Accidenti! non lo sapevo!Buddisti come musulmani?

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LiviaGloria
00venerdì 28 aprile 2006 15:07
Cristiani perseguitati in Asia. Anche i buddisti stanno col nemico
In sei stati dell’Asia in cui sono maggioranza, i buddisti collaborano a reprimere le altre religioni.
Lo documenta il Rapporto 2004 dell’Aiuto alla Chiesa che Soffre

di Sandro Magister

ROMA – In Occidente il buddismo è sinonimo di pace, compassione, saggezza, fratellanza ecumenica. Così come avviene per la sua figura più nota, il Dalai Lama.

In più il buddismo ha fama di religione perseguitata, e il Tibet ne è l’emblema.

Ma a leggere l’ultimo Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo reso pubblico a Roma il 25 giugno 2004 dall’Aiuto alla Chiesa che Soffre, balza evidente un dato di segno opposto.

In quasi tutti gli stati dell’Asia dove il buddismo è maggioranza, infierisce la repressione religiosa. E questa colpisce tutte le religioni che non siano il buddismo.

Il caso più clamoroso è forse quello del Myanmar, lo stato che in passato aveva nome Birmania. Sul numero di giugno del mensile americano “Crisis” è uscito un reportage di Benedict Rogers che dà conto dell’implacabile persecuzione delle minoranze cristiane e musulmane, con tanto di conversioni forzate al buddismo.

Dal dipartimento di stato americano il Myanmar è classificato tra i sei peggiori oppressori al mondo della libertà religiosa. In un’altra classifica sulle persecuzioni dei cristiani, curata da Open Doors, figura al terzo posto un altro stato a dominante buddista, il Laos.

Ecco qui di seguito una rassegna in ordine alfabetico degli stati dell’Asia nei quali il buddismo è religione prevalente. Con cenni sulla situazione religiosa di ciascuno, ripresi dal Rapporto 2004 dell’Aiuto alla Chiesa che Soffre.

BUTHAN

Culto pubblico, evangelizzazione e proselitismo religioso sono illegali se compiuti da non buddisti. Nelle due versioni Ningmapa e Kagyupa il buddismo modella la politica e per un buddista è illegale convertirsi al cristianesimo. Nel paese possono essere introdotti soltanto testi religiosi buddisti. Nessun insegnamento religioso diverso è consentito nelle scuole. Quindicimila induisti sono stati espulsi dal sud del paese nella confinante India e il governo ha attuato nella regione un programma di insediamento forzato di butanesi buddisti.

CAMBOGIA

Il primo ministro Hun Sen dichiara d’apprezzare il lavoro dei missionari stranieri. Tuttavia una recente ripresa del nazionalismo – strettamente connesso con il buddismo che è la religione di stato – ha reso più difficile la vita di cristiani e musulmani, presenti soprattutto in aree rurali. Nel luglio 2003 un centinaio di buddisti hanno attaccato una chiesa a Kok Pring, nel sud-est del paese, durante la funzione domenicale, incolpando i cristiani di una siccità che durava da tre anni. Particolarmente critica è la situazione per i cristiani Montagnard fuggiti in Cambogia dal Vietnam. Il governo cambogiano dà loro la caccia e li riconsegna alla polizia vietnamita, che li mette in prigione.

LAOS

Il governo comunista, al potere dal 1975, ha dichiarato espressamente di voler eliminare i cristiani, perché considera il cristianesimo una violazione dei costumi laotiani e una “religione straniera imperialista" appoggiata da interessi politici occidentali e americani. I cristiani sono quindi considerati sovversivi e nemici dello stato. La persecuzione colpisce in particolare i cristiani dell’etnia Hmong, convertiti da missionari protestanti americani. Il buddismo theravada è l’organizzazione religiosa più importante del paese e dà l’impronta alla vita pubblica, soprattutto delle aree rurali. Non è religione di stato, ma il governo lo favorisce come elemento caratterizzante della nazione e sempre più di frequente inserisce rituali buddisti nelle manifestazioni statali. Il proselitismo ad opera di altre religioni è fortemente ostacolato. Si registrano casi di forzata abiura dalla fede cristiana, con la prigione per chi rifiuta.

MONGOLIA

La costituzione garantisce la libertà religiosa e il governo generalmente la rispetta, ma vi sono ostacoli al proselitismo e difficoltà per la registrazione e l’ottenimento dei permessi per lo svolgimento dell’attività religiosa. Il buddismo – di tipo lamaista tibetano – non è religione di stato, ma viene considerato parte integrante della vita della nazione e ha acquisito supremazia e vantaggi rispetto alle altre religioni.

MYANMAR

È governato dal 1962 da un regime militare comunista, incurante della vittoria elettorale nel 1990 del partito democratico d’opposizione guidato da Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace. Il buddismo theravada praticato dalla maggioranza della popolazione non è religione di stato, ma il governo lo controlla e favorisce, mentre perseguita le minoranze cristiana e musulmana. Le scuole cattoliche sono state confiscate dallo stato e i cristiani non possono accedere a ruoli dirigenti. I cristiani appartengono in prevalenza alle popolazioni Chin, Kachin e Karen, tra le quali sono attivi movimenti indipendentisti. Molti sono fuggiti in Thailandia e in India, dove vivono in campi profughi. Nella regione dei Chin le croci sulle montagne, espressive della loro fede, sono state tutte abbattute, spesso sostituite da pagode. I cristiani sono obbligati a versare una tassa annuale per sostenere la religione buddista e, se si convertono, ottengono privilegi: tra l’altro l’esenzione dai lavori forzati a servizio dell’esercito, ai quali sono costretti periodicamente. Le Bibbie sono vietate e così le riunioni all’infuori delle liturgie domenicali, che a loro volta sono spesso disturbate o interrotte. Molti bambini cristiani sono portati lontano dalle famiglie e internati in monasteri buddisti.

SRI LANKA

Nello Sri Lanka dove i buddisti sono quasi il 70 per cento – scrive il rapporto 2004 dell’Aiuto alla Chiesa che Soffre – “il cristianesimo è percepito come un’imposizione coloniale e la condizione dei cristiani si sta rapidamente deteriorando”. L’ingresso nel paese di nuovi pastori e sacerdoti – soprattutto gesuiti, banditi da più di trent’anni – è fortemente ostacolato. La reazione anticristiana si esprime anche in forme violente e prende di mira soprattutto le comunità evangelical e pentecostali. I monaci buddisti, specie nelle zone rurali, guidano gli assalti a chiese, scuole, pastori e fedeli, con distruzioni e massacri, e sfilano in cortei di protesta contro “la diabolica cospirazione delle forze cristiane per convertire e corrompere la nazione”. Nell’agosto del 2003 la corte suprema ha stabilito che la costituzione vieta il proselitismo. In settembre, il governo ha ordinato di chiudere tutte le scuole cattoliche di formazione superiore.

THAILANDIA

I buddisti sono l’85 per cento della popolazione e il buddismo theravada è di fatto la religione di stato. Ma la libertà per tutte le religioni è garantita dalla legge e la sua pratica rispettata. Buoni progressi si sono registrati anche nei confronti della minoranza musulmana, specie dopo la nomina nel 2002 del musulmano Wan Nor Muhamad Matha a ministro degli interni.

VIETNAM

Sono sei le religioni autorizzate: buddismo, cattolicesimo, protestantesimo, islam, Hoa-hao e Cao-dai. Ma su ciascuna il controllo governativo è fortissimo, spesso accompagnato da vere e proprie persecuzioni, con arresti di fedeli e distruzione di chiese e templi. La consistente minoranza cristiana, più dell’8 per cento della popolazione, è particolarmente vessata, per motivi religiosi ed etnici (è il caso delle popolazioni Montagnard e Hmong). Ma anche il buddismo, che è la religione più diffusa, seguita dal 50 per cento dei vietnamiti, subisce pesanti restrizioni. Il suo leader più autorevole, Thic Huyen Quang, è agli arresti domiciliari dal 1982.


* * *

Da questo inventario si ricava che su otto stati dell’Asia a maggioranza buddista uno solo – la Thailandia – assicura una sostanziale libertà religiosa a tutte le fedi e un altro – il Vietnam – le perseguita tutte, buddismo compreso.
Negli altri sei stati il buddismo è parte più o meno integrante di regimi che reprimono le altre religioni.



Kattolico
00domenica 30 aprile 2006 19:42
Tratto da AsiaNews.it
11 Aprile 2006
CINA
Governo: il buddismo può guarire le divisioni sociali, meglio di cristianesimo ed islam

Elogi a non finire da parte dell’Ufficio affari religiosi in occasione di un forum mondiale dei buddisti sponsorizzato dalla Cina. Vaticano e buddismo tibetano presentano qualche problema in più.



Hong Kong (AsiaNews) – Secondo Ye Xiaowen, direttore dell’Amministrazione statale per gli affari religiosi, il buddismo ha ottime probabilità di guarire le divisioni della Cina e aiutare i fedeli ad affrontare tutti i cambiamenti sociali del paese, meglio di quanto possono farlo cristianesimo e islam. Ye ha espresso il suo pensiero alla Xinhua, commentando l’imminente World Buddhist Forum che si terrà nel Zhejiang dal 13 al 16 aprile. L’incontro è organizzato dalla Associazione buddista in Cina e dall’Associazione per la comunicazione della cultura religiosa, il cui presidente è proprio Ye Xiaowen.

Nella sua dichiarazione a Xinhua, Ye ha detto che anche cristianesimo e islam possono contribuire alla costruzione di una società armoniosa (un leit motiv del presidente Hu Jintao), ma il buddismo – ha aggiunto – può offrire un “contributo particolare” perché tende a un’idea di armonia più vicina alla visione cinese.

“In quanto Paese responsabile – ha aggiunto – la Cina ha una sua visione e una politica precisa nel promuovere l’armonia mondiale. Il potere religioso (sic!) è una delle forze sociali da cui la Cina può ricevere sostegno”.

Ye ha spiegato che il buddismo può aiutare i fedeli a superare le difficoltà presenti nella società cinese, segnata da uno sviluppo velocissimo che crea un enorme abisso fra ricchi e poveri e crescenti rivolte sociali.

Il buddismo è la religione più diffusa in Cina ed in passato è stata – come le altre religioni – perseguitata dal regime comunista. Intervistato dal South China Morning Post, Tam Wai-lun, professore associato all’Università di Hong Kong, dice che il motivo per cui Ye esalta così tanto il buddismo è solo perché vuole sostenere il Forum di cui è uno sponsor. Il governo centrale, egli spiega, ha più facilità a trattare col buddismo perché esso ha contatti meno forti con comunità all’estero, spesso sospettate da Pechino di intromettersi nei suoi affari interni. Uno dei motivi di difficoltà nei rapporti fra Cina e Vaticano, per esempio, è proprio il legame dei fedeli con la santa Sede, percepita da Pechino come un potere straniero. Anche il Dalai Lama, capo del buddismo tibetano, è visto dal governo cinese come un potere esterno che vuole “dividere” la Cina.

Tam fa notare che non c’è nulla di nuovo negli elogi espressi da Ye: il governo centrale ha sempre attuato la politica di trarre sostegno dalle religioni, unendole in un Fronte unito, a sostegno della politica del Partito comunista cinese.
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