"Fuori dall'euro. Angela Merkel si svegli dal torpore ipocrita"

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wheaton80
00giovedì 9 maggio 2013 20:05
Anche chi è stato fra i più strenui sostenitori dell'euro sta cambiando idea: Oskar Lafontaine
6 maggio 2013

Roma (WSI) - Questa volta non è da Oltremanica dove gli euroscettici del partito Ukip nelle elezioni locali di giovedì scorso in Inghilterra e Galles hanno ottenuto un successo esplosivo sulla scena politica britannica, ma è dalla Germania che soffia sempre più forte aria di fronda contro il progetto dell'Europa unita. Anche chi è stato fra i più strenui sostenitori dell'euro sta cambiando idea. E' il caso di Oskar Lafontaine, l'ex ministro delle finanze tedesco, le cui parole fanno eco a quelle pronunciate dal capo del Tesoro francese, Pierre Moscovici, secondo cui "e' giunta la fine del dogma of austerity".

Ebbene, fra il 1998 e il 1999 ha lavorato alacremente nella squadra che si è occupata di supervisionare il varo dell'euro; oggi è un'altra storia: è finito a militare nelle fila dei più accesi euroscettici. Come ricordato dal giornalista Ambrose Evans-Prithard del quotidiano britannico The Telegraph, Lafontaine è arrivato a chiedere un break-up della moneta unica per consentire che l'Europa meridionale possa tornare a crescere. (e Wall Street Italia aveva infatti parlato del caso Fontaine. "La situazione economica sta peggiorando di mese in mese, la disoccupazione ha raggiunto livelli che mettono in dubbio la democrazia", ha denunciato. A suo avviso "i tedeschi non hanno ancora capito che l'Europa meridionale, tra cui anche la Francia sarà costretta per uscire dallo stato di miseria a combattere contro l'egemonia tedesca prima o poi", colpevole di guadagnare continuamente quote sull'export.

Lafontaine sul sito web del Partito della Sinistra tedesca si è rivolto direttamente alla Cancelliera tedesca, Angela Merkel, dicendole di svegliarsi dal suo torpore ipocrita e di pensare per una volta anche ai Paesi in difficoltà per forzare un cambiamento nella politica a spese degli elettori tedeschi. Una tesi forte che si ritrova nelle dichiarazioni del ministro delle Finanze francese, Pierre Moscovici che ha chiesto la fine delle politiche di austerità, perché non ci siano strappi nelle relazioni fra Parigi e Berlino.

Sempre più economisti osservano che la moneta comune avrebbe potuto essere sostenibile se i Paesi della zona euro avessero concordato una politica salariale comunitaria. Invece così non è stato perché - spiegano - "le istituzioni stabilite per il coordinamento sono state aggirate dai governi e oggi il sistema non funziona". Una recente analisi riportata dal quotidiano, Handelsblatt, ha segnalato come Grecia, Portogallo o Spagna dovrebbero contrarre i loro salari del 20-30% per essere di nuovo competitivi, mentre la Germania dovrebbe apprezzarli di un ulteriore 20%.

Qualche esperto di mercato ammette l'evidenza e riconosce che "se apprezzamenti e svalutazioni in tal senso non sono possibili, è meglio dire addio alla moneta comune". In fondo "sarà necessario imporre rigorosi controlli di capitale per regolare i flussi di capitale. Ma dopo tutto - ricorda - l'Europa ha già compiuto questo primo passo con il caso Cipro".

Durante il periodo di transizione, l'Unione europea dovrà fornire aiuti ai Paesi che dovranno effettuare svalutazioni per evitare un collasso. Ma c'è anche qualche economista che abbozza a una soluzione. "Una pre-condizione per far funzionare il sistema monetario europeo sarebbe quello di riformare il settore finanziario come se fosse una cassa di risparmio pubblica". Come ricorda la saggezza popolare, la speranza è sempre l'ultima a morire, ma gli ultimi dati macro sulla disoccupazione in Europa la soffocano.

www.wallstreetitalia.com/article/1560510/fuori-dall-euro-angela-merkel-si-svegli-dal-torpore-ipocr...
wheaton80
00mercoledì 15 maggio 2013 20:07
Fuga dall’euro in tutta Europa

La Polonia ha deciso di non entrare nell’euro. Troppi rischi, e il popolo non capirebbe. Il vero rischio è di diventare presto come la Grecia, la Slovenia e Cipro, in reale default. Meglio vivi fuori che morti dentro. In tutta Europa, ad ogni elezione, salgono in modo esponenziale i partiti anti-Euro o anti-Europa. Per due motivi identici. Il primo è che l’euro è diventato una trappola a vantaggio, momentaneo, solo di un paese, la Germania.

La Francia aveva creduto di spartire l’impero con i tedeschi, ma si stanno ricredendo, man mano si va avanti. Nel frattempo però si sono mangiati tutto l’agroalimentare del nostro paese (Buitoni, Mulino Bianco, Parmalat, Cirio, Algida, le Maison di moda, tutte le acque minerali, ecc.), l’Alitalia e alcune banche (prima la Banca Nazionale del Lavoro per quattro soldi, alcune banche venete, che avevano già racimolato una serie di Casse di Risparmio del centro-sud dell’Italia, e tra poco, essendo in pole position, il MPS). E un po’ di Spagna. Con un ministro delle finanze che ha precisato che l’esecutivo non ha nessuna intenzione di privatizzare le società in cui lo Stato ha una quota di maggioranza.

Il secondo motivo è che un’ Europa al limite della dittatura tecnocratica di persone non elette né designate almeno dal Parlamento Europeo, eletto invece a suffragio universale, diventa democraticamente debole. Sono tecnocrati e banchieri che hanno imprigionato il sogno di una Europa Unita come comunità alla ricerca di armonizzazione, soprattutto nei suoi valori storici come le conquiste sociali, e finalmente contro la storica guerra intestina. Questi emeriti imbecilli (e i politici che li hanno seguiti) hanno trasferito “la guerra” sul piano economico e bloccato la storia per almeno mezzo secolo. Cancellandoci, tra l’altro, dallo scacchiere economico mondiale a tutto vantaggio degli Stati Uniti.

Anzi facendo ideologicamente un punto d’onore ad abolire il sociale il prima possibile, riportando l’Europa a una situazione economica depressiva pre-seconda guerra mondiale, con una disoccupazione disastrosa e con pulsioni nazionalistiche pericolose perché coniugate alla miseria e alle sue prospettive peggiori. Oskar Lafontaine, tra i padri fondatori dell’euro, cambia radicalmente la sua posizione e ne chiede la dissoluzione per evitare un disastro economico e sociale. Esprime tutte le sue perplessità nei confronti di quella che definisce “catastrofica moneta”. Lafontaine ammonisce che “la situazione economica sta peggiorando di mese in mese, la disoccupazione, in Europa, ha raggiunto un livello che mette in discussione sempre più le strutture democratiche”. Eppure la Linke perde consensi.

In più, alle prossime elezioni tedesche sta crescendo in modo esponenziale un nuovo partito, Alternative für Deutschland , che molto probabilmente supererà anche lui il 25%. Non è anti Europa, ma federalista e propone, oltre l’uscita dall’euro, la salvaguardia e la dignità democratica dei popoli che la compongono; che le banche paghino i loro errori e i debiti non con i nostri soldi; il ritorno al marco o a un paniere ragionato. Ribadiscono profondamente il valore sociale della convivenza e del welfare. Vuole spazzare via la tecnocrazia europea imperante e gestita dai vari club al limite della massoneria, come Bilderberg. Ribadiscono il valore assoluto della democrazia dei e nei partiti e quello del referendum popolare. Ribadiscono che i partiti non sono le istituzioni.
Il Fronte Nazionale francese della Le Pen, in forte ascesa (dato ormai a più del 20%), ha chiesto a Hollande un referendum, da organizzare in gennaio 2014, per una “uscita della Francia dall’Unione Europea”, e di ripristinare la Costituzione francese, cioè quella di prima del Trattato di Lisbona. Trattato disapprovato in Francia con referendum, ma comunque oggi con la loro Costituzione sgretolata da Bruxelles come da noi. Il grimaldello è stato il fiscal compact. Storicamente, sulla democrazia i francesi sono quelli che scherzano di meno. Ma che questa debba essere cavalcata da fascisti xenofobi diventa paradossale ! Purtroppo, in Europa una sinistra anti-capitalista è ormai inesistente.

Stessa situazione in Gran Bretagna dove il partito anti-europeista di Nigel Farage ha appena ottenuto il 23% (era al 3% cinque anni fa) alle amministrative a livello nazionali, spingendo la destra dei conservatori di Cameron al governo a chiedere anche loro un referendum sull’uscita, non dall’euro perché non sono mai voluti entrare, ma dall’Unione. Non parliamo dell’Italia dove alle ultime elezioni politiche, un movimento, che aveva almeno il decoro di voler ridiscutere sull’euro e sulle condizioni di appartenenza all’Unione, ha ottenuto il 26% a furor di popolo. In Grecia l’esempio è Syriza con più del 20% e sicuramente in crescendo.

In Slovenia sta avvenendo la stessa cosa. Era l’area più ricca della ex Jugoslavia. È stato il primo Paese dell’Est Europa ad adottare l’euro nel 2007. Sono passati solo sei anni e sono già pronti a cadere nella trappola degli usurai di Bruxelles e Berlino. Non solo, ma la Commissione chiede l’introduzione del fiscal compact in Costituzione e l’abolizione dell’istituto referendario (non si sa mai!). Certo che la gente non ci sta e chiede nuove elezioni. Oggi sul noto concetto dell’urgenza governano insieme centrosinistra e conservatori sulle stesse proposte. Ma le proposte del cartello della troika sono sempre le stesse, riguardano l’eliminazione a termine del sociale.

La domanda è perché tutti i paesi in difficoltà, casualmente, conoscono il medesimo ciclo? Adozione valuta unica – Collasso bilancia dei Pagamenti e dell’economia produttiva – Arrivo massiccio di capitali esteri, essenzialmente tedeschi o francesi (all’inizio), che finanziano e consentono le Bolle Immobiliari ed Azionarie – Collasso – Richiesta dell’Eurogruppo di misure suicide di Austerity fatte pagare al malcapitato e mai alle banche, tantomeno tedesche – Progressiva fuga dei capitali – Il paese di turno in profonda recessione e con crescita record della disoccupazione e della povertà. Aumento indefinito del debito. Iper-arricchimento del 7% della popolazione. E’ una trappola o un sistema imperiale?

Semplice, l’euro sottintende un’impostazione ideologica, pari nel disastro a quella sovietica, per la quale gli Stati non devono occuparsi di politica economica e tutto ciò che è richiesto per far funzionare il sistema è uno strumento oligarchico e tecnico e una banca centrale, indipendente dalla politica e quindi dalla democrazia, che si occupi teoricamente di controllare l’inflazione a tutti i costi, anche da macelleria sociale. Il disastro di oggi è semplicemente il risultato di questa ideologia. Molti sono ancora convinti di no e che non ci sia alternativa. Però sembra che i popoli si stiano svegliando da soli, con motivi un po’ diversi, ma in una unica direzione, con ripristino della democrazia partecipata e senza la “sinistra” storica e radicale.

di Tonino D’Orazio
13 maggio 2013
cambiailmondo.org/2013/05/13/fuga-dalleuro-in-tutta-europa/#m...
wheaton80
00venerdì 6 dicembre 2013 00:06
"L'euro è letale. L'Italia scelga di uscire subito"

“Di euro si muore”. Edward Luttwak scandisce questo motto così, con l'aria di chi forse sta un po' esagerando, ma neppure tanto. Perché l'Italia si trova a un bivio: pagare il conto salato per una scelta azzardata o continuare una «non vita da zombie» nel segno di un'austerity senza fine. Non è una profezia. Non è neppure un'opinione. È questione di logica, di numeri ed è ciò che pretende l'Europa. L'economista di Arad a volte è spietato, ma se lo fa è perché non crede nelle illusioni. Non ha mai pensato che l'euro fosse la mossa giusta per l'Italia. Siamo finiti, per scelta, nella casella sbagliata. E lui lo dice dal 1996. Scriveva. «Finirà come nel 1940. Allora l'Italia non aveva alcuna convenienza ad entrare in guerra, ma l'istinto del gregge fece sì che Mussolini, che pure l'aveva intuito, facesse questo errore. Si diceva, anche allora, tutte le potenze mondiali entrano nel conflitto, perché noi dobbiamo starne fuori? Siamo forse di serie B? E così l'Italia commise un grande errore».

Luttwak come Cassandra?

«Spero di non fare la stessa fine. Non sono un veggente e non dialogo con gli dei. Forse so leggere la realtà».

Una moneta non è una guerra.

«Sì, ma le conseguenze economiche a volte sono le stesse».
L'Italia è in un vicolo cieco?
«No. Può scegliere».

Cosa?

«Va via dall'euro. Sceglie un'altra moneta. Potrebbe tornare alla lira, ma io consiglio il baht thailandese. Questo significa che i ricchi italiani pagheranno molto di più le vacanze a St. Moritz e una Mercedes costerà un occhio della testa, però vedremo i muri tappezzati di avvisi con scritto: cercasi operaio specializzato. Le aziende italiane tornano a esportare, la Fiat farà 34 turni di lavoro, la produzione cresce, la disoccupazione scende e finalmente l'economia italiana torna a vivere. Adesso è praticamente morta”.

Sembra facile.

«Non è facile per niente. Perché c'è un prezzo da pagare altissimo. Farà male».

Tipo?

«Le banche falliranno».

C'è già la fila a ritirare i soldi.
«Ho detto che le banche falliranno, come imprese. I correntisti non rischiano. Non perdono i soldi».

L'alternativa?

«Restare nell'euro, con un'economia da morti viventi. Non si uscirà mai dalla crisi. Immagini questa situazione che si protrae per cinquanta, cento anni o per sempre».

Apocalittico.
«Non posso farci nulla. L'Italia ha firmato un patto con l'Europa. Il primo dovere è portare il deficit annuale a zero. Questa è già un'impresa. Significa tasse e tagli insopportabili. Ammettiamo però che ogni italiano accetti di diventare sempre più povero e senza futuro. Tutto questo non basta. L'Italia dovrà ridurre il debito pubblico di 40 miliardi. Sa cosa significa? Equivale a 10 Imu. Non ti riprendi più».

I patti con l'Europa si possono rivedere, cambiare.
«Non c'è dubbio. Ma ai tedeschi non conviene. Non vogliono cambiare nessun parametro. A costo di uscire loro dall'euro. E senza la Germania questo euro non è più l'euro».

O noi o loro?
«Esatto. Vede, ogni nazione deve scegliere razionalmente la propria valuta. I politici hanno caricato di un enorme valore simbolico il fatto di essere membri di un circolo monetario. Ma la zona euro è fatta su misura per i paesi del Nord Europa. Siete come chi vive in un'isola del Mediterraneo e vuole frequentare un club di Amburgo. Il solo andare e venire ti manda in rovina».

Può esserci euro senza Italia?
«Ma all'Italia conviene l'euro? Io penso di no. Tu staresti in un club dove i vantaggi sono pochi e il prezzo non solo è alto, ma rischia di cancellare il tuo futuro? Un individuo che pur di stare in un circolo esclusivo si rovina è uno stupido. Stranamente questa regola sembra non valere per gli Stati, ma il concetto è lo stesso».

Siamo diventati così periferici?
«Per niente. Non è una questione di periferia, ma di interessi. Quelli italiani non sono gli stessi del Nord Europa. L'Inghilterra sta fuori e non è periferica. Ritiene invece che gli affari della Germania sono diversi dai suoi. L'economia italiana è così poco periferica che sta creando guai in tutto il mondo».

Cioè?
«L'Europa e l'Italia in ginocchio per la crisi sono un problema per il Brasile, per la Cina, per gli Stati Uniti. Non conviene a nessuno. Sta saltando un equilibrio. L'Italia morente è un problema geopolitico grave. Da quando l'Italia è in Eurolandia non cresce. È un fatto: scarso lavoro, zero aumento del reddito. Certo, gli italiani possono appiccicarsi la medaglietta dell'euro, ma non esportano più. Se questi politici rispettabili si guardassero in giro e facessero una scelta razionale, cambierebbero subito valuta. I greci avrebbero dovuto farlo subito. Gli spagnoli ancor prima ».

Non le piace l'Europa, confessi.

«Non mi piace un'oligarchia che trova normale prendere i soldi dai conti correnti degli individui, di notte, come fanno i ladri».

Vittorio Macioce
13 giugno 2013
www.ilgiornale.it/news/interni/leuro-letale-litalia-scelga-uscire-subito-926...
wheaton80
00venerdì 13 dicembre 2013 01:08
Il premio Nobel per l’economia avverte:“Via dall’Euro al più presto”



Il premio Nobel per l’economia Christopher Pissarides: “L’Euro sta portando alla rovina molte nazioni. Bisogna smantellarlo il più velocemente possibile”. “Via dall’Euro, al più presto”. L’avvertimento arriva nientemeno che dal premio Nobel per l’economia Christopher Pissarides. L’economista un tempo era sostenitore della moneta unica ma, viste le conseguenze, ha cambiato decisamente rotta… “L’Euro non sta facendo altro che dividere l’Europa, portando molti paesi alla rovina. Bisogna prendere decisioni drastiche per ridare credibilità al mercato europeo: l’Euro quindi dovrebbe essere smantellato il più velocemente possibile per salvaguardare la crescita e l’occupazione”. Ma Pissarides, in una conferenza alla London School of Economics, rincara la dose: “L’Euro ha creato una generazione perduta di disoccupati senza futuro. Questo non è quello che i “padri fondatori” dell’Euro hanno promesso. E’ chiaro che è un sistema fallito e insostenibile”.

12 dic 2013
www.mattinonline.ch/il-premio-nobel-per-leconomia-avverte-via-dalleuro-al-piu...
wheaton80
00giovedì 3 aprile 2014 00:32
La sovranità monetaria

L’onda antieuro è in crescita, e non solo per effetto della vittoria di Marine Le Pen in Francia: si diffonde la coscienza nei media e nel paese che così non si può andare avanti, è bloccata l’economia, aumenta la disoccupazione, le famiglie non arrivano a fine mese. Dunque via dall’euro: il ritorno alla lira rappresenterebbe infatti un modo di uscire dalla pestifera gabbia della BCE, che ha distrutto e sta distruggendo l’economia reale italiana. Ma… Ma il fatto è che uscire dall’euro non basta, e come in caso di permanenza nell’eurozona sarà necessario rivedere radicalmente il Trattato dell’Unione Europea per fare della BCE una banca degli Stati europei sotto il controllo dei Governi europei, così a livello nazionale occorrerà accompagnare la fuoriuscita dall’euro con una legge sintetica e efficace che disponga il controllo dell’emissione e della politica monetaria da parte dello Stato, secondo le indicazioni di tanti economisti, tra cui il poco citato Premio Nobel Maurice Allais.

Questo obbiettivo rappresenterà la vera svolta radicale della transizione, l’unica capace di bloccare la spirale del Debito grazie alla riacquisizione del reddito da ‘signoraggio’, fenomeno ieri negato a lungo da presunti ‘esperti’ ed oggi, a fronte della sua innegabilità, piuttosto non citato e discusso, tranne lodevoli eccezioni, sui grandi media. Una svolta radicale, dunque, ma – questo va sottolineato - non una ‘rivoluzione’ dai contorni utopici e astratti come alcuni vorrebbero far credere. Tre motivi sostanziali, infatti, rendono la proprietà e il controllo statale della Moneta una misura assolutamente razionale, e da questo punto di vista moderata e largamente condivisibile da tutte le forze politiche. Il primo è che la fine del gold standard (sia pure non generalizzata e in parte solo nominale: vedi la richiesta di oro-garanzia della Cina alla FED; e vedi soprattutto il dilagare di compro-oro anche nel nostro paese) fa sì che la moneta possa e debba essere ancorata al Lavoro dei cittadini del Territorio-Stato in cui essa viene emessa e primariamente circola. Dunque è lo Stato, in quanto rappresentante del Popolo, a doversi assumere il Diritto-Dovere di emettere banconote e monete, da una parte rappresentative della ricchezza nazionale già acquisita, e dall’altra – se in parziale sforamento di questo principio di base – finalizzate alla realizzazione di progetti di sviluppo (grandi opere, incentivazione dell’occupazione, etc.) a loro volta capaci di promuovere o rimettere in moto l’economia nazionale. Il secondo motivo è che l’Italia ha già goduto di sovranità monetaria, dal 1936 al 1992. La Storia, dunque, è dalla nostra parte: nel 1936 la Banca d’Italia, già beneficiata nel 1926 del monopolio dell’emissione di lire fino allora appannaggio di una pluralità di banche private ereditate dalla fase preunitaria, perse la sua natura privatistica e venne trasformata in “ente di diritto pubblico” di nome e di fatto: un istituto cioè dotato di un capitale azionario prevalentemente pubblico. Dopo la caduta del fascismo, i padri costituenti sussunsero la nuova struttura della Banca centrale, ed anzi secondo alcuni studi, ne rafforzarono il controllo governativo.

Fu solo nel 1992 che il governo Amato pose fine al carattere pubblico della Banca d’Italia, sull’onda della campagna mediatico-giudiziaria di Tangentopoli. Il 1992 fu se non il peggiore, uno degli anni peggiori della storia della Repubblica, cadenzato in una serie di tappe letali per la sovranità nazionale: il 2 giugno, il cosiddetto ‘seminario sulle privatizzazioni’ sul Panfilo Britannia, sotto la minaccia simbolica ma non per questo non grave della corrazzata inglese Battleaxe; l’11 luglio, il decreto 333 di Amato, che privatizzando l’intera industria di stato privatizzava anche le BIN-banche di interesse nazionale interne all’Istituto di emissione centrale; a settembre, la svalutazione della lira ad opera di George Soros; infine, il 7 dicembre il sì del Parlamento al Trattato di Maastricht. Tutti passi che anticipavano e davano il via libera all’attuale degrado economico, istituzionale, culturale dell’Italia. Oggi la Banca d’Italia – forse alcuni Rettori non lo sanno – è privata, come denunciò nel 2004 Famiglia Cristiana.

Il terzo motivo, infine, è che il controllo statale dell’emissione e della politica monetaria non ha nulla dello ‘statalismo’, ed è sempre stata sostenuta da esponenti liberali. I Presidenti americani Thomas Jefferson, Abrahm Lincoln, John Kennedy; l’industriale Henry Ford, il Primo ministro canadese William King Mackenzie, il nostro Alcide De Gasperi, Maurice Allais, Raymond Aron – per citarne alcuni – non furono certo dei sostenitori di un ‘socialismo totale’ o, dopo il 1917, dei ‘bolscevichi’ desiderosi di nazionalizzare assurdamente tutto il sistema economico. Al contrario, essi capirono – da veri liberali e da saggi economisti - che la statalizzazione dell’emissione monetaria, lungi dall’essere una misura statalista e totalitaria, era la premessa necessaria non solo della democrazia, non solo della costruzione e difesa dello Stato sociale, ma anche dello sviluppo della libera impresa. Una misura necessaria e equilibrare la sfera finanziaria oggi egemone e la sfera produttiva, oggi soccombente di fronte all’egoismo e allo strapotere del sistema bancario privato. Liberismo finanziario e liberismo d’impresa sono progetti opposti. Il liberismo finanziario costituisce la morte della libera impresa, come ha dimostrato il vergognoso ‘regalo’ di 419 miliardi di euro della BCE alle banche private, nel dicembre 2011, mentre a migliaia chiudevano le imprese italiane, e la disoccupazione aumentava fino al livelli mai toccati fino ad allora. Anche in questo caso dunque, in positivo e negativo, la storia è dalla nostra parte. Occorre riprendersi la sovranità monetaria: o ri-nazionalizzando la Banca d’Italia, al prezzo però di lunghe trattative; o sostituendo la Banca d’Italia con altro Istituto statale di emissione monetaria, ex novo o attraverso la nazionalizzazione anche di una sola banca già esistente; o affidando direttamente allo Stato e al Tesoro l’emissione di banconote tramite la Zecca di Stato. Anche qui la Storia è dalla nostra parte: perché questo tipo di emissione monetaria – alternativo a quello gestito da Banche private o pubbliche – attraversa tutta la Storia dell’Italia unitaria, dalla Monarchia al Fascismo alla Repubblica. Sono i “Biglietti di Stato a corso legale”, già presenti in epoca monarchica e fascista, e in quella repubblicana, durante i governi De Gasperi e Moro. Recuperarne la memoria è utile alla riconquista della sovranità monetaria, la grande madre di tutte le battaglie per uscire dalla crisi.

Claudio Moffa
www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23252
wheaton80
00lunedì 21 aprile 2014 00:31
Ue, Bolkestein certifica il flop:"L'unione monetaria è fallita"

Era il settembre del 2011, un paio mesi prima di arrivare a Palazzo Chigi. Secondo l'allora numero uno dell'Università Bocconi di Milano, Atene era la prova che, grazie all' unione monetaria, anche gli Stati periferici del Vecchio Continente erano stati piegati alle politiche di austerity. Negli stessi giorni, però, tutti i telegiornali aprivano con le immagini dei devastanti scontri che infiammavano la Grecia. Oggi, il fallimento dell'unione monetaria è stato passato al setaccio da "I 101 Dalmata". Il gruppo, che fa capo al blog di Alberto Bagnai, ha dato alla luce un documentario illuminante che dà conto dei risultati delle ricette economiche della Troika. Il titolo del documentario, che sabato scorso è stato presentato alla conferenza Un'Europa senza euro, prende il titolo dalla celebre frase di Monti ed è stata l'occasione per mettere a tema il futuro dell' unione monetaria. L'ex commissario dell' Unione Europea e firmatario del Manifesto di solidarietà europea, Frits Bolkestein, non ha ombra di dubbio:"L'unione monetaria è fallita". Sabato scorso, alla conferenza Un'Europa senza euro, ha ricordato una frase di Helmut Kohl:"L'Unione politica è la controparte essenziale dell'Unione monetaria". L'ex cancelliere Helmut Kohl la procunciò al Parlamento europeo. Era il 1991 e nel suo immaginifico programma l'unione politica avrebbe dovuto precedere la formazione della moneta unica e di una vera e propria Banca Centrale Europea. Peccato che, a distanza di oltre vent'anni, sia accaduto l'opposto. "All'interno del trattato di Maastricht - ha spiegato Bolkestein - le politiche per creare un' unione monetaria non hanno avuto un effetto integrante politico, ma un effetto opposto come vediamo oggi". Come ricordato più volte durante la conferenza, organizzata da 'a/simmetrie' in collaborazione con il Manifesto di Solidarietà Europea, tra i cinque criteri del trattato di Maastricht primeggia il tetto del 3% di deficit. Un parametro che avrebbe dovuto valere per tutti i Paesi dell'Eurozona, ma che non è stato rispettato in primis da Francia e Germania. Un vulnus primordiale che getta discredito su tutti i patti successivi firmati a Bruxelles. In questo quadro dissestato la Francia vorrebbe che gli squilibri dei bilanci vengano appianati congiuntamente. In buona sostanza, i Paesi in crescita dovrebbero finanziare i Paesi in deficit. Una politica economica che, nel lungo periodo, rischia di essere fallimentare. Per questo, secondo Bolkestein, la soluzione degli eurobond diluirebbe solo la responsabilità. Proprio come fu con l'euro. "L'Unione monetaria è fallita - ha continuato Bolkstein - e i Paesi in situazione di deficit non possono risolvere i loro problemi da soli". Non ci sono alternative. "Dobbiamo pensare a un secondo passaggio - ha, infine, concluso - l'uscita dall'euro".

Sergio Rame
14/04/2014
www.ilgiornale.it/news/economia/ue-bolkestein-certifica-flop-lunione-monetaria-fallita-1010...
wheaton80
00sabato 17 maggio 2014 01:37
La Polonia senza euro fa boom: PIL 2014 +3,3% (anche l'Inghilterra senza euro +3,5% e anche l'Ungheria +3,4%)

VARSAVIA - L'economia polacca ha registrato un'accelerazione della crescita nel primo trimestre del 2014 rispetto ai tre mesi precedenti, secondo una prima stima pubblicata dall'Ufficio statistico nazionale (GUS). Nei primi tre mesi del 2014 il Prodotto interno lordo polacco è aumentato dell'1,1% destagionalizzato rispetto all'ultimo trimestre del 2013, quando era cresciuto dello 0,7%. Rispetto a un anno prima il Pil è aumentato del 3,5%, dal più 2,5% dello stesso periodo del 2013. Su base grezza l'incremento annuo è del 3,3%, superiore alle attese degli analisti, che puntavano su un più 3,1%. Si tratta del miglior risultato da due anni per l'economia polacca. Il ministero dell'Economia di Varsavia stima che il Pil aumenterà del 3,3% quest'anno, in base alla stima fatta ad aprile che migliora il 3% atteso in precedenza. La Banca centrale punta invece su un più 3,6%. La Polonia è l'unico paese dell'Unione europea non è mai andata in recessione dopo al crisi finanziaria del 2008. Nel 2011, il Pil polacco è cresciuto del 4,5%, per poi rallentare all'1,9% nel 2012 e all'1,6% nel 2013. La Polonia, va sottolineato, ha rifiutato più volte "l'offerta UE" di entrare a far parte della disastrata Zona euro e questo l'ha premiata. Insieme all'Ungheria di Orban e all'Inghilterra, forma un forte gruppo di Stati d'Europa con economie sane e in crescita grazie proprio ad aver rifiutato il boccone avvelenato dell'euro.

Max Parisi
15 maggio 2014
www.ilnord.it/c2988_LA_POLONIA_SENZA_EURO_FA_BOOM_PIL_2014_33_ANCHE_LINGHILTERRA_SENZA_EURO_35_E_ANCHE_LUNG...
wheaton80
00martedì 8 luglio 2014 01:34
Due cancellerie europee stanno studiando la fine dell’euro

Vi sarete resi conto che alcuni personaggi di primo piano della scena europea si sono di colpo ammutoliti. Cameron è tornato in Inghilterra lasciando a Bruxelles una maledizione:“Vi pentirete di aver scelto Juncker per la presidenza della Commissione europea”. Poi, il silenzio. Manuel Valls, primo ministro francese nominato da Hollande per “salvare la Francia”, due settimane fa ha dichiarato:“Il cambio attuale dell’euro è inaccettabile, deve calare del 20%. La Francia non può sopportare un euro così”. Poi, anche lui s’è trincerato dietro un silenzio impenetrabile. Marine Le Pen e Nigel Farage, manco si fossero messi d’accordo quando invece fanno fatica a salutarsi se s’incontrano, sono entrambi muti come pesci, che è tutto dire, se pensate chi sono. Lo stesso dicasi per Angela Merkel. Rajoy e via di seguito tutti gli altri. L’esperienza mi dice che quando la politica tace è perchè qualcosa di grosso sta maturando. Se poi a tacere sono capi di stato e di governo di un’Europa dilaniata dalla crisi che ora ha aggredito addirittura la Germania, con la produzione industriale per il terzo mese di fila in ribasso (quello di giugno è dell’1,8%, fosse poco) allora questo “qualcosa” non è grosso, è enorme. Renzi per due volte di fila nell’arco di 7 giorni ha detto che l’Italia è pronta ad abbandonare l’euro. La prima volta che l’ha minacciato ha fatto riferimento alla tragedia dell’immigrazione dal nord Africa che dissemina il Mediterraneo di morti e riempie l’Italia di disperati senza che la UE muova un dito o spenda un soldo. La seconda volta, due giorni fa, quando ha detto: “Non ha senso una moneta comune senza un destino comune”, per poi aggiungere “no all’Unione Europea dei banchieri e delle burocrazie”. Chiunque pensi siano voci dal sen di Renzi fuggite, si sbaglia. Perchè Renzi è stato l’unico a parlare dicendo quello che altri stanno facendo. Sì, avete capito bene. Ho notizia che in almeno due cancellerie europee, e una di queste ha sede a Berlino, non si stia lavorando sulla presunta “flessibiltà” ricercata dall’Italia, ma sull’uscita dell’Italia, della Francia, della Spagna dalla Zona euro. E’ ormai chiaro a tutti i partner dell’euro, che la valuta unica europea ha fallito lo scopo di creare sviluppo, crescita, integrazione e benessere ed è fallita anche come modello per l’Europa unita, dato che ha creato violente divisioni. Due cancellerie europee stanno alacremente studiando quale sia la via meno dolorosa e più rapida per far finire la follia dell’euro. La nomina di Juncker è uno schermo protettivo. Serve a nascondere il piano per evitare l’assalto della speculazione planetaria contro l’euro. Deve rassicurare mentre tutto ciò sta per accadere. In questo senso non dovrà stupire se nelle prossime settimane alcune banche europee dovranno ammettere d’essere prossime al default. Una, austrica, l’ha già fatto. Così pure, i mercati hanno fiutato che la Fed si sta preparando a qualcosa di enorme, sia con la drastica e inarrestabile diminuzione degli “stimoli” sia con l’abile mossa di dire e non dire che tra poco i tassi d’interesse sul dollaro riprenderanno a salire. Che è come suggerire: mollate l’euro che non rende niente e comprate dollari (depositandoli in banche americane) che vi renderanno un bel gruzzolo. Quanto al resto, è evidente che Juncker darà ragione a tutti, tanto che gli costa? Darà ragione ai socialisti europei (tra i quali trovate il Pd) sulla crescita e lo sviluppo, darà ragione al PPE sul rigore e sulla “stabilità” e infine riuscirà a dare ragione perfino ai detrattori, continuando col suo scellerato stile di vita. Perchè lui sa. Sedetevi in prima fila e godetevi lo spettacolo: Deep Impact in arrivo.

Max Parisi
07/07/2014
www.ilnord.it/f-155_Due_cancellerie_europee_stanno_studiando_la_fine_...
wheaton80
00venerdì 15 agosto 2014 15:16
Crisi: Telegraph, Renzi torni alla lira per fermare la depressione

"L'Italia di Renzi deve tornare alla lira per mettere fine alla depressione". Senza giri di parole, Ambrose Evans-Pritchard, firma del Telegraph e convinto anti europeista della prima ora, invita il premier italiano ad abbandonare la moneta unica se vuole veramente dare vita al suo "Risorgimento". In un commento pubblicato sul quotidiano britannico, Evans-Pritchard scrive che "l'Italia è in depressione da almeno sei anni. L'apatia è stata punteggiata da falsi risvegli, ogni volta sopraffatti dai dilettanti della moneta a capo delle politiche dell'Unione monetaria". Per il giornalista è "un fatto incontrovertibile che i 14 anni di disastro italiano coincidano con l'adesione alla moneta unica".

14/08/2014
www.adnkronos.com/fatti/politica/2014/08/14/crisi-telegraph-renzi-torni-alla-lira-per-fermare-depressione_spPEem0rqet8Zc7b9KW...
wheaton80
00domenica 24 agosto 2014 02:48
Siamo alle ultime curve prima dell'arrivo: Ue ed euro stanno per crollare

Una settimana fa, Ambrose Evans Pritchard del Telegraph ha scritto un accorato articolo economico con il quale ha consigliato - forse meglio: esortato - Matteo Renzi a trarre la conclusione che l'unica via per salvare l'Italia dal default, che disintegrerebbe tanto la nazione quanto l'Europa, è farla uscire dall'euro e anche dalla UE, cancellando l'assurda gabbia di vincoli e limitazioni che la stanno ammazzando. Ieri, è stata la volta di Jacques Sapir, valente economista francese. Ha scritto un appello direttamente indirizzato a Hollande nel quale ha scritto:"Signor Presidente della Repubblica, il nostro paese sta assistendo da diversi anni ad una profonda crisi che non cessa di aggravarsi. Con una crescita dello 0% nel primo semestre dell'anno, la situazione è oggettivamente grave. Questa crisi non scomparirà finché non verranno prese le necessarie decisioni nella direzione giusta. Le cifre che abbiamo visto smentiscono le varie dichiarazioni sue e del suo governo, che si sono susseguite fin dal 2012. Non c'è alcuna inversione di marcia nella curva della disoccupazione, e lei passerà alla storia come l'Hoover francese, che ad ogni bivio si aspetta di vedere la crescita. Dobbiamo riconoscere la verità. La Francia è oggi sull'orlo della deflazione, e quest'ultima causerà una recessione ancora più profonda, con ancora più disoccupazione e più miseria per la popolazione. Signor Presidente, la gravità della situazione esige da parte sua degli atti importanti, degli atti decisivi. Lei deve riconoscere che il governo Valls è un fallimento, e trarne le conseguenze. Lei deve, soprattutto, mettere immediatamente la Germania di fronte alle sue responsabilità. Nessun paese può, all'interno di un'unione economica e monetaria, avere un avanzo strutturale come quello tedesco. Si deve dunque uscire dall'eurozona, e prendere atto che la soluzione più probabile è che alla fine la Francia esca. Non usciremo da soli. Appena sarà dato l'annuncio della nostra uscita, e questo si può fare piuttosto rapidamente, come lei sa bene, anche l'Italia, la Spagna, il Portogallo e il Belgio annunceranno di volerci imitare. La Grecia seguirà rapidamente. La rottura dell'eurozona renderà possibile per la Francia far sentire nuovamente la propria voce. Un accordo di co-fluttuazione dei tassi di cambio potrà essere firmato con alcuni paesi. La svalutazione che seguirà, tanto verso la zona del dollaro quanto verso la Germania, restituirà all'economia francese le forze necessarie per affrontare le sfide del 21° secolo". Non è un caso se due tra i migliori analisti europei, quali sono Pritchard e Sapir, contemporaneamente esprimano la medesima idea: la fine dell'euro. Non è un caso nemmeno che la Commissione europea sia arenata in attesa d'affondare il 30 agosto - tra pochi giorni - quando l'inconcepibile Juncker dovrà prendere atto che rivalità, ripicche, ricatti e vendette incrociate impediscono la formulazione di una lista di "commissari" in grado d'essere nominati e accettati da tutti. Senza poi parlare della candidatura italiana di Miss Mogherini a ministro degli Esteri UE, la definitiva scemenza di un governo d'arrangiati, inadeguati, dilettanti. Dico non è un caso perchè l'Unione Europea ha davvero i giorni contati. Tutti i segnali possibili lo indicano: economici, finanziari, politici. Nessuno può sapere al momento come avverrà lo schiantoma dato che al comando della UE c'è l'oligarchia bancaria che fa capo alla Bundesbank e alla BCE, è molto probabile che il tracollo della UE passi attraverso una ingestibile e definitiva crisi sistemica dell'euro. Il segnale in arrivo dagli Stati Uniti è chiarissimo e somiglia molto a una dichiarazione di guerra: la Fed ha annunciato che interromperà definitivamente le iniezioni di decine di miliardi di dollari al mese che passano sotto il nome di quantitative easing. Seguirà a breve l'aumento dei tassi d'interesse a cui a sua volta farà seguito la fuga - l'esodo di massa - di capitali dalla zona euro verso gli Stati Uniti. E la BCE non potrà farci proprio niente. Se alzasse il tasso di sconto per rendere appetibile la permanenza dei capitali nella zona euro, la deflazione farebbe un salto in alto da spavento e nel medesimo istante Italia, Portogallo, Grecia e Spagna dichiarerebbero default, dato che anche gli interessi sui rispettivi debiti subirebbero aumenti ingestibili. Se invece lasciasse le cose come stanno, bè, già detto: emorragia mortale e fine di tutto. Come vedete, molte e diverse cose concorrono alla fine dell'Unione Europea e del suo terrificante veleno, l'euro. E il tempo corre.

Max Parisi
21 agosto 2014
www.ilnord.it/f165_Siamo_alle_ultime_curve_prima_dellarrivo_Ue_e_euro_stanno_per_...
wheaton80
00sabato 4 ottobre 2014 23:48
wheaton80
00sabato 4 ottobre 2014 23:48
wheaton80
00sabato 4 ottobre 2014 23:48
wheaton80
00sabato 4 ottobre 2014 23:54
Presidente di Confindustria:''Vengono meno le ragioni dello stare insieme nella UE. Facciamo fatica a essere europeisti''

"Se i forti non ascoltano le ragioni dei deboli vengono meno le ragioni per stare insieme. Siamo sinceri: oggi facciamo fatica a sentirci europei". Parole fulminanti pronunciate da una figura d'eccezione: il Presidente di Confindustria. Giorgio Squinzi, concludendo XIV Forum di Piccola Industria a Napoli, riferendosi all'attuale configurazione politica dell'Unione Europea, la definisce "con una certa benevolenza, ibrida". E, secondo Squinzi "impedisce di adottare politiche economiche corrette per la gestione della crisi". "Anche un europeista come me - continua Squinzi - comincia a covare dubbi, non sull'Europa, ma su come è stata costruita la casa europea finora. Pensiamo solo alla fiscalità, che non essendo omogenea nel continente divide e rende le regioni concorrenti tra loro. Oggi abbiamo l'euro, e poco altro. Troppo poco". "La corda del cieco e ostinato rigore è stata tirata troppo a lungo e così dall'Europa della convergenza si rischia di cadere in quella delle decisioni unilaterali", ha aggiunto Squinzi. E "la scelta francese apre un potenziale conflitto non solo con i rigoristi, ma anche con i Paesi che hanno dovuto bere l'amara medicina del rigore o del commissariamento" ha concluso. Certamente fa impressione osservare che il Presidente di Confindustria - il cui pensiero riassume il sentire comune degli industriali italiani - schierarsi dalla parte, ormai per altro maggioritaria, secondo recenti sondaggi, di chi in Italia critica apertamente l'Unione Europea e la dannosissima valuta unica. Squinzi con queste affermazioni pubbliche di oggi a Napoli manda un messaggio diretto e preciso alla UE: la Confindustria si è stufata, siamo pronti a rompere il rapporto di fiducia con Bruxelles. Straordinaria svolta "leghista", signor Squinzi. Complimenti.

4 ottobre 2014
Max Parisi
www.ilnord.it/c-3591_PRESIDENTE_DI_CONFINDUSTRIA_VENGONO_MENO_LE_RAGIONI_DELLO_STARE_INSIEME_NELLA_UE_FACCIAMO_FATICA_A_ESSERE_EU...
wheaton80
00venerdì 10 ottobre 2014 01:23
''Il Fiscal Compact non serve alla Germania e distrugge il resto d'Europa. Va abolito'' (lo scrive il Der Spiegel)

BERLINO - Il Patto di bilancio europeo è stato il prezzo politico, negoziato nel 2011 dal cancelliere tedesco Angela Merkel, affinché la Germania potesse partecipare con la coscienza pulita ai pacchetti di salvataggio per i paesi piu' indebitati. L'accordo - scrive Wolfgang Munchau sul tedesco "Spiegel" (versione online del settimanale Der Spiegel) - era riassumibile pressappoco in questi termini:"Noi accettiamo il salvataggio, voi accettate l'austerità". La scorsa settimana, Francia e Italia hanno deciso di ignorare questo patto. A ragione. Il Fiscal Compact prevede che i paesi dell'Eurozona, nel giro di 20 anni, riducano i loro debiti a meno del 60 per cento del Pil annuale. Per paesi come l'Italia questo vorrebbe dire tagli drastici al suo bilancio nel bel mezzo della recessione. Gli italiani hanno provato questa strategia già un paio di mesi fa, ma il risultato è stato solo un aumento del debito. Un fenomeno definito anche "deflazione dei debiti". Gli italiani hanno quindi deciso, a ragione, di mettere fine a questa assurdità: Fiscal Compact o meno. I francesi - sostiene Munchau - hanno fatto altrettanto, soltanto spingendo alle estreme conseguenze le loro conclusioni: anche il limite del 3% non ha senso e va superato. Portogallo e Grecia sono già andati oltre alla divisione tra "bene e male". Gli stessi irlandesi hanno detto di fatto addio al fiscal compact. E la Grecia non lo rispetterà né ora né mai. Per la Germania, invece, che ha già il "freno all'indebitamento" il Fiscal Compact è semplicemente superfluo. E quindi ci si chiede a chi interessi davvero oggi il Fiscal Compact. Il vecchio patto di stabilità degli anni Novanta ha quantomeno concesso una paio d'anni di illusione di stabilità, fino a quando non è stato abolito da Germania e Francia. Il fallimento di questo regolamento interstatale sta nel principio della sovranita' della politica finanziaria: ogni Stato membro è responsabile delle sue entrate e delle sue uscite. Matteo Renzi e François Hollande hanno deciso di avvalersi di questo principio, come fecero 11 anni fa Gerhard Schroeder e Jacques Chirac, quando avviarono insieme il patto di stabilita'. Ma nonostante la catastrofe annunciata, i governanti continuano a commettere gli stessi errori. Con un tasso di crescita dell'1 per cento, un tasso di inflazione del 2 per cento e un bilancio in pareggio l'Italia riuscirebbe a raggiungere l'obbiettivo. Ma il problema di questi calcoli sono sempre le ipotesi troppo ottimiste. Al momento, infatti, l'inflazione italiana è vicina allo zero, la crescita del Belpaese in negativo e anche la politica e' cambiata. Renzi non può riformare e portare il bilancio in pareggio allo stesso tempo. Anche Schroeder non ce l'ha fatta undici anni fa. E' venuto quindi il momento - sostiene l'opinionista - di abolire definitivamente questo patto chiamato Fiscal Compact.

7 ottobre 2014
www.ilnord.it/c-3598_IL_FISCAL_COMPACT_NON_SERVE_ALLA_GERMANIA_E_DISTRUGGE_IL_RESTO_DEUROPA_VA_ABOLITO_LO_SCRIVE_IL_DER...
wheaton80
00giovedì 16 ottobre 2014 18:13
Draghi l’illusionista fa cilecca, lo show è finito. L’Eurozona si sgretolerà

Basta che i trucchi di Mario Draghi facciano cilecca perché la cosiddetta “comunità di destino” cominci a sgretolarsi. Lo scrive l’agenzia Eir osservando che il governo francese ha dichiarato il Patto di stabilità morto e sepolto il 1° ottobre, e il programma di acquisti della BCE potrebbe non partire mai a causa dell’opposizione crescente non solo a Berlino, ma persino a Parigi. La nuova Commissione Europea si scredita prima di nascere mentre il partito anti-UE UKIP stravince la prima elezione per un seggio parlamentare in Gran Bretagna. Persino il settimanale Der Spiegel ha ammonito, in un articolo di Henrik Mueller (5 ottobre), che “il prossimo grande crac è solo questione di tempo”. Stigmatizzando la politica dei salvataggi delle banche, il settimanale tedesco ha scritto che “non è stato imparato niente dalla crisi finanziaria; il debito dell’economia mondiale è cresciuto costantemente”. Il debito aggregato pubblico/privato era 107 mila miliardi di dollari nel 2008, e da allora è aumentato a 150 mila miliardi, circa due volte e mezzo il PIL mondiale, scrive Der Spiegel. La prossima crisi globale “sarà più grave dell’ultima”. Un altro avvertimento – prosegue l’Eir – è giunto dal presidente dell’Associazione delle Casse di Risparmio tedesche, Georg Fahrenschon, che ha dato una conferenza stampa l’11 ottobre a Washington. “Quarantun anni dalla fine del sistema di Bretton Woods e dall’introduzione dei tassi di cambio fluttuanti, dobbiamo giungere alla conclusione che le regole del sistema monetario mondiale non sono coerenti”, ha affermato. Fahrenschon si è detto particolarmente preoccupato dello sganciamento dell’economia finanziaria da quella reale. Tutto ciò punta nella direzione dello sgretolamento dell’Eurozona. Il processo in corso è quello identificato su questa newsletter all’indomani della crisi ucraina: l’establishment industriale tedesco costringerà la Germania ad una svolta dettata dagli interessi a lungo termine del paese, in conflitto esistenziale con la traiettoria dell’UE. (OPI)

15 ottobre 2014
www.imolaoggi.it/2014/10/15/draghi-lillusionista-fa-cilecca-lo-show-e-finito-leurozona-si-sgr...
wheaton80
00venerdì 12 dicembre 2014 00:01
Deutsche Bank:“Per colpa dell' euro, abbiamo perso un' intera generazione. L' unione monetaria è sbagliata”

BERLINO - L' economista capo di Deutsche Bank ha delineato un quadro scoraggiante per l' eurozona nei prossimi anni:"Il costo per tenere unita l' eurozona è stato un’ intera generazione perduta", ha dichiarato David Folkerts-Landau di fronte ai giornalisti a Francoforte. Secondo l' economista un' unione monetaria costruita in modo sbagliato e con strutture troppo diverse tra loro ha portato ad una crisi che si traduce in una elevata disoccupazione giovanile e in un bassissimo livello di crescita. Nonostante le cupe previsioni economiche, però, Folkerts-Landau ritiene che i sacrifici necessari a tenere in vita l' euro non siano stati vani:"La maggior parte dei cittadini europei è pronta a pagare questo prezzo per avere un' Europa più unita", ha dichiarato l'economista, che ha elogiato la gestione della crisi da parte del cancelliere tedesco Angela Merkel. Ma questo apprezzamento va letto in chiave politica nei confronti del governo tedesco e non in chiave economica rispetto all' euro in quanto tale. Folkerts-Landaunon non ritiene che l' euro possa vivere - cioè sopravvivere - a un' altra crisi paragonabile a quella degli scorsi anni, anche nel caso in Grecia dovesse salire al potere il partito della sinistra radicale Syriza. Ormai da tempo le previsioni di crescita di Deutsche Bank per l' eurozona sono tra le più pessimistiche: per il prossimo anno la banca tedesca prevede una crescita di appena l' 1 per cento. "Il problema centrale continua ad essere la mancanza di riforme nazionali", ha affermato Folkerts-Landau, secondo cui l' attuazione di riforme strutturali per il rafforzamento della crescita resta "molto limitata". Il debito pubblico dell' Italia, ad esempio, è arrivato ormai al 138 per cento del Pil e da anni la crescita è a zero - ha sottolineato. Generalmente questa situazione dovrebbe scatenare una crisi di sostenibilità del debito sovrano:"Ma la BCE è pronta a fare da rete di sicurezza", ha spiegato l'economista. Finchè sarà possibile. Nella sostanza, il numero uno degli economisti della prima banca della Germania, quale è Deutsche Bank, ha annunciato la fine dell' euro.

Max Parisi
11 dicembre 2014
www.ilnord.it/c3879_DEUTSCHE_BANK_PER_COLPA_DELLEURO_ABBIAMO_PERSO_UNINTERA_GENERAZIONE_LUNIONE_MONETARIA_E_SBAGLIATA_EUR...
wheaton80
00domenica 28 dicembre 2014 22:25
Dieci anni di euro: costo acqua: +79,5%, costo rifiuti: +70,8%, costo elettricità: +48,2%, costo treni: +46,3% (euro follia)

Tra il 2010 e il 2014 solo in Spagna le tariffe pubbliche sono rincarate più che in Italia. Se a Madrid l'aumento medio è stato del 23,7 per cento, in Italia l' incremento è stato del 19,1 per cento. Tra i grandi Paesi d' Europa, invece, la Francia ha registrato un rincaro medio del 12,9 per cento, mentre la Germania ha segnato un ritocco all' insù dei prezzi solo del 4,2 per cento. L' area dell' euro ha subito un incremento dei prezzi amministrati dell' 11,8 per cento: oltre 7 punti percentuali in meno che da noi. I calcoli sono stati effettuati dall' Ufficio studi della CGIA che, oltre a eseguire una comparazione tra l' andamento delle tariffe amministrate nei principali paesi d' Europa, ha analizzato anche il trend registrato tra il 2004 e i primi 11 mesi del 2014 delle tariffe dei principali servizi pubblici presenti nel nostro Paese. Negli ultimi 10 anni, a fronte di un incremento dell' inflazione che in Italia è stato del 20,5 per cento, l' acqua è aumentata del 79,5 per cento, i rifiuti del 70,8 per cento, l' energia elettrica del 48,2 per cento, i pedaggi autostradali del 46,5 per cento, i trasporti ferroviari del 46,3 per cento, il gas del 42,9 per cento, i trasporti urbani del 41,6 per cento, il servizio taxi del 31,6 per cento e i servizi postali del 27,9 per cento. Tra tutte le voci analizzate, solo i servizi telefonici hanno subito un decremento: -15,8 per cento, ma si tratta di compagnie private, non di servizi pubblici. Sottolinea il segretario della CGIA Giuseppe Bortolussi:"Nel nostro Paese i rincari maggiori hanno interessato le tariffe locali. Se per quanto concerne l' acqua i prezzi praticati rimangono ancora adesso tra i più contenuti d' Europa, gli aumenti registrati dai rifiuti sono del tutto ingiustificabili. A causa della crisi economica, negli ultimi 7 anni c'è stata una vera e propria caduta verticale dei consumi delle famiglie e delle imprese: conseguentemente è diminuita anche la quantità di rifiuti prodotta. Pertanto, con meno spazzatura da raccogliere e da smaltire, le tariffe dovevano scendere, invece, sono inspiegabilmente aumentate. Si pensi che nell' ultimo anno, a seguito del passaggio dalla Tares alla Tari, gli italiani hanno pagato addirittura il 12,2 per cento in più, contro un’inflazione che è aumentata solo dello 0,3 per cento". L' analisi di Bortolussi si conclude esaminando le cause che hanno incrementato le altre voci tariffarie:"Gli aumenti del gas hanno sicuramente risentito del costo della materia prima e del tasso di cambio, mentre l' energia elettrica dell' andamento delle quotazioni petrolifere e dell' aumento degli oneri generali di sistema, in particolare per la copertura degli schemi di incentivazione delle fonti rinnovabili. I trasporti urbani, invece, sono stati condizionati dagli aumenti del costo del carburante e di quello del lavoro. Non va nemmeno dimenticato che molti rincari sono riconducibili anche al peso fiscale che grava sulle tariffe che, purtroppo, da noi tocca punte non riscontrabili nel resto d' Europa. Inoltre, nonostante i processi di liberalizzazione avvenuti in questi ultimi decenni abbiano interessato gran parte di questi settori, i risultati ottenuti sono stati poco soddisfacenti, e in molti casi pessimi. In linea di massima, oggi siamo chiamati a pagare di più, ma la qualità dei servizi resi non ha subito sensibili miglioramenti. Speriamo che la riduzione del prezzo del petrolio registrata in questi ultimi mesi comporti per l' anno venturo una contrazione delle tariffe, soprattutto di luce, gas e trasporti, che sono le principali voci di spesa che gravano sui bilanci delle famiglie e delle piccole imprese italiane". Resta il fatto che in 10 anni di euro invece di avere stabilizzato i prezzi e migliorato i servizi, l' Italia ha aumentato a dismisura i prezzi dei servizi e peggiorato la loro qualità.

27 dicembre 2014
www.ilnord.it/c3920_DIECI_ANNI_DI_EURO_COSTO_ACQUA_795_COSTO_RIFIUTI_708_COSTO_ELETTRICITA_482_COSTO_TRENI_463_EUR...
wheaton80
00sabato 17 gennaio 2015 18:16
La Svizzera toglie il blocco al cambio con l’euro e l’euro perde il 30% in pochi minuti. E' la sua fine

ZURIGO - E' finita. L'euro è crollato, no, non è disceso nei cambi come da più parti si chiedeva in Europa. E' proprio precipitato al suolo. La Banca Centrale Svizzera, questa mattina, senza alcun avviso precedente - se non piccole tracce di discussione che sembavano solo teoriche tra addetti ai lavori - ha tolto il blocco del cambio con l' euro, che era stato fissato a 1,2 CHF per 1 euro. Ed è stato come avesse fatto esplodere una bomba sotto una diga: alluvione immediata nel mercato mondiale dei cambi. Immediata, infatti, è stata la reazione sui mercati valutari del Forex, con il rapporto di cambio euro/franco svizzero che scivola a -14,17% a CHF 1,0307 e il rapporto dollaro/franco svizzero che collassa anche del -27% a CHF 0,7457. C'è da ricordare che il tasso minimo di cambio di 1,20 CHF contro 1 euro era stato imposto nel 2011 per proteggere l'economia svizzera dalla crisi dei debiti sovrani dell' Eurozona e difendere i gruppi esportatori da rafforzamento - giudicato letale - della valuta nazionale. Inoltre, la Banca Centrale Svizzera ha anche abbassato il tasso sui depositi interbancari a -0,75% dal precedente -0,25%, stando a quanto scritto nel comunicato. "Sebbene il franco svizzero sia ancora elevato, l'eccessiva valutazione è diminuita nel complesso dal momento dell' introduzione del tasso minimo di cambio”, ha detto la SNB. In pratica, non solo il franco svizzero s'è apprezzato in poche ore (al momento, 2 ore...) del 30% sull' euro, ma anche depositare denaro nelle banche svizzere a titolo di mero deposito costerà ben lo 0,75% annuo di interessi negativi! Scrive la Banca Centrale Svizzera nel comunicato con cui ha annunciato ai mercati la fine del cambio bloccato:"L' economia è stata capace di trarre vantaggio da questa fase per adattarsi alla nuova situazione. È la fine della politica monetaria adottata da inizio settembre 2011 con l' obiettivo di difendere l' economia dagli scossoni della crisi dell' area euro". Il cambio euro/franco svizzero era stato bloccato in modo che l' euro non potesse scendere sotto 1,20 franchi svizzeri. Ora le due divise sono sulla parità. Per imporre l' ancoraggio tra le due valute, la Banca Centrale Svizzera aveva dovuto vendere franchi svizzeri e comprare euro. Ora, con la fine del tasso minimo di cambio, la SNB può liberarsi di riserve in euro e tornare ad acquistare franchi svizzeri. L' istituto centrale elvetico non cercherà più di svalutare la propria moneta per stare al passo con il calo dell' euro e la deflazione dell' Eurozona. Berna (dove ha sede la SNB) non poteva più permettersi di svalutare ulteriormente il franco legandolo all' andamento dell' euro. Ora sarà libero di muoversi sui tassi di cambio come vorrano gli investitori. E gli investitori ci hanno messo pochi minuti questa mattina a decidere cosa fare: hanno abbandonato in massa l' euro, valuta sbagliata, fragile, pericolosa, per riversare i loro capitali - che erano in euro - nei CHF anche a costo di rimetterci parecchi soldi. Sì, l' euro sta davvero per finire. Questa di oggi è l'inizio della grande fuga.

Max Parisi
15 gennaio 2015
www.ilnord.it/c3968_LA_SVIZZERA_TOGLIE_IL_BLOCCO_AL_CAMBIO_CON_LEURO_E_LEURO_PERDE_OLTRE_IL_30_IN_POCHI_MINUTI_E_LA_...
wheaton80
00venerdì 23 gennaio 2015 00:46
Draghi decreta la morte dell’ euro:“Rischi QE saranno per l'80% degli Stati”

Il nuovo piano di acquisti di titoli privati e pubblici della BCE prevede una condivisione dei rischi solo “al 20 per cento”. Lo ha riferito il presidente Mario Draghi, nella conferenza stampa al termine del Consiglio Direttivo. Prima degli annunci di oggi era trapelata la possibilità che le emissioni pubbliche acquistate venissero fatte ricadere sui bilanci delle banche centrali nazionali. In pratica, Draghi ha decretato la fine dell' euro come valuta unica europea. Ciascuna nazione se vorrà usare il QE di Draghi dovrà caricarsi dell' 80% del rischio, che è come dire: ne risponde con la propria ricchezza nazionale.

22 gennaio 2015
www.ilnord.it/b4882_DRAGHI_DECRETA_LA_MORTE_DELLEURO_RISCHI_QE_SARANNO_PER_L80_DEG...
wheaton80
00domenica 1 febbraio 2015 21:13
I dati del Fondo Monetario Internazionale provano e dimostrano che l’euro è un disastro senza rimedio (la stampa tace)

LONDRA - I parassiti di Bruxelles assieme ai giornalai di regime non fanno che ripetere che l'euro è stato un enorme successo anche se i dati ufficiali dimostrano il contrario. A tale proposito, pochi giorni fa il Fondo Monetario ha rilasciato i dati relativi alla crescita economica dei vari paesi nel 2014 e i risultati sono sbalorditivi. Infatti il paese sviluppato che ha avuto la crescita economica più elevata è stata la Gran Bretagna, che ha visto la sua economia crescere del 2,6%. Tale crescita si è dimostrata superiore a quella di USA e Canada, i quali hanno visto la loro economia crescere del 2,4% e ovviamente è stata molto più alta dei paesi dell' area euro, con la Germania che è cresciuta dell' 1,5%, la Francia dello 0,4%, mentre l'Italia ha avuto una crescita negativa del -0,4%. Al di fuori dell' eurozona l'unico paese che ha avuto una crescita molto bassa è stato il Giappone con lo 0,1%. Tali cifre spiegano da sole il fallimento della moneta unica e delle politiche di rigore imposte dalla Germania e dalla BCE e demoliscono tutte le menzogne sui presunti vantaggi della moneta unica, anche perché non è certo un caso che la Gran Bretagna, oltre ad essere fuori dall'euro, sia anche l'unico paese a non aver aderito al fiscal compact; per questo il suo governo e la sua banca centrale possono operare liberamente, e questo spiega questa forte crescita del PIL. Certo non è tutto rose e fiori perché anche in Gran Bretagna ci sono problemi seri ma sicuramente molti in Italia farebbero i salti di gioia per avere una crescita che sia almeno la metà di quella d'oltremanica. Purtroppo ciò non sarà possibile fino a quando l'Italia rimarrà nella moneta unica e, a meno che gli italiani non decideranno di prendere esempio dai greci e dagli spagnoli, questa situazione non potrà che peggiorare.

Giuseppe de Santis
1 febbraio 2015
www.ilnord.it/c4014_I_DATI_DEL_FONDO_MONETARIO_INTERNAZIONALE_PROVANO_E_DIMOSTRANO_CHE_LEURO_E_UN_DISASTRO_SENZA_RIMEDIO_LA_STA...
wheaton80
00venerdì 1 maggio 2015 04:03
Il settimanale tedesco Die Zeit fa a pezzi l’euro:''Ha causato milioni di poveri in Grecia, Spagna, Italia. Basta!''

BERLINO - Le conseguenze di cinque anni di crisi sulla Grecia sono incalcolabili, scrive il settimanale tedesco "Die Zeit": i negozi sono vuoti, le mense dei poveri piene e il numero dei senza tetto è raddoppiato. "Non solo in Grecia, ma in molti Stati dell'eurozona c'è una povertà dilagante", scrive l'economista Zsolt Darvas in uno studio condotto lo scorso autunno per conto del think tank di Bruxelles Bruegel. Secondo lo studio, circa il 9 per cento della popolazione europea vive sotto la soglia di povertà: la povertà è cresciuta soprattutto nei paesi che dopo il 2008 sono stati colpiti dalla crisi dei debiti o che hanno ricevuto aiuti finanziari da parte dei loro partner comunitari. In Spagna attualmente sono 2,8 milioni le persone che vivono sotto la soglia di povertà, 1 milione in più rispetto al 2008. In Italia il numero dei poveri è salito addirittura di tre milioni e in Grecia, durante i sette anni di crisi, è quasi raddoppiato: più del 20 per cento dei greci vive attualmente in stato di povertà. Completamente diversa, invece, la situazione negli Stati del Nord Europa come Germania o Finlandia, dove negli ultimi anni il reddito medio è rimasto costante o è cresciuto e il numero dei poveri è diminuito. "Sussiste il pericolo reale che in Europa si crei un divario permanente tra un Nord ricco e un Sud povero", scrive Darvas. Ma le differenze negli standard di vita esistevano all'interno dell'Unione Europea già prima della crisi dell'euro. Nel 2006 il PIL pro capite in Grecia era di 19.600 euro, in Portogallo di 15.800 euro e in Germania di 29.000 euro. A quel tempo tuttavia, sembrava che le differenze andassero via via diminuendo. "C'era un costante processo di adeguamento perché le economie nazionali in molti paesi del Sud Europa crescevano più velocemente che al Nord", spiega Fabian Lindner, economista dell'Istituto di Macroeconomica e Ricerca Congiunturale (IMK) della Fondazione Hans-Boeckler, "La crisi a cui l'euro non era preparato ha fermato questo processo e favorito un'inversione di rotta: le disparità sono sempre più grandi e sempre più insostenibili". Di fatto, l'euro ha prodotto povertà diffusa e divaricazione netta tra il Nord e il Sud dell' eurozona. Sono effetti perversi ed esattamente all'opposto degli obbiettivi che si erano dati i Paesi che avevano deciso di aderire alla valuta unica europea. Ora, fa notare il settimanale tedesco, come sarà possibile uscire dalla trappola in cui è caduta l'Europa? Die Zeit non lo dice esplicitamente, ma l'unica soluzione sensata è porre fine all'euro in modo ordinato, prima che l'euro distrugga ciò che ancora resta dell'economia europea.

8 aprile 2015
www.ilnord.it/c4183_IL_SETTIMANALE_TEDESCO_DIE_ZEIT_FA_A_PEZZI_LEURO_HA_CAUSATO_MILIONI_I_POVERI_IN_GRECIA_SPAGNA_ITAL...
wheaton80
00martedì 19 maggio 2015 03:13
Wall Street Journal:“Futuro nero per UE ed eurozona: non investite qui e se l’avete fatto, vendete e fuggite”

NEW YORK - L'economia europea ha consolidato una modestissima crescita nel primo trimestre dell'anno, ma nel medio termine - avverte il Wall Street Journal - le prospettive "sono tutt'altro che rosee". Il quotidiano economico statunitense cita cinque fattori che impediscono all'Europa di aspirare a una crescita economica sostenuta, che sarebbe necessaria, specie nei paesi più in difficoltà, a compensare il continuo aumento dell'indebitamento e a tornare ai livelli di benessere pre-crisi. Proprio l'elevato indebitamento è il primo ostacolo citato dal quotidiano:"Nonostante mezzo decennio di austerità - che evidentemente non ha riguardato la 'macchina' pubblica, se non in misura marginale - il debito pubblico ha raggiunto valori record e continua ad aumentare. Il settore privato ha problemi simili a ridurre la sua dipendenza dai prestiti, e sei dei paesi più indebitati al mondo si trovano nell'eurozona". Un secondo freno alla vera ripresa economica del Continente è l'elevato tasso di disoccupazione: è la stessa Commissione Europea, nelle sue stime di crescita primaverili, ad ammettere che "la disoccupazione rimarrà intollerabilmente elevata per un lungo periodo". La ripresa stentata porta alla creazione di qualche nuovo posto di lavoro, ma "le riforme concepite per flessibilizzare il mercato del lavoro, che arrecano benefici occupazionali nel lungo termine, nell'immediato portano a un aumento dei licenziamenti, come dimostrato dall'Italia". Anni di contrazione degli investimenti da parte di imprese e governi - aggiunge il Wall Street Journal - hanno aggravato lo stato di usura di macchinari e infrastrutture ed eroso la capacità produttiva delle economie europee.

La risposta comunitaria - il cosiddetto Piano Juncker - è a malapena un pannicello caldo, e "anche ammettendo possa funzionare, ci vorrebbe molto tempo per aumentare il limite massimo di velocità dell'economia europea". Un altro fattore che ostacola le prospettive di crescita del Continente - forse il più preoccupante nel medio e lungo termine - è l'invecchiamento della forza lavoro e il declino demografico europeo. Infine, il quotidiano cita i fattori di criticità contingenti, primo tra tutti il muro contro muro sul debito greco, le cui conseguenze sono imprevedibili: magari un default, o addirittura l'uscita di Atene dalla zona euro; ma non solo: la crisi ucraina ha gravemente danneggiato i rapporti commerciali dell'Europa con la Russia, e gli sviluppi in Africa e Medio Oriente "sono tutt'altro che favorevoli", e stimare gli effetti economici di fenomeni come il massiccio flusso migratorio verso l'Europa è del tutto impossibile. La conclusione di questa impietosa analisi del più importante quotidiano finanziario mondiale sull'Unione Europea e nello specifico sull'eurozona non lascia dubbi: se avete capitali da investire, non fatelo nella UE, anzi, andatevene prima di subire perdite irreparabili. Questa è anche la ragione profonda della massiccia fuga di capitali dalla Germania, con la vendita in blocco di gigantesche quantità di bund tedeschi, tanto che l'interesse su questi titoli è cresciuto, nello spazio di 10 giorni, di oltre il mille per cento. Sì, mille per cento.

14 maggio 2015
www.ilnord.it/c4241_WALL_STREET_JOURNAL_FUTURO_NERO_PER_UE_E_EUROZONA_NON_INVESTITE_QUI_E_SE_LAVETE_FATTO_VENDETE_E_FUGG...
wheaton80
00lunedì 18 gennaio 2016 16:28
Berlino ipotizza la fine dell'UE. Si lavora al "piano di emergenza"

Fino a un anno fa sarebbe stato assolutamente impensabile. Ora, invece, secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it, il governo tedesco CDU-SPD guidato da Angela Merkel starebbe lavorando in gran segreto a un "piano di emergenza" in caso di disgregazione dell'Unione Europea e ovviamente anche della moneta unica. Ufficialmente nessuno a Berlino è pronto ad ammetterlo, ma una pattuglia nutrita di deputati del Bundestag, soprattutto della CSU bavarese, sarebbero al lavoro - con l'ok della Cancelliera - per studiare come muoversi nel caso in cui la situazione precipitasse. E gli ingredienti per il disfacimento dell'UE (come lo chiama il politologo americano Edward Luttwak) ci sono tutti. Prima il caso Grecia, che ha tenuto impegnati i leader europei per molte notti e che si è concluso con la capitolazione di Alexis Tsipras proprio quando si era giunti a un passo dall'uscita di Atene dalla Zona Euro. Il caso dei migranti ha poi fatto esplodere l'Europa politica. Nessuna visione comune e nessuna strategia unitaria. Ogni Paese si muove da solo come sulla sospensione del Trattato di Schengen (l'Austria è l'ultima in ordine di tempo). Quasi tutti i Paesi dell'est si oppongono alla redistribuzione dei profughi e anche in Germania, dopo i fatti di Capodanno, monta la protesta. L'UE non è in grado di difendere i suoi confini esterni e così i singoli Stati si muovono ognuno per conto proprio. Il Parlamento Europeo assiste inerme all'aggravarsi della crisi, incapace di far sentire la sua voce. C'è poi il referendum della prossima estate in Gran Bretagna. Se davvero dovessero vincere i sì alla Brexit sarebbe, probabilmente, la goccia che fa traboccare il vaso. Oppure il detonatore di una situazione già di per sé esplosiva. Anche le polemiche aspre tra Juncker e Renzi sono il sintomo di una fase di declino dell'intera UE. Senza contare il crescente peso dei partiti euro-scettici, da Marine Le Pen in Francia, alla Lega in Italia fino all'Olanda, all'Austria, al Belgio, alla Repubblica Ceca e all'Ungheria. Un mix di fattori che starebbero spingendo la Grande Coalizione tedesca - in continuo calo nei sondaggi (http://www.affaritaliani.it/esteri/germania-merkel.html) - a valutare seriamente lo scenario della disgregazione dell'intera unione. Nel piano "B" di Berlino ci sarebbe anche il ritorno al marco tedesco, da attuare rapidamente per rassicurare i cittadini, le banche e le aziende. Non siamo ancora arrivati al crollo finale del sogno europeo di Kohl e Mitterand, ma il fatto che al Bundestag si lavori a uno scenario post-UE e post-Euro la dice lunga sullo stato di crisi totale (e forse irreparabile) in cui versa il Vecchio Continente.

Alberto Maggi
17 gennaio 2016
www.affaritaliani.it/esteri/germania-piano-segreto-fuori-daeurofineue402010.html?re...
wheaton80
00giovedì 13 ottobre 2016 15:16
L’ultimo autunno dell’euro: Francia ed Italia verso la recessione

La crisi terminale dell’euro è come l’autunno meteorologico: si sa che arriva, ma è difficile stimarne con precisione l’inizio. Diciotto mesi di allentamento quantitativo da parte della BCE non hanno sanato il problema strutturale dell’eurozona: l’impossibilità per le economie periferiche di reggere un cambio fisso con la Germania, in assenza di un Tesoro comune che trasferisca risorse dal centro al resto dell’area monetaria. Diversi segnali indicano ora che l’Italia e la Francia si dirigono verso una nuova recessione: sarebbe l’avvio di quella dissoluzione della moneta unica a lungo paventata. Se l’implosione dell’Unione Europea sarebbe accelerata con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, nel caso di una vittoria di Hillary Clinton il futuro dell’Europa si inquadrebbe in un più ampio scenario di ostilità con la Russia.

Crisi multiple, ma si avvicina quella decisiva
Se non si hanno dubbi sull’inizio dell’autunno astronomico, l’equinozio del 22 settembre, esistono sempre incertezze sull’autunno meteorologico: è il momento in cui si tirano fuori dagli armadi maglie, impermeabili ed abiti pesanti. L’eurocrisi è simile all’autunno: si conosce l’inizio astronomico, databile secondo semestre del 2011, ma è stato finora impossibile stabilirne quello meteorologico, ossia la crisi che coinciderà con il concreto sfaldamento della moneta unica e la dissoluzione dell’Unione Europea. Qualche anno fa sarebbe stato possibile scindere l’implosione dell’euro da quella dell’Unione Europea, ma, al termine del 2016, il quadro politico si è talmente deteriorato che è impossibile ipotizzare che le istituzioni di Bruxelles sopravvivano alla fine dell’euro: anzi, si può tranquillamente affermare che la moneta unica (“una grande e irrinunciabile conquista” secondo un europeista di ferro come Giorgio Napolitano) sia l’ultimo collante che lega un’Unione dove le forze centrifughe sono ogni giorno più forti. Dissoltasi l’area monetaria, i vincoli che subordinano le varie cancellerie alle direttive di Bruxelles si allenterebbero fino a scomparire e la tendenza a rimpatriare quote sempre crescenti di sovranità, in materia di immigrazione come di economia, farebbe il balzo in avanti decisivo. Sebbene si corra il rischio di scrivere un banale necrologio, è bene, infatti, passare velocemente in rivista le molteplici crisi di natura politica che stanno corrodendo l’Unione Europea, giorno dopo giorno: si può tranquillamente restringere l’analisi al solo campo politico perché è nelle urne che, con un disallineamento di due o tre anni, si riversa tutto il malessere dell’elettorato, qualsiasi sia la sua origine, sotto forma di astensionismo o di voti per i cosiddetti “partiti populisti” (che, ça va sans rien dire, intercettano gli umori del popolo):

- Portogallo: Nonostante i tentativi dell’ex Presidente della Repubblica Aníbal Cavaco Silva di ribaltare l’esito delle elezioni, si è installato un governo di centro-sinistra che sta progressivamente smantellando le riforme incentrate sull’austerità che hanno martoriato la società lusitana. “L’anello debole dell’euro è a Lisbona: Portogallo rischia un secondo salvataggio”, scrive Repubblica il 15 settembre

- Spagna: Nessuna novità sul fronte iberico, dove la depressione economica ha disintegrato lo storico bipartitismo in un amorfo quadripartitismo (popolari, socialisti, Podemos, Ciudadanos) che rende impossibile la formazione di un esecutivo. È probabile che a dicembre si voti per la terza volta in un anno, senza alcuna garanzia che si esca dall’impasse

- Francia: Hollande è un cadavere politico che si aggira tra i corridoi dell’Eliseo. Lo stragismo di Stato, che ha mietuto più di 200 vittime in meno di due anni, non ha stretto la Nazione attorno al suo capo supremo, la cui popolarità rimbalza come un gatto morto dopo ogni attentato, per poi precipitare nuovamente verso il 10-15% di giudizi favorevoli1. La probabile affermazione di Nicolas Sarkozy come candidato della destra repubblicana apre lo scenario di una vittoria di Marine Le Pen al ballottaggio delle presidenziali del maggio 2017

- Italia: Non potendo cancellare il referendum costituzionale, che rischia di travolgere Matteo Renzi e quel che rimane dell’establishment italiano in avanzato stato di decomposizione, si è scelto di posticiparlo il più possibile. Il 4 dicembre gli elettori saranno finalmente chiamati ad esprimersi sulla “riforma Boschi”, imprimendo un potente slancio al processo di dissoluzione della UE nel caso in cui la revisione della Costituzione benedetta dalla Troika fosse bocciata

- Austria: Le presidenziali che assegnarono la vittoria all’europeista Van der Vellen sono state annullate per palesi brogli elettorali; si sarebbe dovuto rivotare il 2 ottobre, ma la connaturata tendenza delle poste austriache ad aprire le buste del voto postale ha obbligato a rinviare il ballottaggio al 4 dicembre. Il favorito è, ovviamente, il “populista e xenofobo” Norbert Hofer, la cui vittoria spalancherebbe le porte ad un esecutivo di destra che traghetterebbe l’Austria fuori dall’area di Schengen e, un domani, dall’eurozona

- Germania: Continua inesorabile il declino di Angela Merkel, bruciata dalle politiche delle porte aperte agli immigrati impostate dai poteri atlantici per destabilizzare il Paese. Il “cazzaro di Rignano” insiste col farsi fotografare al suo fianco, oggi a Ventontene domani a Maranello, senza capire che la cancelliera è la pallida ombra di quella che fu nel lontano 2012: la CDU, sotto la sua presidenza, si sta liquefacendo, rendendo necessaria, in vista delle elezioni federali dell’autunno 2017, la formazione di una Grosse Koalition che includa pressoché tutte le forze politiche (cristiano-democratici, socialisti, verdi), tranne i populisti di Alternativa per la Germania. Solo il 44% dei tedeschi la vorrebbe ancora candidata per un quarto mandato2, rendendo sempre più incerto il futuro per la Kanzlerin che, nel bene e nel male, ha sinora garantito l’integrità dell’euro

- Olanda: Il Partito della Libertà guidato da Geert Wilders, già reduce dalla vittoria referendaria con cui è stato affossato l’accordo di associazione tra Ucraine ed Unione Europea, è sempre più deciso a chiedere un referendum sulla permanenza nella UE e ne ha fatto un cavallo di battaglia in vista delle legislative del 2017. Come nel caso dell’Austria, l’addio alla UE implicherebbe anche l’uscita dalla moneta unica, sancendo la reversibilità dell’euro

- Regno Unito: Qui si è già votato e gli elettori si sono espressi per l’addio all’Unione Europea. Il colpo inflitto alla UE sotto il profilo politico e d’immagine è stato drammatico, palesando che il sentimento degli elettori è diametralmente opposto alla retorica europeista con cui Washington e Bruxelles hanno camuffato l’interesse geopolitico ad allargare l’Unione. La UE non solo ha perso propulsione verso i suoi confini esterni, ma perde addirittura ad ovest un pilastro come Londra

- Europa dell’Est o gruppo di Visegrad: Gli imperi, è risaputo, cominciano a dissolversi dall’estrema periferia. Al vertice di Bratislava, uno degli innumerevoli “vertici decisivi” che stanno scandendo il collasso della UE, il gruppo di Visegrad non solo si è opposto a qualsiasi ipotesi di ripartizione degli immigrati, ma ha anche avanzato la proposta, un tempo impensabile, di riappropriarsi di una fetta consistente della sovranità ceduta a Bruxelles

L’equilibrio dell’Unione Europea, come si sarà intuito da questa breve carrellata, è fragilissimo: qualsiasi ulteriore crisi ha alte probabilità di causare il crollo della struttura, specie se ad essere intaccate fossero le fondamenta del progetto europeo, ossia la moneta unica. L’eurozona, come abbiamo sempre detto, è un banale sistema a cambi fissi, concepito per generare nel volgere di pochi anni l’attuale, drammatica, crisi3 con cui strappare l’unione fiscale ed i massonici Stati Uniti d’Europa. Non può sopravvivere senza il trasferimento di risorse dal centro alla periferia: occorre cioè un Tesoro europeo che dirotti risorse dalla Germania, che inanella export e gettiti fiscali record anno dopo anno, verso la periferia, tra cui si annovera anche una Francia in rapido declino (l’esplosione dei debiti pubblici dal 2002 ad oggi, quello francese in primis, è dovuto al tentativo di frenare l’incessante impoverimento della popolazione). La Germania però, sottoposta come il resto d’Europa alle ricette neo-malthusiane del precariato e dei mini-job, rifiuta di aprire i cordoni della borsa (nein alla “transfer-union”4) e di mutare la propria economia mercantilista, lasciando crescere i salari a ritmo sostenuto così da ridurre l’export ed alleviare la svalutazione interna negli altri Paesi dell’eurozona. Così facendo, l’establishment tedesco (la Merkel è un discorso a sé stante - federicodezzani.altervista.org/angela-merkel-la-spia-che-ando-e-torno-dal-freddo-zu-ver... si attira le ire di Washington, per cui l’Unione Europea è il risvolto economico e politico della NATO, studiata, come disse il suo primo Segretario Generale, il barone Hastings Ismay, “per tenere fuori i russi, dentro gli americani e sotto i tedeschi”.

Prima lo scandalo Volkswagen e poi l’assalto speculativo a Deutsche Bank, seguito dalla recente richiesta del Dipartimento della Giustizia americana di sborsare 14 miliardi di dollari per le vicende dei mutui spazzatura, sono tentativi statunitensi di riportare sotto controllo la Germania che, nonostante la guida di Angela Merkel, si sta dimostrando sempre più assertiva. Ferma restando l’ostilità tedesca alla “transfer union”, l’unica possibilità per rimandare il triste epilogo dell’euro, è l’allentamento quantitativo della BCE, lanciato nel marzo 2015 dall’ex-Goldman Sachs Mario Draghi e via via potenziato, grazie anche al sullodato scandalo Volkswagen che ha reso più malleabili i tedeschi, strenui oppositori di una politica monetaria troppo accomodante. L’effetto dell’allentamento quantitativo, come facilmente prevedibile, è però quello di un pannicello caldo: l’euro si svaluta un po’ sul dollaro e sullo yuan, consentendo all’export europeo di rifiatare, ed i governi risparmiano un paio di miliardi annui pagati in interessi sul debito. I problemi di competitività interni al sistema di cambi fissi, ossia la Germania verso tutti gli altri, non sono però risolti: non solo, la politica dei bassi tassi d’interesse erode nel medio termine la redditività delle banche europee (tra le principali preoccupazioni che assillano le casse di risparmio tedesche) che, a differenza delle concorrenti angloamericane, fanno ancora del prestare il denaro il nocciolo delle loro attività.

L’allentamento quantitativo della BCE non fa quindi che prolungare l’agonia dell’eurozona, ritardando, per riprendere la metafora con cui abbiamo aperto, l’arrivo dell’autunno meteorologico dell’eurocrisi, ossia il concreto sfaldarsi della moneta unica. Ebbene, diversi segnali indicano che l’epilogo dell’eurocrisi è ormai imminente: esaurito il metadone di Mario Draghi, incombe ormai la dissoluzione dell’area monetaria. Quali sono questi segnali? La quasi certezza che la seconda e la terza economia dell’eurozona, Francia ed Italia, si stiano dirigendo verso una nuova recessione, in condizioni fiscali e sociali così precarie da rendere inevitabile l’addio all’euro. I dati statistici attestano che nel secondo trimestre del 2016 l’economia francese e quella italiana sono cresciute (o meglio sarebbe dire “decresciute”) dello -0,1% e dello 0%: nessun cambiamento macroeconomico è occorso negli ultimi mesi e diversi indicatori che anticipano l’andamento economico, come il PMI manifatturiero (ad agosto in contrazione sia in Italia che in Francia) lasciano presagire un ulteriore peggioramento della situazione, tanto più che il contesto macroeconomico si sta annuvolando a livello globale e la sullodata Deutsche Bank stima che gli stessi Stati Uniti stiano già viaggiando verso una nuova recessione5. Abituati all’immagine dell’Italia come pecora nera d’Europa, si potrebbe pensare che sia il nostro Paese, con un debito pubblico al 140% del PIL, una disoccupazione oltre l’11% e sofferenze bancarie record, a non poter reggere un’ulteriore contrazione dell’attività economica. In realtà, la Francia è persino in condizioni peggiori: la traiettoria del debito pubblico (vicino al 97% del PIL) è più allarmante di quella italiana, il deficit più alto (3,5% del PIL nel 2016), la bilancia commerciale, a differenza dell’Italia, in cronico e drammatico disavanzo (attorno ai 70 miliardi di euro annui), e la disoccupazione, nonostante i soliti maneggi statistici, si attesta anch’essa a livelli allarmanti, con 3,5 milioni di persone in cerca di lavoro.

Le probabilità che Francia e Italia resistano ad un’ennesima contrazione dell’economia rasentano la zero: non appena la fase recessiva sarà conclamata, prevarrà l’urgenza di abbandonare l’eurozona e di riappropriarsi della leva monetaria, così da poter svalutare rispetto all’euro-marco, generare occupazione ed alimentare l’inflazione, indispensabile per i profitti delle imprese e l’erosione dei debiti accumulati. Non è un caso se la moneta unica sia sempre più spesso definita come “un esperimento fallito”, anche dai media e da blasonati premi Nobel: nei circoli che contano, la sua dissoluzione è ormai nell’ordine delle cose. Resta da fare un ultimo sforzo analitico: come conciliare l’ormai imminente collasso dell’Unione Europea con le presidenziali americane? Non c’è alcun dubbio che la vittoria di Donald Trump, il candidato “populista” che si è schierato ed ha esultato per la Brexit, accelererebbe il processo di disintegrazione dell’Unione Europea, propaggine di quell’ormai insostenibile impero americano che Trump vuole parzialmente smantellare, così da dirottare le risorse risparmiate verso l’economia interna. Il discorso è, ovviamente, opposto con Hillary Clinton, esponente di quell’establishment anglofono, liberal e bancocentrico (vedi Council on Foreign Relations e Chatham House) che finanzia e supervisiona il progetto di integrazione europea sin dai tempi del conte Coudenhove-Kalergi: quest’establishment è congenitamente russofobo (l’antagonismo verso la Russia risale al Grande Gioco del XIX secolo) ed aborrisce qualsiasi integrazione tra Russia ed Europa, considerata come una minaccia esiziale per gli interessi angloamericani. Per personaggi come la Clinton l’Unione Europea è stata concepita, proprio come la NATO, “per tenere fuori i russi, dentro gli americani e sotto i tedeschi”. Nel caso di una vittoria della Clinton, quindi, la dissoluzione dell’Unione Europea ed il conseguente rischio di un avvicinamento tra Mosca ed una o più capitali europee, si inquadrerebbero nel più ampio muro contro muro con la Russia, di cui la candidata democratica è una convinta fautrice: uno scenario molto, molto, pericoloso.

Note
1 www.bfmtv.com/politique/la-popularite-de-francois-hollande-et-manuel-valls-en-legere-hausse-1022...
2 www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2016/09/03/solo-il-44-per-quarto-mandato-merkel_850f046f-f4e6-4f75-af2c-6c965cff8...
3 it.wikipedia.org/wiki/Ciclo_di_Frenkel
4 uk.reuters.com/article/germany-merkel-transfer-idUKB4E7IJ009...
5 www.businessinsider.sg/the-risk-of-a-us-recession-according-to-deutsche-bank-2016-9/#Lqg8pif9xqf...

Federico Dezzani
27 settembre 2016
federicodezzani.altervista.org/lultimo-autunno-delleuro-francia-ed-italia-verso-la-rec...
wheaton80
00domenica 5 marzo 2017 15:51
Tutti i conti dell'Italexit: nessuna catastrofe se l'Italia esce dall'euro



Il sistema dell'euro si sta sgretolando e anche l'Italia è a un bivio. E' possibile che in Francia Marine Le Pen, Presidente del Front National, il partito popolar-populista, xenofobo e post-fascista, vinca le elezioni per la Presidenza. Se il Front National vincesse, l'euro si sbriciolerebbe immediatamente. Che cosa accadrebbe allora all'Italia? Il ritorno alla lira potrebbe produrre certamente una nuova crisi ma, se ben gestita, la crisi non provocherebbe un disastro irreparabile. Anzi: l'uscita dall'euro e la ritrovata sovranità monetaria potrebbero finalmente consentire all'economia italiana di riprendere a correre. Il break-up dell'euro provocherebbe il caos nel breve periodo. Tuttavia (a meno che non si adotti la moneta fiscale, che ho più volte proposto ma della quale in questo articolo accennerò solamente) [1] uscire dall'euro potrebbe essere l'unica maniera di ridare ossigeno all'economia italiana ed evitare il disastro di una depressione prolungata all'infinito. Il vero e proprio terrorismo sull'Italexit e sul break-up dell'euro da parte dei media e di una classe politica nazionale che sembra in gran parte venduta agli interessi stranieri non ha alcuna valida motivazione. Se l'euro cadesse, il quadro sarebbe assai complesso sul piano valutario, finanziario e geopolitico. Ma una recente ricerca su 12 Paesi europei (probabilmente la più approfondita e analitica che sia stata compiuta finora) dell'autorevole Observatoire Français des Conjonctures Economiques (OFCE), affiliato a Science Po, la prestigiosa Fondation Nationale des Sciences Politiques, sulle conseguenze del break-up dell'euro, afferma che, in caso di Italexit, la crisi italiana potrebbe essere molto limitata e presto recuperabile [2]. Secondo l'OFCE, in caso di rottura dell'euro, la nuova lira non cadrebbe molto in basso ma potrebbe assestarsi a un livello di svalutazione pari solo al 13% rispetto al marco tedesco. Il rischio dell'Italexit sarebbe pari a zero (o comunque assai basso) nei tre settori che lo studio OFCE analizza in dettaglio: governo e banca centrale; banche e altre società finanziarie; società non finanziarie (tra cui industrie e servizi) e famiglie. La crisi potrebbe toccare in maniera grave qualche grande banca costringendo lo Stato a intervenire. Ma lo Stato italiano non fallirebbe. In pratica lo studio suggerisce che per l'Italia potrebbe essere conveniente smarcarsi dall'euro, considerando che, invece, con la moneta unica è praticamente impossibile ridurre il rapporto debito pubblico/PIL e uscire dal tunnel della depressione perpetua. Non dovremmo puntare a rimanere nell'euro a tutti i costi temendo la catastrofe (come invece purtroppo ha fatto il governo greco di Syriza). Facciamo alcune considerazioni di base. In Italia c'è da molti anni un avanzo primario consolidato (paghiamo più tasse di quanto lo stato spende per i servizi ai cittadini); abbiamo un consistente avanzo commerciale con l'estero (+ 50 miliardi) e una posizione finanziaria netta verso l'estero non eccessivamente negativa (17% circa sul PIL). In questa situazione tutti gli economisti seri possono facilmente comprendere che l'uscita dall'euro, se ben gestita, non provocherebbe disastri irreparabili, e che, dopo la turbolenza iniziale, la nuova lira non cadrebbe più di tanto.

Grazie all'avanzo primario di bilancio, siamo già in grado di pagare le spese pubbliche correnti; inoltre, a differenza della Grecia, entra già preziosa valuta estera grazie al fatto che esportiamo più di quanto importiamo. La nostra situazione è totalmente differente da quella greca: là mancavano i soldi per pagare le pensioni e gli stipendi pubblici e la bilancia commerciale con l'estero era negativa. L'Italia è in una posizione molto più forte. Noi non saremmo totalmente dipendenti dalla moneta estera. L'Italia potrebbe uscire dall'euro senza fare default: lo stato potrebbe pagare i suoi debiti e continuare ad avere accesso ai mercati internazionali. Nonostante ciò che politici e media ci propinano, la nostra situazione economica non sarebbe disastrosa, almeno se non ci fossero l'euro e la UE a strangolare l'economia. Bisogna prepararci. Le banche d'affari internazionali sono le prime a prevedere (e anche a scommettere su) la rottura della moneta unica. Non a caso lo spread (il differenziale) tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi sta aumentando. I capitali stanno fuggendo in Germania, porto sicuro, anche a costo di perdere momentaneamente dei soldi (perché i tassi di interesse su molti titoli di Stato tedeschi sono sotto zero). Partiamo da un assunto forte ma realistico. La rottura della moneta unica prima o poi è praticamente certa (almeno per chi scrive) perché l'euro è una moneta insostenibile, fragile e strutturalmente deflazionistica e depressiva. L'euro toglie ossigeno (liquidità) alle economie proprio quando avrebbero bisogno di respirare (come spiego estesamente nella nota in calce) [3]. Inoltre la Germania, la grande beneficiaria di questa moneta e la potenza prevalente nella UE, non vuole assolutamente cambiare la politica europea in senso espansivo. La Germania nazionalista intende proteggere solo i suoi interessi finanziari e commerciali senza alcuna lungimiranza. Per conquistare l'egemonia sull'Europa occidentale, gli USA con il Piano Marshall stamparono centinaia di milioni di dollari a favore della ricostruzione europea. La Germania invece non consentirà mai a una politica espansiva e keynesiana di intervento pubblico che sviluppi l'economia europea, provochi inflazione e rafforzi i suoi più diretti concorrenti, come l'Italia. Meno che mai condividerà i debiti degli altri Stati. Anche se alle elezioni tedesche di settembre vincesse il socialista Martin Schulz, non è prevedibile nessuna svolta a 180 gradi: (forse) la UE ci darebbe solamente più flessibilità. L'unica vera ed efficace politica di sostegno all'euro è quella praticata dalla Banca Centrale Europea con il Quantitative Easing (acquisto dei titoli di Stato), che però prima o poi terminerà (previsione fine 2017), anche perché ormai l'inflazione a livello europeo sta raggiungendo il tetto fissato del 2%. E il QE era giustificato solo dal fatto di avvicinarsi al 2% di inflazione.

Fine della moneta unica e Piano B sull'euro
La fine della moneta unica si avvicina. La crisi dell'euro (a parere di chi scrive) potrebbe capitare non si sa precisamente quando, per una ragione o per un'altra (per le elezioni in Francia o in Olanda, per la fine del QE, a causa della crisi greca o di quella bancaria italiana, perché Trump non vuole l'euro, per uno shock finanziario a livello globale, ecc… ecc…), ma avverrà certamente. Forse proprio in occasione delle elezioni francesi. Un recente report di Mediobanca Securities redatto da Antonio Guglielmi, responsabile delle ricerche della principale banca d'affari italiana, e dall'economista Marcello Minenna, spiega che, considerando il prevedibile aumento dei tassi, la fine del QE e la scarsa crescita del PIL (pari nel migliore dei casi all'1%), il debito pubblico italiano crescerà e diventerà insostenibile già nel 2017-2018[4]. Si porrà molto presto il problema o di ridenominare il debito pubblico in lire, o di ristrutturarlo, cioè di rivedere i termini di restituzione del debito con i creditori. L'altra soluzione è quella di chiedere “aiuto” alla Troika, cioè a UE, BCE e FMI, come è successo in Grecia. Ma molti dubitano che questa soluzione sia valida: qualsiasi governo in Italia molto difficilmente si farà commissariare. Prima di tutto c'è da chiedersi se il Ministero del Tesoro guidato da Pier Carlo Padoan (che ha assunto il ruolo di garante in Italia degli interessi dei paesi dell'eurozona, Germania in primis) e la Banca d'Italia stiano preparando dei contingency plan, un piano di emergenza nel caso di rottura dell'euro. Sarebbe assolutamente necessario, ma personalmente credo che l'attuale governo sia talmente supino e colpevolmente subordinato verso la UE e la BCE, che questi piani non vengano neppure segretamente preparati. Stiamo fermi a guardare la valanga che precipita sopra di noi. Proviamo allora a disegnare lo scenario italiano della rottura dell'euro. Alcuni elementi sono certi e condivisi tra gli economisti: con la rottura lo Stato italiano sarebbe costretto a emettere la nuova lira, e questa si svaluterebbe immediatamente nei confronti del marco (chiamiamolo così, anche se è invece possibile che l'euro rimanga nell'area forte dell'Europa, in Germania, Olanda, Austria, ecc…, e che quindi diventi un “marco allargato”). In Italia, con la svalutazione della lira rispetto al marco-euro le merci importate costerebbero di più: tuttavia la nuova lira si svaluterà meno rispetto al dollaro, con cui compriamo merci preziose come il petrolio.

Questo è un bene perché gran parte delle importazioni sono pagate in dollari, mentre le esportazioni sono rivolte in buona parte verso l'area del marco. Comunque con la svalutazione della lira aumenterebbero certamente le esportazioni perché le nostre merci costerebbero meno per gli acquirenti esteri. Crescerebbe il saldo già positivo (+50 miliardi circa) della nostra bilancia commerciale con l'estero. Gli italiani, al posto di pagare in euro le merci e i servizi, pagherebbero in lire: rimarrebbe tutto abbastanza come prima per i residenti in Italia (a parte il fatto che pagherebbero di più i beni importati dai Paesi con una moneta più forte della nostra). A causa dell'aumento di questi prezzi, aumenterà certamente l'inflazione (e questo non dovrebbe spaventarci troppo, considerando che oggi siamo in deflazione). L'inflazione colpirebbe soprattutto i redditi fissi: ovvero gli stipendi, le pensioni e i salari, che sono relativamente rigidi e che generalmente non seguono (se non dopo un certo periodo di tempo) l'aumento dei prezzi (a meno che non venga introdotta una nuova “scala mobile”). Quasi certamente nell'immediato i redditi degli italiani diminuirebbero a causa dello shock monetario. Poi, se finalmente il governo facesse una politica espansiva, l'economia potrebbe riprendersi anche molto presto. Grazie al fatto che recupereremmo potestà monetaria, l'emissione di nuove lire potrebbe finalmente finanziare l'espansione della domanda e dare ossigeno ai consumi e agli investimenti pubblici e privati. La capacità produttiva (attualmente soffocata dalla politica deflazionistica della UE a guida tedesca) riprenderebbe a girare a regime sostenuto: aumenterebbe quindi l'occupazione e riprenderebbero a crescere i salari. Dopo anni di recessione e depressione, aumenterebbero l'occupazione e quindi anche i redditi. L'uscita dall'euro non sarebbe così terribile e rovinosa come ci viene detto dai gufi (citazione renziana) del potere. Se ci sarà l'Italexit, il problema maggiore sarà costituito dal debito estero delle banche. Al contrario la soluzione dell'enorme debito pubblico sarebbe a portata di mano se il debito di Stato venisse ridenominato in lira nazionale, come è possibile in base alle leggi vigenti (lex monetae, come vedremo meglio in seguito). Sono quindi le banche italiane a temere veramente l'Italexit.

Il debito pubblico cresce perché non possiamo monetizzare il debito con moneta sovrana
Abbiamo, come noto, un altissimo debito pubblico, pari a circa 2.300 miliardi di euro, il 133% del PIL; questo debito è provocato non dalla pigrizia degli italiani ma solo dal fatto che dobbiamo pagare un tributo enorme alla finanza nazionale ed estera senza potere “monetizzare” il debito. Fin dal 1981 è stato impedito alla Banca d'Italia (anche in vista dell'unificazione europea) di comprare i titoli di Stato nazionali emettendo moneta e calmierando così i prezzi dei titoli di Stato. Poi, con l'introduzione dell'euro, tutto è andato peggio: alla BCE è stato fatto obbligo di non stampare nessun euro per “monetizzare” i debiti pubblici dei Paesi membri dell'eurozona. I debiti devono essere tutti scontati come peccati mortali. La BCE deve solo perseguire la stabilità monetaria perseguendo un livello di inflazione pari a poco meno del 2%. Ma non può difendere gli Stati da eventuali attacchi speculativi. Così le banche d'affari internazionali hanno potuto dettare le loro condizioni agli Stati dell'euro, e allo Stato italiano, applicando interessi elevati ai Paesi più deboli. Da molti anni in Italia i tassi di interesse sul debito di Stato crescono più del PIL, e questo è insostenibile. Il fatto più preoccupante è che circa il 30% del debito pubblico è verso investitori esteri (banche d'affari, fondi pensioni, fondi speculativi, ecc…), molto più esigenti e aggressivi degli operatori nazionali. La crescita del debito pubblico italiano dipende esclusivamente dal fatto che stiamo pagando interessi e principale (il debito iniziale) alle istituzioni finanziarie senza potere emettere la nostra moneta per saldare i debiti contratti. Noi paghiamo i debiti in moneta straniera, in euro. Mario Draghi, presidente della BCE, ha però recentemente ammesso per la prima volta che la moneta unica non è irreversibile. “If a country were to leave the Eurosystem, its national central bank’s claims on or liabilities to the ECB would need to be settled in full” [5].

Draghi ci ricorda che il prezzo da pagare per un ritorno alla vecchia moneta è il rimborso di tutti i debiti alla BCE. Il debito netto della nostra banca centrale con l’eurosistema è pari a 312 miliardi. Si tratta del 20% circa del nostro PIL. Apparentemente questo debito è insostenibile. Ma anche questo non è vero. Marco Cattaneo, in un suo recente e approfondito intervento su questo sito, ha mostrato efficacemente che la Banca d'Italia avrebbe i soldi necessari per ripagare i debiti contratti dall'Italia presso la BCE, soprattutto se questi potessero essere pagati gradualmente e nel tempo [6]. Cattaneo indica che Bankitalia è in grado di restituire oltre 300 miliardi alla BCE. Quindi, in linea di principio, i debiti verso la BCE sono sostenibili. Considerando che Bankitalia dovrebbe affrontare anche la probabile svalutazione in dollari, le casse italiane rimarrebbero però quasi vuote o vuote; comunque riusciremmo, almeno sulla carta, a fronteggiare la situazione senza eccessivi squilibri. Lo Stato italiano, soprattutto se disponesse di crediti esteri (per esempio americani) per fronteggiare eventuali crisi di liquidità, potrebbe gradualmente ripagare i suoi debiti senza fare default, cioè senza dichiarare fallimento. Se ci fosse il break-up, il governo e Bankitalia dovrebbero però arginare un altro pericolo gravissimo: la fuga generalizzata di capitali. I capitali dei grandi capitalisti sono già andati in buona parte all'estero, ma, se l'eurozona si rompesse, la fuga verso i porti più sicuri (le obbligazioni tedesche, il franco svizzero, il dollaro, forse l'oro e quant'altro) sarebbe generalizzata: anche i risparmiatori comuni cercherebbero di depositare i soldi fuori dai confini nazionali nel timore di vedere svalutati i propri risparmi, o semplicemente per ottenere un guadagno nel cambio. Da qui almeno due conseguenze: il governo e Bankitalia dovrebbero imporre (prima possibile) il controllo ferreo sui movimenti di capitale (cosa relativamente facile da fare nei confronti dei piccoli risparmiatori, ma più difficile nei confronti degli operatori multinazionali e delle banche con sedi all'estero); e dovrebbero possibilmente accordarsi con le altre banche centrali per disporre di valuta estera di emergenza e difendere così la lira italiana. Bankitalia potrebbe essere messa nella condizione di indebitarsi, almeno temporaneamente, con il Tesoro e la Federal Reserve (banca centrale) statunitense per avere a disposizione dollari in quantità. Sarebbe infatti più difficile l'accordo con la Deutsche Bank per disporre di marchi/euro! L'intesa con gli USA sarebbe facilitata dal fatto che, con la Presidenza di Donald Trump, l'amministrazione americana sarebbe certamente felice di aiutarci a rompere l'euro. Ma il debito verso gli USA andrebbe poi pagato, sia in termini economici che politici.

Con la Lex Monetae il debito pubblico diventa sostenibile
Esaminiamo la questione dei debiti/crediti con l'estero da un'altra angolazione. Se consideriamo la posizione finanziaria netta dell'Italia verso l'estero, che registra le attività/passività del nostro Paese rispetto al resto del mondo, il saldo netto è positivo per quanto riguarda il settore privato, e al contrario negativo per quanto riguarda il settore pubblico. Il deficit totale è pari al 17% circa del PIL, ovvero a circa 290 miliardi di euro [7]. Il saldo negativo deriva da circa 870 miliardi di passività del settore pubblico (compresa la banca centrale) e da un saldo attivo di circa 580 miliardi del settore privato. I risparmiatori italiani detengono una ricchezza finanziaria, tra depositi e titoli, che non ha pari in Europa (circa 4.000 miliardi, poco meno di due volte e mezzo il PIL). Gli italiani mettono una buona parte dei loro risparmi in fondi e altre società di gestione del risparmio che poi investono soprattutto (purtroppo) all'estero, sul mercato mondiale [8]. Una parte del popolo italiano è costituito da rentier che vive dei rendimenti sugli investimenti all'estero. Da qui l'attivo del settore privato italiano verso l'estero, nonostante il cospicuo saldo passivo settoriale delle banche (180 miliardi). Se il comparto privato è complessivamente in attivo, il problema sembra essere il grande debito pubblico verso l'estero. Ma è risolvibile. Se valesse la Lex Monetae (se cioè si potesse legalmente ridenominare il debito e restituirlo in lire svalutate invece che in euro), allora anche questo problema sarebbe assai meno grave di come appare. La Banca d'Italia potrebbe “monetizzare il debito”, ovvero “stampare” lire, e poi gradualmente ripagarlo senza eccessivi problemi (se non per i creditori ovviamente!). La questione giuridica della Lex Monetae diventa quindi centrale per risolvere il problema dell'enorme debito pubblico. Secondo la Lex Monetae lo Stato sovrano ha il diritto di restituire il suo debito nella sua moneta legale, se questo debito è stato emesso sotto la sua legislazione.

Se invece il debito è stato emesso sotto legislazione estera, per esempio nei centri di Londra o New York, deve essere ripagato nella valuta nella quale è stato contratto, cioé, per quanto riguarda l'Italia, in euro. Secondo il report di Mediobanca già citato, solo una parte esigua, il 2,5% circa, cioè 48 miliardi sul totale del debito pubblico italiano, è stato emessa in base alle leggi estere e andrebbe quindi restituita in euro. Il resto del debito pubblico (pari a un totale di circa 750 miliardi) è invece stato emesso sotto la legislazione nazionale, e quindi sarebbe soggetto alla Lex Monetae, anche se Mediobanca (a mio parere sbagliando) reputa che la Lex Monetae sia difficilmente applicabile a causa delle Clausole di Azione Collettiva, come illustrato estesamente in nota. [9] Applicando la Lex Monetae, il risparmio sul costo del debito sarebbe notevole. Se si ipotizza, come fa Mediobanca, che la nuova lira si svaluterà di circa il 30% rispetto all'euro/marco, cioè di una percentuale pari a due volte il differenziale di inflazione accumulato negli anni dell'euro tra la Germania e l'Italia, grazie alla ridenominazione il debito pubblico risulterebbe sostenibile: infatti, considerando i 750 miliardi di debito estero, lo sconto del 30% varrebbe indicativamente oltre 200 miliardi. In conclusione: se il debito venisse pagato in lire, allora per lo Stato sarebbe certamente opportuna l'uscita dall'euro.

Lo studio dell'OCFE: l’Italexit sarebbe conveniente

Anche una recente ricerca dell'Observatoire Français des Conjonctures Economiques (OFCE) sui principali 12 Paesi dell'eurozona dimostra che l'Italia avrebbe da guadagnare e non da perdere se uscisse dall'euro, considerando ovviamente che la situazione è invece destinata a peggiorare e a precipitare se restiamo. [10] L'indagine analizza in dettaglio le passività e le attività, i debiti e i crediti a breve, medio e lungo termine dei settori pubblici e privati dei principali Paesi dell'eurozona, avvertendo però che il mercato dei derivati è fuori dal perimetro della ricerca a causa della sua opacità. Lo studio giunge alla conclusione che l'Italia non conoscerebbe una situazione particolarmente critica se uscisse dall'euro, o se l'euro si spaccasse. Secondo l'OFCE, dal momento che la quasi totalità del debito pubblico italiano è sotto legislazione domestica, la ridenominazione del debito in lire porterebbe a un taglio del debito molto consistente. Lo studio OFCE non si avventura però a stimare il tasso di svalutazione delle monete dei 12 Paesi in caso di break-up: questo tasso, comunque, pur essendo molto alto nel momento del break-up, si assesterebbe poi su valori minori. Però l'OFCE avanza una previsione: se con il break-up il libero movimento dei capitali definisse dei nuovi tassi di cambio per i 12 Paesi in condizione di tendenziale equilibrio, il valore della nuova lira sarebbe (sorprendentemente) pari (e non minore) alla media del valore delle altre valute europee. [11] La svalutazione della lira sarebbe di solo il 13% rispetto al marco tedesco, all'incirca pari al differenziale di inflazione cumulato con la Germania, mentre la lira si rivaluterebbe del 10% rispetto al franco francese, del 9% rispetto alla peseta spagnola e del 40% circa sulla dracma greca. Secondo i calcoli dell'OFCE, non si presenterebbero gravi situazioni di crisi neppure se la svalutazione italiana nei confronti del marco raggiungesse il 30%.

Potrebbero soffrire alcune singole aziende (in particolare le banche) ma le situazioni più acute potrebbero essere affrontate con politiche mirate. In caso di break-up solo Grecia e Portogallo dovrebbero affrontare una nuova ristrutturazione del debito o un vero e proprio default. L'Italia invece non correrebbe alcun serio rischio di default nel caso di uscita dall'euro. Continuerebbe a pagare i suoi debiti e potrebbe ripartire. Gli autori dello studio sottolineano che, in caso di break-up, anche i Paesi forti dell'Europa, come Germania, Olanda e Austria, che hanno posizioni finanziarie nette positive verso gli altri Paesi dell'eurozona, soffrirebbero molto dalla svalutazione delle loro posizioni attive sull'estero. Quindi a questi Paesi il break-up dell'euro non converrebbe per nulla: né sul piano finanziario, né sul piano commerciale, perché la loro moneta avrebbe un valore superiore a quello attuale dell'euro, e quindi il loro settore export soffrirebbe assai della rivalutazione. Questo, suggerisce lo studio, in caso di crisi dovrebbe porre in forte posizione negoziale i Paesi della periferia. In conclusione: la rottura dell'euro provocherebbe certamente crisi nel breve periodo, ma se ci fosse un governo competente e capace, la crisi non si trasformerebbe in catastrofe. Anzi, una volta normalizzata la situazione, l'economia italiana potrebbe finalmente uscire dal tunnel grazie alla ritrovata potestà monetaria.

Il debito delle banche è il vero problema
Con la Lex Monetae lo Stato è in grado di pagare i suoi debiti. Tuttavia, in base alle stime Mediobanca, il debito delle banche sotto legge estera, quindi da ripagare in euro, è pari a circa 550 miliardi. Una cifra enorme che farebbe crollare l'intero sistema finanziario italiano, e che però è in parte compensata dai crediti e dagli attivi in valuta estera (che si rivaluterebbero se tornassimo alla lira). I dati Bankitalia indicano che la posizione finanziaria netta delle banche risulta essere deficitaria per 180 miliardi. Ovviamente gran parte di questo deficit non potrebbe essere ridenominato se, come è probabile, derivasse da passività sotto legge estera. E' possibile perciò ipotizzare che la crisi dell'euro potrebbe provocare il fallimento di qualche grande istituto bancario italiano. Se una o più delle principali banche italiane, le quali sono già in crisi a causa di circa 340 miliardi di crediti lordi deteriorati, dovessero fallire, si potrebbe scatenare una crisi deflagrante. Solo lo Stato italiano potrebbe intervenire facendo stampare alla Banca d'Italia le lire necessarie per mantenerle in vita. Ovviamente Bankitalia perderebbe la sua (peraltro abbastanza falsa) indipendenza dal potere politico e diventerebbe praticamente un organo esecutivo del governo e del Ministero del Tesoro. Più in generale, la Banca d'Italia dovrebbe “monetizzare il debito”; ovvero stamperebbe moneta per acquistare i titoli (i BTP e i BOT) che lo Stato italiano emetterebbe per reperire le risorse necessarie a fare ripartire l'economia. Monetizzare il debito significa aumentare l'inflazione: l'inflazione tra l'altro provocherebbe una diminuzione del valore dei titoli di Stato (circa 400 miliardi) acquistati in precedenza dalle banche italiane, e costituirebbe un altro fattore critico.

Occorre un governo coraggioso e competente per gestire il possibile break-up dell'euro

In conclusione: il vero problema dell'Italexit riguarda le banche private e non lo Stato italiano. Ma è chiaro che anche le valutazioni rassicuranti dell'OFCE sono da prendere con cautela perché sono statiche: assai più incerte e certamente assai più drammatiche sarebbero le prospettive se si considerasse la dinamica, peraltro del tutto imprevedibile, della crisi europea nel suo movimento complessivo. Nessuno può anticipare che cosa succederebbe se tutti i Paesi dell'eurozona uscissero contemporaneamente dall'euro; e che cosa farebbero gli operatori anglosassoni, cinesi e russi in caso di rottura dell'eurozona; e che cosa succederebbe sul mercato importantissimo dei derivati. Che cosa succederebbe in caso di guerra commerciale o valutaria? E che cosa accadrebbe se, per esempio, fallissero o rischiassero di fallire (magari contemporaneamente), a causa della crisi, le banche “too big to fail”, come la Deutsche Bank, Société Générale, Unicredit? Probabilmente nella crisi e dopo la crisi saremmo più dipendenti dagli Stati Uniti e forse più deboli verso la Russia di Putin: ma saremmo anche finalmente sganciati dalle politiche deflazionistiche dettate dal governo tedesco. L'uscita dalla gabbia dell'euro potrebbe finalmente fare riprendere tono all'economia italiana e, dopo un periodo di assestamento, riportare lo sviluppo a regime. Finalmente potremmo decidere democraticamente e autonomamente le nostre politiche monetarie e fiscali in modo da fare crescere il Paese senza essere sottoposti al vaglio di istituzioni europee dominate da potenze concorrenti, come quella tedesca e francese. Resta il fatto che la Moneta Fiscale proposta da una serie di studiosi, tra i quali il compianto Luciano Gallino, costituisce comunque la soluzione di gran lunga migliore (ovvero la più concreta, efficace, la meno rischiosa e traumatica) per rilanciare l'economia senza aumentare il debito, anzi diminuendo il rapporto debito/PIL. [12] La moneta fiscale sarebbe ottimale sia nel caso che l'euro venisse mantenuto (ma fino a quando?) sia nel caso che il sistema monetario europeo fosse destinato presto a crollare. Ma di questo ci occuperemo la prossima volta.

Note
[1] Vedi eBook edito da MicroMega:“Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro” a cura di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, con la prefazione di Luciano Gallino
[2] Cédric Durand, Sébastien Villemot “Balance Sheets after the EMU: an Assessment of the Redenomination Risk”, OFCE, 10 October 2016
[3] Questi sono i difetti strutturali dell'euro:
a) Impone restrizioni suicide e draconiane sui deficit pubblici, e queste limitazioni impediscono di attuare politiche fiscali anticicliche. In tempo di crisi i governi non possono fare gli investimenti pubblici indispensabili per rilanciare l'economia, e anzi devono tagliare la spesa pubblica. In tal modo la politica dell'eurozona distrugge attivamente il modello sociale europeo che nei decenni passati ha caratterizzato l'Europa
b) I debiti pubblici di ciascun Paese membro sono denominati in una moneta straniera, ovvero in una moneta (l'euro) che gli Stati non controllano. Gli Stati non possono più finanziare il bilancio pubblico con la loro moneta. Inoltre la Banca Centrale Europea, che ha il monopolio sull'emissione della moneta unica europea, per statuto non può coprire i deficit pubblici dei singoli Paesi. Così, caso unico per i Paesi sviluppati, i Paesi e i popoli europei sono lasciati completamente indifesi e alla mercé della speculazione finanziaria internazionale
c) I Paesi più deboli non possono svalutare. La moneta unica ha infatti eliminato l’uso del tasso di cambio per il riallineamento della competitività dei Paesi membri dell'eurozona. In questo modo si approfondiscono costantemente i divari competitivi tra i Paesi dell'eurozona
d) La politica monetaria (tassi di interesse e offerta di moneta) e il tasso di cambio sono identici per 19 economie fra loro molto diverse per livelli di competitività, inflazione, intensità tecnologica, ecc… La moneta unica è quindi strutturalmente rigida e impone politiche intrinsecamente non adatte alle necessità specifiche di ogni Paese dell'eurozona
[4] Mediobanca, Country Update, “Re-denomination risk down as time goes by” 19 January 2017
[5] Reuters, 20-1-2017 “Any country leaving euro zone must settle bill first: ECB's Draghi”
[6] Micromega.net Marco Cattaneo “Target2, l'occasione giusta: pagare il riscatto per uscire dall’euro”
[7] Supplementi al Bollettino Statistico - Indicatori monetari e finanziari - /VNFSP - Bilancia dei pagamenti e posizione patrimoniale sull’estero, Nuova serie, Anno XXVI - 20 Dicembre 2016 n. 68
[8] Guido Salerno Aletta, Formiche.net “Assicurazioni Generali, Intesa Sanpaolo e la difesa dell’italianità del risparmio”, 29/1/2017
[9] Secondo gli autori del report Mediobanca il trattato sulle Class Action Clauses, Clausole di Azione Collettiva, impedirebbe l'applicazione della Lex Monetae. Che cosa dice il trattato CAC? Il CAC consente a uno Stato di ristrutturare il debito (per esempio con l'allungamento della scadenza, riduzione delle cedole o del principale) senza possibilità di contestazioni giudiziali da parte delle minoranze se la maggioranza qualificata dei creditori (i due terzi o il 75 per cento a seconda dei casi) dà il consenso alla ristrutturazione chiesta dal debitore. Il trattato internazionale firmato dall'Italia nel 2010 prevedeva di inserire obbligatoriamente le norme CAC a partire dal 2013 nelle nuove emissioni di debito pubblico. Se queste norme valessero oltre che per i casi su menzionati di ristrutturazione del debito anche nei casi di ridenominazione della valuta, allora lo Stato italiano dovrebbe restituire una parte sempre crescente del suo debito in euro. Infatti, per quanto riguarda i titoli di Stato emessi dal 2013 in poi, è altamente improbabile che la maggioranza qualificata dei creditori accetti la ridenominazione dall'euro nelle lire svalutate. Gli autori del report Mediobanca stimano che la quota di debito emessa con clausole CAC sia già pari a quella precedente al 2013 (e quindi a quella senza CAC) e giungono alla conclusione che già oggi la ridenominazione del debito in lire non porterebbe alcun vantaggio allo Stato. Dal momento che negli anni la quota di debito CAC crescerà fino a raggiungere il 100% nel 2022, ridenominare diventerà sempre meno vantaggioso. Quindi gli autori suggeriscono che il governo italiano sarà costretto a chiedere la ristrutturazione del debito per non fallire. La Troika è vicina! Tuttavia non è detto che Mediobanca abbia ragione. L'interpretazione del CAC potrebbe (e dovrebbe, a parere di chi scrive) essere molto diversa. Come abbiamo scritto, secondo Mediobanca, il CAC si applicherebbe non solo nel caso di ristrutturazione del debito ma anche se il debito pubblico venisse ridenominato in lire. Tuttavia questa opinione è molto discutibile, se non fuorviante. Il CAC infatti è stato introdotto nei trattati europei per favorire gli Stati debitori in caso di default, e non i creditori. In particolare le clausole di azione collettiva intendono evitare che creditori minoritari (come i vulture fund, i fondi avvoltoio che hanno preteso il totale rimborso al 100% dei titoli di debito argentini che avevano comprato a prezzi stracciati quando l'Argentina era già fallita) possano fare crollare le finanze di un Paese in crisi non accettando le condizioni approvate dalla maggior parte dei creditori, e quindi pretendendo in giudizio di non essere vincolati dalle decisioni di compromesso pattuite dallo Stato con la maggioranza dei creditori. Quindi il CAC deve in linea di principio proteggere lo stato italiano, in quanto debitore, e non il contrario. Inoltre, e soprattutto, il trattato non cita esplicitamente la ridenominazione tra i casi per cui è prevista l'adozione delle regole CAC. Assai difficilmente esse si applicherebbero nel caso di ridenominazione del debito in base ai normali principi giuridici in vigore. Pure nel dibattito internazionale si afferma che il CAC difficilmente è applicabile in caso di ridenominazione, per la quale varrebbe invece la Lex Monetae. E' quindi abbastanza certo che il CAC non si applichi alla ridenominazione. Del resto anche nel report Mediobanca si dice che il riferimento del CAC ai casi di ridenominazione è solo implicito. Soprattutto è molto difficile immaginare che in caso di uscita di un Paese dall'euro i suoi tribunali applicherebbero le regole CAC, e non la Lex Monetae, penalizzando il proprio Paese
[10] Cédric Durand, Sébastien Villemot “Balance Sheets after the EMU: an Assessment of the Redenomination Risk”, OFCE, 10 October 2016
[11] L'OFCE calcola il FEER (Fundamental Equilibrium Exchange Rate) ovvero, in sintesi, il tasso di cambio compatibile con un'economia di piena occupazione e con l'equilibrio della bilancia dei pagamenti
[12] Vedi eBook edito da MicroMega:“Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro”, già citato.

Enrico Grazzini
3 marzo 2017
temi.repubblica.it/micromega-online/tutti-i-conti-dellitalexit-nessuna-catastrofe-se-litalia-uscisse-d...
wheaton80
00giovedì 13 aprile 2017 23:31
Gli euroinomani del ‘ci vuole più Europa’

E poi vi sono gli ‘euroinomani’. Sono coloro i quali non riescono a vivere senza l’euro, l’Unione Europea e la Banca Centrale. Nell’odierno scenario di genocidio finanziario e di usurocrazia bancaria, gli euroinomani continuano a ripetere il mantra del ‘ci vuole più Europa’, che è l’analogo del ‘ne voglio ancora’ tipico dei tossicodipendenti. Se il male è – difficile negarlo – l’Europa dell’euro e delle banche (cioè l’unica Europa oggi esistente!), dire ‘ci vuole più Europa’ è, in effetti, l’equivalente del dire, di fronte alle tragedie del tossico, ‘ci vuole più droga’. La definizione di ‘euroinomani’ la devo a un amico vero, il coraggioso giornalista Alessandro Montanari. Discutere con gli euroinomani è impossibile: non tanto in nome dell’adagio scolastico per cui ‘contra negantem principia non est disputandum’, quanto piuttosto per il fatto che, in ragione della loro assuefazione, essi non riescono a concepire un mondo senza l’euro e senza la Banca Centrale. Ne segue un paradosso evidente, che è sotto gli occhi di tutti: le tragedie annunciate dagli euroinomani come inevitabili qualora si uscisse dall’euro (miseria, impoverimento, conflitti, violenza, ecc…), si stanno tutte puntualmente realizzando permanendo nel sistema eurocratico. La Grecia ne è un esempio, un tragicissimo esempio. Così com’è, l’Europa esiste unicamente come asservimento dei popoli e come dittatura della finanza: e questo nel quadro di un perverso sistema in cui a decidere non sono parlamenti e popoli sovrani, ma banchieri e finanza, in una oscena oligarchia che non pensa ma solo calcola, ai danni del pianeta e dei popoli. Il sogno di Kant è sostituito dall’incubo dell’eurocrazia: pensare di pervenire al primo senza uscire dal secondo è un errore clamoroso, purtroppo largamente egemonico nell’odierno panorama culturale e politico. Per imporre la schiavitù, il sistema moderno – scriveva il poeta Ezra Pound – utilizza il debito: il debitore finisce per essere asservito al creditore, secondo un nesso di schiavitù puramente economico-finanziario. L’usura ‘offende divina bontade’, scrive Dante nella Commedia (“Inferno”, XI, vv. 95-96). E la Grecia si sta ribellando contro l’usura del capitale finanziario. Contro l’usura furono Dante e Aristotele, Tommaso e Marx, Platone e Pound. E noi dovremmo accettare l’usura perché ‘ce lo chiede l’Europa’ e lo vuole la signora Merkel?

Per tornare alla metaforica della droga e degli euroinomani, si tratta di eliminare la droga (non di intensificare le dosi col “ci vuole più Europa”!), nel nostro caso di uscire dal folle progetto eurocratico, tornare alla sovranità nazionale democratica (la Grecia di Tsipras ci sta arrivando?) e, da lì, perseguire forme di comunità alternative, sempre basate sul riconoscimento tra liberi e uguali. La vera Europa realizzata sarebbe quella in cui la Grecia e la Germania stessero tra loro come soggetti liberi e uguali e non, come oggi avviene, come un servo (la Grecia) e un signore (la Germania), secondo una asimmetria fondata su nessi economici. La vera Europa – di cui l’odierna è la perversa negazione – è un’Europa plurale, di popoli liberi e sovrani, con le loro lingue e le loro tradizioni, in cui a decidere sia il popolo e non l’economia, gli uomini in carne e ossa e non le entità ‘sensibilmente sovrasensibili’ – avrebbe detto Marx – del mercato e della finanza. L’euro, del resto, non è stato un ‘errore’: è stato il compimento di un esiziale processo di spoliticizzazione dell’economia avviatosi nel 1989. Come ho cercato di spiegare nel mio ‘Il futuro è nostro’ (Bompiani, 2014), l’euro e l’Unione Europea sono, infatti, il compimento di un ‘capitalismo assoluto’, in cui sovrani sono solo il mercato e quelle realtà ‘piene di capricci teologici’ (Marx) come la Banca Centrale, che nessuno ha democraticamente eletto e che, non di meno, decidono della vita dei popoli. Per questo, la lotta contro il capitale e in difesa del lavoro e dei popoli deve essere oggi, anzitutto, lotta contro l’euro e la dittatura finanziaria pudicamente chiamata “Unione Europea”. Tramite il colpo di Stato eurocratico, si è instaurato un vero e proprio cesarismo finanziario, in forza del quale si sono trasferiti i poteri dei governi democratici a istanze prive di rappresentatività, non soggette ad alcun controllo da parte del popolo. Si è instaurata la sovranità assoluta dei mercati finanziari e si è prodotta un’autentica deriva oligarchica della democrazia. È ora di disintossicarsi, prima che arrivi inesorabilmente l’“overdose”.

Diego Fusaro
9 luglio 2015
www.ilfattoquotidiano.it/2015/07/09/gli-euroinomani-del-ci-vuole-piu-europa/...
wheaton80
00sabato 24 marzo 2018 23:52
Claudio Borghi - Come vi porterò fuori dall'euro

Claudio Messora torna a intervistare Claudio Borghi (dopo il mitico primo video del 2012 che ha superato il mezzo milione di visualizzazioni: www.youtube.com/watch?v=fhzwE...), nel frattempo divenuto segretario economico della Lega Nord e dunque candidato in pectore a realizzare quell'uscita dall'euro profetizzata cinque anni prima su Byoblu.com:



wheaton80
00lunedì 11 febbraio 2019 11:36
Fabio Dragoni - Stanno arrivando i Minibot: eccoli!

www.youtube.com/watch?v=UrHg-3PTTkA&feature=share

I minibot sono titoli di stato non fruttiferi, simili ad una banconota, con i quali si potranno pagare le imposte, e quindi si potranno accettare come forma di pagamento per gli acquisti. Fabio Dragoni, imprenditore e giornalista, vi presenta la nuova "banconota" che da settembre il Governo dovrebbe affiancare all'Euro. 70 miliardi di crediti di imposta che potranno iniziare a circolare esattamente come l'Euro, finendo diritti nell'economia reale e contribuendo ad aggirare le regole dell'austerity con le quali l'Europa chiude i rubinetti dell'Euro. Il debito pubblico, peraltro, è uno strumento dello Stato, non un problema come i fedeli adepti della religione di Bruxelles tentano di farvi credere da anni, perché "debito pubblico" significa in realtà strade, autostrade, ferrovie, infrastrutture che i nonni lasciano ai nipoti. C'è un limite alla spesa che è possibile soddisfare in questo modo? Certamente: il limite sarà raggiunto quando tutti i 2,7 milioni di disoccupati avranno finalmente un lavoro, mentre l'Europa viceversa costringe l'Italia ad avere una disoccupazione strutturale (da non sforare) fissata al 9,1%, in nome del contenimento dell'inflazione. È l'apoteosi della follia tecnoburocratica della finanza speculativa elitaria e globalista. E tutto mentre l'Italia è il terzo paese al mondo, dopo Usa e Germania, per riserve auree, con le sue 2.158 tonnellate. Si tratta dell'oro che abbiamo acquistato con il sudore della nostra fronte, ma il modo migliore per cancellare un diritto è farvi pensare che sia un privilegio. Così come dobbiamo combattere per strappare ad un oscuro signore la facoltà di fare un misero deficit del 2,04%. Gli Stati Uniti, che non avevano nessun carceriere a decidere quanto dovesse essere lunga la misura della loro catena, durante l'ultima crisi hanno fatto senza problemi un deficit del 13%.
wheaton80
00venerdì 31 maggio 2019 15:21
Minibot più vicini. Primo passo per rilanciare l'economia e sfa...tare Moscovici

Martedì, nel silenzio più totale (solo Dragoni da La Verità e Pritchard su Telegraph hanno ripreso la notizia), una mozione della Camera dei Deputati votata all’unanimità ha approvato l’introduzione dei famosi Minibot a pagamento dei crediti privati verso la pubblica amministrazione. La misura permetterà la liquidazione dei circa 70 miliardi di crediti che le aziende private vantano nei confronti dello Stato, e che stanno mettendo in crisi il sistema produttivo italiano legato al settore pubblico. Ci sono aziende che sono sull’orlo del fallimento per non aver ancora ricevuto i pagamenti stessi, talvolta in ritardo da anni, e che si sono dovute indebitare a titolo oneroso con il settore bancario. La norma prevede che quindi siano pagate con mini titoli di Stato, trasferibili al portatore, evidentemente in una prima fase in forma digitale, quindi in forma telematica, per poter potenzialmente essere trasferiti in forma cartacea, secondo il disegno a suo tempo previsto da Claudio Borghi. I tagli saranno da 100 a 5 euro e rappresenteranno dei crediti d’imposta utilizzabili per il pagamento delle imposte e delle prestazioni previdenziali, ma, essendo trasferiti, potranno essere ceduti a terzi per il pagamento.

La differenza con l’Euro è che questi strumenti non sono una valuta “in senso stretto”, sia perché il loro valore facciale è in euro, sia perché non esiste il cosiddetto “Corso Forzoso”, cioè l’obbligo legale di accettare il buono in pagamento. L’accettazione sarà su base volontaria, ma la diffusione ne determinerà il successo o meno: infatti se i buoni fossero immediatamente impiegati per il pagamento delle imposte la loro circolazione sarebbe minima, mentre se attivassero un circuito di pagamento parallelo, come nella speranza del governo, potrebbero essere di forte stimolo all’economia. La misura, oltre a saldare il valore dei crediti, rimettendo parzialmente in bonis le aziende, avrebbe anche il vantaggio, se avesse successo come circolazione, di aumentare la massa monetaria M1 italiana, e sottolineiamo italiana, di diversi punti percentuali, e quella esclusivamente legata all’economia reale, non a quella finanziaria come è accaduto per il QE. L’aumento non sarebbe rilevato in termini “Legali”, in quanto manca un corso forzoso, ma nell’uso, elemento che comunque è ciò che interessa per gli effetti economici e di governo. Quella approvata è solo una mozione, una sorta di “Invito a procedere”. Tocca ora al governo darsi da fare per realizzare la norma di legge e liberare le risorse necessarie.

Fabio Lugano
30 maggio 2019
scenarieconomici.it/minibot-piu-vicini-primo-passo-per-rilanciare-leconomia-e-sfa-tare-mo...
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