L'APOCALISSE DI GIOVANNI APOSTOLO
commento e spiegazione a cura di
ITALO MINESTRONI
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CAPITOLO XXII
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Giovanni continua ad elencare le bellezze e le singolarità della Gerusalemme celeste:
(22, 1)«POI MI MOSTRO' IL FIUME DELL'ACQUA DELLA VITA, LIMPIDO COME CRISTALLO, CHE PROCEDE DAL TRONO DI DIO E DELL'AGNELLO»: l'angelo mostra poi a Giovanni "il fiume della vita", così chiamato perché simboleggia la vita eterna, la salvezza piena e perfetta, il dono della grazia sovrana di Dio. "Fiume della vita": che cos'è la vita se non la comunione con Dio? (cfr. Giovanni 17, 3; Ezechiele 47, 1 seg.; Isaia 55, 1; Salmo 46, 4; Giovanni 4, 10; 7, 38; e il commento ad Apocalisse 7, 17; 21, 6). Questo "fiume" procede dal "trono di Dio e dell'Agnello", volendo significare che la salvezza proviene dalla sovrana volontà di Dio e ci è stata meritata dal sangue di Cristo.. L'abbondante e santo carattere di questa vita è messo in evidenza dal fatto che il fiume è pieno di !acqua limpida come cristallo"
(22, 2) «IN MEZZO ALLA PIAZZA DELLA CITTA' E D'AMBO I LATI DEL FIUME, STAVA L'ALBERO DELLA VITA, CHE DA' DODICI RACCOLTI E PORTA IL SUO FRUTTO OGNI MESE; E LE FOGLIE DELL'ALBERO SONO PER LA GUARIGIONE DELLE NAZIONI»: l'idea che si ricava è che non c'è un albero solo nella piazza e ai due lati del fiume, ma ve ne sono molti (quindi la frase "l'albero della vita" è da intendersi in senso collettivo). "Il fiume dell'acqua della vita" attraversa la piazza e sulle sue sponde crescono gli alberi della vita, che fruttificano ogni mese e le cui foglie hanno virtù medicinali "per la guarigione delle nazioni". In breve, ciò vuol dire che nella celeste Gerusalemme c'è abbondanza di tutto ciò che serve a mantenere la vita eterna dei redenti, a darle sempre nuovo vigore, freschezza e accrescimento. Tutto ciò è simbolo del carattere sovrabbondante della vita eterna e di salvezza per tutti i cittadini celesti. Le foglie di quest'albero della vita "sono (e in cielo diremo sono state) per la guarigione delle nazioni", sia perché la vita eterna guarisce da tutte le cicatrici del peccato e della miseria e sia perché questo "albero della vita" raffigura il legno della croce di Cristo (Atti 5, 30; 10, 39 ecc.; Galati 3, 13) mediante cui Cristo ci ha meritato la vita eterna.
(22, 3) «E NON CI SARA' PIU', nella celeste Gerusalemme, ALCUNA COSA MALEDETTA (lo stesso albero della croce non è più maledetto, come lo era per gli ebrei: Deuteronomio 21, 23; Ezechiele 47, 12; Apocalisse 2, 7); E IN ESSA SARA' IL TRONO DI DIO E DELL'AGNELLO»: "il trono" simboleggia la sovranità di Dio, per questo "il fiume" procede dal trono. Questa sovranità di Dio si è rivelata nella Chiesa e nel giudizio finale, ma nella celeste Gerusalemme si manifesterà come sovranità d'amore e non d'ira.
(22, 4) «I SUOI SERVITORI GLI SERVIRANNO, (vers. 4) ED ESSI VEDRANNO LA SUA FACCIA E AVRANNO IN FRONTE IL SUO NOME (vers. 5b)... ED ESSI REGNERANNO NEI SECOLI DEI SECOLI»: i cittadini di questa città ubbidiscono gioiosamente al volere di Dio, anzi il suo volere è il loro desiderio; essi vedono "la sua faccia", cioè godono del suo favore (cfr. 2 Samuele14, 24.32; Salmo 17, 15; ; 42, 2; Matteo 5, 8); il Suo nome è "sulle loro fronti" (14, 1), perché Egli apertamente li riconosce come suoi figli ed essi lo confessano e lo adorano con gioia come loro Signore; perciò essi "regnano con Lui nei secoli dei secoli" nel nuovo celestiale e definitivo ordine di cose. Tutti questi simboli si applicano incoattivamente alla presente età del Vangelo ma in modo perfetto al futuro nuovo ordine di cose in cielo.
CONCLUSIONE DELL'APOCALISSE (vers. 6-21)
Tutti i simboli menzionati in questa pericope conclusiva sono stati già veduti in precedenza.
(22, 6) «POI, l'angelo, MI (a Giovanni) DISSE: QUESTE PAROLE SONO FEDELI E VERACI» (cfr 21, 5; 19, 9): "queste parole" frase che direttamente si riferisce alla visione dei capp. 21-22, esse vogliono anche intendere tutte le visioni dell'Apocalisse, di cui ne attesta il carattere genuino. L'Apocalisse è perciò di origine divina: il suo autore è «IL SIGNORE, L'IDDIO DEGLI SPIRITI DEI PROFETI», che sono stati e sono sotto la Sua costante guida e controllo.
Il Signore «HA MANDATO IL SUO ANGELO PER MOSTRARE AI SUOI SERVTORI LE COSE CHE DEBBONO AVVENIRE IN BREVE»: "i suoi servitori" sono Giovanni e tutti i credenti a cui per mezzo dell'apostolo queste cose vengono mostrate. Dio si è servito a tale scopo delle visioni concesse a Giovanni nell'estasi o in spirito e per lo più spiegate da un angelo.
Per "le cose che debbono avvenire in breve" vedere commento a 1, 1 e 4, 1. La frase "il Suo angelo" abbraccia vari messaggeri celesti, di cui il Signore si è servito (cfr. 1, 1).
(22, 7) L'angelo ripete poi le stesse parole di Cristo: «ECCO, IO VENGO TOSTO (cfr. 1, 3.7) BEATO CHI SERBA LE PAROLE DELLA PROFEZIA DI QUESTO LIBRO»: la beatitudine qui pronunciata dall'angelo a nome di Cristo per chi ritiene preziose "le parole di questa profezia" e le medita e con esse alimenta la sua fede, è analoga a quella che si legge al principio del libro, al cap. 1, 3.
(22, 8) Ora è Giovanni che rende la sua testimonianza: «E IO GIOVANNI SON QUELLO CHE UDII E VIDI QUESTE COSE»: come all'inizio del libro (1, 4.9), così alla fine Giovanni autentica col proprio nome dinanzi a tutta la Chiesa il contenuto della rivelazione avuta e scritta nel libro.
Egli era abbastanza conosciuto tra i credenti, specialmente nell'Asia Proconsolare, perché fosse sufficiente il suo semplice nome a dare autorità al suo scritto.
Si tratta di cose "vedute e udite" da lui in visione e non di cose da lui immaginate o inventate o messe insieme faticosamente. «E QUANDO LE EBBI UDITE E VEDUTE, MI PROSTRAI PER ADORARE AI PIEDI DELL'ANGELO, CHE MI AVEVA MOSTRATO QUESTE COSE»: mosso dagli stessi sentimenti che in un'altra occasione lo avevano spinto a fare una cosa simile (19, 10), Giovanni si getta ai piedi del messaggero divino "per adorarlo", ma ne riceve un rimprovero.
(22, 9) «MA EGLI MI DISSE: GUARDATI DAL FARLO; IO SONO TUO CONSERVO E DEI TUOI FRATELLI, I PROFETI, E DI QUELLI CHE SERBANO LE PAROLE DI QUESTO LIBRO. ADORA IDDIO» (CFR. 19, 10).
(22, 10) «POI MI DISSE: NON SUGGELLARE LE PAROLE DELLA PROFEZIA DI QUESTO LIBRO, PERCHE' IL TEMPO E' VICINO»: cioè il tempo del loro adempimento è vicino. Più è vicino il tempo della prova e più le Chiese hanno bisogno di essere avvertite e confortate. Il "non suggellare" equivale a: non tenere segrete, quindi è un invito a pubblicare, diffondere, a far conoscere queste visioni coi loro lati ora tetri ora luminosi (cfr. Daniele 9, 26; 12, 4 che ricevette l'ordine opposto).
(22, 11) Segue un severo ammonimento: «CHI E' INGIUSTO, SIA INGIUSTO ANCORA; CHI E' CONTAMINATO, SI CONTAMINI ANCORA; E CHI E' GIUSTO PRATICHI ANCORA LA GIUSTIZIA E CHI E' SANTO SI SANTIFICHI ANCORA»: cioè colui che a dispetto di ogni seria implorazione, ammonizione, invito e giudizio rifiuta di accettare la salvezza, che gli viene offerta, continui a mostrarsi tale nella sua condotta, faccia ancora ciò che è ingiusto. Il "contaminato" è colui che è totalmente impuro.
Il giusto continui a praticare la giustizia e il santo a santificarsi: questo versetto non va interpretato nel senso che la sorte di ognuno è fissata e non può essere mutata, nemmeno cambiando la strada della vita, il che sarebbe in contraddizione con le esortazioni alle Chiese (2, 5.16.21; 3, 3.19-20), ma è piuttosto da intendere nel senso che di fronte agli avvertimenti divini, ognuno resta libero di agire come più gli piace, perché Dio non costringe alcuno che resta libero, ma responsabile della propria condotta, la quale presto gli farà avere la sorte che si merita.
Restano liberi l'ingiusto e l'impuro di continuare a peccare, ma sarebbero illusi se credessero di poter smuovere le basi eterne del governo di Dio, che sono immutabili.
(22, 12) «ECCO IO VENGO TOSTO, E IL MIO PREMIO E' MECO PER RENDERE A CIASCUNO SECONDO CHE SARA' L'OPERA SUA»: è chiaro che chi parla qui è Cristo, perché solo a Lui è dato di sapere che il tempo è vicino e che ha il potere di premiare.
Cristo verrà qual giudice "per dare il loro premio a suoi servitori... e distruggere quelli che distruggono la terra" (1, 18; Cfr. Isaia 62, 11; Apocalisse 20, 12).
(22, 13) «IO SONO L'ALFA E L'OMEGA, IL PRIMO E L'ULTIMO, IL PRINCIPIO E LA FINE1»: in due altri passi dell'Apocalisse Cristo si proclama "il primo e l'ultimo" (1, 17; 2, 8) mostrando in tal modo di possedere gli attributi della natura divina (cfr. 1, 8; Colossesi 1, 16).
(22, 14) Ed ora la beatitudine finale: «BEATI COLORO CHE LAVANO LE LORO VESTI PER AVERE DIRITTO ALL'ALBERO DELLA VITA E PER ENTRARE PER LE PORTE NELLA CITTA'». Nell'Apocalisse si registrano sette beatitudini (1, 3; 14, 13; 16, 15; 19, 9; 20, 6; 22, 7; e questa del versetto citato).
Ogni persona reca con sé una veste, che simboleggia il carattere umano. Questa veste in genere è infangata, sporca, sudicia (Zaccaria 3, 3) per effetto del peccato e delle miserie umane. Nel mondo non c'è alcun potere che possa nettarla (Geremia 2, 22), ma Dio ha provveduto un rimedio per poterlo fare.
Perciò "il lavare le vesti" vuol dire: fare ricorso alla fontana purificatrice del sangue di Cristo che non solo toglie ogni colpa, ma ci ha anche meritato lo Spirito Santo, che purifica e santifica. perciò si deve ricorrere "continuamente" ad esso (7, 14-17), perché chi lava la sua veste in questa fontana purificatrice riceve dalla grazia sovrana di Dio il diritto ad accedere a "l'albero della vita" (2, 7; 22, 2) e di entrare nella celeste Gerusalemme per le porte (su queste porte vedere commento al vers. 12 del cap. 21).
(22, 15) «FUORI I CANI, GLI STREGONI, I FORNICATORI, GLI OMICIDI, GLI IDOLATRI E CHIUNQUA AMA E PRATICA LA MENZOGNA»: si vieta l'ingresso nella celeste Gerusalemme a tutti coloro che hanno le caratteristiche della meretrice Babilonia (17, 2.4 ecc. cfr. 21, 8). "I cani" sono da intendere gli individui impuri, profani, spregevoli (Filippesi 3, 2; Matteo 7, 6).
(22, 16). Ora è Gesù ad attestare il carattere genuino e la divina origine del libro di Giovanni: «IO HO MANDATO IL MIO ANGELO PER ATTESTARVI QUESTE COSE IN SENO ALLE CHIESE»: l'Apocalisse è diretta a tutte le Chiese di tutti i secoli dell'era cristiana. Ne è l'autore non tanto Giovanni quanto Cristo stesso.
E Gesù attesta di se stesso: «IO SONO LA RADICE E LA PROGENIE DI DAVIDE, LA LUCENTE STELLA MATTUTINA»: la parola tradotta "radice" (in greco ri\za = rìza) si incontra anche al cap. 5, 5, dove viene tradotta "rampollo" di Davide e in Isaia 11, 10, dove si parla della "radice di Isai", perciò Davide deve la sua origine, fama e posizione a Cristo. Ma Cristo è anche "la progenie di Davide", cioè un suo discendente per via del padre Giuseppe (Luca 2, 4; cfr. Apocalisse 5, 5; Salmo 110, 1; Matteo 22, 41-45; Isaia 11, 1 seg.; 53, 2 ecc); quindi Egli è il Messia, il Re perfetto ed eterno, profetizzato come nascituro dalla famiglia di Davide. La sua apparizione quale re glorioso segnerà l'alba del giorno eterno, la fine delle tenebre, l'apparizione del Regno della luce. Perciò Egli si definisce ancora "la lucente stella mattutina" che col suo splendore in cielo annunzia e introduce il giorno (2, 28).
(22, 17). Cristo ha promesso di venire subito, perciò lo Spirito che dimora nei fedeli, emette dei sospiri ineffabili (Romani 8, 26) insieme alla sposa o fidanzata (greco: nu/myh = nymphe), che è la Chiesa in mezzo alle sue tribolazioni. E quali sono questi sospiri?
«E LO SPIRITO E LA SPOSA DICONO: VIENI»: a questa ardente preghiera la Chiesa è mossa dallo Spirito, in quanto Spirito e Chiesa operano sempre insieme. "vieni" è un imperativo presente, che si riferisce non solo alla venuta finale, ma anche a tutto il corso della Storia che la precede, e che perciò vuol dire: Signore, realizza il tuo piano nella storia in vista della Tua venuta!
Come abbiamo già detto all'inizio e nel corso di questo commento al libro, questo piano divino della storia umana include i principi del governo morale divino del mondo, rivelati sotto i simboli dei candelabri, sigilli, trombe, conflitto col dragone e i suoi alleati, le coppe d'ira, le nozze dell'Agnello ecc.
In e mediante tutti questi mezzi o agenti, o Signore, fa sì che il tuo piano si realizzi e renda sollecita la Tua venuta! «E CHI ODE, DICA: VIENI»: chiunque ode questa profezia, quando viene letta nelle Chiese, come chiunque, ora che è scritta, la legge per conto proprio, aggiunga la sua voce alla voce dello Spirito e di tutta la Chiesa dei salvati, e dica: "Vieni!"
«E CHI HA SETE, VENGA; CHI VUOLE, PRENDA IN DONO DELL'ACQUA DELLA VITA»: non tutti sono in condizione di poter dire a cristo: Vieni! Per poterlo essere, bisogna prima essere andati da Lui: da ciò questo invito, rivolto a chi non è ancora credente, ma soffre internamente perché le sue aspirazioni alla pace con Dio, alla santità e alla felicità non sono soddisfatte, e perciò "ha sete", di andare a Cristo, che offre in dono "l'acqua della vita".
Se lo vogliono sinceramente, essi trovano in Cristo il soddisfacimento dei loro bisogni spirituali, ottengono gratuitamente "la vita", che ha inizio ora con l'ubbidienza della fede (Isaia 55, 1; Giovanni 4, 14; 7, 37; Apocalisse 21, 6) e sarà perfetta in cielo.
Di chi sono queste parole? Secondo alcuni di Gesù; secondo altri di Giovanni; secondo altri ancora, e ci sembrano più nel vero, dello Spirito e della Chiesa. L'accento dell'invito è posto sulla parola "in dono" in quanto si tratta di un atto della grazia sovrana di Dio, perché tutti coloro che sono divenuti consapevoli della sua necessità non esitino, vadano e prendano dell'acqua della vita, che non costa nulla.
(22, 18-19) «IO LO DICHIARO A OGNUNO CHE ODE LE PAROLE DELLA PROFEZIA DI QUESTO LIBRO: SE ALCUNO VI AGGIUNGE QUALCOSA, DIO AGGIUNGERA' AI SUOI MALI LE PIAGHE DESCRITTE IN QUESTO LIBRO; E SE ALCUNO TOGLIE QUALCOSA DALLE PAROLE DEL LIBRO DI QUESTA PROFEZIA, IDDIO GLI TOGLIERA' LA SUA PARTE DELL'ALBERO DELLA VITA E DELLA CITTA' SANTA, DELLE COSE SCRITTE IN QUESTO LIBRO»: e tutto ciò perché il libro dell'Apocalisse è divino avendo Dio per autore.
Perciò nessuno deve aggiungervi o togliervi nulla. Nessuno quindi deve ritenere spurio questo libro; nessuno dica che i passi, così pieni di significato in esso contenuti, sono interpolati o aggiunti da altri; nessuno ne neghi il carattere divinamente ispirato. Se alcuna rifiuta di osservare questi ammonimenti. "le piaghe in esso descritte gli saranno aggiunte ai suoi mali e Dio gli toglierà la sua parte (o partecipazione) dell'albero della vita e della città santa delle cose descritte in questo libro" stesso (cfr. 2, 7; 22, 2; 21, 9...).
(22, 20) «COLUI CHE TESTIMONIA QUESTE COSE, DICE: SI', VENGO TOSTO! AMEN! VIENI, SIGNOR GESU'»: Cristo ora risponde alle preghiere dello Spirito e della Chiesa, che sollecitano la sua venuta, assicurando: "sì, vengo tosto!". Questo è l'annunzio centrale della rivelazione di Giovanni: la venuta del Signore. A questa conferma-promessa risponde l' "AMEN", cioè il "così sia" della fede. E Giovanni, quasi cercando di penetrare col suo occhio tra le nubi per scorgervi il Signore che viene, concentra tutto il suo amore, fervore e l'ardente desiderio della Sua venuta in questa preghiera e implorazione: "Vieni, Signor Gesù! "
(22, 21) «LA GRAZIA DEL SIGNOR GESU' SIA CON TUTTI»: dopo ciò, poiché l'Apocalisse ha la forma di una lettera inviata alle Chiese d'Asia, Giovanni chiude lo scritto con una formula epistolare simile a quella delle lettere di Paolo (cfr. 1, 4-6).
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