto cristiano e la totalità dell'uomo. Si può certo dire che Carlo ha ricostruito ("restaurato") la Chiesa cattolica, la quale anche dalle parti di Milano era ormai pressoché distrutta, senza per questo esser ritornato al medioevo; al contrario egli ha creato una forma moderna di Chiesa. Quanto poco "restauratrice" fosse una tale "riforma" lo si vede ad esempio dal fatto che Carlo soppresse un ordine religioso ormai al tramonto ed assegnò i suoi beni a nuove comunità vive. Chi oggi possiede un coraggio simile, da dichiarare definitivamente appartenente al passato ciò che è interiormente morto (e continua a vivere solo esteriormente) e da affidarlo con chiarezza alle energie del tempo nuovo? Spesso nuovi fenomeni di risveglio cristiano vengono osteggiati proprio da parte di sedicenti riformatori, i quali a loro volta difendono spasmodicamente delle istituzioni che continuano ad esistere ormai solo in contraddizione con se stesse.

"In Carlo Borromeo si può dunque vedere quel che io ho inteso dire con "riforma" o "restaurazione" nel suo significato originario: vivere protesi verso una totalità, vivere di un "sì" che riconduce all'unità le forze reciprocamente in conflitto dell'esistenza umana; un "sì", che conferisce loro un senso positivo all'interno della totalità. In Carlo si può anche vedere qual è il presupposto essenziale per un simile rinnovamento. Carlo poté convincere altri perché lui stesso era un uomo convinto. Poté resistere con la sua certezza in mezzo alle contraddizioni del suo tempo perché egli stesso le viveva. E le poteva vivere perché era cristiano nel più profondo senso della parola, cioè era totalmente centrato su Cristo. Ristabilire questa integrale relazione a Cristo è quel che veramente conta. Di questa relazione integrale a Cristo non si può convincere nessuno solo argomentando; la si può però vivere e attraverso ciò renderla credibile agli altri, invitare gli altri a condividerla".
07/06/2010 17:52
 
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2. Il Magistero conciliare va accolto non solo senza riserve, ma come un autentico dono di Dio.
È Magistero straordinario. La Chiesa in quel momento aveva la consapevolezza di agire in comunione con lo Spirito Santo, nello stesso modo in cui la Chiesa primitiva poteva dire: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi” (At 11,28).
Tutti i documenti del Concilio infatti si concludono così: “ Tutte e singole le cose, stabilite in questo decreto, sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della Potestà apostolica conferitaCi da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e stabiliamo: e quanto è stato così sinodalmente stabilito, comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio”.

07/06/2010 17:58
 
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Notificazioni fatte dall'Ecc.mo Segretario generale nella congregazione generale 123.a

È stato chiesto quale debba essere la qualificazione teologica della dottrina esposta nello schema sulla Chiesa e sottoposto alla votazione. La commissione dottrinale ha dato al quesito questa risposta: « Come è di per sé evidente, il testo del Concilio deve sempre essere interpretato secondo le regole generali da tutti conosciute ». In pari tempo la commissione dottrinale rimanda alla sua dichiarazione del 6 marzo 1964, di cui trascriviamo il testo:

«Tenuto conto dell'uso conciliare e del fine pastorale del presente Concilio, questo definisce come obbliganti per tutta la Chiesa i soli punti concernenti la fede o i costumi, che esso stesso abbia apertamente dichiarato come tali.

«Le altre cose che il Concilio propone, in quanto dottrina del magistero supremo della Chiesa, tutti e singoli i fedeli devono accettarle e tenerle secondo lo spirito dello stesso Concilio, il quale risulta sia dalla materia trattata, sia dalla maniera in cui si esprime, conforme alle norme d'interpretazione teologica».

Per mandato dell'autorità superiore viene comunicata ai Padri una nota esplicativa previa circa i « modi » concernenti il capo terzo dello schema sulla Chiesa. La dottrina esposta nello stesso capo terzo deve essere spiegata e compresa secondo lo spirito e la sentenza di questa nota.

07/06/2010 18:05
 
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Paolo VI definì, in un discorso del 12 gennaio 1966, il Magistero dell'ultimo Concilio come 'Magistero ordinario supremo'. Ebbene, il Magistero ordinario universale (se non si vorrà riconoscere come tale quello del Concilio si dovrà farlo rispetto al Magistero di tutti i vescovi sparsi per il mondo in unione con il Papa che da quarant'anni ha per oggetto le dottrine del Vaticano II), laddove proponga dottrine fondate sulla divina Rivelazione, è totalmente vincolante. Lo afferma il Concilio Vaticano I:

"Con fede divina e cattolica deve credersi tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata, e che è proposto dalla chiesa come divinamente rivelato sia con giudizio solenne, sia nel suo magistero ordinario universale".


Dunque, come accade ad es. per la dottrina riguardante la libertà religiosa contenuta nella dichiarazione Dignitatis Humanae (I, 2), da parte del fedele vi è l'obbligo di credere, di esercitare l'atto di Fede e non solamente l'obbligo di avere per essa profondo rispetto.

A meno che non si voglia mettere in dubbio anche il concilio vaticanoI.....
[Modificato da LiviaGloria 07/06/2010 18:06]
07/06/2010 18:08
 
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Re:
Ghergon, 05/06/2010 23.53:

letto e dunque [SM=g27833]




Dopo i post sopra,riposto il link precedente

forumnwo.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...



«magistero ordinario universale»,
il quale di certo non è straordinario, perché si chiama ordinario; e nemmeno è solenne, perché non
viene di norma solennizzato in alcun modo (ad es. con una definizione dogmatica solenne). Cos’è il
magistero ordinario universale? In questa categoria rientra ogni insegnamento costante di tutti i
vescovi in comunione gerarchica col Papa, senza tuttavia che sia mai intervenuta una proclamazione
solenne. Si tratta di insegnamenti, si potrebbe dire, attinenti a verità che la chiesa sempre e
dovunque ha proposto a credere, anche se essi non sono mai stati formalmente definiti come dogmi.
Nonostante ciò, si ritiene che queste dottrine vengano proposte infallibilmente da parte del
magistero della Chiesa (cf. DS 2879; LG 25). Per questo, il magistero ordinario universale rientra
nel gruppo delle forme di esercizio straordinarie, ovvero di quelle che fissano la dottrina in maniera
incontrovertibile.


[Modificato da LiviaGloria 07/06/2010 18:18]
08/06/2010 19:24
 
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Non ho capito dove vuoi arrivare.

Il CVII è pastorale quindi non è vincolante se non per l'autorità di chi lo ha emesso.
Ma siccome chi lo ha emesso ha fatto scelte dubbie come cambiare ereticalmente in maniera illegittima la Messa di Cristo contro il volere infallibile di Pio V allora...
Nei punti in cui si discosta dalla tradizione o ne dice il contrario, o è ambiguo il CVII non può essere di Dio, a meno che non si voglia dire che Gesù è ambiguo...
e tutti sono concordi nell'afferamre che il CVII è ambiguo a meno che non si sia progressisti modernisti sviscerati...
Ciò che è stato professato per duemila anni non può essere mutato per venire incontro al mondo.
Guai a chi va incontro al Mondo, dice Gesù io ho vinto il mondo!



ps scusa Livia perchè vuoi fare una guerra contro fior di teologi ed esperti in materia...tu sai benissimo che io NON ESPRIMO MAI LA MIA IDEA PERSONALE ma mi rifaccio sempre alla dottrina di esperti...fidati di chi ne sa più di te e di me [SM=x268930]
[Modificato da Ghergon 08/06/2010 19:40]
"Ciascuno deve salvare non solamente la propria anima ma anche tutte le anime che Dio ha posto sul suo cammino.

Suor Lucia Dos Santos



TURRIS EBURNEA



LIBRI CATTOLICI













08/06/2010 20:41
 
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Re:

Ghergon, 08/06/2010 19.24:

Non ho capito dove vuoi arrivare.

Il CVII è pastorale quindi non è vincolante se non per l'autorità di chi lo ha emesso.



Mi meraviglio,e dire che è scritto a chiare lettere che è vincolante...


Ma siccome chi lo ha emesso ha fatto scelte dubbie come cambiare ereticalmente in maniera illegittima la Messa di Cristo contro il volere infallibile di Pio V allora...



Eretico,ed è scritto nei documenti precedenti,è chi và contro Papi e vescovi,e contro il concilio vaticano I che ti spiega perfettamente una verità sull infallibilità del MAGISTERO come nel caso del CVII.
Eretico è chi non accetta il CVII,scritto a chiare lettere,ma la Chiesa pazienta.


Nei punti in cui si discosta dalla tradizione o ne dice il contrario, o è ambiguo il CVII non può essere di Dio, a meno che non si voglia dire che Gesù è ambiguo...



Ambiguo è relativo,molti non lo trovano affatto ambiguo.


e tutti sono concordi nell'afferamre che il CVII è ambiguo a meno che non si sia progressisti modernisti sviscerati...
Ciò che è stato professato per duemila anni non può essere mutato per venire incontro al mondo.
Guai a chi va incontro al Mondo, dice Gesù io ho vinto il mondo!



Direi che non sono tutti d accordo,anzi la maggioranza no,molti parlano di abusi sull interpretazione e purtroppo da parte di molti.
E chi fà questo,và contro lo Spirito Santo.



ps scusa Livia perchè vuoi fare una guerra contro fior di teologi ed esperti in materia...tu sai benissimo che io NON ESPRIMO MAI LA MIA IDEA PERSONALE ma mi rifaccio sempre alla dottrina di esperti...fidati di chi ne sa più di te e di me [SM=x268930]




Fior di teologi dicono il contrario,anche e sono la maggioranza,per fortuna,quindi la guerra la fanno coloro che sono contro la Chiesa,compreso chi non accetta il CVII.
Infatti chi non accetta il CVII sta errando nella dottrina,non segue piu il magistero

Giusto,ti rifai ad esperti,allora mi spieghi perchè affermi sempre che un cattolico non deve ascoltare i superiori ma fare secondo la sua testa e fede?Direi che la cosa si contraddice. [SM=x268959]


09/06/2010 18:12
 
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X FOX

un concilio non viene fatto perche' cambia la vita e la societa'.

X LIVIA

quello che dici e' giusto ,il concilio si deve accettare ,non si devono accettare le srumentalizzazioni e le sperimentazioni selvagge che i nemici all'interno della chiesa hanno fatto o in buona fede vogliono fare tutti quei sarcerdoni che si aprono troppo a innovazioni pericolose.

X GHERGON

COME scritto per livia un conto e' non accettare tutto quello che e' nato dopo il concilio ma non si puo' stare fuori dalla chiesa ,anche perche' molti tradizionalisti che si pongono al di' fuori del vaticano o parlano in modo esagerato contro si mettono nella condizione eretica come insegnato dal tradizionalissimo catechismo di SAN PIO X.
[Modificato da hhh. 09/06/2010 18:19]





Ma tu perché ritorni a tanta noia? perché non sali il dilettoso monte ch'è principio e cagion di tutta gioia?".
09/06/2010 18:44
 
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Mi meraviglio,e dire che è scritto a chiare lettere che è vincolante...



Cara Livia scusa se te lo dico, vedo che insisti, ma i documenti che hai portato non sono pertinenti al contesto...
potresti portarmi esattamente la frase che per te esplica il vincolo grazie!




Eretico,ed è scritto nei documenti precedenti,è chi và contro Papi e vescovi,e contro il concilio vaticano I che ti spiega perfettamente una verità sull infallibilità del MAGISTERO come nel caso del CVII.
Eretico è chi non accetta il CVII,scritto a chiare lettere,ma la Chiesa pazienta.




non puoi prendere i documenti del Concilio Vaticano primo per legittimare il secondo, il secondo è pastorale...

Per quanto riguarda il Paolo VI possiamo ben dire che fu il maggior responsabile del disastro moderno eccome...
leggi:
ecco il suo giuramento(spergiuro) quando venne eletto al soglio pontificio


Giuramento di Paolo VI al momento della sua elezione il 30 Giugno 1963:


" Io prometto di NON diminuire o cambiare niente di quanto trovai conservato dai miei probatissimi antecessori, e di non ammettere qualsiasi novità, ma di conservare e di venerare con fervore, come vero loro discepolo e successore, con tutte le mie forze e con ogni impegno, cio' che mi fu tramandato; di emendare tutto quanto emerga in contraddizione alla disciplina canonica, di custodire i sacri Canoni e le Costituzioni Apostoliche dei nostri Pontefici, quali comandamenti divini e celesti, essendo io consapevole che dovrò rendere stretta ragione davanti al Tuo giudizio divino di tutto quello che professo; Io che occupo il tuo posto per divina degnazione e fungo come il tuo Vicario, Assistito dalla tua intercessione...



Ma ecco che il nostro annulla la liturgia di sempre con fervore misterioso:

.L’adozione del nuovo «Ordo Missae» non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino.


La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno.
...


Paolo VI è anche falso perchè nel CVII è chiaramente scritto che La messa che è il fulcro della Fede Cattolica, non deve essere per nulla cambiata...


Paolo VI va contro le ferme direttive ex cathedra di SAN PIO V
quindi è presumbilmente eretico

Ecco cosa dichiara infallibilmente SAN PIO V...che è SANTO!


Ecco la parte tradita dai conciliaristi

COSTITUZIONE APOSTOLICA
QUO PRIMUM TEMPORE

PIUS EPÍSCOPUS SERVUS SERVÓRUM DEI
AD PERPÉTUAM REI MEMÓRIAM

San Pio V e il rito Tridentino


San Pio V definizioni solenni

IV


"Perciò, affinché tutti e dovunque adottino e osservino le tradizioni della santa Chiesa Romana, Madre e Maestra delle altre Chiese, ordiniamo che nelle chiese di tutte le Provincie dell'orbe Cristiano...in avvenire e senza limiti di tempo, la Messa, non potrà essere cantata o recitata in altro modo da quello prescritto dall'ordinamento del Messale da Noi pubblicato... (rito Tridentino)

Invece, mentre con la presente Nostra Costituzione, da valere in perpetuo, priviamo tutte le summenzionate Chiese dell'uso dei loro Messali, che ripudiamo in modo totale e assoluto, stabiliamo e comandiamo, sotto pena della Nostra indignazione, che a questo Nostro Messale, recentemente pubblicato, nulla mai possa venir aggiunto, detratto, cambiato."




"Dunque, ordiniamo a tutti... cantino e leggano la Messa secondo il rito, la forma e la norma, che Noi abbiamo prescritto nel presente Messale; e, pertanto, non abbiano l'audacia di aggiungere altre cerimonie o recitare altre preghiere che quelle contenute in questo Messale". 


"Nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro documento, facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l'audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio Onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo. [§ XII] PIO V



Come vedi Paolo VI e la chiesa moderna incorrono nella condanna di San Pio V...Santo...

Per quel che rigiarda la Nuova Messa simil protestante ecco cosa disse il Bugnini...
L'ideatore della Nuova Messa Monsignor Bugnini la defini "una nuova creazione".
Il suo braccio destro, Padre Gelineau, disse del nuovo rito: "Dobbiamo parlare francamente. Il Rito romano non esiste più. E' stato distrutto."


spero Livia ti basti...


Ambiguo è relativo,molti non lo trovano affatto ambiguo.



Scusa Livia, forse molti non vedono l'ambiguità perchè forse dovrebbero approfondire un po più il catechismo...ad esempio il diritto alle religioni false è una grave offesa a Dio...




Giusto, ti rifai ad esperti,allora mi spieghi perchè affermi sempre che un cattolico non deve ascoltare i superiori ma fare secondo la sua testa e fede?Direi che la cosa si contraddice.



Ti sbagli, io mi rifaccio all'insegnamento di centinaia e centinaia di Papi e mi faccio forte dell'insegnamento di Gesù tramite loro...



[Modificato da Ghergon 09/06/2010 19:07]
"Ciascuno deve salvare non solamente la propria anima ma anche tutte le anime che Dio ha posto sul suo cammino.

Suor Lucia Dos Santos



TURRIS EBURNEA



LIBRI CATTOLICI













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