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Juncker e l'intera commissione europea sotto accusa: nasce "Europeleak"

Ultimo Aggiornamento: 12/02/2023 12:42
07/11/2014 02:45
 
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Quello che in termini giornalistici viene definito "scoop", ovvero una rivelazione inedita, in esclusiva, che porta alla luce uno scandalo, un complotto, l'esistenza di un potere parallelo segreto o rende pubblica l'esistenza di lobby segrete e clandestine è, oggi 6 novembre 2014, completamente diverso da quello che era nel 2011, nel 2001, nel 1991 o nel 1961. I tempi sono cambiati (in meglio o in peggio è irrilevante) ed è quindi diversa la percezione dell'utente destinatario, altrimenti detto "consumatore di informazione". L'attuale sistema gestito dai produttori di pensiero unico onnicomprensivo hanno trasformato il concetto di scoop, annebbiandolo, svilendolo, riducendolo a mero e puro gossip (quando va bene). Eppure, lo scoop, ancora nel novembre del 2014, esiste. Eccome. Ed è esattamente l'opposto di quanto la gente crede, soprattutto gli usuari di facebook e i frequentatori dei sedicenti siti di controinformazione. L'informazione che conta, oggi, viaggia su binari esattamente opposti a quelli apparenti. Succede quasi tutti i giorni che vengano fornite notizie definite "scoop", ma non lo sono. Si tratta di minuzie e quisquilie messe a disposizione per palati facili, prodotte ad arte da esperti della comunicazione, che partecipano alla vita politica schierati come fan. Quindi, diventa "scoop" la notizia che rivela e porta alla luce quelle che vengono considerate nefandezze della parte avversa, che viene così sbugiardata, mentre si copre ogni forma di critica, anche lieve, relativa alla propria specifica appartenenza politica. Su questo sono tutti uguali, che siano a destra, a sinistra o - come nel caso del Movimento Cinque Stelle - né di destra né di sinistra, risultano nei fatti equivalenti: parlano sempre della parte opposta e non sollevano mai neppure una critica, non danno un grammo di informazione che possa essere considerata una critica alla propria compagine. E in un paese controllato dalla politica, come l'Italia, è quasi impossibile poter avere accesso a notizie sottratte alla faziosità di parte. A livello internazionale è diverso. Perché la passione per la professione del giornalismo investigativo "oggettivo" (chi va sotto va sotto anche se è del mio partito, della mia fazione, della mia squadra del cuore) esiste ancora e produce. I veri giornalisti diciamo così "di denuncia" sono anonimi, invisibili. Perché questo è il modo migliore di operare. Per sottrarsi al rischio della compravendita queste persone - oltre al fatto di essere altamente competenti - vivono la propria identità come potevano farlo i monaci nel medioevo, quando stavano rinchiusi dentro a un convento sperduto e trascorrevano tutto il loro tempo a ricopiare i testi dell'antichità dove era depositata la saggezza e la sapienza dei millenni. Per regalarla al mondo futuro che ne avrebbe fatto tesoro rendendo la vita di tutti migliore. Non finiremo mai di pagare il nostro debito di gratitudine a quegli eroi anonimi che per centinaia di anni hanno fatto da scudo - con la propria diligente esistenza - all'attacco delle intemperie, della barbarie, della violenza, delle dittature. Chi opera nel campo del giornalismo investigativo, oggi, rinuncia alla visibilità. Lo sa benissimo in partenza. I tempi in cui viviamo rendono queste persone dei missionari dell'informazione. Il fine, infatti, non è la vanità, non è il narcisismo esibizionista, non è il danaro. E' il gusto di fornire prove documentate al mondo sulle nefandezze che la classe dirigente planetaria opera quotidianamente sulla pelle della cittadinanza inerme e inconsapevole. Tutto ciò per raccontarvi quello che considero un autentico terremoto che da una settimana sta scuotendo l'Unione Europea in conseguenza di una serie di articoli pubblicati da un gruppo di giornalisti, dopo 7 mesi di lavoro costante quotidiano. Appartengono a un'associazione ufficiale che si chiama ICIJ. L'acronimo sta per International Consortium of Investigative Journalism, e ha - come sede ufficiale legale - un ufficio a New York, oltre a diverse decine di luoghi operativi in Europa. In tempi diversi dai nostri, il risultato del lavoro (pubblicato 30 ore fa in maniera succinta) sarebbe esploso su tutte le prime pagine dei quotidiani del nostro continente, provocando terremoti politici, inchieste, domande, dibattiti, polemiche. Va da sé, tutto ciò non accade, oggi. Il risultato dell'inchiesta è stato inviato in tutto il mondo. E' uscito ufficialmente sul loro sito. Poi è uscita una spruzzata in India, sempre desiderosi di bastonare l'Europa e poi in Pakistan. Infine anche in Russia e ieri notte sulla prima pagina dell'edizione on-line del Wall Street Journal. Quindi gli europei sono stati costretti a prenderne atto e parlarne (un pò). In Italia, ci ha pensato Ilsole24ore a pubblicare un articolo sulla questione, ma solo nella sua edizione online. Lo riporto qui di seguito per intero. Così come riporto l'annuncio dato sul sito del consorzio. In entrambi i casi, comprensivi dei rispettivi link. Sembra che il tutto sia nato grazie alla intensa collaborazione con Julian Assange: wikileaks ha partorito europeleak dove, poco a poco, verranno pubblicati dati, date, documenti, informazioni, relative all'intera classe politica dirigente europea. Si parla di un giro complessivo di evasione fiscale dell'ordine di circa 5.000 miliardi di euro, negli ultimi 10 anni, cifra che -se fosse stata pagata regolarmente come la legge imponeva- sarebbe stata sufficiente per gestire la crisi economica europea alla grande.

Sergio di Cori Modigliani

Lussemburgo, i 550 «favori» alle multinazionali che imbarazzano Juncker

BRUXELLES – Documenti riservati, pubblicati da un consorzio di giornali, hanno rivelato oggi giovedì 6 novembre che il Granducato del Lussemburgo ha concesso negli ultimi 10 anni generosi accordi fiscali a una lunga lista di multinazionali. In un momento di ristrettezze finanziarie e crisi economica, la vicenda rischia di provocare clamore, e soprattutto di gettare una ombra sul nuovo presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, primo ministro del piccolo paese dal 1995 al 2013. Il consorzio internazionale di giornalisti d'inchiesta, un organismo con sede negli Stati Uniti, ha avuto accesso a 28mila pagine di documenti riservati dai quali risultano intese fiscali attraverso le quali aziende internazionali hanno trasferito denaro nel Granducato per pagare meno imposte. «In alcuni casi, i documenti mostrano che le società hanno pagato sui profitti trasferiti in Lussemburgo una aliquota inferiore all'1%», si legge nell'inchiesta pubblicata stamani. Sotto la luce dei riflettori sono circa 550 accordi fiscali, per la maggior parte relativi ad aziende clienti di PwC, la società di consulenza. Le intese risalgono al periodo tra il 2002 e il 2010. I giornali che pubblicano l'inchiesta sottolineano che gli accordi sono perfettamente legali, ma evidentemente controversi. La vicenda giunge mentre qualche settimana fa la Commissione ha aperto una inchiesta contro il Lussemburgo per illegittimi aiuti di stato a favore di Fiat e di Amazon. Interpellato ieri, prima della pubblicazione degli articoli, Juncker non ha voluto prendere posizione. «Non bloccherò» l'indagine, attualmente in mano alla nuova commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager. «Sarebbe inaccettabile». E ha aggiunto: «Ho alcune idee sulla questione, ma le terrò per me». Nei suoi anni alla guida del Granducato, Juncker ha trasformato il piccolo paese, ai tempi concentrato su agricoltura e siderurgia, in un centro finanziario e - secondo alcuni osservatori - in un paradiso fiscale. Questa mattina, il portavoce della Commissione Margaritis Schiras, ha spiegato che è compito dell'esecutivo comunitario far rispettare le regole che vietano aiuti di stato tali da provocare distorsioni al mercato unico. «La Commissione sta già investigando su numerosi casi sospetti e continuerà a farlo nei prossimi cinque anni». Schiras ha insistito per porre la questione in termini di politiche comunitarie, evitando domande sulle responsabilità personali di Juncker. Quest'ultimo, ha detto il portavoce, è «sereno». PwC ha reagito alla pubblicazione dell'inchiesta affermando che gli articoli si basano su informazioni «superate» e «rubate». Tra le società coinvolte vi sono Pepsi, IKEA, FedEx o Accenture. Interpellato dai giornalisti che hanno condotto l'inchiesta, Nicolas Mackel, dirigente di Luxembourg for Finance, una società para-pubblica, ha negato che gli accordi siano «generosi». E ha aggiunto:«Il Lussemburgo ha un sistema fiscale competitivo. Non c'è nulla di ingiusto o immorale». Proprio domani, i ministri delle Finanze dell'Unione Europea si riuniranno qui a Bruxelles per discutere tra le altre cose di temi fiscali, un dossier che rimane di competenza nazionale. Sul tavolo anche una controversa tassa sulle transazioni finanziarie che 11 paesi della zona euro vorrebbero adottare (il Lussemburgo non è tra questi). Il Consorzio internazionale di giornalisti d'inchiesta raggruppa 185 giornalisti d'inchiesta in oltre 65 Paesi.

Beda Romano, con un articolo di Alberto Magnani
Fonte: www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2014-11-06/lussemburgo-550-accordi-fiscali-le-multinazionali-che-imbarazzano-juncker-102023.shtml?uuid=...

Leaked Files Bring 80 Reporters Together for New ICIJ Project

Capping a six-month investigation, the International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) and its media partners are publishing a secret cache of leaked tax documents and dozens of news stories that show how multinational corporations throughout the globe routed profits through tiny and wealthy Luxembourg to reduce their taxes. Today’s release marks the first time that these documents have been made public. The leaked files provide an inside look at a hidden world where corporations can meet with Luxembourg officials to obtain favorable tax treatment. ICIJ journalists have combed through the documents and found that some corporations can reduce their effective taxes to less than 1 percent on profits they have shuffled through Luxembourg. “This is the first time, really, that we’ve seen inside the workings of Luxembourg as a tax haven,’’ said Richard Brooks, a former U.K. tax inspector and author of The Great Tax Robbery, who was hired by ICIJ to help review the documents. “The countries that are … losing money, they don’t know about it, don’t know how it operates at all.” Stories based on the documents will be published on ICIJ’s Luxembourg Leaks website as well as in international partner publications, including The Guardian, Le Monde, CNBC, the Canadian Broadcasting Corporation and many others. ICIJ journalists have reviewed nearly 28,000 pages of confidential documents from more than 340 companies. Working in different time zones and countries, they have shared information and collaborated to produce today’s report. Tax experts were drawn in to decipher many of the documents. Reporters visited Luxembourg and interviewed key officials. A team of more than 80 journalists in 26 countries worked on the project. The tax documents that will be released today include nearly 550 individual rulings from 2002 to 2010. “What this shows once again is the power of collaborative cross-border reporting,” said Gerard Ryle, director of the ICIJ. “Journalists in different countries have reviewed the documents relevant to their own communities and then shared their findings”. ICIJ reporting shows exactly how Luxembourg allows taxes to be drastically reduced. At the center is the country’s Ministry of Finance, eager to approve these arrangements and the business they bring to the country. Then there are thousands of tax advisers and consultants from major accounting firms devising increasingly complicated tax avoidance strategies – for a fee. And benefiting from it all are hundreds of global corporations using Luxembourg to reduce billions in taxes that would otherwise go to their own home countries.

Fonte: www.icij.org/blog/2014/11/leaked-files-bring-80-reporters-together-new-icij...

sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2014/11/juncker-e-lintera-commissione-euro...
07/11/2014 23:10
 
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Revisori della Corte dei Conti dell' Unione Europea si rifiutano di certificare il bilancio della UE: spese pazze e furti

LONDRA - E' un fatto abbastanza risaputo che l' Unione Europea sia la più inefficiente e corrotta istituzione che sia mai stata creata e questo è dimostrato dal fatto che negli ultimi 19 anni i revisori della Corte dei Conti Europea si sono rifiutati di certificarne il bilancio per via della sua totale mancanza di trasparenza. L' ultimo resoconto è stato rilasciato pochi giorni fa e come era prevedibile anche quest' anno i revisori dei conti della UE si sono rifiutati di certificare il bilancio europeo per l' anno 2013 perché molti di questi fondi sono stai spesi male e senza nessun controllo. I soldi spesi senza nessuna trasparenza non sono bruscolini ma riguardano l' intero bilancio dell' Unione Europea, che ammonta a cento milardi di sterline, circa 120 miliardi di euro. Tra gli esempi riportati da questo rapporto c'è l'acquisto di 4 elicotteri in Spagna per il controllo delle frontiere che sono stati usati per tale scopo solo per il 25% del loro utilizzo, oppure i 2 milioni di euro stanziati per la Moldavia per un progetto di assistenza sociale che non sono mai stati spesi per quello. Come è facile immaginare, questa notizia ha fatto imbestialire molti parlamentari conservatori britannici, i quali sono già infuriati per il fatto che Jean-Claude Juncker abbia chiesto al governo britannico di versare nelle casse di Bruxelles una somma aggiuntiva di un miliardo e settecento milioni di sterline. Come conseguenza, la stampa euroscettica d' oltremanica ha usato la notizia del rifiuto di certificare il bilancio UE per l'ennesima volta, per dare ulteriore credibilità alla loro campagna per la fuoriuscita della Gran Bretagna dalla UE. In Italia invece i giornali di regime hanno preferito censurare questa notizia perché tale storia darebbe parecchio fastidio al governo e a Renzi in prima persona, oltre che al "nume tutelare" Napolitano. Ovviamente noi non ci stiamo e stiamo qui a raccontare la verità, perché riteniamo sia importante spiegare agli italiani perché dobbiamo uscire dalla UE il più presto possibile.

Giuseppe de Santis
6 novembre 2014
www.ilnord.it/c3736_REVISORI_DELLA_CORTE_DEI_CONTI_DELLUNIONE_EUROPEA_SI_RIFIUTANO_DI_CERTIFICARE_IL_BILANCIO_DELLA_UE_SPESE_PAZZE...
19/11/2014 23:38
 
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Si salda il fronte euroscettico sulla mozione di sfiducia a Juncker. Non passerà, ma accelererà il crollo della UE

BRUXELLES - Il neo presidente della Commissione Europea, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, è riuscito ad unificare tutte le famiglie degli euroscettici presenti al Parlamento Europeo di Strasburgo: dopo la rivelazione dello scandalo noto come "Luxleaks", sugli accordi fiscali di favore accordati dal Lussemburgo a molte grandi multinazionali, il gruppo parlamentare "Europa della Libertà e della Democrazia Diretta" (EFDD), diretto dal leader euroscettico britannico Nigel Farage (UKIP), ha annunciato di aver depositato una mozione di sfiducia nei confronti di Juncker, di cui chiede le dimissioni. Tra i 76 parlamentari europei che hanno firmato la mozione figurano, oltre agli europarlamentari della Lega Nord capitanati da Matteo Salvini, anche i membri del Movimento 5 stelle (M5s) dell' ex comico italiano Beppe Grillo e persino quelli del Front National (FN) francese: evidentemente il disprezzo nei confronti di Juncker e dell' establishment UE che egli rappresenta è più forte dell' avversione reciproca che i leader dell' UKIP britannico e dell' FN francese nutrono l' uno nei confronti dell' altra. Prima delle elezioni europee del maggio scorso infatti Farage aveva detto che Marine Le Pen "ha l'antisemitismo iscritto nel suo Dna"; e dopo il voto i due si sono fatti la guerra per riuscire ciascuno a formare un gruppo parlamentare euroscettico ai danni dell' altra, sottraendosi reciprocamente alleati e sostenitori. Alla fine solo Farage ce l' ha fatta, con il sostegno di Grillo e di un gruppo di partiti euroscettici di vari altri paesi, ma adesso grazie al disprezzo per Juncker i rancori sembrano passati. Hanno prevalso le ragioni che uniscono su quelle - pur evidenti - che dividono. Di fatto, però, la mozione di censura che sarà messa ai voti la prossima settimana a Strasburgo non ha alcuna chance di passare: nonostante l' enorme scandalo Luxleaks abbia fatto a pezzi la credibilità di Juncker, nessuno dei partiti pro-europei finora ne ha chiesto la testa, nel miope timore di indebolire ancora di più la Commissione. E al Parlamento essi dispongono di una maggioranza confortevole. Ma la mozione è il primo colpo sferrato dagli euroscettici, avversari sia dell' euro che della UE. E sebbene perderanno nella votazione a Strasburgo, questa sconfitta sarà la classica "vittoria di Pirro" per i socialisti e i popolari che formano la maggioranza: scaverà una fossa ancora più profonda tra l' istituzione "UE" e i cittadini europei. Difendere l'indifendibile Re degli evasori fiscali Juncker getta il suo discredito direttamente addosso a tutta la Commissione Europea, al Gruppo Socialista e al Gruppo del PPE. E offre un' arma politica formidabile contro la UE a partiti nazionali schierati contro l' euro e la UE e che presto saranno chiamati alle urne, ad iniziare da Gran Bretagna e Spagna nella prima parte del 2015.

Max Parisi
19 novembre 2014
www.ilnord.it/c3793_SI_SALDA_IL_FRONTE_EUROSCETTICO_SULLA_MOZIONE_DI_SFIDUCIA_A_JUNCKER_NON_PASSERA_MA_ACCELERERA_IL_CROLLO_...
11/12/2014 01:46
 
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Juncker, poltrona sempre più in bilico? Skype e Disney tra società aiutate a evadere il fisco

ROMA (WSI) - Montano le pressioni sul presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, nel mirino in quanto sospettato di aver incoraggiato l'evasione fiscale ai tempi in cui era premier del Granducato di Lussemburgo. Nuovi documenti riservati pubblicati qualche ora fa indicano i nomi delle società che sarebbero state aiutate a non pagare le tasse. Tra queste, spiccano in particolare Disney e Skype, mentre tra i magnati che avrebbero beneficiato dei favori di Juncker ci sono i fratelli Koch (ultraconservatori, noti per avere un impero negli USA, il secondo più grande negli Stati Uniti in mano ai privati). Le nuove indiscrezioni sono state ottenute dal Consorzio Internazionale di Giornalisti Investigativi e riportate dal Guardian. Sarebbero dozzine le multinazionali implicate, aiutate dalle autorità del Lussemburgo a orchestrare strutture societarie complesse che avevano come obiettivo quello di ridurre l'ammontare da versare al fisco. In particolare Skype, ora di proprietà di Microsoft, avrebbe utilizzato due società del Lussemburgo e una irlandese al fine di far circolare diritti e profitti in modo da aiutare la divisione lussemburghese di Skype Technologies a non dichiarare le tasse per un periodo di cinque anni. E l'ex premier Juncker, che poche settimane fa ha detto che non "c'è nulla" nel suo passato che "indichi che volevo incoraggiare l'evasione fiscale", quando nel 2005 era sia Primo Ministro che Ministro delle Finanze, disse:"Skype rimarrà qui… in parte per il contesto fiscale favorevole che abbiamo creato qui in Lussemburgo". Fino ad oggi, il Guardian e altre testate giornalistiche avevano reso noto che in tutto 340 società - tra cui Fedex, Pepsi, Shire Pharmaceuticals, Icap e Ikea – avrebbero stretto accordi con il Ducato, aiutate dal colosso contabile PricewaterhouseCoopers. Gli ultimi documenti rivelano che la creazione di strutture volte a evadere il fisco non hanno coinvolto solo PrcewaterhouseCoopers, ma anche il resto dei quattro colossi di revisione contabile, ovvero Ernst&Young, Deloitte e KPMG.

Fonte: www.theguardian.com/business/2014/dec/09/-sp-luxembourg-tax-files-how-junckers-duchy-accommodated-skype-and-the-koc...

10 dicembre 2014
www.wallstreetitalia.com/article/1787843/juncker-poltrona-sempre-piu-in-bilico-skype-e-disney-tra-societa-aiutate-a-evadere-il-fi...
17/03/2015 20:11
 
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L'Unione Europea ha speso 340 milioni dei euro per ''iniziative'' di consulenti esterni, tutti ex funzionari UE

LONDRA - E' un fatto abbastanza risaputo che i parassiti di Bruxelles sono bravissimi a sprecare i soldi estorti ai cittadini dell'Unione Europea e quindi non deve sorprendere che negli ultimi cinque anni siano stati spesi 235 milioni di sterline (circa 340 milioni di euro) in consulenti esterni, equivalenti a una media di 68 milioni di euro all'anno. Se questo non fosse già abbastanza grave, tale fiume di denaro non è stato usato per pagare qualche esperto rimasto disoccupato per via delle misure lacrime e sangue imposte dalla UE, ma è finito nelle tasche di ex funzionari della Commissione Europea i quali, oltre a ricevere stipendi da nababbi, hanno diritto a pensioni d'oro che tanti italiani possono solo sognare. Ma che tipo di consulenze hanno fornito? Domanda cruciale, che però a nessun italiano è venuta in mente perché questa vicenda non è mai apparsa sui giornali e nei telegiornali del Belpaese. Ebbene, ecco alcuni esempi: 120 milioni di sterline (pari a 168 milioni di euro) sono stati spesi per un sondaggio europeo fatto in tutte le lingue dei paesi membri e realizzato da enti di ex dirigenti UE, 565.000 sterline (790.000 euro) per identificare le zone della Serbia a rischio di alluvione e 500.000 sterline (700.000 euro) per un rapporto sui vantaggi inesplorati del mercato unico europeo. Alla faccia! Come è facile immaginare, questa storia pubblicata - solo in Gran Bretagna - dall'ottimo Daily Express ha mandato su tutte le furie tutti coloro che da anni si battono per far uscire il Regno Unito dall'Unione Europea e ovviamente queste sono solo briciole, visto che le somme di danaro sprecate ogni anno sono di gran lunga superiori a queste, per altro già monumentali. Per tale motivo sarebbe ora che l'Italia uscisse dall'Unione Europea, così che i soldi dei cittadini italiani vengano finalmente usati per aiutare i tanti poveri di questo Paese invece di arricchire questi parassiti che navigano nell'oro a nostre spese.

Giuseppe de Santis
17 marzo 2015
Fonte: www.express.co.uk/news/politics/563356/European-Commission-spent-235million-con...

www.ilnord.it/c4143_LUNIONE_EUROPEA_HA_SPESO_340_MILIONI_DI_EURO_PER_INIZIATIVE_DI_CONSULENTI_ESTERNI_TUTTI_EX_FUNZIONARI_UE_F...
12/10/2015 15:20
 
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Bruxelles corrotta, Europa infetta
Nuova inchiesta de L'Espresso, molto negativa sul mondo del lobbying comunitario



È un tour tra gli edifici più importanti della città: dalla residenza reale al museo di belle arti, dagli uffci ministeriali alle carceri, dall'osservatorio astronomico al palazzo di giustizia. Sono maestosi, coperti di marmi e statue a testimoniare la solidità della virtù pubblica. Eppure per dieci anni a gestirli è stata una cricca: ogni appalto una mazzetta, altrimenti non si lavorava. Tutti sapevano, nessuno ha mai denunciato la rete criminale che ha trasformato il cuore del Paese in una vera Tangentopoli. Non stiamo parlando della gang romana di Mafia Capitale, questa è Bruxelles: due volte capitale, del Belgio e dell'Europa. E due volte corrotta, nell'intreccio d'affari tra poteri locali e autorità continentali. Qui non si decide soltanto la vita di una nazione lacerata dalle tensioni tra valloni e fiamminghi, ma il destino di mezzo miliardo di persone, cittadini di un'Unione che mai come in questo momento si mostra debole e inconcludente. Dall'inizio del millennio la fiducia degli italiani, come evidenzia il sondaggio Demopolis, è crollata e solo uno su quattro crede ancora nell'Europa. Bruxelles però è anche il laboratorio in cui la corruzione si sta evolvendo. La mutazione genetica delle vecchie bustarelle in un virus capace di intaccare in profondità la reputazione delle istituzioni europee, diffuso silenziosamente da quei soggetti chiamati lobby. Realtà estranee alla tradizione democratica dei nostri Stati nazionali e molto diverse dai modelli statunitensi, perché qui non ci sono leggi che le regolino, né sanzioni che le spaventino: le lobby sono invisibili e allo stesso tempo appaiono onnipotenti.

La giustizia imprigionata
Il simbolo è Place Poelaert, la grande piazza panoramica affacciata sul centro storico di Bruxelles. Da un lato c'è il palazzo di giustizia, con la cupola dorata che svetta sull'intera città: una muraglia di impalcature lo imprigiona da cima a fondo, soffocando le colonne dietro un gigantesco castello di assi che marciscono tristemente. Il cantiere dei restauri è abbandonato da otto anni, da quando i titolari sono stati arrestati, assieme ad altri 33 tra imprenditori e funzionari, accusati di avere depredato l'intero patrimonio immobiliare statale. Proprio di fronte al palazzo della giustizia impacchettato c'è uno splendido complesso rinascimentale, con un giardino impeccabile. È la sede del Cercle de Lorraine, "The Business Club", come recita la targa: l'associazione che raccoglie gli industriali più prestigiosi del Paese, baroni e visconti da sempre padroni del vapore assieme ai manager rampanti della new economy. Lì, tra sale affrescate e camerieri in livrea, promuovono i loro interessi. Insomma, sono una lobby. Una delle oltre seimila che presidiano la capitale europea, con più di 15 mila dipendenti censiti mentre altrettanti si muovono nell'oscurità. A Bruxelles il colore degli affari rispecchia il cielo perennemente coperto: si va dal grigio al nero. Non a caso, la frase magica della cricca degli appalti era «bisogna che il sole splenda per tutti».



Il cantiere infinito
Oggi la città è tutta un cantiere. Sono centinaia. Dall'aeroporto al Quartier Generale della NATO, dalla periferia al centro storico, si vedono ovunque gru e ruspe all'opera. Per non essere da meno, anche il Parlamento Europeo vuole abbattere l'edificio dedicato a Paul-Henri Spaak, completato nel 1993 con un miliardo di spesa: il progetto prevede altri 750 uffici per i deputati del presente e del futuro, rappresentanti delle nazioni che aderiranno all'Unione negli anni a venire. Se però dal Palazzo di Giustizia si va verso il Parlamento percorrendo la chaussée d'Ixelles, la frenesia cementizia si mostra in una luce diversa. La lunga arteria è stata completamente rifatta nel 2013, solo che al momento dell'inaugurazione c'è stata una sorpresa: i marciapiedi erano troppo larghi e gli autobus finivano per incastrarsi l'un contro l'altro. Hanno ricominciato da capo, di corsa. Appena riaperta al traffico, però, la pavimentazione allargata non ha retto al peso dei pulmann e si è riempita di buche, manco fosse Roma. E giù con la terza ondata di lavori: ora la strada sembra una chilometrica sciarpa rattoppata. Ixelles è un comune autonomo, perché Bruxelles in realtà è un insieme di diciannove piccoli municipi indipendenti, ciascuno con il suo borgomastro. In questo periodo il meno sereno è il sindaco di Uccle, che per undici anni è stato pure Presidente del Senato belga. Come avvocato ha difeso una masnada di magnati kazaki, ottenendone l'assoluzione. In cambio ha ricevuto 800 mila euro. «Compensi professionali», ha spiegato Armand De Decker. Il sospetto invece è che la scarcerazione degli oligarchi sia il tassello di un intrigo internazionale: una clausola del patto segreto tra il presidente kazako Nazarbayev e l'allora collega francese Sarkozy per la vendita di elicotteri, in cui era previsto anche «di fare pressione sul senato di Bruxelles». Un'accusa formulata dagli inquirenti parigini, perché le procure locali si guardano bene dall'indagare. Gli investigatori belgi non hanno fama di efficienza né di indipendenza. La storia recente del Paese è costellata di scandali che si perdono nel nulla, tra trame occulte e massoneria: i parallelismi con l'Italia sono forti e anche qui prospera una cultura del sospetto, che porta i cittadini a diffidare della giustizia. L'inchiesta sulla tangentopoli capitale è partita nel 2005, le sentenze di primo grado ci sono state solo quattro mesi fa. I dieci dirigenti della Régie des Batiments, che per un decennio hanno intascato almeno un milione e 700 mila euro, se la sono cavata con condanne irrisorie. «I fatti sono gravi, ma ormai antichi», ha riconosciuto la corte.



Il barometro dell'onestà
Questa giustizia lenta e spesso inefficace è anche arbitro di parecchi dei misfatti che avvengono nei palazzi della UE. Sono le magistrature nazionali a procedere penalmente contro i corrotti, perché le agenzie europee possono minacciare soltanto sanzioni amministrative: la punizione massima è il licenziamento, una rarità, mentre più frequenti sono le retrocessioni di grado e soprattutto le lettere di richiamo. Di certo, non un grande deterrente per rinsaldare la moralità dei commissari, dei 751 deputati e dei 43 mila funzionari che gestiscono ogni anno oltre 140 miliardi di euro e scrivono leggi vincolanti per 28 Paesi. Mentre anche dalla loro onestà dipende la credibilità di un organismo sempre meno rispettato. L'istituto statistico più autorevole, Eurobarometro, due anni fa ha lanciato l'allarme: il 70 per cento dei cittadini ritiene che la corruzione sia entrata nelle istituzioni europee. Lo credono 27.786 persone, selezionate scientificamente per rappresentare l'intera popolazione dell'Unione. È un dato choc. La Commissione ha reagito annunciando una crociata contro le tangenti in tutto il Continente. Ovunque, tranne che nei suoi uffici: nel 2014 il primo rapporto anti-corruzione nella storia della UE ha sezionato i vizi di ogni Paese, senza però fare cenno ai peccati dentro casa: quella che la Corte dei Conti europea ha definito nero su bianco «un'infelice e inspiegabile omissione». D'altronde la presidenza di Jean-Claude Juncker è cominciata nel peggiore dei modi. Le rivelazioni di LuxLeaks - pubblicate in Italia da "l'Espresso" - hanno messo a nudo il suo ruolo nel trasformare il Lussemburgo nel Bengodi delle aziende in cerca di tasse irrisorie. Per riscattarsi, Juncker ha promesso una sterzata contro l'iniquità fiscale legalizzata. «Ma finora la Commissione è stata passiva su questa materia», sottolinea Eva Joly, per anni il giudice istruttore più famoso di Francia, che ha portato alla sbarra i crimini delle grandi aziende, ed ora è eurodeputato verde:«La follia è che abbiamo al vertice dell'Europa l'uomo che ha arricchito il Lussemburgo grazie alle tasse rubate agli altri, con guadagni che continuano a crescere. Nel Parlamento i verdi hanno imposto la creazione di un comitato speciale: il primo rapporto sarà pronto tra un mese e sarà molto duro. Anche i conservatori ora hanno capito e c'è la volontà di piegare i paradisi fiscali: sono convinta che il Lussemburgo dovrà adeguarsi o uscire dall'Unione».



Il grande circo
Quello che Juncker ha costruito in Lussemburgo, a Malta lo ha realizzato John Dalli, il Ministro che ha fatto dell'isoletta una piazzaforte finanziaria, graditissima agli investitori italiani più spregiudicati e ai miliardi rapidi delle scommesse. Poi nel 2010 Dalli è entrato nel governo dell'Unione: come commissario per la salute ha avuto in mano dossier fondamentali, incluso il via libera alle coltivazioni OGM. Finché la sua carriera non si è trasformata in circo. Letteralmente. Il suo vecchio amico Silvio Zammit, pizzaiolo e impresario circense part-time, è andato in giro chiedendo soldi per conto del «boss». Ha prospettato a una holding svedese la possibilità di spalancare il mercato europeo a un prodotto che piace molto agli scandinavi: lo snus, il tabacco da masticare. Una passione da pirati e cowboy, fnora proibita nel resto della UE, con potenzialità miliardarie: rimpiazza le sigarette anche dove il fumo è vietato. In cambio Zammit ha chiesto una somma niente male: 60 milioni di euro, poco meno della storica tangentona Enimont. La questione è arrivata sul tavolo dei detective dell'OLAF, l'Unità Antifrode Europea guidata dall'italiano Giovanni Kessler. Con investigatori provenienti dalla Guardia di Finanza, perquisendo di notte l'ufficio del commissario, sono stati trovati «indizi plurimi» del coinvolgimento personale di Dalli. Nell'ottobre 2012 l'allora presidente Barroso ha obbligato il maltese alle dimissioni, frmate molto controvoglia. Tant'è che quando, dopo la sostituzione del capo della polizia, l'indagine penale nell'isola è stata archiviata, Dalli ha cominciato a sparare denunce dichiarandosi vittima di un'ingiustizia. E il parlamento ha criticato l'azione dell'OLAF:«Dal rapporto dei supervisori emergono molti dubbi sui metodi del nostro istituto antifrode più importante, che nei resoconti manipola le statistiche per presentare risultati migliori del reale», sancisce l'eurodeputato verde Bart Staes, membro di spicco del comitato che vigila sul budget, altro caposaldo del sistema di controllo. L'OLAF si è trovata ai ferri corti pure con la Corte dei Conti, a cui ha contestato appalti oscuri. Che a sua volta ha rimandato le accuse al mittente. Insomma, un tutti contro tutti, con esiti abbastanza deprimenti per l'affidabilità dei custodi di Bruxelles. Oggi l'Europa sembra avere tanti cani da guardia litigiosi. E tutti con la museruola: abbaiano, ma non mordono. Il loro compito infatti si limita a suggerire provvedimenti. Fuori dai palazzi della Commissione non hanno poteri e devono invocare l'aiuto delle polizie nazionali. Che - tra interessi patronali e differenze normative - non sempre collaborano. I detective europei hanno bisogno di un'autorizzazione pure per ascoltare i testimoni. All'OLAF ogni indagine è affidata a una coppia di ispettori, senza assistenti: si fanno da soli pure le fotocopie e passano più tempo a difendersi dal tiro incrociato delle altre autorità che non a investigare. Il feeling che si respira è negativo, come se la lotta alla corruzione interna non fosse una priorità, anzi, dei primi eletti del movimento anti-europeo inglese: nei comizi urlava contro il malaffare di Bruxelles, poi falsificava le note spese. Janice Atkinson, sempre dell'UKIP, a marzo si è fatta triplicare la ricevuta dopo il cocktail con la moglie del leader Nigel Farage - 4350 euro invece di 1350 - mentre la sua assistente si vantava:«È un modo di riportare a casa i nostri soldi». E quando nel 2011 un reporter del "Sunday Times" si è finto lobbista, offrendo denaro in cambio di emendamenti a sostegno della sua società, tre deputati hanno abboccato subito. Due - un austriaco e uno sloveno - si sono dimessi e sono stati condannati in patria. Il terzo, l'ex Ministro degli Esteri romeno Severin, è ancora al suo posto mentre l'istruttoria a Bucarest langue. Distinguere tra lobbisti veri e falsi non è facile. A Bruxelles è stato istituito un registro per queste figure, senza vincoli né sanzioni: chi vuole si accredita. L'attivissima sezione europea di Transparency International un mese fa ha dimostrato che metà delle 7.821 dichiarazioni ufficiali delle lobby erano «incomplete o addirittura insensate». E in tanti si sottraggono al censimento, a partire dagli studi legali: un'armata che esercita un'influenza nascosta. La soluzione? «Rendere obbligatoria l'iscrizione al registro», spiega Carl Dolan di Transparency. «E bisogna vietare ogni contatto con chi non è iscritto», aggiunge Staes:«Devo ammettere però che in Parlamento non esiste una maggioranza favorevole al registro obbligatorio. Noi verdi, come i 5 stelle italiani e alcuni esponenti socialdemocratici, ci stiamo battendo, molti invece sono contrari».

Porte girevoli
Tra i palazzi delle istituzioni e quelli dei potentati economici ci sono tante porte girevoli. Si passa dagli uffici della Commissione a quelli delle corporation e viceversa. Figure come Lord Jonathan Hill, con trascorsi in società di lobby della City, imposto dal governo Cameron al vertice della struttura UE che si occupa di mercati finanziari. O il caso sensazionale di Michele Petite, il direttore europeo degli affari legali che si tramuta in consigliere della Philip Morris e poi rientra come presidente del comitato etico che dirime i conflitti d'interesse nella UE. Ma queste sono le pedine sullo scacchiere di una partita più complessa. Le manovre dei lobbisti intrecciano network che possono seguire la geopolitica dei governi, dei Partiti o semplici reti di conoscenze trasversali adeguatamente retribuite. Il terreno di caccia favorito è la zona grigia in cui i grandi propositi dei legislatori europei si trasformano in regolamenti, spesso modesti. Uno dei passaggi più opachi avviene nei "gruppi di esperti" che studiano i dossier caldi. Una ONG ha appena svelato che il 70 per cento degli esperti incaricati di valutare la questione del fracking, la discussa tecnica di estrazione petrolifera, hanno relazioni con le compagnie del settore. Non si tratta di un'eccezione, ma di un andazzo molto diffuso. L'Ombudsman europeo, l'autorità etica più piccola e dinamica, apre un'istruttoria dietro l'altra. Senza spezzare la cortina di ferro che protegge gli intrallazzi. «Bisogna incrementare al massimo la trasparenza, deve esserci sempre una traccia scritta di chi interviene nelle discussioni interne», sintetizza Carl Dolan. I confitti di interessi pullulano: nel 2012 sono stati segnalati 1.078 dipendenti europei con incarichi extra. Quelli sanzionati sono una ventina, quasi sempre con reprimende scritte o verbali. L'impunità è pressoché certa. Per anni il funzionario Karel Brus ha fatto sapere in anticipo agli emissari di due colossi dei cereali, l'olandese Glencore e la francese Univivo, i prezzi stabiliti dall'Europa per gli aiuti agricoli: notizie d'oro, che permettevano di investire a colpo sicuro. In cambio si ipotizza che abbia incassato almeno 700 mila euro. Prima della condanna penale però sono passati dieci anni e il travet è sparito in Sudamerica. E per le due società c'è stata solo una multa: mezzo milione, inezie rispetto ai profitti.

La nuova corruzione

La Commissione ha in mano un'arma micidiale: può bandire le aziende corruttrici da tutti i contratti europei. Misura applicata solo due volte negli ultimi anni. Perché la volontà di fare pulizia sembra labile. Prendiamo il dieselgate di Volskwagen: gli uffici tecnici dell'Unione avevano segnalato i trucchi della casa tedesca da parecchi mesi, ma la denuncia è rimasta lettera morta fino all'intervento delle autorità statunitensi. «Questa è la nuova corruzione. Ed è il nuovo mondo, in cui si agisce tramite logaritmi che falsifcano i dati dei computer: la realtà si riduce a schermate digitali, mentre Volskwagen otteneva fondi per produrre auto ecologiche e contribuiva ad aumentare l'inquinamento che uccide migliaia di persone», tuona Eva Joly:«Ma la portata dello scandalo è ancora più grave, perché dimostra che il rispetto delle regole non è più un valore. La Germania, il Paese della legge e dell'ordine, ha ingannato tutti; la loro azienda simbolo ha mentito per anni. Le nazioni che hanno costruito questa Unione stanno perdendo credibilità e non capiscono quanto ciò peserà sul futuro delle nostre istituzioni». In quello choccante 70 per cento di cittadini che percepisce un'Europa corrotta si proietta una sfiducia più vasta. «È un dato che nasce dallo sconcerto per la debolezza della reazione davanti ai problemi: la crisi economica, il tracollo greco e adesso l'esodo dei migranti», commenta Bart Staes:«La gente sente i racconti sulle pressioni delle lobby, si diffonde il sospetto che l'Unione serva più per tutelare gli interessi economici che i cittadini. C'è la necessità di riforme profonde, che non sono nell'agenda di Juncker. Ma soprattutto bisogna dare risposte concrete: fatti, non storytelling. Partiamo dalla Volskwagen: quasi tutti i produttori di auto sfruttano i buchi nella legislazione per alterare i test, noi verdi abbiamo proposto di cambiare le regole e punire chi mente. Se agisci e la gente vede che i guasti vengono risolti, allora avrà di nuovo fiducia».

Corsi e ricorsi storici
Un professore dal cognome altisonante, David Engels, in un saggio ha paragonato il declino dell'Unione al crollo della Repubblica nella Roma Antica. Oggi come allora, l'allargamento troppo rapido dei confini, il confronto con un'economia globalizzata, la crisi dei modelli religiosi - all'epoca i nuovi culti importati nell'Urbe, adesso l'Europa cristiana alle prese con l'Islam - e il contrasto tra i privilegi dei patrizi e l'impoverimento dei ceti popolari, logorano le istituzioni democratiche. Un'analisi che riecheggia le parole scritte da Altiero Spinelli nel 1941, in quel manifesto di Ventotene che ha partorito l'idea di Europa unita. «La formazione di giganteschi complessi industriali e bancari... che premevano sul governo per ottenere la politica più rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di dissolvere lo Stato stesso. Gli ordinamenti democratico-liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l'intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamente lo stato totalitario potesse in qualche modo risolvere i conflitti di interessi». Era la situazione che ha fatto trionfare le dittature e spinto il continente nel baratro della guerra. L'Europa unita è nata da questa lezione, che ora sta dimenticando.



Eravamo i più convinti di tutti. Quindici anni fa, l'alba del nuovo millennio vedeva l'Italia piena di euro-entusiasti: oltre il 53 per cento di cittadini. Ci credevamo più dei tedeschi e molto più dei francesi. Da allora la fiducia nella UE si è sgretolata. E i dati Demopolis dimostrano che non è colpa della moneta unica. La picchiata del consenso è cominciata con la recessione economica internazionale e si è intensificata con la crisi greca, toccando il minimo a giugno: soltanto il 27 per cento degli italiani dava ancora credito al sogno europeo. Adesso il sondaggio, condotto dall'istituto diretto da Pietro Vento su un campione di mille persone, mostra una minuscola ripresa del consenso, ma solo di un punto.

Nota informativa
L'indagine è stata condotta nel settembre 2015 dall'Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, su un campione stratifcato di 1.000 intervistati, rappresentativo dell'universo della popolazione italiana maggiorenne. Metodologia ed approfondimenti su: www.demopolis.it



Gianluca di Feo per L’Espresso
02-10-2015
www.lobbyingitalia.com/2015/10/bruxelles-corrotta-europa-infetta-le...
31/01/2017 03:57
 
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Inchiesta - Nel 2016 ben 230 riunioni decisionali segrete tra Commissione UE, Consiglio d'Europa e vertici Parlamento

LONDRA - L'Unione Europea non è mai stata così impopolare, quindi sarebbe logico pensare che i suoi burocrati stiano cercando di essere più democracitici e operare alla luce del sole per provare a far riguadagnare consensi a questa disprezzata istituzione autoreferenziale e dispotica. E invece non è affatto così. Una investigazione fatta da EUobserver mostra che è aumentato di parecchio il numero di leggi e regolamenti approvato in segreto, così che nessuno possa contestare cosa decidono i parassiti di Bruxelles. Di solito tutte le leggi europee sono redatte dalla Commissione Europea e poi dibattute dal Parlamento Europeo e dal Consiglio d'Europa, che è composto da Ministri e Capi di Governo. Tali proposte di legge sono poi dibattute due volte dal Parlamento Europeo e poi il Consiglio d'Europa ha la possibilità di modificarle, ma secondo i dati ottenuti da EUobserver, nel 2016 nessuna legge europea è stata sottoposta a una seconda lettura da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio d'Europa in modo che venissero dibattute dai suoi membri. Se questo non fosse abbastanza grave, negli ultimi mesi è aumentato l'uso del cosiddetto "trilogo", un meccanismo secondo cui rappresentanti della Commissione Europea, del Parlamento Europeo e del Consiglio d'Europa si incontrato a porte chiuse e raggiungono accordi e compromessi in segreto senza che i parlamentari europei abbiano la possibilità di dare una loro opinione.

E scriviamo opinione perché - speriamo lo sappiate - il cosiddetto "Parlamento UE" è un organo consultivo, non decisionale. Nel 2015 ci sono stati 144 incontri di triloghi mentre nel 2016 sono saliti a 230. Di fronte a questi numeri agghiaccianti, di centinaia di decisioni prese in segreto, senza che i cittadini d'Europa ne abbiano saputo alcunché, forse dire che la vecchia Unione Sovietica era più trasparente non è poi così lontanto dalla verità. In ogni caso, tale fenomemo è stato fortemente criticato da Malcolm Harbour, ex europarlamentare conservatore e da Jorgo Riss di Greenpeace, i quali si sono mostrati piuttosto preoccupati per la deriva autoritaria intrapresa dall'Unione Europea. Per tutta risposta, e a far infuriare gli euroscettici, c'è stata la proposta fatta dall'europarlamentare laburista Richard Corbett di aumentare anziché fermare l'uso del trilogo. Questa notizia è stata riportata dal Daily Express allo scopo di convincere i cittadini britannici del perché sia essenziale uscire dalla UE il più presto possibile, ma censurata in Italia perché i giornali di regime sono sottomessi al potere. Noi ovviamente non ci stiamo e abbiamo riportato questa storia perché vogliamo convincere gli italiani che è ora che il nostro Paese esca dalla UE.

Giuseppe De Santis
30 gennaio 2017
www.ilnord.it/c5162_INCHIESTA__NEL_2016_BEN_230_RIUNIONI_DECISIONALI_SEGRETE_TRA_COMMISSIONE_UE_CONSIGLIO_DEUROPA_E_VERTICI_PA...
16/10/2018 14:09
 
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Lussemburgo, CSV sotto il 30%: è il crepuscolo del potere di Juncker

Il tramonto di Jean-Claude Juncker passa anche dal Lussemburgo. Un fortino per decenni politicamente inespugnabile, dominato dal suo partito, la CSV: anche ieri i cristiano-sociali hanno vinto le elezioni, ma sono scesi sotto quota 30 per cento. Un risultato che lo schieramento dominatore incontrastato della politica del Granducato per quasi l’intero Dopoguerra non registrava dal ’74. Remoti appaiono i consensi superiori al 40% degli anni Cinquanta, irraggiungibile persino il 38% registrato nove anni fa. Tramontati i 18 anni in cui Juncker regnava sul Lussemburgo, influenzando un ventennio di Consigli Europei.

Quella debacle del 2013
Una posizione di potere, la sua, rafforzata dalla Presidenza dell’Eurogruppo. Nonchè decisamente sproporzionata, rispetto all’effettivo peso demografico del Paese. Ad affondarlo nel 2013 non furono scandali legati alle opache pratiche finanziarie lussemburghesi: fu invece uno scandalo interno ai servizi segreti del Granducato. Juncker fu accusato di averne perso il controllo, sorvolando sulla corruzione interna. Quello stesso anno il Lussemburgo passò ai Democratici di Xavier Bettel, Premier di ispirazione liberale, segnando la fine di un’epoca.

Il nuovo corso dell’Europa(dis)unita
L’anno dopo Juncker traslocava a Bruxelles, insediandosi alla Presidenza della Commissione Europea. L’onda di cambiamento che investe in questi mesi la politica continentale accompagna la sua uscita: l’anno prossimo lascerà la Commissione e sparirà dai radar. Il suo partito, convinto ieri di prendersi una storica rivincita elettorale, continua invece ad arretrare, in un quadro politico lussemburghese frammentato. In questa chiave l’addio di Juncker è molto più che simbolico: avviene infatti sullo sfondo sia della progressiva erosione di consensi dei cosiddetti «partiti tradizionali», sia dell’avanzamento di due fronti politicamente contrapposti. I partiti coraggiosamente pro-europeisti da una parte, e quelli dichiaratamente populisti ed euroscettici dall’altra. Non era probabilmente l’Europa che Juncker immaginava, solo 20 anni fa.

Sergio Nava
15 ottobre 2018
www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-10-15/lussemburgo-csv-sotto-30percento-e-crepuscolo-potere-juncker-123053.shtml?uuid=AEEUKLNG&refr...
01/11/2018 03:28
 
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Le accuse a Juncker: buchi nei conti e favori alle multinazionali

“Killer d’Europa”: con queste parole un’inchiesta del settimanale ‘L’Espresso’, da ieri in edicola, definisce Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione Europea. Il ritratto del leader numero uno in Europa è estremamente impietoso. Si parla di un buco nei conti dell’UE di mille miliardi di euro all’anno, tra elusione ed evasione fiscale.

Le accuse a Juncker e non solo sui conti UE
Gli autori dell’inchiesta, Paolo Biondani e Leo Sisti, non usano toni accondiscendenti nel rilevare che in questo quinquennio si sono registrati “multinazionali che non pagano le imposte e smistano decine di miliardi di dollari dei loro profitti, accantonati grazie a operazioni finanziarie privilegiate in Lussemburgo, verso altri paradisi rigorosamente ‘tax free’. Stati membri dell’Unione che si fanno concorrenza sleale sulle tasse”. Insomma, Juncker deve fare i conti col fuoco incrociato di sovranisti e cosiddetti populisti e non è soltanto Matteo Salvini ormai ad attaccarlo.

Ci sarebbe, scrive il settimanale, “un Paese fondatore della UE che spinge i ricchissimi a eludere le tasse”, quel Paese è il Lussemburgo, del quale l’attuale numero uno della Commissione Europea è stato Presidente del Consiglio per otto anni. Emergono in esclusiva documenti dall’inchiesta “LuxLeaks”, firmata dall’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), di cui fa parte l’Espresso. Si tratta di oltre 28mila documenti riservati, che a partire dal 2014 hanno rivelato i contenuti degli accordi fiscali privilegiati con cui il Lussemburgo di Juncker ha garantito a 340 multinazionali di pagare meno dell’uno per cento di tasse. Ci sono due commissioni speciali d’indagine istituite dall’Unione Europea che si sono occupate dello scandalo LuxLeaks. Che dal Lussemburgo si è spostato ad altri Paesi come Olanda e Belgio, Irlanda e Malta. In tutto questo cosa c’entra il Presidente della Commissione Europea? Scrive L’Espresso:“L’articolo svela anche gli interventi diretti di Juncker, come capo del governo lussemburghese, a favore di multinazionali, come Amazon, che ora sono al centro delle indagini europee sull’elusione fiscale”.

29 ottobre 2018
www.viagginews.com/2018/10/29/le-accuse-a-juncker-buchi-nei-conti-e-favori-alle-multina...
23/11/2018 00:12
 
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Europa. Il gioco del cerino dei poteri in crisi

Diciamoci le cose come stanno: rompere le scatole all'Italia per uno sforamento (sulle previsioni econometriche) dello 0,5% del rapporto deficit/PIL dell'anno fiscale 2019 può essere letto in due modi diversi: il primo è che a Bruxelles siano completamente matti oppure significa che è partito il gioco del cerino per fare in modo che il più fesso si bruci le dita. In altri termini, non si può creare ad arte una crisi per pochi miliardi di euro per un'impuntatura su quale sia il modello econometrico più corretto. Viene da pensare che ci sia qualcosa sotto, e seguendo l'insegnamento di Leonardo Sciascia, che diceva di guardare il contesto, forse possiamo anche arrivare a capire. La Germania è sotto schiaffo da parte degli USA per la guerra commerciale; le sue banche più importanti Deutsche Bank e Commerzbank sono dei veri e propri crateri senza fondo; la Francia è in piena rivolta contro il suo Presidente; i Paesi del Nord Europa hanno il sistema bancario investito da un enorme scandalo di riciclaggio di denaro sporco (Danske Bank); le aziende dell'automotive tedesca sono sotto tiro per lo scandalo Diesel Gate; la Renault sta rischiando l'arresto in Giappone del suo Presidente (poi arrestato – Nota Wheaton80) e questo potrebbe rompere il matrimonio Nissan-Renault; la Bayer verrà travolta dalle richieste di risarcimento danni per un pesticida cancerogeno utilizzato in USA dalla controllata Monsanto. Non parliamo poi della BCE, che ha fallito il suo piano di QE e vede l'Unione Europea sull'orlo di una recessione e, soprattutto, è anch'essa incasinata con il riciclaggio da 4.000 miliardi di euro di Danske Bank e complici, di cui ha fatto finta di non accorgersi. In questo enorme terremoto da migliaia di miliardi di euro dagli esiti imprevedibili tutti hanno un fottuto interesse a trovare un Calimero a cui addossare le colpe nel caso in cui le cose non si risolvano e si arrivi al grande botto finale. Ecco, il governo italiano e il suo misero scostamento da 5 miliardi di euro è il perfetto Calimero per far partire la narrazione secondo la quale è venuto tutto giù a causa della sua irresponsabilità. Basta vedere la differenza delle cifre per capire che è una frescaccia, ma per pararsi le terga anche questi trucchetti sono utili.

Giuseppe Masala
20 novembre 2018
megachip.globalist.it/kill-pil/2018/11/20/europa-il-gioco-del-cerino-dei-poteri-in-crisi-2033908.htmlfbclid=IwAR0RDe_NYYX_vDZnRolhnb1Zv1EHKpljF9Q596Gsbpvbo9R0XG9...
03/05/2019 17:41
 
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Fubini, la Grecia e i mea culpa (inutili) degli europeisti

Arrivano: tardi, ma arrivano. Anche se sono più frutto della paura di perdere tutto che della reale comprensione del danno causato. Sono i mea culpa dell’Europa. E in particolare degli europeisti. Richieste di scuse, giravolte, ammissioni di responsabilità, che, dai giornalisti ai politici, arrivano in questi mesi a cadenza regolare. Quasi a voler far capire che, con le elezioni europee alle porte, i simboli dell’establishment hanno capito i propri errori. Lo ha fatto ieri il vice direttore del Corriere della Sera, Federico Fubini, che in una clamorosa e inquietante rivelazione a TV2000 ha confessato di non aver voluto scrivere sul suo giornale della notizia dell’aumento della mortalità infantile in Grecia a causa della crisi che ha devastato il Paese ellenico. In Grecia ne sono morti 700 in più rispetto agli anni prima della crisi. Un numero drammatico che però Fubini non ha voluto dire: ha “deciso di non scrivere”. Un’autocensura che, secondo li giornalista, è stata fatta per evitare che il dibattito fra euroscettici e europeisti si fondasse anche su questo orribile dato. Colpa degli euroscettici, dice il giornalista, che avrebbero usato il dato per attaccare l’Europa: in pratica, non si può dire la verità se questa non è utile alla causa. E solo ora, con Atene praticamente soggiogata dall’UE e Alexis Tsipras che esegue pedissequamente i diktat di Berlino, Francoforte e Bruxelles, Fubini cambia idea e ne parla. Anzi, ne scrive, perché se i lettori del Corriere non potevano sapere di quanto stesse accadendo nella Grecia dilaniata dall’austerity, ora lo potranno fare comprando il suo libro. Ma la confessione del vicedirettore del Corriere non è che l’ultima di una lunga serie di ammissioni di colpa compiute dal mondo che ha per anni difeso l’Europa, l’Unione Europea e tutto ciò che esso rappresenta. A partire dai suoi vertici, che ultimamente, consapevoli che si avvicina il tempo del redde rationem elettorale, stanno cambiando non solo toni ma anche idee. Lo ha fatto il Presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, che ha già chiesto scusa per quanto avvenuto in Grecia. Il lussemburghese ha addirittura parlato di austerità “avventata” dopo la crisi che ha sconvolto Atene e ha detto che nei confronti del popolo greco “non siamo stati abbastanza solidali”. Ma ha fatto qualcosa di più, ha aggiunto:“Abbiamo insultato i greci”. Parole, si dirà. Ma le parole hanno un significato importante se dette dal capo dell’esecutivo dell’Unione Europea.

Il problema è che queste parole non sono arrivate prima, quando la Grecia soffriva il disegno europeo, ma dopo, quando ormai dal Partenone non si levavano più le grida contro l’austerity, ma un dolore ormai sedato da anni di privazione. Addomesticato il governo greco e la sua politica, ora Juncker può chiedere scusa. Ma il problema era prima. E prima non è stato fatto nulla. Ma i mea culpa non sono solo rivolti alla Grecia. E non arrivano solo dall’UE. Emmanuel Macron, terrorizzato dai gilet gialli, ha più volte ammesso davanti alle telecamere di aver fallito e che le sue riforme non sono state abbastanza “umane”. Ha parlato più volte alla Nazione dicendo di aver fallito, ha detto che le sue riforme sono state giuste, ma “non sono state abbastanza rapide, umane e radicali”, capendo il senso profondo di giustizia che si levava dalle piazze di tutta la Francia. Anche qui, come sempre miope, la politica europeista e dell’austerity nulla ha fatto per evitare il caos: ci si è tuffata, ottenendo ciò che voleva, finché non ha poi deciso di cambiare registro, impaurita che, con le elezioni alle porte, il castello crollasse. Troppi i richiami delle piazze, troppi i governi che iniziano a ribellarsi, troppe le crisi che esplodono a macchia di leopardo. E così arrivano le ammissioni di colpa e quelle frasi che adesso suonano come una beffa. Beffa che riguarda anche l’Italia e che riguarda, in particolare la politica sull’immigrazione. Da quando il vento sovranista è iniziato a spirare sul nostro Paese, all’Unione Europea dello scontro frontale si è aggiunta un’altra Europa, quella della comprensione. Significative le frasi di Angela Merkel a giugno:“Parte dell’insicurezza in Italia ha la sua origine proprio dal fatto che gli italiani, dopo il crollo della Libia, si sono sentiti lasciati soli”. E sia chiaro, l’Italia non si sentiva sola: l’Italia è stata lasciata sola. E solo quando i risultati elettorali hanno iniziato a premiare partiti ostili alle politiche europee, è arrivato il mea culpa. Anche qui tardivo, anche qui inutile. L’Europa non deve chiedere scusa: deve cambiare.

Lorenzo Vita
3 maggio2019
www.occhidellaguerra.it/meaculpatardivideglieuropeisti/fbclid=IwAR2Qy9fRbOdOyJtQlFz_ZdK6aTRnmLsL-g-kfsb0qO1pXujSeRe...
27/05/2019 20:13
 
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La lezione degli europei agli europeisti

L’Europa non è quella sognata dagli ultrà europeisti. C’è un’altra Europa uscita da queste elezioni e che mette in dubbio tutta quella struttura che per anni è stata considerata granitica e definitiva. E sono stati i cittadini europei a lanciare un segnale inequivocabile nei confronti dei grandi partiti che rappresentano l’establishment pro UE. Lo hanno fatto da Parigi a Varsavia, da Atene a Londra, da Berlino a Roma. E la speranza è che ora a Bruxelles e nelle capitali dei diversi Paesi europei la lezione impartita dagli elettori sia stata ascoltata. Perché non è stata una lezione radicale: non è stato l’insegnamento impartito con la famigerata onda nera paventata dai media né con la svolta a sinistra pensata da molti. È una lezione impartita con il sistema democratico e con scelte chiarissime che dai vari fronti d’Europa hanno fatto capire la temperatura del Vecchio Continente. Ogni Paese ha dato una lezione a questa Unione Europea. Ogni area del continente ha inviato un segnale. E ora devono essere gli esecutivi e l’Unione Europea a trarne le conseguenze.

Il Regno Unito è stato per mesi considerato un Paese che ha sbagliato. I media hanno dipinto un popolo britannico illuso e che era stato attratto da un pifferaio magico come Nigel Farage. E invece è arrivata la notizia contraria: la Gran Bretagna profonda vuole ancora la Brexit e l’ha dimostrato il voto per il Brexit Party, ma anche il sostegno ai conservatori, che, seppur ridotto, ha comunque il senso del voto a favore del divorzio di Londra da Bruxelles.

Mentre Londra ricordava al mondo di essere pro Brexit, la Francia ha dato un’altra lezione: quella rivolta del Paese profondo contro Emmanuel Macron non era un fuoco di paglia. E il Paese sta effettivamente cambiando pelle, tra un sostegno sempre più forte verso Marine Le Pen e un astensionismo che può essere letto anch’esso in chiave anti Macron. Altro che Paese in mano agli europeisti. Altro che Parigi come culla e locomotiva dell’Unione Europea. La Francia si conferma Paese euroscettico nonostante il Presidente sia diventato il simbolo della grande burocrazia UE. E l’immagine che ne esce è quella di un governo che ha completamente perso il legame con il suo popolo.

L’altra lezione è poi arrivata dal Gruppo di Visegrad. Il vento dell’Est continua a spirare sull’Unione Europea. E Viktor Orban, accusato di essere l’anti Europa, di essere isolato, di non avere alleati, si è in realtà dimostrato (ancora una volta) leader decisivo per il presente e per il futuro dell’UE. Con la percentuale di voti ottenuta questa domenica, Fidesz si è confermato uno dei pilastri del Partito Popolare Europeo e ha soprattutto fatto capire che quell’Europa voluta a Bruxelles non piace a larghissima parte degli ungheresi. A loro come al resto dei popoli dell’Europa orientale, che hanno chiaramente fatto intendere di non avere alcuna intenzione di piegarsi ai dettami europeisti, né sul tema culturale né su quello migratorio. L’insegnamento che hanno dato i cittadini di Visegrad è che quella parte di Europa non cede di fronte alle pressioni di Bruxelles. E non sembra destinata a farlo nel breve né nel lungo periodo.

Altra lezione l’hanno impartita gli italiani. Il voto di ieri, che non può non essere considerato plebiscitario nei confronti della Lega, è soprattutto un monito verso tutto l’establishment europeista. I partiti che criticano l’Unione Europea in maniera profonda rappresentano più della metà dell’elettorato italiano. Il Paese è comunque orientato verso destra, dal centro a quella più radicale, ma sommando i voti di Lega, Movimento Cinque Stelle e Fratelli d’Italia, i partiti che più di tutti hanno criticato le scelte dell’UE, il quadro che ne esce è che la maggioranza del Paese è fortemente critica verso l’Europa. Ed è un segnale estremamente importante per tutti, che non va sottovalutato.

Ma la lezione l’hanno data anche i tedeschi, perché quella Germania che è il nucleo dell’Unione Europea in realtà appare profondamente tentennante rispetto alla burocrazia UE. La Germania è fra i Paesi che più hanno beneficiato dell’Europa unita e dell’eurozona e di certo Angela Merkel è stata la cancelliera che più di tutti ha sovrapposto l’agenda tedesca con quella UE. Eppure, il voto condanna la CDU a un risultato che per i cristiano-democratici è pessimo (22,6%), visto che cinque anni fa aveva preso il 30 per cento. Se a questo si aggiunge il boom dei Verdi e il fatto che l’AfD comunque sia riuscita a tenere botta con il 10% ormai consolidato, quello che ne esce è una Germania totalmente cambiata e, anche se europeista, nettamente in contrasto con alcune politiche dell’attuale Unione Europea.

Se a queste lezioni si aggiunge quella dell’astensionismo balcanico, che conferma la disaffezione dei popoli del Sud-Est Europa per l’Unione Europea, e quella della Grecia, che abbandona Alexis Tsipras e fa guerra a chi ha eseguito alla lettera i dettami europeisti, il quadro che ne esce è chiaro: gli europei hanno voluto dare un segnale chiarissimo. L’Europa c’è: ma non è quella dipinta dai suoi ultrà. E deve provare a cambiare se non vuole uscire definitivamente sconfitta.

Lorenzo Vita
27 maggio 2019
it.insideover.com/politica/lezionieuropeieuropeisti.htmlfbclid=IwAR2o2daoefC8GxBKlyDh-mIr3DS6WLd-qkxD3_mJmKUb1KcujZV...
25/06/2019 21:09
 
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Salta il progetto europeo di Macron, per il suo rifiuto di collaborare con l’Italia

Il quotidiano francese Liberation ci presenta un’interessante analisi del fallimento del progetto europeo di Macron, di stampo neoliberale, che a livello europeo doveva essere incentrato sulla creazione di un budget europeo comune e di un Ministro delle Finanze comunitario che si occupasse delle entrate e delle uscite.

www.liberation.fr/debats/2019/06/24/euro-la-defaite-de-macron...

L’affermazione della necessità di un budget europeo comune aveva fatto capolino al termine degli incontri franco-tedeschi di Meseberg nel 2018 come bilancio per la stabilizzazione, la competitività e la convergenza, ma solo di soppiatto ed alla fine del documento comune. Eppure Macron ha sempre puntato sul dualismo franco-germanico, nonostante la Merkel non avesse nessun desiderio di questo passo, visto come un diverso modo per spillare soldi ai Paesi nordici… Infatti nell’ultima versione di questo ipotetico bilancio europeo si parla di una misura solo per “la competitività e la convergenza, mentre il termine stabilizzazione, parola che avrebbe dato un senso economico all’operazione, è completamente sparita. Insomma, se un budget europeo sarà, questo non avrà come missione la possibilità di stabilizzare l’economia dell’area euro, quindi keynesiana, ma solo quella di essere una versione al limite rinforzata degli attuali fondi strutturali.

Se questo può piacere all’uomo con la politica più ordoliberista d’Europa, a suon di privatizzazioni, anche contestate come quella di AdP, Aeroporti di Parigi, di cancellazione dei diritti sociali e di flessibilità lavorativa, risulta però una clamorosa sconfessione del suo disegno iniziale. Inoltre le cifre in gioco sono letteralmente risibili a livello europeo, come quelle del progetto Juncker: 17 miliardi di euro per tutta l’Unione, tanto che il Ministro dell’Economia spagnolo ha detto che piuttosto che un fondo di questo genere era meglio nessun fondo. Quindi l’Unione rimane una grande incompiuta, pronta a scomparire anche domani, senza una vera struttura di politica economica, anzi sconfessandone l’uso. Una sconfitta clamorosa, ma che non poteva essere evitata nel momento in cui il Presidente francese ha scelto di appoggiarsi a chi non crede al progetto. Eppure una politica espansiva e di stabilizzazione avrebbe potuto essere nell’interesse dei Paesi mediterranei e, soprattutto, dell’Italia, e Macron poteva rischiare un colloquio con la Lega, ma non è stato così, e si è lasciato incatenare mani e piedi al carro nordico. I motivi sono chiari:

- Vedere gli OAT comparati ai BTP potrebbe essere devastante per l’economia francese, soprattutto pubblica
- Politicamente e personalmente le due personalità sono all’opposto…

Altri politici sarebbero stati più flessibili, ma non lui. Il suo ego non può accettare nessun altro nella stanza.

Fabio Lugano
25 giugno 2019
scenarieconomici.it/salta-il-progetto-europeo-di-macron-per-il-suo-rifiuto-di-collaborare-con-litalia/?fbclid=IwAR3jz4uloaVJQ_3rNIzbCNx1Zn8a-LEre3kbMRqlUv9OEToIpHi...
15/10/2019 18:41
 
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L’Europa si spacca – Solo noi le obbediamo

Di punto in bianco, la Banca Centrale Olandese, De Nederlandsche Bank, ritiene necessario comunicare che “possiede oltre 600 tonnellate di oro. Che un lingotto d’oro ha sempre il suo valore. Crisi o no. Questo dà una sensazione sicura. La proprietà aurea di una banca centrale è quindi un segnale di fiducia. Non basta: nell’articolo si dice che “se l’intero sistema crolla, il titolo d’oro fornisce una garanzia per ricominciare”. Un pò strano, se si pensa che Mario Draghi ha appena ripetuto ai suoi ammiratori e lecchini che alla Cattolica di Milano gli hanno tributato una laurea honoris causa che lui ha salvato l’euro e che i sovranisti sono stati sconfitti.

L’Olanda sposta il suo oro in un sito militare
La banca olandese non sembra ritenere questa vittoria solida e definitiva. Spiega che il 38 per cento delle sue riserve sono presso la Federal Reserve di Manhattan, un altro 31% fra Londra e Ottawa, ma che il 31 per cento che ha in patria, 15 mila lingotti, la sta per trasferire da Amsterdam a una installazione militare in costruzione, “Camp New Amsterdam, nel comune di Zeist”. Perché, spiega, “se le cose vanno male, i prezzi possono scendere. Ma, crisi o no, un lingotto d’oro ha sempre valore”. Al contrario di “azioni, obbligazioni e altri titoli, che hanno tutti un rischio intrinseco”, essendo (ma questo non lo dice) i titoli cartacei e le banconote nel mondo odierno degli “attivi” che sono il “passivo” di qualcun altro, che potrebbe essere insolvente, mentre il lingotto, “crisi o no, ha sempre il suo valore”. Quando i tecnocrati di una banca centrale (loro che per obbligo contrattuale hanno sempre deriso “la reliquia barbarica”) cominciano a parlare col buon senso delle vecchie zie e ricontano il loro oro, s’indovina che sono nel panico.

Panico alla Federal Reserve
Intanto la Federal Reserve ricomincia subito il Quantitative Easing al ritmo di 60 miliardi al mese. “La più grande monetizzazione del debito della storia”, giudica Guado 77, “in contemporanea con lo stampaggio di Mario Draghi alla BCE, denota panico, insicurezza e situazione reale peggiore di quanto viene evidenziato dai dati, sia a livello macro-economico che interbancario”. Un altro importante motivo di panico è quello spiegato da Fabio Dragoni e Giuseppe Liturri su La Verità:

www.startmag.it/primo-piano/ecco-perche-le-banche-tedesche-e-francesi-tremano-per-la...



Sono di diritto inglese “ infatti i contratti derivati stipulati soprattutto da banche francesi e tedesche, che detengono da sole il 75% della montagna di € 6.800 miliardi presenti nei bilanci delle banche europee e la cui incidenza sfiora il 18% del loro attivo”, e da qui potrebbe chiudersi il Cigno Nero, in confronto al quale “i crediti allegramente concessi alla Grecia dalle banche franco-tedesche, poi generosamente salvate dal denaro pubblico (anche italiano), sembreranno schiuma sulla battigia al confronto con le onde che si solleveranno e che rischiano di scoperchiare bilanci pieni di strumenti [putrefatti] di cui perfino la Vigilanza BCE stenta a capirci qualcosa”.

“I filo-europeisti si dilaniano”

Ciò mentre i banchieri centrali europei si sono scagliati tutti contro Mario Draghi e il suo ultimo QE, che ha lanciato contro il parere del Consiglio. E continuano a litigare apertamente, tanto da far scrivere a Wolfgang Munchau, il corrispondente in Eurozona del Financial Times:“Sembra che i filo-europeisti si stiano auto-distruggendo. La BCE si rivolta contro Draghi, il Parlamento Europeo si rivolta contro Macron e la Von der Leyen. Questa gente fa più danni di Salvini o Le Pen alla causa europeista”. L’europarlamento ha infatti bocciato la commissaria francese proposta da Macron, tale Silvie Goulard, per la sua incompetenza e pochezza di quoziente intellettivo oltre che morale; Macron ha detto “non è colpa mia; me lo ha chiesto la Von der Leyen di candidare la Goulard, sono amiche…”.

I tedeschi liquidano Macron

Il punto è che non è il solo scacco che Manu ha subito in UE. Danimarca e Svezia gli hanno silurato un piano “megalomane” di un aumento colossale del bilancio europeo, per costruire un fondo, chiamato “Strumento di Bilancio per la Convergenza e Competitività” (BICC) che aveva a suo dire lo scopo di “sostenere le riforme dei Paesi nella zona euro e aiutare ad assorbire improvvisi shock economici nella moneta unica”. Svezia e Danimarca l’hanno bocciato, dicendo chiaramente che “loro” non avrebbero mai goduto di questo fondo, che andava se mai ai meridios.

www.express.co.uk/news/world/1189386/sweden-denmark-eurozone-budget-emmanuel-macron-single-...



Il governo tedesco e i suoi economisti hanno già mostrato di contestare alla radice la pretesa autorità di Christine Lagarde, la prossima governatrice della BCE. E non risponderanno all’invito di Draghi di spendere di più, loro che possono, per attutire l’immane Grande Recessione che arriva. In un sondaggio in Germania la maggioranza degli elettori della CDU, dei Liberali e anche di AfD risponde che il governo deve mantenere il pareggio di bilancio anche in recessione”.

“Spendere? NEIN!”

E il sabato scorso dei Gilet Gialli, a Tolosa, 69 su 92 poliziotti della brigata d’intervento (il 75%) si sono dati in malattia.

france3-regions.francetvinfo.fr/occitanie/haute-garonne/toulouse/ils-ont-touche-fond-quand-policiers-sont-arret-maladie-manifestation-gilets-jaunes-toulouse-1735...

Insomma l’ambizione di Macron di attuare il gran disegno (di Attali) di rafforzare in modo definitivo e rendere federale la UE è fallito. Grottescamente. E all’interno, la sua polizia cova l’ammutinamento. Fra poco entrano in sciopero e manifestano i vigili del fuoco, che invitano a “marciare su Parigi” il 15 ottobre. La rabbia dei francesi si estende ai corpi pubblici. In Francia almeno ci si prospetta apertamente l’uscita della Germania dall’euro. Qui Vincent Brusseau, responsabile dell’UPR presso la BCE, racconta come probabilmente Berlino lo farà: quando un italiano comprerà una BMW, a Bankitalia la Bundesbank chiederà “un collaterale”, ossia un attivo di valore garantito, che non sarà certo un BOT o un BTP, ma oro.


twitter.com/AssaultLino/status/1182742007413985280?s=17

Facendo ciò ovviamente i tedeschi si spareranno sui testicoli, trasformando la sconfitta dell’euro che hanno essi stessi provocato con la loro patologica tirchieria nella più irrimediabile disfatta. Ma come sappiamo, lo faranno. Insomma, gli ultimi a praticare le regole europee per “salvare l’euro” a nostro danno esclusivo siamo rimasti noi italiani, col governo di servizio di una UE che, mentre si sgretola, su di noi stringe la vite della repressione e iper-tassazione, perché sa di poterlo esigere da questi servi. Patetico, di fronte all’invasione di migranti che stiamo subendo senza difesa, dopo “l’accordo di Malta” dove Conte disse:“Abbiamo ottenuto in due giorni quello che Salvini non ha ottenuto in 14 mesi”, l’appello della neo-Ministra dell’Interno e dell’Accoglienza, Lamorgese:“L’Europa non ci lasci soli!”, non noi che la serviamo così diligentemente, fino alla fine dell’ultimo italiano! Voi che siete la nostra unica legittimazione! Si legge il terrore nei suoi occhi.

twitter.com/MediasetTgcom24/status/1183267192625868800...

Disperati chiamano e la padrona non risponde, perché si sta disfacendo. E noi restiamo gli ultimi ad obbedire ai suoi ordini malvagi e anti-umani. In mano al sinistro pagliaccio letale, che non nasconde più di volerci morti:



Maurizio Blondet
14 ottobre 2019
www.maurizioblondet.it/leuropa-si-spacca-solo-noi-le-obbediamo/?fbclid=IwAR2AuojGnvLbOz6eJvu4Nn7jmCm698no0T4l53PJaaY14qwmuFb...
06/11/2019 23:40
 
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I burocrati non l’hanno capito: l’Europa è sull’orlo del baratro

Inanellare una serie di sconfitte e riuscire, comunque, a fare peggio. L’Unione Europea e i suoi burocrati continuano a non comprendere come uscire dall’abisso in cui hanno condotto l’Europa. E anche di fronte alla realtà dei fatti, l’establishment dell’UE sembra del tutto incapace di cambiare rotta. Incapace o (ancora peggio) senza alcun desiderio di cambiare. Il che è ancora più grave, visto che è questa burocrazia a rappresentare il grande meccanismo che guida e manda avanti l’Unione. In questi anni, i colpi all’Europa sono stati molti. Ma se gli occhi di Bruxelles sembrano essere puntati alle “minacce” provenienti dall’esterno (specialmente contro Donald Trump e Vladimir Putin) e dall’interno (i sovranisti), in realtà sono i cosiddetti europeisti il vero male dell’Unione Europea.

Che grazie ai loro errori e ai loro metodi stanno lasciando l’intero sistema europeo sull’orlo di un abisso dai contorni più che oscuri. L’ultimo errore della burocrazia europea è stato sicuramente quello di scegliere Ursula von der Leyen quale possibile Presidente della Commissione Europea. Non solo per gli scheletri nell’armadio che porta con sé l’ex Ministro della Difesa di Angela Merkel. Ma anche per la totale incapacità di Ursula di rappresentare una svolta nella crisi sistemica dell’Unione, dimostrando anzi di essere proprio il simbolo di quella stessa politica che ha condotto al totale scollamento tra vertici di Bruxelles e popolazione europea.

L’errore, che è quello di pensare che una leader decisa tra alcuni eurogruppi potesse essere in grado di unire le diverse agende continentali e rappresentare degnamente l’UE, si è così trasformato in uno scoglio su cui si è infranto (e forse naufragato) l’ultimo progetto europeo. Ultimo di una lunga serie che ha portato a delle battute d’arresto talmente forti da diventare dei veri e propri campanelli d’allarme mai realmente ascoltati da chi persevera in questa inquietante corsa verso l’abisso. Non hanno ascoltato i timori della popolazione britannica che hanno condotto alla Brexit, così come continuano a non ascoltare i timori di interi strati di cittadini europei che sono preoccupati dall’idea che l’Europa possa imporre scelte non condivise da tutti ma soprattutto non decise da organi votati dalla popolazione.

Ma è la stessa Europa che ha deciso di piegarsi completamente alle logiche dell’asse franco-tedesco senza proporre una propria agenda estranea agli interessi di Berlino e Parigi. Una decisione nefasta, dal momento che è stato proprio l’essersi adeguati alle agende di Francia e Germania ad aver condotto la maggior parte dei Paesi europei a distaccarsi dal senso di appartenenza a un progetto comune. Ed è stata proprio l’aderenza dell’Unione Europea alle politiche industriali, commerciali e strategiche di quest’asse ad aver prodotto anche lo scontro, ormai sempre più acuto, fra l’Europa, la Russia e gli Stati Uniti. A questa totale miopia strategica si aggiungono poi i problemi di ordine interno. Non c’è un governo fedelmente europeista che oggi non sia in fase di declino o in piena crisi di consenso.

Non lo è la Germania della Cancelliera Merkel, che sconta una recessione ormai estremamente grave e non priva di rischi per tutto il nostro continente. Non lo è la Francia di Emmanuel Macron, dove i dati del consenso nei confronti del Presidente sono così bassi che alle europee il suo partito è stato sorpassato dal Rassemblement National di Marine Le Pen. La Spagna, con Pedro Sanchez che continua a sbandierare l’UE per riuscire a strappare il terzo gradino del podio continentale all’Italia, non riesce a esprimere un governo in grado di reggere per poco meno di un anno. E l’Italia, che è passata dal populismo/sovranismo giallo-verde alla fedeltà a Bruxelles del Conte bis, ha un governo sempre più in crisi.

Curiosamente, proprio questi leader e questi tecnocrati che danno continuamente lezioni di governo ai loro avversari devono fare i conti con il declino interno e con la perdita di consenso. Mentre quei leader additati come populisti, inadatti o che potrebbero condurre il mondo verso il baratro ottengono esattamente l’opposto. Se si uniscono tutti i “nemici” dell’Unione Europea, da Donald Trump ai vari Premier e Presidenti di matrice sovranista, si può vedere come i loro metodi e le loro politiche siano del tutto più convincenti e produttive rispetto a quelle dei pasdaran di UE, austerità e progressismo in salsa europeista. Ricette e leader che hanno fallito e che continuano però a governare. Risultato: la commissione post-Juncker è già a rischio naufragio.

Lorenzo Vita
5 novembre 2019
it.insideover.com/politica/errori-burocrati-unione-europea.html?fbclid=IwAR11NImdc4wwwn9BvPFuzjZIkXTLkvPSFXqbvqhcyAn2PxN8wqS...
17/03/2020 03:47
 
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Varoufakis tira dritto e pubblica gli EuroLeaks

Yanis Varoufakis tira dritto, non si ferma di fronte nemmeno alla crescita dell’emergenza coronavirus e pubblica gli “EuroLeaks”, audio e trascrizioni delle riunioni riservate dell’Eurogruppo a cui ha partecipato negli intensi sei mesi passati ricoprendo il ruolo di Ministro delle Finanze del governo greco di Alexis Tsipras, dal gennaio al luglio 2015:

euroleaks.diem25.org/leaks/

Un semestre vissuto da Varoufakis, da Tsipras e dalla Grecia sull’ottovolante, nel tentativo di dare attuazione al mandato elettorale di rinegoziare i termini di accordo con la Commissione Europea e le istituzioni finanziarie internazionali sulla ristrutturazione del debito greco. Varoufakis contestava, in primo luogo, l’eccessiva durezza dei termini imposti alla Grecia per pacchetti di aiuto e salvataggio che avrebbero finito, in larga misura, per ricapitalizzare le banche private del Paese e, di converso, gli istituti francesi e tedeschi loro creditori. Il terzo pacchetto di salvataggio alla Grecia, quello negoziato da Tsipras e Varoufakis, era messo sotto condizione di termini draconiani (avanzo primario di bilancio pari al 3,5% del PIL, riforme del mercato del lavoro, riforme dei servizi pubblici, riforme del mercato interno, taglio delle pensioni, inasprimento delle tasse) diventati, purtroppo per la Grecia, realtà dopo la capitolazione di Tsipras. Varoufakis, che dopo le dimissioni ha a lungo tenuto un atteggiamento ambiguo cercando, col senno di poi, legittimazione da quegli ambienti di sinistra europeista che lo avevano a lungo snobbato durante la sua tenuta da ministro, pubblica le dichiarazioni private dei ministri dell’Economia dell’Eurozona, che dimostrano un vero e proprio accanimento contro Atene e una cieca accettazione dei dogmi dell’austerità che hanno travolto Atene. Ascoltando gli EuroLeaks ce n’è per tutti. Il socialista francese Pierre Moscovici, nell’Eurogruppo di Riga di aprile, chiede conto al governo ellenico delle misure per il pignoramento delle case ai debitori e la loro vendita all’asta:“Abbiamo visto poca ambizione, in alcune riforme chiave come quella del mercato del lavoro, delle pensioni, o la moratoria sulle aste immobiliari”. Una negazione enorme del diritto umano alla casa, che sarebbe sancita come illegale in qualsiasi ordinamento europeo e che Tsipras, dopo l’uscita di scena di Varoufakis, ha invece legittimato.

L’uscita di scena di Varoufakis seguì alla sua extrema ratio per evitare il cedimento alla Troika: il referendum consultivo sull’accettazione del memorandum di aiuti al Paese tenutosi il 5 luglio 2015. Un referendum contestato, secondo gli EuroLeaks, dal Ministro dell’Economia italiano Pier Carlo Padoan, che lanciò a Varoufakis velate minacce sulle conseguenze del rifiuto del pacchetto da parte della popolazione ellenica (“Intendi illustrare ai greci le conseguenze dell’esito del referendum, quale esso sia, o pensi di dire che con il referndum si risolva tutto?”). La somma delle pressioni ricevute dall’economista divenuto ministro giustifica le durissime dichiarazioni da lui esposte a El Mundo alla vigilia del voto:“Quello che stanno facendo con la Grecia ha un nome: terrorismo. […] Perché ci hanno costretto a chiudere le banche? Per instillare la paura nella gente. E quando si tratta di diffondere il terrore, questo fenomeno si chiama terrorismo. Ma confido che la paura non vinca”. Al referendum il “No” al memorandum vinse con un vantaggio talmente ampio da spingere lo stesso Varoufakis alle dimissioni, sotto il peso del successo delle sue idee. Varoufakis si era spinto troppo oltre per il Primo Ministro Tsipras, favorevole a un qualche tipo di accomodamento con Bruxelles di fronte alla marea montante della pressione comunitaria. A molti anni di distanza, possiamo solo domandarci perchè Varoufakis non abbia pubblicato prima il suo ampio inventario di registrazioni e trascrizioni dei meeting. Tentativo di non tagliare la strada all’ex compagno di battaglie Tsipras? Timore di conseguenze penali? Opportunismo politico? Pavidità? La realtà dei fatti è che gli EuroLeaks saranno un grande patrimonio informativo per storici e analisti, ma escono in una fase in cui la Grecia è oramai compromessa. Passata dalla pavida sinistra di Tsipras al governo del neoliberista Mitsotakis in una fase in cui la sicurezza sociale, gli stipendi e le pensioni sono state fortemente decurtate. Il semestre sull’ottovolante di Varoufakis non è servito a cambiare il destino di Atene. Ma viene da pensare a cosa sarebbe successo se l’economista ed ex accademico non si fosse dimesso dopo la notte da tregenda del referendum. In cui, per poche ore, il Paese ellenico riuscì a scoprire un orgoglio che pareva dimenticato.

Andrea Muratore
16 marzo 2020
it.insideover.com/economia/varoufakis-tira-dritto-e-pubblica-gli-eurolekas.html?utm_source=ilGiornale&utm_medium=article&utm_campaign=article_...
15/01/2021 14:59
 
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Olanda, scandalo welfare: governo Rutte si dimette

Il governo olandese guidato dal Primo Ministro Mark Rutte ha rassegnato le dimissioni. E’ quanto si apprende dalla stampa olandese al termine del Consiglio dei Ministri oggi nei Paesi Bassi. La decisione è stata presa dopo l’emergere di uno scandalo relativo al perseguimento ingiusto di migliaia di persone per frodi nel ramo del welfare. Le dimissioni del governo dell’Aia arrivano ad appena due mesi prima delle elezioni generali previste a marzo. L’ufficio delle imposte olandese ha accusato migliaia di famiglie di aver chiesto in modo fraudolento dei pagamenti per l’assistenza ai minori tra il 2013 e il 2019. Successivamente l’ufficio ha chiesto rimborsi per decine di migliaia di euro, portando molte famiglie alla rovina finanziaria e, in alcuni casi, al divorzio. Un rapporto parlamentare ha definito “un’ingiustizia senza precedenti” il recupero di decine di migliaia di euro senza dare agli accusati la possibilità di provare la propria innocenza. Il Premier dimissionario Rutte, che è stato Primo Ministro dal 2010, ha definito l’episodio “vergognoso”. La crisi di governo si è innescata anche dopo che il leader del partito laburista, all’opposizione, Lodewijk Asscher, si è dimesso nei giorni scorsi. Asscher, che non parteciperà più alle elezioni parlamentari del 17 marzo, è stato Ministro degli Affari Sociali dal 2012 al 2017. “Non sapevo che l’ufficio delle imposte stesse ingiustamente dando la caccia a migliaia di famiglie”, ha detto Asscher, un veterano della politica olandese, presentando le sue dimissioni.

15 gennaio 2021
www.imolaoggi.it/2021/01/15/olanda-scandalo-walfare-governo-rutte-si-...
27/02/2021 17:47
 
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L'Unione Europea è ufficialmente morta: stanno provando a nasconderlo, ma le prove sono schiaccianti

29/03/2021 21:18
 
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Si inceppa il meccanismo del “Recovery Fund”. Karlsruhe passa all’offensiva

La Corte Costituzionale tedesca ha deciso di sospendere la ratifica del piano di ripresa europeo che doveva suggellare la ritrovata solidarietà degli Stati membri della zona euro. È stato inoltre piuttosto sorprendente che, dopo aver più volte allertato le autorità europee del mancato rispetto delle azioni intraprese dalla BCE rispetto alle modalità definite nei vari trattati europei, il Tribunale di Karlsruhe non si sia manifestato in anticipo. Questo programma di stimolo, sostenuto dalla BCE per un importo di 750 miliardi di euro, ha lo scopo di aiutare i Paesi che hanno visto la loro situazione finanziaria deteriorata dalla crisi Covid. Poiché la BCE può creare denaro solo sui debiti, sono quindi gli Stati membri che prendono in prestito denaro dai mercati finanziari privati. Fino ad ora, un certo numero di Paesi, compresa la Germania, aveva costantemente rifiutato l’idea di unire i debiti pubblici. Erano considerati “tirapiedi”, quando semplicemente non volevano pagare per gli altri, considerati troppo “costosi”. Vista l’ampiezza della crisi, Emmanuel Macron credeva di avere un’opportunità per spingere le sue idee, soprattutto a favore della creazione di un’Europa federale. Il rapido ed enorme aumento del debito francese, dovuto al generale confinamento sul territorio, che potrebbe indebolire la Francia e forse anche la zona euro, non ha potuto lasciare insensibile il cancelliere tedesco. Questi ha accettato senza eccessivo entusiasmo il piano della BCE promosso da Emmanuel Macron. Ma la parte più difficile restava da fare: convincere gli altri Paesi “dissidenti” dei meriti di questo piano di ripresa, che prevedeva la mutualizzazione dei debiti degli Stati. I negoziati sono iniziati in seno al Consiglio d’Europa e sono stati lunghi e difficili. Tuttavia, il 20 luglio 2020 era stato raggiunto un accordo e, per la prima volta, gli Stati hanno deciso di prendere in prestito collettivamente delegando le modalità alla Commissione Europea. Per entrare in vigore, questo piano di ricostituzione deve tuttavia essere ratificato da ciascuno degli Stati membri. Il testo, essendo stato approvato dai parlamentari europei il 12 febbraio 2021, ora è necessario farlo ratificare dai Capi di Stato. Ed è qui che interviene la Corte Costituzionale tedesca, sospendendo il processo a causa di "un ricorso contro questo meccanismo basato su un debito comune".

L’organo supremo “ha deciso che il testo di legge” su questo piano, che era stato appena approvato dai parlamentari, non doveva essere siglato dal Capo dello Stato, in attesa di una decisione su questa azione sommaria, secondo un comunicato della Corte". Vero “rombo di tuono” nel Landerneau di Bruxelles, questa domanda di provvedimenti provvisori riguarda proprio l’incostituzionalità del cumulo dei debiti pubblici. I ricorrenti ritengono che la costituzione tedesca non consenta alla Germania di condividere il proprio debito con altri Stati, citando una sorta di trasferimento finanziario da Paesi “virtuosi” a quelli considerati “spendaccioni” (Italia, Spagna, Grecia in testa). Inoltre si ripresenta il problema del finanziamento dei disavanzi pubblici da parte della BCE, vietato dall’articolo 123 del Trattato di Lisbona:“Alla Banca Centrale Europea e alle banche centrali degli Stati membri, in appresso denominate ‘banche centrali nazionali’, è vietato concedere scoperti di conto o qualsiasi altro tipo di credito alle istituzioni, agli organi, agli uffici o alle agenzie dell’Unione, alle amministrazioni, alle autorità regionali o locali, ad altre autorità pubbliche e ad altri enti pubblici o imprese degli Stati membri; è altresì vietata l’acquisizione diretta, da parte loro, da parte della Banca Centrale Europea o delle banche centrali nazionali dei propri strumenti di debito”. Stiamo quindi affrontando momenti cruciali che l’Unione Europea si appresta a vivere? Questo è più che probabile, perché la crisi Covid ha agito come un vero rivelatore di quale sia la realtà dell’Unione Europea. La concorrenza tra Stati e la sfiducia reciproca hanno assunto proporzioni allarmanti. Inoltre, le già notevoli disparità economiche sono state amplificate dalla crisi sanitaria, che rischia di essere prolungata da una crisi sociale senza precedenti. Il gioco di Emmanuel Macron, che voleva essere il paladino dell’integrazione europea, può rivoltarsi contro di lui e contro Angela Merkel. La differenza tra i due è che la signora Merkel ha intenzione di lasciare presto la scena politica e che la signora non condivide necessariamente questo piano…

Nota di Luciano Lago
Erano tutti così sicuri che Bruxelles sarebbe intervenuta inviando soldi a pioggia agli Stati europei in difficoltà, Italia in primis. La campagna dei filo europeisti era di grande entusiasmo per la “generosità” dell’eurocrazia di Bruxelles. Tutti plaudivano all’Europa che ci avrebbe salvato dai debiti e dalla crisi. La realtà si dimostra diversa. Adesso si scopre che avevano fatto i conti senza l’oste e l’oste in questo caso è la Corte Costituzionale Tedesca, che mette il veto all’idea che la Germania debba condividere il debito con i Paesi del sud Europa. Chi lo andrà a raccontare adesso agli italiani (famiglie e imprese) che si cullavano sull’idea dei fondi europei che avrebbero dovuto risollevare l’economia del belpaese?

Jean Goychman
29 marzo 2021
Fonte: www.minurne.org/billets/26510utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=cour-de-k...

Traduzione: Gerard Trousson
www.controinformazione.info/si-inceppa-il-meccanismo-del-recovery-fund-karlsruhe-passa-allof...
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