'Ndrangheta e massoneria: svelati i segreti delle logge reggine

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wheaton80
00martedì 5 gennaio 2016 18:20

Cosimo Virgiglio ha ricominciato a parlare. Recuperato dal PM Giuseppe Lombardo dall'oblio cui un controverso percorso di collaborazione lo aveva relegato, oggi l'imprenditore del porto di Gioia Tauro che con le sue dichiarazioni ha svelato dettagli importanti sulla storica rottura fra il clan Piromalli e i Molè, sta fornendo nuove importanti informazioni ai magistrati. E non solo sulle cosche della Piana. Virgiglio sta parlando di quel mondo di mezzo in cui la 'ndrangheta si mischia con la massoneria e la grande impresa, per diventare un'unica cosa. Un mondo che Cosimo Virgiglio conosce bene.

L'Affare Villa Vecchia
È in quel limbo che ha trattato l'acquisto della struttura alberghiera Villa Vecchia di Frascati, desiderio del boss Rocco Molè, sopravvissuto anche al suo omicidio. Ma per gestire quell'affare, Virgiglio ha dovuto e potuto – probabilmente in virtù di legami e appartenenze precedenti a quella trattativa – misurarsi con partner in affari del calibro di Angelo Boccardelli, segretario dell'ex ambasciatore di San Marino Giacomo Maria Ugolini, Gran Maestro della loggia del Titano, Giuseppe Fortebracci e il Comandante Giorgio Hugo Balestrieri, fino al 1981 ufficiale della Marina Militare statunitense, quindi uomo dei Servizi a stelle e strisce, piduista e appartenente – secondo il faccendiere Elio Ciolini – alla loggia riservata "Montecarlo". Per i magistrati della DDA reggina, Balestrieri è soprattutto uno dei principali terminali imprenditoriali e finanziari di cui la cosca Molè nel tempo si sarebbe servita per riciclare e investire gli enormi proventi del porto di Gioia Tauro, per questo è stato arrestato dopo una lunga latitanza e oggi è sotto processo di fronte ai giudici del Tribunale di Palmi. In quel giudizio, le dichiarazioni di Virgiglio avranno il loro peso, ma quei verbali non sembrano essere per nulla esaustivi delle conoscenze che l'imprenditore ha del mondo delle logge.

C'è una loggia segreta a Reggio Calabria
A svelarlo è un recente interrogatorio messo agli atti del procedimento ‘Il Padrino’, pesantemente omissato, ma da cui si comprende non solo quanto il collaboratore possa essere utile alla DDA, ma soprattutto quanto possa essere pericoloso per quella componente "riservata" che ha permesso all'élite delle 'ndrine reggine di divenire e conservarsi come tali. Ampi tratti bianchi coprono gran parte delle dichiarazioni del collaboratore, ma qualcosa – di estremamente rilevante – emerge. A più di due decadi dall'inchiesta "Mani segrete" dei procuratori Agostino Cordova e Francesco Neri, si torna a parlare di logge coperte in Calabria. E oggi come allora, i "fratelli" sembrano stringersi la mano nel saluto massonico all'ombra della 'ndrangheta. Cosimo Virgiglio è chiaro: a Reggio Calabria c'era almeno una loggia coperta, di cui lui faceva parte, che si riuniva regolarmente «e si estendeva fino a Valanidi». All'interno – spiega il pentito ai PM Giuseppe Lombardo e Francesco Curcio – non erano ammessi solo notabili e professionisti. Al contrario, i signori della Reggio bene autorizzati a vestire il grembiule erano indicati dai clan. Fra gli "sponsorizzati" – spiega il collaboratore – c'era «un certo Pellicano, che era a Polistena, che faceva il medico, in un laboratorio», per poi specificare «non un certo, proprio Ciccio Pellicano». «Lui – aggiunge ancora - «lavorava a Polistena come... nel laboratorio, in uno dei laboratori dell'ospedale di Polistena».

Confratelli ‘ndranghetisti
Attualmente imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, Pellicano – rivela il pentito – sarebbe stato ammesso nella loggia da Giovanni Zumbo, personaggio di peso in quel contesto mafioso –massonico, «poi scomparso dallo scenario credo perché era stato raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare». Non si tratta – chiarisce subito Virgiglio – del commercialista ed ex antenna dei Servizi, pizzicato a sussurrare fondamentali dettagli di indagini in corso al boss Pelle e per questo condannato a oltre 11 anni di carcere, ma di «Giovanni Zumbo di Croce Valanidi che rappresentava la famiglia di Villa San Giovanni, la famiglia di 'ndrangheta di Villa San Giovanni, i Latella, lui all'epoca aveva preso la distribuzione, mi sembra, della Parmalat, era un omonimo, va bene? E questo Gianni Zumbo aveva pure dei collegamenti su Rosarno».

Da Rosarno ai Labate
Oggi come vent'anni fa, l'ombra dei grembiuli sembra legare in maniera indissolubile Reggio alla Piana, la 'ndrangheta della città a quella cresciuta all'ombra del porto, grazie anche a personaggi che per vocazione e sangue fanno da ambasciatore e raccordo. Zumbo – sembra avere quasi ansia di spiegare il pentito – era cugino dei Lo Giudice di Rosarno, i quali «nulla hanno a che vedere con il Lo Giudice attualmente collaboratore», ma «avevano Rosarno, che poi era "Candile" come Comune». Una famiglia di origine reggina quella dei Lo Giudice, che poteva vantare fra le proprie parentele anche un legame con il boss Pietro Labate, il quale – sottolinea Virgiglio – «faceva parte di questo contesto riservato».

Obiettivo Rosmini
Una parola già in passato utilizzata da più di un pentito per indicare quel mondo in cui le 'ndrine si mischiano con le logge per diventare un'unica cosa. Un mondo che – per quanto allo Stato sia dato sapere - non si esaurisce con il boss Labate.«Parlavano – dice il collaboratore - di un... diciamo... un interesse… c'era in un certo "Deco", - inc. -, poi sicuramente credo che sia Diego Rosmini… che il coso qui, il... all'epoca Francica voleva "assolutissimamente" avvicinare per un supporto politico nel reggino». Un riferimento assolutamente non neutrale. Non è infatti la prima volta che i Rosmini vengono collegati alla politica, o meglio a un preciso contesto e referente politico.

L'ombra di Matacena?

È verità giudiziaria definitiva che l'ex deputato di Forza Italia Amedeo Matacena sia stato per lungo tempo il rappresentante politico dei Rosmini, tanto da potersi permettere di respingere al mittente le loro richieste estorsive. A rivelarlo è stato il pentito Umberto Munaò, che ai magistrati ha spiegato:«Matacena non intendeva pagare la quota cioé il cinque per cento che avevamo chiesto, perché dice:"Io sono amico vostro, e soldi non ve ne do". Ricordo che c'è stata una discussione in merito, perché da parte di Rosmini c'era l'interesse a non insistere, per il pagamento di Matacena, in quanto una volta incontratomi con Totò Rosmini, che era anche latitante, dice:"Non possiamo insistere, perché a noi ci ha sempre favorito, a noi ci favorisce, ci aiuta se abbiamo bisogno, non possiamo forzarlo a darci i soldi", dice:"Cerchiamo di farli uscire in un modo diverso", anche perché comunque alla parte avversa dovevamo dare conto di quella che era nel totale, la percentuale. Quindi o la tiravamo fuori noi dalle nostre tasche, o la facevamo uscire dai vari lavori che erano cemento, ferro, e roba varia, no?».

Stabile interfaccia
Dichiarazioni che la Cassazione ha preso sul serio, se è vero che, nel condannare in via definitiva Matacena per concorso esterno, ha sottolineato:«Quel potere (evento assolutamente inconsueto fra estorto ed estortore) che il Matacena dimostra di avere, tanto da poter paralizzare la richiesta di pagamento, con una sorta (mutuando il termine dalla contrattualistica) di "eccezione di compensazione": avendo egli già favorito l'associazione, aveva già tributato ad essa quanto dovuto e poteva pretendere di essere esonerato dal pagamento della tangente». Un ruolo forse limitato alla luce dei nuovi elementi di indagine emersi nell'ambito dell'inchiesta Breakfast, in base ai quali Matacena non sembra essere il referente di un unico clan ma «stabile interfaccia della 'ndrangheta, nel processo di espansione dell'organizzazione criminale, a favore di ambiti decisionali di altissimo livello», ma che già da solo potrebbe spiegare come mai ci fosse tanto interesse ad agganciare Diego Rosmini.

L'ordine del Gran Maestro
«A dare l'ordine - riesce a poi a chiarire il pentito rispondendo alle domande puntuali dei PM - è il maestro della loggia Francica di Vibo Valentia, il quale – sostiene Virgiglio - voleva sguinzagliare i miei apprendisti e io questo non glielo permisi, ho detto io: i miei apprendisti onestamente li devi tenere fuori dalle... devianze… Almeno fin quando mi è possibile». Cosa gli "apprendisti" di Virgiglio dovessero fare o quali "devianti" sentieri dovessero perseguire non è dato – al momento – sapere. Ma di certo molti, forse anche noti e autorevoli riservati iniziano a tremare. E probabilmente non solo a Reggio Calabria.

Devianze
Fin dai primi anni Novanta, i primi e fra i più importanti pentiti della storia del contrasto giudiziario alla 'ndrangheta, Giacomo Ubaldo Lauro e Filippo Barrecca, hanno parlato del ruolo delle logge nell'evoluzione della 'ndrangheta e del progetto cui hanno fatto da incubatrice. «Tutto avvenne – ha raccontato Lauro – in coincidenza con l'arrivo a Reggio dell'estremista di destra Franco Freda. Gli organizzatori della loggia furono lui e Romeo. Un'altra loggia con le stesse caratteristiche era stata costituita nello stesso periodo a Catania. L'obiettivo era comune: un progetto eversivo di carattere nazionale che doveva essere la prosecuzione di quello iniziato negli anni Settanta con i moti per Reggio capoluogo. Anche quello prendeva le mosse dalla stessa città e avrebbe dovuto investire tutta Italia». Di quella loggia – ha affermato in più contesti Lauro – facevano parte i capi della 'ndrangheta dell'epoca - i De Stefano, Peppino Piromalli, Antonio Nirta - e neofasciti ed estremisti di destra ben noti in città anche per il ruolo avuto durante i cosiddetti Moti di Reggio, come Paolo Romeo (ex deputato PSDI condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, n.d.r.), Giovanni Criseo, poi ucciso, Benito Sembianza, Felice Genoese Zerbi.

Volti alle ombre
Circostanze confermate da Barreca, che ai magistrati ha rivelato:«in Calabria esisteva sin dal 1979 una loggia massonica coperta a cui appartenevano professionisti, rappresentanti delle istituzioni, politici e, come detto, 'ndranghetisti. Questa loggia aveva legami strettissimi con la mafia di Palermo, a cui doveva render conto. Una struttura di fatto costituita da personaggi eccellenti con la salda intesa di una mutua assistenza esisteva già da prima, e Freda si limitò a formalizzarla nel contesto di quel più ampio progetto nazionale che alla realtà reggina improvvisamente attribuì un ruolo di ben più ampio significato e spessore». Un gruppo di potere sopravvissuto anche all'arresto del suo fondatore e che, secondo il pentito, avrebbe continuato a operare «sotto la direzione di Paolo De Stefano, del cugino Giorgio e dell'avvocato Paolo Romeo; questi, nella qualità di esponenti di primo piano della 'ndrangheta in stretto collegamento con i vertici di tutte le istituzioni del capoluogo reggino. Cosa Nostra era rappresentata nella loggia da Stefano Bontade». Circostanze confermate da diversi pentiti siciliani e finite al centro di diverse inchieste che oggi – forse – grazie a Cosimo Virgiglio potrebbero rivivere di nuova linfa e dare nome e volto a troppe e troppo antiche ombre.

Alessia Candito
03 Gennaio 2016
www.corrieredellacalabria.it/index.php/cronaca/item/41697-ndrangheta-e-massoneria-svelati-i-segreti-delle-logge...
wheaton80
00sabato 4 marzo 2017 03:03
Mafia e massoneria: le contiguità negli elenchi delle logge

Il Servizio Centrale di Investigazione sulla Criminalità Organizzata (SCICO), un reparto speciale della Guardia di Finanza, sta sequestrando gli elenchi degli affiliati dal 1990 alle logge massoniche di Sicilia e Calabria, dietro richiesta della Commissione Parlamentare Antimafia. Sono le obbedienze tradizionali ad essere nel mirino:“Grande Oriente d'Italia”, “Gran Loggia Regolare d'Italia”, “Serenissima Gran Loggia d'Italia”, “Gran Loggia d'Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori”. Il vicepresidente della Commissione Parlamentare Claudio Fava ha spiegato che si è trattato di un atto dovuto in seguito alle inchieste di due magistrati, Teresa Principato in Sicilia e Nicola Gratteri in Calabria, sentiti in audizione in Commissione, sulle collusioni tra Mafia, ‘ndrangheta e massoneria. L’ordinanza si è resa obbligatoria dopo che i Gran maestri delle quattro logge in questione si sono rifiutati di consegnare gli elenchi, adducendo i tradizionali vincoli di riservatezza.

L’archivio segreto di Riina
Al centro dell’inchiesta del Procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato vi è la rete di collusioni e amicizie nei posti chiave della società siciliana che consente da 24 anni la latitanza dell’erede di Totò Riina, Matteo Messina Denaro, chiamato con vari sopranomi: “Primula rossa di Castelvetrano” o “Diabolik”. In questi anni pressoché tutte le forze investigative, dalla DIA alla polizia, dai carabinieri ai finanzieri, sono alla ricerca del latitante. Sono stati intercettati molti dei suoi fedelissimi e attivato il sequestro di beni, ma sembra che il boss sia inafferrabile grazie alle sue coperture "altolocate”, come le ha definite la dottoressa Principato, durante una seduta della Commissione Antimafia. Dagli elementi emersi nella sua inchiesta sembra che Matteo Messina Denaro viva in Sud America sotto falsa identità. Questa pista investigativa è stata aperta dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia agrigentino Giuseppe Tuzzolino. Il punto di snodo di questa vicenda è rappresentato dalle dichiarazioni di altri pentiti, secondo cui il boss di Castelvetrano terrebbe sotto scacco molti “personaggi di alto livello” poiché in possesso dell’archivio segreto di Totò Riina.

La vera classe dirigente
E’ di qualche giorno fa l’audizione in Commissione Antimafia del Procuratore Capo di Catanzaro Nicola Gratteri, in cui spiega che attraverso l’organizzazione segreta “Santa” si sia creato in Calabria il luogo d’incontro tra ‘ndranghetisti e massoni. Vari collaboratori di giustizia hanno sottolineato come dentro questo organismo criminale sia stata conclamata la doppia affiliazione. In varie occasioni del resto il coraggioso magistrato calabro ha spiegato come sia stato ridefinito il rapporto tra ‘ndrangheta, politica e anche pezzi della magistratura, proprio attraverso la massoneria, tanto da poter definire l’organizzazione mafiosa calabra come vera e propria “classe dirigente”. Se si considera che essa riesce a muovere il 20 per cento dei consensi elettorali, anche in questo caso si è ribaltato un antico principio: oggi, a differenza del passato, è il politico ad andare direttamente dal mafioso a fare richieste precise. Non si tratta più, come spiega Gratteri, di assegnare questo o quell’appalto, ma di decidere direttamente cosa fare o non fare.

Marco Marano
2 marzo 2017
it.blastingnews.com/cronaca/2017/03/mafia-e-massoneria-le-contiguita-negli-elenchi-delle-logge-001514941.html?sbdht=_pM1QUzk3wsfSB1Mw_O-CYZbGb7SuImkbt4lE0g2urrpTOYoe...
wheaton80
00sabato 15 aprile 2017 16:54
Gratteri all’Antimafia:“Magistrati in logge deviate”. Vibo provincia con più massoni

In Commissione Antimafia il Procuratore Capo di Catanzaro Nicola Gratteri ha ribadito un concetto già espresso al giornalista Riccardo Iacona e andato in onda su Rai 3 nel mese di gennaio. “C’è un rapporto tra massoneria deviata e ‘ndrangheta ancora oggi, anzi forse è ancora più stringente, in termini numerici, di prima”.

Quanti massoni a Vibo
La provincia con più alta densità massonica d’Italia è quella di Vibo secondo Gratteri, spiegando che “con la nascita dell’organizzazione segreta “Santa”, dal 1970 “c’erano anche magistrati che partecipavano alle riunioni” delle logge massoniche con gli ‘ndranghetisti, “per questo la ‘ndrangheta ha sempre cercato punti di contatto e ucciso solo quando necessario. Attraverso la Santa è stata regolamentata la doppia affiliazione, fra ‘ndrangheta e massoneria deviata: ce lo hanno raccontato diversi collaboratori”. Nel mese di gennaio, alla domanda formulata da Iacona sul livello di pericolosità della ‘ndrangheta nelle province di Catanzaro, di Cosenza, di Crotone e Vibo Valentia, il magistrato aveva risposto:“Il nostro lavoro è quello di fare indagini a tutto tondo. Il senso della paura e del limite l’ho vinto da tanti anni.

I meccanismi del potere
“Con la morte ci ho discusso trent’anni fa. Bisogna ragionare con la paura, bisogna controllare la paura, non farsi prendere dal panico. Penso di poter fare tante cose importanti, tante cose belle, con l’aiuto dei miei ragazzi, dei miei colleghi, che sono meravigliosi”. Gratteri ha riferito dei meccanismi veri del potere, delle camere “non istituzionali”, camere che non sono trasparenti, in cui si decidono le cose. Traccia un racconto dell’ingresso massiccio della ‘ndrangheta dentro la massoneria. “La ‘ndrangheta ha potuto fare il grande salto di qualità perché è in contatto con medici, ingegneri, avvocati, professionisti. In alcune logge massoniche deviate – prosegue Gratteri – c’erano tre incappucciati, e tra questi, ci dice un collaboratore di giustizia, anche dei magistrati. Questo grande salto di qualità ha consentito alla ‘ndrangheta di entrare nella stanza dei bottoni: l’obiettivo non è più solo vincere l’appalto ma indicare se l’opera deve essere costruita e dove deve essere costruita. La politica è debole e così la ‘ndrangheta è diventata classe dirigente”.

22 febbraio 2017
www.zoom24.it/2017/02/22/gratteri-antimafia-massoneria-vib...
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00domenica 22 dicembre 2019 02:09
‘Ndrangheta, 334 arresti dal Nord al Sud, politici, massoni e carabinieri

“E’ la più grande operazione dopo il maxi processo di Palermo”. Così il Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri sintetizza l’operazione che ha portato a 334 arresti, tra i quali politici, avvocati, commercialisti e massoni in un’operazione che “ha interessato tutte le regioni d’Italia, dalle Alpi alla Sicilia”. L’imponente operazione, frutto di indagini durate anni, oltre alla Calabria interessa varie regioni d’Italia dove la ‘ndrangheta vibonese si è ramificata: Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Puglia, Campania, Basilicata e Sicilia.

"Tra gli arrestati, politici, professionisti, massoni e carabinieri"
Tra gli arrestati politici, avvocati, commercialisti, funzionari infedeli dello Stato, massoni e persino carabinieri. Oltre all’ex parlamentare di Forza Italia, l’avvocato Giancarlo Pittelli, accusato di associazione mafiosa, tra gli arrestati ci sono anche il sindaco di Pizzo e Presidente di ANCI Calabria Gianluca Callipo (ex PD ora vicino a FI), l’ex consigliere regionale dem Pietro Giamborino (ai domiciliari) e il Segretario del PSI calabrese Luigi Incarnato (domiciliari). Il GIP ha imposto il divieto di dimora in Calabria per l’ex parlamentare ed ex assessore regionale del PD Nicola Adamo, indagato per traffico di influenze. Tra gli arrestati c’è anche l’ex comandante del reparto operativo dei carabinieri di Catanzaro Giorgio Naselli, adesso comandante provinciale a Teramo.

"Il ruolo di Pittelli nell’organizzazione"
L’avvocato Giancarlo Pittelli, ex parlamentare di FI, “avrebbe messo sistematicamente a disposizione dei criminali il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale, del mondo imprenditoriale e delle professioni, anche per acquisire informazioni coperte dal segreto d’ufficio e per garantirne lo sviluppo nel settore imprenditoriale”. Dalle indagini sarebbero emersi anche i rapporti diretti tra Pittelli, iscritto alla massoneria nel Grande Oriente d’Italia, e Luigi Mancuso, uno dei boss dell’omonima cosca. Tra gli arrestati c’è anche Pietro Giamborino, ex consigliere regionale del PD, ritenuto “formalmente affiliato alla locale di Piscopio”: avrebbe intessuto legami con alcuni dei più importanti appartenenti alla ‘ndrangheta vibonese per garantirsi voti e appoggi necessari alla sua ascesa politica, divenendo, di fatto, “uno stabile collegamento dell’associazione con la politica calabrese, funzionale alla concessione illecita di appalti pubblici e di posti di lavoro per affiliati o soggetti comunque contigui alla consorteria”.

"Gianluca Callipo dal PD a Forza Italia"
Il sindaco di Pizzo, Gianluca Callipo, eletto con il PD ma poi uscito dal PD e avvicinatosi al sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, di FI, al quale ha espresso il suo sostegno alla candidatura alle prossime regionali, secondo l’accusa, grazie al suo ruolo politico ed amministrativo, avrebbe tenuto condotte amministrative illecite e favorevoli alle cosche, garantendo ad alcuni indagati benefici nella gestione di attività imprenditoriali. Tra gli arrestati figurano anche Filippo Nesci, Comandante della Polizia Municipale di Vibo Valentia, ritenuto responsabile di episodi di corruzione in favore di esponenti dell’associazione, ed Enrico Caria, all’epoca dei fatti Comandante della Polizia locale di Pizzo che, in concorso con Callipo, avrebbe agito nell’interesse dei Mazzotta, egemoni sul territorio, adottando condotte perlopiù omissive.

"Arresti anche in Germania, Svizzera e Bulgaria"
Alcuni indagati sono stati localizzati e arrestati in Germania, Svizzera e Bulgaria in collaborazione con le locali forze di Polizia e in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria di Catanzaro. “Abbiamo”, ha aggiunto, “completamente disarticolato le cosche della provincia di Vibo: nell’ordinanza ci sono 250 pagine di capi di imputazione. E’ stato un grande lavoro di squadra fatto dai Carabinieri del ROs centrale, di quello di Catanzaro, e del Comando Provinciale di Vibo Valentia. Alla fase esecutiva dell’operazione hanno preso parte tremila militari con tutte le specialità, dal GIS al Tuscania ai Cacciatori, tutte le sezioni ROS d’Italia e tutti i Carabinieri della Calabria”. Complessivamente sono 416 gli indagati facenti capo alla cosca Mancuso di Limbadi e accusati a vario titolo di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio e altri reati aggravati dalle modalità mafiose. I Carabinieri hanno inoltre sequestrato beni per quindici milioni di euro. Solo pochi giorni fa, il neoprocuratore di Vibo che si è insediato ieri, Camillo Falvo, salutando i colleghi della Procura di Catanzaro, dove per la DDA seguiva l’area di Vibo, aveva detto “ora o mai più”. “Se era un riferimento a oggi? Anche”, ha detto Gratteri.

19 dicembre 2019
qds.it/ndrangheta-334-arresti-dal-nord-al-sud-politici-massoni-e-carabinieri/?re...
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00venerdì 16 aprile 2021 23:18
Tremano i potenti: si pente Nicolino Grande Aracri, il boss calabro-emiliano inserito nella massoneria

Si tratta di uno dei capi più carismatici della ‘ndrangheta. Ora, però, ha deciso di “cantare”. Nicolino Grande Aracri, boss della cosca di Cutro (in provincia di Crotone), ma da anni “padrone” dell’Emilia Romagna, da circa un mese collabora con la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, retta da Nicola Gratteri. Difficile calcolare la quantità sterminata e la portata delle informazioni che Grande Aracri potrebbe ora riversare agli inquirenti.

Uno dei capi della ‘ndrangheta
Non solo sull’ala militare della ‘ndrangheta, considerata ormai unanimemente l’organizzazione criminale più ricca e pervasiva. Grande Aracri, infatti, è conosciuto per le sue importanti entrature nell’economia, nella politica, ma anche nella magistratura e persino in Vaticano. Detto “Il Professore” o “Mano di gomma”, Grande Aracri, dalla periferica Cutro aveva, già dagli anni ’80, spostato il proprio raggio d’azione al nord, in Lombardia, ma soprattutto in Emilia Romagna. Per lui la svolta arriva con la carcerazione di Antonio e Raffaele Dragone, i boss crotonesi a cui era inizialmente legato. La scissione con il clan Dragone comincia a maturare nei primi anni '90, mentre il vecchio boss è confinato al nord Italia, fino a sfociare in una vera e propria faida, che raggiunge il culmine quando, nel 1999, viene assassinato a Cutro Raffaele Dragone, figlio dell'anziano capobastone. Da quel momento, inizia una lunghissima scia di sangue, che coinvolge non solo la Calabria, ma anche l'Emilia Romagna. E Nicolino Grande Aracri raggiunge la notorietà, anche nazionale, proprio con il coinvolgimento nel maxiprocesso "Aemilia", che ha svelato come l'Emilia Romagna sia stata pesantemente colonizzata dalla 'ndrangheta, capace di incidere nella vita economica, politica e sociale della regione. Ed è inquietante la fitta rete di relazioni che emerge dall’inchiesta “Aemilia”. Non c’è settore economico o ambiente di potere che Grande Aracri e i suoi uomini non siano riusciti a infiltrare e condizionare. Con metodi non più da ala militare, ma da ‘ndrangheta imprenditoriale, che usa la propria forza economica per corrompere i funzionari pubblici e per strozzare le imprese, soprattutto nel settore edile, con un’asfissiante rete di usura ed estorsioni.

Le alleanze con “colletti bianchi” e massoneria
Quando, nel gennaio 2015, i Carabinieri arrestano in Emilia Romagna il boss Nicolino Grande Aracri, nel corso di una perquisizione domiciliare rinvengono anche una spada simbolo dei Cavalieri di Malta. L'inchiesta Aemilia mostra ulteriormente, in tutta la sua ampiezza, la capacità della 'ndrangheta non solo di penetrare tutti i territori, ma anche di entrare in stanze apparentemente inaccessibili. Da Cutro, paese in provincia di Crotone, Grande Aracri infatti avrebbe costruito un impero in Emilia Romagna, ma si sarebbe mosso in ambienti impensabili, se non si considera la 'ndrangheta come l'organizzazione criminale più potente d'Italia e tra le più potenti in Europa e al mondo. Le ingerenze di Grande Aracri, infatti, sono da registrare negli ambienti massonici, ma anche in Vaticano e fino alla Corte di Cassazione. Un'inchiesta mastodontica, quella che svela gli affari della 'ndrangheta crotonese in Emilia Romagna, con cui gli inquirenti scoprono lucrose operazioni finanziarie e bancarie che alcuni soggetti avrebbero messo in atto per conto di Grande Aracri, ponendosi come intermediari tra questi e altri soggetti estranei all'associazione al fine di consentire l'avvicinamento a settori istituzionali anche per il tramite di ordini massonici e cavalierati. Ancora una volta la 'ndrangheta si mostra per quella che è: non solo una banda armata, ma un'organizzazione che ha come proprio principale scopo quello di tessere relazioni sociali e istituzionali al fine di arricchirsi e condizionare i territori su cui opera. Come emerge dalle intercettazioni agli atti dell'inchiesta Kyterion, Grande Aracri sarebbe stato molto ben inserito in ambienti massonici, ottenendo anche l'investitura a Cavaliere.

È lo stesso boss originario di Cutro a confermarlo in una conversazione captata:"Io ho avuto la fortuna di capire certe cose... sia dei Templari... sia dei Cavalieri Crociati... di Malta... la Massoneria di Genova...". Sono gli stessi soggetti intercettati nell'inchiesta a dar peso al legame tra massoneria e criminalità organizzata:"E lì ci sono proprio sia ad alti livelli istituzionali e sia ad alti livelli di 'ndrangheta pure". Il meccanismo è quello che nasce con la Santa. Grazie alla massoneria, alcuni soggetti, pur se non affiliati alla 'ndrangheta, sono in grado di assicurare al sodalizio entrature nelle sedi istituzionali più disparate, come quelle della Chiesa e della magistratura, per garantire, è scritto negli atti processuali, "pressioni e capacità di intervento circa le vicende processuali degli affiliati". Grande Aracri avrebbe cercato di aggiustare un processo a Roma per far annullare la decisione del Tribunale del Riesame di Catanzaro, che aveva confermato l'arresto del cognato. Quella sentenza fu effettivamente annullata con rinvio dalla Cassazione, ma gli inquirenti non riusciranno ad accertare il coinvolgimento di un magistrato. Sempre per aiutare il cognato, Grande Aracri avrebbe speso (senza successo, tuttavia) anche le proprie amicizie in Vaticano. L'obiettivo è spostare il parente detenuto dal carcere di Sulmona a quello di Siano, a Catanzaro, in modo tale che fosse più vicino ai familiari: la provincia crotonese, infatti, non dista molti chilometri dal capoluogo di regione. Tramite un'amica giornalista, Grande Aracri prova a intervenire in Vaticano. La donna, infatti, è in stretto contatto con un monsignore, nunzio apostolico e, nel 1995, "cappellano di sua Santità". Un prelato che sarebbe capace di smuovere cardinali e non solo. "Il nostro piccolo Giovanni tra una settimana starà vicino casa sua", dice la donna dopo l'incontro, avvenuto in Vaticano. Il monsignore manda anche i saluti alla moglie del detenuto:"Ha detto che è stata generosa e splendida. Gli ha lasciato 500 euro che lui ha preso volentieri per i suoi poveri".

Tremano i potenti
Il 19 luglio 2018 la Corte d'Assise d'Appello di Catanzaro ha condannato Nicolino Grande Aracri ed il fratello Ernesto entrambi all'ergastolo. Sentenza divenuta definitiva nel giugno del 2019, per l'omicidio del vecchio capobastone di Cutro, Antonio Dragone, avvenuto nel 2004 nelle campagne del Crotonese, del quale Nicolino Grande Aracri era stato il braccio destro. Un punto fermo su una storia criminale lunga diversi lustri, che potrebbe aver inciso sulla scelta dell’uomo di collaborare con la giustizia. Per questo, la collaborazione di Grande Aracri scuote il mondo criminale, non solo calabrese. Come ha testimoniato anche l’inchiesta di ieri della Procura di Firenze sulle ingerenze della ‘ndrangheta in Toscana, l’organizzazione mafiosa estende ormai i suoi tentacoli sull’intero Paese. Nell’inchiesta “Aemilia”, i legami con Grande Aracri trascinarono via imprenditori, professionisti e politici. Il “pentimento” di Nicolino Grande Aracri, quindi, può essere equiparato a quello, storico, di Tommaso Buscetta, che aprì le porte di Cosa Nostra al giudice Giovanni Falcone. E per la ‘ndrangheta, da sempre organizzazione chiusa ermeticamente e salvaguardata dai vincoli familiari, potrebbe essere uno spartiacque essere colpita, forse per la prima volta, dalla collaborazione di uno dei suoi capi più influenti. Insomma, le dichiarazioni di Grande Aracri potrebbero essere utili non solo ai magistrati calabresi, ma a quelli di mezza Italia, per la capacità dell’uomo di muoversi in ambienti occulti, quali la massoneria, dove ha intessuto rapporti con il mondo istituzionale e paraistituzionale.

Claudio Cordova
16 aprile 2021
notizie.tiscali.it/cronaca/articoli/Tremano-potenti-pentito-nicolino-grande...
wheaton80
00lunedì 6 febbraio 2023 20:18
L’ex magistrata:«Vi spiego perché la massoneria ha protetto la latitanza di Matteo Messina Denaro»

Teresa Principato, ex procuratrice aggiunta di Palermo, in un’intervista rilasciata oggi a Repubblica, si rallegra per l’arresto di Matteo Messina Denaro. Ma al tempo stesso si dice turbata. Perché durante la sua fuga, l’ultimo dei Corleonesi ha potuto contare «su una rete di copertura di carattere massonico che lo ha protetto in tutto il mondo». Principato era convinta che Messina Denaro non si sarebbe mai fatto prendere. «Da quello che ho potuto verificare con le mie indagini, arrivate fino al 2017, Messina Denaro era proprio inafferrabile. Non stiamo parlando di una persona nascosta in un casolare, che mangiava pane e ricotta come Bernardo Provenzano. Tutt’altro. Oltre ad essere abbastanza colto, amava la bella vita, era un maniaco del lusso. E non rimaneva troppo a lungo fermo nello stesso luogo. Ha viaggiato molto, anche all’estero», sostiene.

La loggia “La Sicilia”
Principato ha seguito le tracce di Messina Denaro «dalla Sicilia al Venezuela, dall’Inghilterra alla Spagna. Attraverso le rogatorie abbiamo trovato tracce della sua presenza. Ma non lui». E spiega:«In Venezuela, ad esempio, c’è una larghissima, intricata, realtà massonica. E sicuramente gli ambienti frequentati da Messina Denaro, siciliani trapiantati che gestivano un negozio di mobili molto fiorente, erano massonici. In Inghilterra, la massoneria è addirittura uno status. In Spagna invece ho qualche dubbio sul carattere massonico dei rapporti intrecciati da Messina Denaro con coloro che lo hanno ospitato. Ma c’è dell’altro». Ovvero:«Un collaboratore di giustizia massone ha parlato di una loggia coperta costituita proprio da Messina Denaro che si chiamava “La Sicilia”. Ci sono altri esempi di logge coperte, come la “Scontrino”, di cui facevano parte persone di ogni livello sociale. Lo stesso si può dire per “La Sicilia”. Questi suoi rapporti, ne sono convinta, lo hanno messo al riparo dal pericolo di essere rintracciato».

La “borghesia mafiosa”
Principato parla di una grossa rete di carattere massonico che lo proteggeva. Ma il procuratore capo dell’epoca non era convinto della pista:«Il collaboratore non era ritenuto credibile. Non lo era su molti versanti, ma la sua qualità di massone, il fatto che fosse stato cooptato in una delle logge di Castelvetrano, mi fa ritenere più che attendibili le sue dichiarazioni su questo aspetto». E la protezione non poteva essere soltanto massonica, perché il boss «per il territorio rappresentava una gallina dalle uova d’oro. I suoi affari andavano dalla grande distribuzione alle pale eoliche. E Principato dice che c’è stato un momento in cui era davvero vicina ad arrestarlo:«Tra il 2016 e il 2017, Messina Denaro aveva ripreso i suoi rapporti con un vecchio sodale, Leo Sutera, condannato per associazione mafiosa. Che era stato scarcerato. Sentivamo di essere a poca distanza dal risultato finale, ma l’allora procuratore ritenne di far arrestare Sutera in un’altra indagine».

Il nuovo capo dei capi

Infine, secondo Principato, la scelta di curarsi in una clinica a Palermo non è stata casuale:«Evidentemente doveva avere le sue certezze e le sue conoscenze». Ma ad avviso della procuratrice, Cosa Nostra non ha ancora scelto un successore e forse non lo farà mai:«Uomini della caratura e dello spessore criminale dei Corleonesi non se ne sono più visti. Credo che si sia chiusa un’epoca».

18 gennaio 2023
www.open.online/2023/01/18/matteo-messina-denaro-latitanza-massoneria-teresa-pri...
wheaton80
00domenica 21 maggio 2023 12:48
L’operazione Eureka contro la ‘ndrangheta: 108 arresti tra Reggio Calabria, Milano e Genova

108 persone sono state arrestate dai carabinieri del ROS in esecuzione di quattro ordinanze di custodia cautelare su richiesta della DDA di Reggio Calabria. 85 sono in carcere. Gli indagati sono accusati a vario titolo d’associazione mafiosa; concorso esterno e traffico internazionale di droga con l’aggravante di transnazionalità e di ingente quantità; traffico di armi, anche da guerra; riciclaggio; favoreggiamento; trasferimento fraudolento e procurata inosservanza di pena. L’operazione, denominata ‘Eureka’, ha colpito in particolare le cosche Nirta-Strangio di San Luca e Morabito di Africo. L’operazione condotta dai carabinieri del RoS e del Comando Provinciale di Reggio Calabria con il coordinamento della DDA reggina è collegata ad altre due inchieste coordinate dalle DDA di Milano e Genova. Secondo quanto si è appreso a Reggio, nell’operazione lombarda è stata emessa una misura cautelare per 38 persone e per altre 15 in quella ligure. Tutte le inchieste sono coordinate dalla Direzione Nazionale antimafia diretta dal Procuratore Giovanni Melillo. Alcuni provvedimenti sono stati eseguiti in Germania (9 indagati), Belgio (6 indagati), Francia (3 indagati), Portogallo (un indagato), Romania (un indagato) e Spagna (un indagato).

03 maggio 2023
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wheaton80
00domenica 21 maggio 2023 12:55
L’operazione Eureka è «la più grande mai realizzata contro la ‘ndrangheta in Europa»: 150 perquisizioni in otto Paesi, 30 arresti in Germania

Non solo Italia: l’operazione europea ‘Eureka’ contro la ‘ndrangheta ha portato questa mattina a circa 150 perquisizioni in otto Paesi europei. Dopo la notizia dei 108 arresti eseguiti nella mattina di oggi, 3 maggio, tra Reggio Calabria, Milano e Genova, i portavoce della Procura Federale belga hanno spiegato che ci sono state perquisizioni, oltre che in Belgio, in «Spagna, Portogallo, Francia, Romania e Slovenia»: «Più di mille poliziotti sono stati coinvolti nelle perquisizioni questa mattina in Germania», oltre ai tremila coinvolti in Italia. «Si tratta senza dubbio della più grande operazione mai realizzata contro la mafia calabrese in Europa», hanno aggiunto.

30 arresti in Germania, 13 in Belgio
Nello specifico, in Germania le perquisizioni hanno riguardato quattro Laender tedeschi (il Nordreno-Vestfalia, la Renania-Palatinato, la Baviera e il Saarland), e i mandati di arresto eseguiti sono stati 30. Con somma soddisfazione della ministra dell’Interno tedesca Nancy Faeser, che ha commentato:«I blitz di oggi sono una delle più grandi operazioni mai compiute nella lotta contro la criminalità organizzata italiana. La pressione sulla criminalità organizzata in Germania non è mai stata così forte». In Belgio invece gli arresti sono stati 13, «sette dei quali con mandato d’arresto europeo emesso dall’Italia, che ne ha chiesto la consegna alle autorità». Il magistrato belga Antoon Schotsaert ha tuttavia precisato che «i tempi di consegna all’Italia potrebbero richiedere alcuni mesi a seconda della loro posizione davanti ai giudici». Sono stati inoltre sequestrati tre veicoli di lusso, almeno 20mila euro in contanti e diverse armi proibite. È possibile che le persone arrestate, ha spiegato ancora Schotsaert, «fossero connesse al traffico di cocaina tra il Sud America e l’Europa. E ci sono indicazioni sufficienti per pensare che il porto di Anversa fosse utilizzato per tale traffico». Questo anche a causa delle «quantità in arrivo» della droga, troppo sostanziose per credere che il mercato finale fosse solo il Belgio.

I contatti con il Clan del Golfo
Sei tonnellate di cocaina sono state movimentate tra il maggio 2020 e il gennaio 2022 dai clan di ‘ndrangheta colpiti stamani dall’operazione, tre delle quali sono state sequestrate dagli investigatori. Le cosche più rilevanti del mandamento ionico reggino avrebbero avuto contatti con esponenti del Clan del Golfo, l’organizzazione paramilitare colombiana impegnata nel narcotraffico internazionale. Sono stati ricostruiti dai carabinieri del ROS e del Comando provinciale di Reggio Calabria numerosi episodi di importazione della droga, che arrivava via mare nei porti Gioia Tauro, Anversa e Colon. Le movimentazioni di soldi riconducibili alle compravendite dello stupefacente hanno interessato Panama, Colombia, Brasile, Ecuador, Belgio e Olanda. E hanno spostato somme per un valore complessivo di 22 milioni e 300mila euro. I soldi sarebbero stati in parte reimpiegati nell’acquisto di auto e beni di lusso. E in parte utilizzati per avviare e finanziare attività commerciali in Francia, Portogallo e Germania, dove venivano anche riciclati sfruttando attività di autolavaggio.

Anni di lavoro
I risultati di oggi sarebbero il frutto di anni di lavoro. «Nel 2018 abbiamo iniziato con indagini locali sul traffico di droga. Abbiamo trovato poi contatto con alcuni pregiudicati e abbiamo inviato il nostro materiale investigativo all’Italia», hanno spiegato ancora i portavoce della Procura Federale belga in conferenza stampa. Nel 2021 sarebbe stato infine creato «un team congiunto» tra le forze di polizia europee per intercettazioni e indagini. L’indagine “Eureka” è stata coordinata dal Capo della Direzione Nazionale Antimafia Giovanni Melillo e si è sviluppata attraverso un doppio binario. Una prima squadra investigativa ha lavorato grazie all’incrocio di informazioni tra la DDA di Reggio Calabria diretta da Giovanni Bombardieri, e le Procure tedesche di Monaco, Coblenza, Saarbrücken e Düsseldorf. Una seconda, tra la DDA reggina, l’Ufficio del Giudice Istruttore del Tribunale di Limburg ed il Procuratore Federale di Bruxelles. Entrambe sono state coordinate da Eurojust, che ha assicurato il massimo supporto operativo, attraverso il componente italiano Filippo Spiezia.

03 maggio 2023
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