Conoscere per non ignorare: breve esame critico al NOM

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Ardisia
00martedì 21 luglio 2009 22:45

Breve esame critico del «Novus Ordo Missæ»

Presentato al Pontefice Paolo VI dai Cardinali Ottaviani e Bacci





Lettera di presentazione a Paolo VI

Beatissimo Padre,
esaminato e fatto esaminare il Novus Ordo preparato dagli esperti del Consilium ad exquendam Constitutionem de Sacra Liturgia, dopo una lunga riflessione e preghiera sentiamo il dovere, dinanzi a Dio ed alla Santità Vostra, di esprimere le considerazioni seguenti:

1) Come dimostra sufficientemente il pur breve esame critico allegato - opera di uno scelto gruppo di teologi, liturgisti e pastori d’anime - il Novu Ordo Missæ, considerati gli elementi nuovi, suscettibili di pur diversa valutazione, che vi appaiono sottesi ed implicati, rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i «canoni» del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del magistero.

2) La ragioni pastorali addotte a sostegno di tale gravissima frattura - anche se di fronte alle ragioni dottrinali avessero diritto di sussistere - non appaiono sufficienti. Quanto di nuovo appare nel Novus Ordo Missæ e, per contro, quanto di perenne vi trova soltanto un posto minore o diverso, se pure ancora ve lo trova, potrebbe dar forza di certezza al dubbio - già serpeggiante purtroppo in numerosi ambienti - che verità sempre credute dal popolo cristiano possano mutarsi o tacersi senza infedeltà al sacro deposito dottrinale cui la fede cattolica è vincolata in eterno. Le recenti riforme hanno dimostrato a sufficienza che nuovi mutamenti nella liturgia non porterebbero se non al totale disorientamento dei fedeli che già danno segni di insofferenza e di inequivocabile diminuzione di fede. Nella parte migliore del Clero ciò si concreta in una torturante crisi di coscienza di cui abbiamo innumerevoli e quotidiane testimonianze.

3) Siamo certi che questa considerazioni, che possono giungere soltanto dalla viva voce dei pastori e del gregge, non potranno non trovare un’eco nel cuore paterno di Vostra Santità, sempre cosí profondamente sollecito dei bisogni spirituali dei figli della Chiesa. Sempre i sudditi, al cui bene è intesa una legge, laddove questa si dimostri viceversa nociva, hanno avuto, piú che il diritto, il dovere di chiedere con filiale fiducia al legislatore l’abrogazione della legge stessa.

Supplichiamo perciò istantemente la Santità Vostra di non volerci togliere - in un momento di cosí dolorose lacerazioni e di sempre maggiori pericoli per la purezza della Fede e l’unità della Chiesa, che trovano eco quotidiana e dolente nella voce del Padre comune - la possibilità di continuare a ricorrere alla integrità feconda di quel Missale Romanum di San Pio V dalla Santità Vostra cosí altamente lodato e dall’intero mondo cattolico cosí profondamente venerato ed amato.

A. Card. Ottaviani
A. Card. Bacci


BREVE ESAME CRITICO DEL «NOVUS ORDO MISSÆ»


I

Nell'ottobre del 1967, al Sinodo Episcopale, convocato a Roma, fu chiesto un giudizio sulla celebrazione sperimentale di una cosiddetta «messa normativa», ideata dal Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia.
Tale messa suscitò le piú gravi perplessità tra i presenti al Sinodo, con una forte opposizione (43 non placet), moltissime e sostanziali riserve (62 juxta modum) e 4 astensioni, su 187 votanti. La stampa internazionale di informazione parlò di «rifiuto», da parte del Sinodo, della messa proposta. Quella di tendenze innovatrici ne tacque. E un noto periodico, destinato ai Vescovi ed espressione del loro insegnamento, cosí sintetizzò il nuovo rito:

«[vi] si vuol fare tabula rasa di tutta la teologia della Messa. In sostanza ci si avvicina alla teologia protestante che ha distrutto il sacrificio della Messa».
Nel Novus Ordo Missæ, testé promulgato dalla Costituzione Apostolica Missale romanum, ritroviamo purtroppo, identica nella sua sostanza, la stessa «messa normativa». Né sembra che le Conferenze Episcopali, almeno in quanto tali, siano mai state nel frattempo interpellate al riguardo.
Nella Costituzione Apostolica si afferma che l'antico messale, promulgato da S. Pio V il 19 luglio 1570 ma risalente in gran parte a Gregorio Magno e ad ancor piú remota antichità (1) fu per quattro secoli la norma della celebrazione del Sacrificio per i sacerdoti di rito latino, e, portato in ogni terra, «innumeri præterea sanctissimi viri animorum suorum erga Deum pietatem, haustis ex eo... copiosus aluerunt». E tuttavia questa riforma, che lo pone definitivamente fuori uso, si sarebbe resa necessaria «ex quo tempore latius in christiana plebe increbescere et invalescere cœpit sacræ fovendæ liturgiæ studium».
Ci sembra evidente, in questa affermazione, un grave equivoco. Perché il desiderio del popolo, se fu espresso, lo fu quando - soprattutto per merito del grande S. Pio X - esso cominciò a scoprire gli autentici ed eterni tesori della sua liturgia. Il popolo non chiese assolutamente mai, onde meglio comprenderla, una liturgia mutata o mutilata. Chiese di meglio comprendere una liturgia immutabile e che mai avrebbe voluto si mutasse.

Il Messale Romano di San Pio V era religiosamente venerato e carissimo al cuore dei cattolici, sacerdoti e laici. Non si vede in che cosa l'uso di esso, con l'opportuna catechesi, potesse impedire una piú piena partecipazione e una maggiore conoscenza della sacra liturgia e perché, con tanti eccelsi pregi che gli sono riconosciuti, non lo si sia stimato degno di continuare a nutrire la pietà liturgica del popolo cristiano.

Sostanzialmente rifiutata dal Sinodo Episcopale, quella stessa «messa normativa» oggi si ripresenta e si impone come Novus Ordo Missæ; il quale non è stato mai sottoposto al giudizio collegiale delle Conferenze; né è stata mai voluta dal popolo (e men che meno nelle missioni) una qualsiasi riforma della Santa Messa. Non si riesce dunque a comprendere i motivi della nuova legislazione, che sovverte una tradizione immutata nella Chiesa dal IV-V secolo, come la stessa Costituzione Missale Romanum riconosce. Non sussistendo dunque i motivi per appoggiare questa riforma, la riforma stessa appare priva di un fondamento razionale, che, giustificandola, la renda accettabile al popolo cattolico.

Il Concilio aveva espresso bensí, con il par. 50 della Costituzione Sacrosanctum Concilium, il desiderio che le varie parti della Messa fossero riordinate, «ut singularum partium propria ratio necnon mutua connexio clarius pateant». Vedremo subito come l'Ordo testé promulgato risponda a questi auspici, dei quali possiamo dire non resti, nel risultato, neppure la memoria.
Un esame particolareggiato del Novus Ordo rivela mutamenti di portata tale da giustificare per esso lo stesso giudizio dato per la «messa normativa». Quello, come questa, è tale da contentare, in molti punti, i protestanti piú modernisti.





II

Cominciamo dalla definizione di Messa che si presenta al par. 7, vale a dire in apertura al secondo capitolo del Novus Ordo: «De structura Missæ».

«Cena dominica sive Missa est sacra synaxis seu congregatio populi Dei in unum convenientis, sacerdote præside, ad memoriale Domini celebrandum(2). Quare de sanctæ ecclesiæ locali congregatione eminenter valet promissio Christi “Ubi sunt duo vel tres congregati in nomine meo, ibi sum in medio eorum” (Mt. 18, 20)».
La definizione di Messa è dunque limitata a quella di «cena», il che è poi continuamente ripetuto (n. 8, 48, 55d, 56); tale «cena» è inoltre caratterizzata dalla assemblea, presieduta dal sacerdote, e dal compiersi il memoriale del Signore, ricordando quel che Egli fece il Giovedí Santo.
Tutto ciò non implica: né la Presenza Reale, né la realtà del Sacrificio, né la sacramentalità del sacerdote consacrante, né il valore intrinseco del Sacrificio eucaristico indipendentemente dalla presenza dell'assemblea (3). Non implica, in una parola, nessuno dei valori dogmatici essenziali della Messa e che ne costituiscono pertanto la vera definizione. Qui l'omissione volontaria equivale al loro «superamento», quindi, almeno in pratica, alla loro negazione (4).
Nella seconda parte dello stesso paragrafo si afferma - aggravando il già gravissimo equivoco - che vale «eminenter» per questa assemblea la promessa del Cristo: «Ubi sunt duo vel tres congregati in nomine meo, ibi sum in medio eorum» (Mt. 18, 20). Tale promessa, che riguarda soltanto la presenza spirituale del Cristo con la sua grazia, viene posta sullo stesso piano qualitativo, salvo la maggiore intensità, di quello sostanziale e fisico della presenza sacramentale eucaristica.
Segue immediatamente (n. 8) una suddivisione della Messa in liturgia della parola e liturgia eucaristica, con l'affermazione che nella Messa è preparata la mensa della parola di Dio come del Corpo di Cristo, affinché i fedeli «instituantur et reficiantur»: assimilazione paritetica del tutto illegittima delle due parti della liturgia, quasi tra due segni di eguale valore simbolico, sulla quale torneremo piú tardi.

Di denominazioni della Messa ve ne sono innumerevoli: tutte accettabili relativamente, tutte da respingere se usate, come lo sono, separatamente e in assoluto. Ne citiamo alcune: Actio Christi et populi Dei, Cena dominica sive Missa, Convivium Paschale, Communis participatio mensæ Domini, Memoriale Domini, Precatio Eucharistica, Liturgia verbi et liturgia eucharistica, ecc.
Come è fin troppo evidente, l'accento è posto ossessivamente sulla cena e sul memoriale anziché sulla rinnovazione incruenta del Sacrificio del Calvario. Anche la formula «Memoriale Passionis et Resurrectionis Domini» è inesatta, essendo la Messa il memoriale del solo Sacrificio, che è redentivo in sé stesso, mentre la Resurrezione ne è il frutto conseguente(5). Vedremo piú avanti con quale coerenza, nella stessa formula consacratoria e in generale in tutto il Novus Ordo, tali equivoci siano rinnovati e ribaditi.





III

E veniamo alle finalità della Messa.

1) Finalità ultima.
È il sacrificio di lode alla Santissima Trinità, secondo l'esplicita dichiarazione di Cristo nella intenzione primordiale della sua stessa Incarnazione: «Ingrediens mundum dicit: “Hostiam et oblationem noluisti: corpus autem aptasti mihi”» (Ps. XL, 7-9, in: Hebr. 10, 5).
Questa finalità è scomparsa:

- dall'Offertorio, con la preghiera Suscipe, Sancta Trinitas,
- dalla conclusione della Messa con il placeat tibi, Sancta Trinitas,
- e dal Prefazio, che nel ciclo domenicale non sara piú quello della Santissima Trinità, riservato ora alla sola
festa e che quindi sarà pronunziato una sola volta l'anno.
2) Finalità ordinaria.
È il Sacrificio propiziatorio. Anch'essa è deviata, perché anziché mettere l'accento sulla remissione dei peccati dei vivi e dei morti lo si mette sulla nutrizione e santificazione dei presenti (n. 54). Certo Cristo istituí il Sacramento nell'ultima Cena e si pose in stato di vittima per unirci al suo stato vittimale; questo però precede la manducazione e ha un antecedente e pieno valore redentivo, applicativo della immolazione cruenta, tanto è vero che il popolo assistendo alla Messa non è tenuto a comunicarsi sacramentalmente (6).
3) Finalità immanente.
Qualunque sia la natura del sacrificio è essenziale che sia gradito a Dio e da lui accettabile ed accettato. Nello stato di peccato originale nessun sacrificio avrebbe diritto di essere accettabile. Il solo sacrificio che ha diritto di essere accettato è quello di Cristo. Nel Novus Ordo si snatura l'offerta in una specie di scambio di doni tra l'uomo e Dio; l'uomo porta il pane e Dio lo cambia in «pane di vita»; l'uomo porta il vino e Dio lo cambia in «bevanda spirituale»: «Benedictus es, Domine, Deus universi, quia de tua largitate accepimus panem (o: vinum) quem tibi offerimus, fructum terræ (o: vitis) et manuum hominum, ex quo nobis fiet panis vitæ (o: potus spiritualis)» (7).
Superfluo notare l'assoluta indeterminatezza delle due formule «panis vitæ» e «potus spiritualis», che possono significare qualunque cosa. Ritroviamo qui l'identico e capitale equivoco della definizione della Messa: là il Cristo presente solo spiritualmente tra i suoi; qui pane e vino «spiritualmente» (e non sostanzialmente) mutati (8).
Nella preparazione dell'offerta, un consimile gioco di equivoci è attuato con la soppressione delle due stupende preghiere. Il «Deus, qui humanæ substantiæ dignitatem mirabiliter condidisti et mirabilius reformasti», era un richiamo all'antica condizione di innocenza dell'uomo e alla sua attuale condizione di riscattato dal sangue di Cristo: ricapitolazione discreta e rapida di tutta l'economia del Sacrificio, da Adamo all'attimo presente. La finale offerta propiziatoria del calice, affinché ascendesse «cum odore suavitatis» al cospetto della maestà divina, di cui si implorava la clemenza, ribadiva mirabilmente questa economia. Sopprimendo il continuo riferimento a Dio della prece eucaristica, non vi è piú distinzione alcuna tra sacrificio divino e umano.

Eliminando la chiave di volta bisogna costruire delle impalcature; sopprimendo le finalità reali se ne devono inventare di fittizie. Ed ecco i gesti che dovrebbero sottolineare l'unione tra sacerdote e fedeli, tra fedeli e fedeli; ecco la sovrapposizione, che immediatamente crollerà nel ridicolo, delle offerte per i poveri e per la chiesa all'offerta dell'Ostia da immolare. L'unicità primordiale di questa verrà del tutto obliterata: la partecipazione all'immolazione della Vittima diverrà una riunione di filantropi e un banchetto di beneficenza.




IV

Passiamo all'essenza del Sacrificio.

Il mistero della Croce non vi è piú espresso esplicitamente, ma in modo oscuro, velato, impercepibile dal popolo (9). Eccone le ragioni:

1) Il senso dato nel Novus Ordo alla cosiddetta «Prex eucharistica» è: «ut tota congregatio fidelium se cum Christo coniungat in confessione magnalium Dei et in oblatione sacrificii». (n. 54, fine).
Di quale sacrificio si tratta? Chi è l'offerente? Nessuna risposta a questi interrogativi.
La definizione in limine della «Prex eucharistica» è questa: «Nunc centrum et culmen totius celebrationis initium habet, ipsa nempe Prex eucharistica, prex scilicet gratiarum actionis et sanctificationis» (n. 54, pr.).
Gli effetti sono dunque sostituiti alle cause, di cui non si dice una sola parola. La menzione esplicita del fine dell'offerta, che era nel Suscipe, non è sostituita da nulla. Il mutamento di formulazione rivela il mutamento di dottrina.
2) La causa di questa non-esplicitazione del Sacrificio è, né piú né meno, la soppressione del ruolo centrale della Presenza Reale, cosí lampante prima nella liturgia eucaristica. Ve ne è una sola menzione - unica citazione, in nota, dal Concilio di Trento - ed è quella che si riferisce alla Presenza Reale come nutrimento (n. 241, nota 63). Alla Presenza Reale e permanente di Cristo in Corpo, Sangue, Anima e Divinità nelle Specie transustanziate non si allude mai. La stessa parola transustanziazione è totalmente ignorata.
La soppressione della invocazione alla terza Persona della SS.ma Trinità (Veni sanctificator), onde scendesse sopra le oblate come già discese nel grembo della Vergine a compiervi il miracolo della Divina Presenza, si inserisce in questo sistema di tacite negazioni, di degradazioni a catena della Presenza Reale.
L'eliminazione poi:
- delle genuflessioni (non ne restano che tre del sacerdote e una, con eccezioni, del popolo, alla
Consacrazione);
- della purificazione delle dita del sacerdote nel calice;
- della preservazione delle stesse dita da ogni contatto profano dopo la Consacrazione;
- della purificazione dei vasi, che può essere non immediata, e non fatta sul corporale;
- della palla a protezione del calice;
- della doratura interna dei vasi sacri;
- della consacrazione dell'altare mobile;
- della pietra sacra e delle reliquie nell'altare mobile e sulla «mensa», quando la celebrazione non avvenga in
luogo sacro (la distinzione ci porta diritti alle «cene eucaristiche» in case private);
- delle tre tovaglie d'altare, ridotte a una sola;
- del ringraziamento in ginocchio (sostituito da un grottesco ringraziamento di preti e fedeli seduti, in cui la
Comunione in piedi ha il suo aberrante compimento);
- di tutte le antiche prescrizioni nel caso di caduta dell'Ostia consacrata, ridotte a un quasi sarcastico
«reverenter accipiatur» (n. 239);

tutto ciò non fa che ribadire in modo oltraggioso l'implicito ripudio della fede nel dogma della Presenza Reale.
3) La funzione assegnata all'altare (n. 262).
L'altare è quasi costantemente chiamato mensa (10). «Altare, seu mensa dominica, quæ centrum est totius liturgiæ eucharisticæ» n. 49, (cfr. 262). Si specifica che l'altare deve essere staccato dalle pareti perché vi si possa girare intorno e la celebrazione possa farsi verso il popolo (n. 262); si precisa che esso deve essere il centro della congregazione dei fedeli cosí che l'attenzione si volga spontaneamente ad esso (ibid.).
Ma il confronto fra i nn. 262 e 276 sembra escludere nettamente che il SS.mo Sacramento possa essere conservato su questo altare. Ciò segnerà una dicotomia irreparabile tra la presenza, nel celebrante, del Sommo ed Eterno Sacerdote e quella stessa Presenza realizzata sacramentalmente. Prima esse erano un'unica presenza (11).
Ora si raccomanda di conservare il SS.mo in un luogo appartato, ove possa esplicarsi la devozione privata dei fedeli, quasi si trattasse di una qualsiasi reliquia, sicché entrando in chiesa non sarà piú il Tabernacolo ad attirare immediatamente gli sguardi ma una mensa spoglia e nuda. Si oppone ancora una volta pietà privata a pietà liturgica, si drizza altare contro altare.
Nella raccomandazione insistente di distribuire nella comunione le Specie Consacrate nella stessa Messa, anzi di consacrare un pane di grandi dimensioni (12), cosí che il sacerdote possa dividerlo con una parte almeno dei fedeli, è ribadito lo sprezzante atteggiamento verso il Tabernacolo come verso tutta la pietà eucaristica fuori della Messa: altro strappo violento alla fede nella Presenza Reale sinché durino le Specie consacrate (13).

4) Le formule consacratorie.
L'antica formula della Consacrazione era una formula propriamente sacramentale, e non narrativa, indicata soprattutto da tre cose:

a) il testo della Scrittura, non ripreso alla lettera; l'inserto paolino «mysterium fidei» era una confessione immediata di fede del sacerdote nel mistero realizzato dalla Chiesa per mezzo del suo sacerdozio gerarchico;
b) la punteggiatura e il carattere tipografico; vale a dire il punto fermo e daccapo, che segnava il passaggio dal modo narrativo al modo sacramentale e affermativo, e le parole sacramentali in carattere piú grande, al centro della pagina e spesso di diverso colore, nettamente staccate dal contesto storico. Il tutto dava sapientemente alla formula un valore proprio, un valore autonomo;
c) l'anamnesi («Haec quotiescumque feceritis in mei memoriam facietis», che in greco suona: «eis ten emou anamnesin» - «volti alla mia memoria»). Essa si riferiva al Cristo operante e non alla semplice memoria di lui o dell'evento: un invito a ricordare ciò che Egli fece («hæc... in mei memoriam facietis») e come Egli lo fece, e non soltanto la sua persona o la cena.
La formula paolina oggi sostituita all'antica («Hoc facite in meam commemorationem») - proclamata come sarà quotidianamente nelle lingue volgari - sposterà irrimediabilmente, nella mente degli ascoltatori, l'accento sulla memoria del Cristo come termine dell'azione eucaristica, mentre essa ne è il principio. L'idea finale di commemorazione prenderà ben presto il posto dell'idea di azione sacramentale (14).
Il modo narrativo è ora sottolineato dalla formula: «narratio institutionis» (n. 55d), e ribadito dalla definizione della anamnesi, dove si dice che «Ecclesia memoriam ipsius Christi agit» (n. 55c).
In breve: la teoria proposta per l'epiclesi, la modificazione delle parole della Consacrazione e dell'anamnesi, hanno come effetto di modificare il modus significandi delle parole della Consacrazione. Le formule consacratorie sono ora pronunciate dal sacerdote come costituenti una narrazione storica e non piú enunciate come esprimenti un giudizio categorico e affermativo proferito da Colui nella cui persona egli agisce: «Hoc est Corpus meum» (e non: «Hoc est Corpus Christi») (15).
L'acclamazione, poi, assegnata al popolo subito dopo la Consacrazione: («Mortem tuam annuntiamus, Domine, etc.… donec venias») introduce, travestita di escatologismo, l'ennesima ambiguità sulla Presenza Reale. Si proclama, senza soluzione di continuità, l'attesa della venuta seconda del Cristo alla fine dei tempi proprio nel momento in cui Egli è sostanzialmente presente sull'altare: quasi che quella, e non questa, fosse la vera venuta.
Ciò è ancor piú accentuato nella formula di acclamazione facoltativa n. 2 (Appendix): «Quotiescumque manducamus panem hunc, et calicem bibimus, mortem tuam annuntiamus, Domine, donec venias»; dove le diverse realtà di immolazione e manducazione, e quelle di Presenza Reale e secondo avvento del Cristo, raggiungono il massimo di ambiguità (16).





V

Veniamo ora alla realizzazione del Sacrificio.
I quattro elementi di esso erano, nell'ordine:

1) il Cristo.
2) il sacerdote;
3) la Chiesa;
4) i fedeli.
1) Nel Novus Ordo, la posizione attribuita ai fedeli è autonoma (ab-soluta), quindi totalmente falsa: dalla definizione iniziale: «Missa est sacra synaxis seu congregatio populi», al saluto del sacerdote al popolo, che esprimerebbe alla comunità riunita la «presenza» del Signore (n. 28): «Qua salutatione et populi responsione manifestatur ecclesiæ congregatæ mysterium».

Dunque vera presenza di Cristo, ma solo spirituale, e mistero della Chiesa, ma come pura assemblea che manifesta e sollecita tale presenza.
Ciò si ripete ovunque:
- il carattere comunitario della Messa ossessivamente ribadito (nn. 74-152);
- l'inaudita distinzione tra «Missa cum populo» e «Missa sine populo» (nn. 203-231);
- la definizione della «oratio universalis seu fidelium» (n. 45), ove si sottolinea ancora una volta
l'«ufficio sacerdotale» del popolo («populus sui sacerdotii munus exercens») presentato in
modo equivoco perché ne viene taciuta la subordinazione a quello del sacerdote; tanto piú che questi si fa
interprete, nella sua qualità di mediatore consacrato, di tutte le intenzioni del popolo nel Te igitur e nei
due Memento.
Nella «Prex eucharistica III» («Vere sanctus», p. 123) è addirittura detto al Signore: «populum tibi congregare non desinis, ut a solis ortu usque ad occasum oblatio munda offeratur nomini tuo»: ove l'affinché fa pensare che l'elemento indispensabile alla celebrazione sia il popolo anziché il sacerdote; e poiché non è precisato neppure qui chi sia l'offerente (17) il popolo stesso appare investito di poteri sacerdotali autonomi.
Di questo passo non stupirebbe l'autorizzazione al popolo, tra qualche tempo, di congiungersi al sacerdote nella pronuncia delle formule consacratorie (ciò che del resto sembra già accada, qua e là).
2) La posizione del sacerdote è minimizzata, alterata, falsata.
Prima in funzione del popolo di cui egli è caratterizzato per lo piú come mero presidente o fratello anziché come ministro consacrato che celebra in persona Christi.
Poi in funzione della Chiesa come un «quidam de populo». Nella definizione della epiclesi (n. 55c) le invocazioni sono attribuite anonimamente alla Chiesa: il ruolo del sacerdote è dissolto.
Nel Confiteor divenuto collettivo egli non è piú giudice, testimone e intercessore presso Dio; è logico dunque che non gli sia piú dato di impartire l'assoluzione, che è stata infatti soppressa. Egli è «integrato» ai fratres. Persino il chierichetto lo chiama cosí nel Confiteor della «Missa sine populo».
Già prima di quest'ultima riforma era stata soppressa la significativa distinzione tra la Comunione del sacerdote - il momento in cui, per cosí dire, il Sommo ed Eterno Sacerdote e colui che agiva in sua persona si fondevano in intimissima unione (nella quale era il compimento del Sacrificio) - e quella dei fedeli.
Non piú una parola ormai sul suo potere di sacrificatore, sul suo atto consacratorio, sulla realizzazione per suo mezzo della Presenza eucaristica. Egli appare nulla piú che un ministro protestante.
La sparizione o l'uso facoltativo di molti paramenti (in certi casi alba e stola bastano - n. 298) vanificano ancor piú l'originale conformazione al Cristo: il sacerdote non è piú rivestito di tutte le virtú di Lui; egli è un semplice «graduato» che uno o due segni distinguono appena dalla massa (18): («un po' piú uomo degli altri» per citare la formula involontariamente umoristica di un moderno predicatore[19]).
Di nuovo, come nella opposizione degli altari, si separa ciò che Dio ha unito: l'unico Sacerdozio del Verbo di Dio.

3) Infine la posizione della Chiesa di fronte al Cristo.
In un solo caso, quello della «Missa sine populo» ci si degna di ammettere che la Messa è «Actio Christi et Ecclesiæ» (n. 4, cfr. Presb. Ord. n. 13), mentre nel caso della «Missa cum populo» non si accenna che allo scopo di «far memoria di Cristo» e santificare i presenti. «Presbyter celebrans... populum... sibi sociat in offerendo sacrificio per Christum in Spiritu Sancto Deo Patri» (n. 60), anziché associare il popolo a Cristo che offre sé stesso «per Spiritum Sanctum Deo Patri».
S'inseriscono in questo contesto:
- la gravissima omissione delle clausole «Per Christum Dominum nostrum», garanzia di esaudimento data alla Chiesa di
tutti i tempi (Io. 14, 13-14,. 15, 16; 16, 23-24);
- l'ossessivo «paschalismo»: quasi che la comunicazione della grazia non presentasse altri aspetti altrettanto importanti;
- l'escatologismo dubbio e maniaco, in cui la comunicazione di una realtà, la grazia, che è permanente ed eterna, è ricondotta
alla dimensione del tempo: popolo in marcia, chiesa peregrinante - non piú militante, si badi, contro la Potestas
tenebrarum - verso un futuro che non è piú vincolato all'eterno (quindi anche all'eterno presente) ma a un vero e proprio
avvenire temporale.

La Chiesa - Una, Santa, Cattolica, Apostolica - è umiliata come tale nella formula che, nella «Prex eucharistica IV», ha sostituito la preghiera del Canone romano «pro omnibus orthodoxis atque catholicæ et apostolicæ fidei cultoribus». Ora essi sono, né piú né meno: «omnium qui te quærunt corde sincero».
Cosí, nel Memento dei morti, questi non sono piú trapassati «cum signo fidei et dormiunt in somno pacis» ma semplicemente «obierunt in pace Christi tui»; ad essi si aggiunge, con nuovo e patente scapito del concetto di unitarietà e visibilità, la turba di «omnium defunctorum quorum fidem tu solus cognovisti».
In nessuna delle tre nuove preci, poi, vi è il minimo cenno, come già si è detto, allo stato di sofferenza dei trapassati, in nessuna la possibilità di un Memento particolare: il che, ancora una volta, snerva la fede nella natura propiziatoria e redentiva del Sacrificio (20).


Omissioni dissacranti avviliscono ovunque il Mistero della Chiesa.
- Esso è misconosciuto innanzi tutto come gerarchia sacra: Angeli e Santi sono ridotti all'anonimato nella seconda parte del Confiteor collettivo: sono scomparsi come testimoni e giudici, nella persona di Michele, dalla prima (21).
- Scomparse anche le varie Gerarchie Angeliche (e ciò è senza precedenti) dal nuovo Prefazio della «Prex II».
- Soppressa nel Communicantes la memoria dei Pontefici e dei Santi Martiri su cui la Chiesa di Roma è fondata, che furono
senza dubbio i trasmettitori delle tradizioni apostoliche e le completarono in ciò che divenne, con S. Gregorio, la Messa
romana.
- Soppressa, nel Libera nos, la menzione della B. Vergine, degli Apostoli e di tutti i Santi: la sua e loro intercessione non è
quindi piú chiesta neppure nel momento del pericolo.
- L'unità della Chiesa è compromessa fino all'intollerabile omissione, nell'intero Ordo, comprese le tre nuove «Preces» (e
con la sola eccezione del Communicantes del Canone romano), dei nomi degli Apostoli Pietro e Paolo, fondatori della
Chiesa di Roma, nonché dei nomi degli altri Apostoli, fondamento e segno della Chiesa unica e universale.
- Chiaro attentato al dogma della Comunione dei Santi: la soppressione, quando il sacerdote celebri senza inserviente, di tutte
le salutationes e della benedizione finale; dell'Ite Missa est (22), poi, persino nella messa celebrata con l'inserviente.
- Il doppio Confiteor mostrava come il prete, in veste di ministro di Cristo e in profonda inclinazione, riconoscendosi
indegno dell'alta missione, del «tremendum mysterium» che andava a celebrare, e addirittura (nell'Aufer a nobis) di
entrare nel Santo dei Santi, invocava ad intercessione (nell'Oramus te, Domine) i meriti dei martiri di cui l'altare
racchiudeva le reliquie. Entrambe le preghiere sono state soppresse. Vale qui ciò che già è stato detto per il doppio
Confiteor e la doppia Comunione.
- Sono profanate le condizioni del Sacrificio come segno di una cosa sacra: vedi ad esempio la celebrazione fuori del luogo
sacro nel qual caso l'altare può essere sostituito da una semplice «mensa» senza pietra consacrata né reliquie, con una sola
tovaglia (nn. 260, 265). Anche qui vale quanto già detto a proposito della Presenza Reale: dissociazione del «convivium» e
sacrificio della cena, dalla stessa Presenza Reale.

La desacralizzazione è perfezionata grazie alle nuove, grottesche modalità dell'offerta;
- l'accenno al pane anziché all'azimo;
- la facoltà, data persino ai chierichetti (nonché ai laici nella comunione sub utraque specie) di toccare i vasi sacri (n. 244d);
- la inverosimile atmosfera che si creerà nella chiesa ove si alterneranno senza tregua sacerdote, diacono, suddiacono, salmista,
commentatore (il sacerdote stesso par divenuto tale, continuamente incoraggiato com'è a «spiegare» ciò che sta per
compiere), lettori (uomini e donne) chierici o laici che accolgono i fedeli alla porta e li accompagnano ai loro posti, fanno la
colletta, portano e smistano offerte;
- e, in tanto delirio scritturistico, la presenza antiveterotestamentaria, antipaolina della «mulier idonea» che, per la prima
volta nella tradizione della Chiesa, sarà autorizzata a leggere le lezioni e adempiere anche ad altri «ministeria quae extra
presbyterium peraguntur» (n. 70).
- Infine la mania concelebratoria, che finirà di distruggere la pietà eucaristica del sacerdote e di obnubilare la figura centrale del
Cristo, unico Sacerdote e Vittima, e dissolverla nella presenza collettiva dei concelebranti (23).





VI

Ci siamo limitati ad un sommario esame del Novus Ordo, nelle sue deviazioni piú gravi dalla teologia della Messa cattolica. Le osservazioni fatte sono soltanto quelle che hanno un carattere tipico. Una valutazione completa delle insidie, dei pericoli, degli elementi spiritualmente e psicologicamente distruttivi che il documento contiene, sia nei testi come nelle rubriche e nelle istruzioni, richiederebbe ben altra mole di lavoro.

Poiché furono criticati ripetutamente e autorevolmente nella loro forma e sostanza, abbiamo sorvolato sui nuovi canoni, di cui il secondo(24) ha immediatamente scandalizzato i fedeli per la sua brevità. Di esso si è potuto scrivere, tra molte altre cose, che può essere celebrato in piena tranquillità di coscienza da un prete che non creda piú né alla transustanziazione né alla natura sacrificale della Messa, e che quindi si presterebbe benissimo anche alla celebrazione da parte di un ministro protestante.

Il nuovo Messale fu presentato a Roma come «ampio materiale pastorale», «testo piú pastorale che giuridico» su cui le Conferenze Episcopali avrebbero potuto operare secondo le circostanze e il genio dei vari popoli. Del resto, la I sezione della nuova Congregazione per il Culto Divino sarà responsabile «dell'edizione e della costante revisione dei libri liturgici».
Scrive l'ultimo bollettino ufficiale degli Istituti Liturgici di Germania, Svizzera, Austria (25):

«i testi latini dovranno ora esser tradotti nelle lingue dei vari popoli; lo stile “romano” dovrà essere adattato all'individualità delle Chiese locali; ciò che fu concepito al di fuori del tempo deve essere trasposto nel mutevole contesto di situazioni concrete, nel flusso costante della Chiesa universale e delle sue miriadi di congregazioni».

La Costituzione Apostolica stessa dà il colpo di grazia alla lingua universale (in contrasto con la volontà espressa nel Concilio Vaticano II) affermando senza equivoci che «in tot varietate linguarum una (?) eademque cunctorum precatio... quovis ture fragrantior ascendat».
La morte del latino è data dunque per scontata; quella del gregoriano, che pure il Concilio riconobbe «liturgiæ romanæ proprium» (Sacros. Conc. n. 116), ordinando che «principem locum obtineat» (ibid.), ne consegue logicamente, con la libera scelta, tra l'altro, dei testi dell'Introito e del Graduale.

Il nuovo rito è dato quindi in partenza come pluralistico e sperimentale, legato al tempo e al luogo.
Spezzata cosí per sempre l'unità di culto, in che cosa consisterà ormai quell'unità di fede che ne conseguiva e di cui sempre si parla come della sostanza da difendere senza compromissioni?
È evidente che il Novus Ordo non vuole piú rappresentare la fede di Trento.
A questa fede, nondimeno, la coscienza cattolica è vincolata in eterno.
Il vero cattolico è dunque posto, dalla promulgazione del Novus Ordo, in una tragica necessità di opzione.




VII

La Costituzione accenna esplicitamente a una ricchezza di pietà e di dottrina mutuata nel Novus Ordo dalle Chiese di Oriente. Il risultato appare tale da respingere inorridito il fedele di rito orientale, tanto lo spirito ne è, piú che remoto, addirittura opposto.
A che si riducono queste scelte ecumeniche?
In sostanza
- alla molteplicità delle anafore (non certo alla loro bellezza e complessità),
- alla presenza del diacono e alla comunione sub utraque specie.
Per contro, pare si sia voluto eliminare deliberatamente tutto quanto, nella liturgia romana, era piú prossimo all'orientale(26) e, rinnegando l'inconfondibile ed immemorabile carattere romano, abdicare a ciò che piú gli era proprio e spiritualmente prezioso. Lo si è sostituito con elementi che soltanto a certi riti riformati (e nemmeno a quelli piú prossimi al cattolicesimo) lo avvicinano degradandolo, mentre vieppiú ne allontaneranno l'Oriente, come l'hanno già allontanato le ultime riforme.
In compenso, esso piacerà sommamente a tutti quei gruppi, vicini alla apostasia, che devastano la Chiesa inquinandone l'organismo, intaccandone l'unità dottrinale, liturgica, morale e disciplinare in una crisi spirituale senza precedenti.




VIII

S. Pio V curò l'edizione del Missale romanum affinché (come la stessa Costituzione ricorda) fosse strumento di unità tra i cattolici. In conformità alle prescrizioni del Concilio Tridentino esso doveva escludere ogni pericolo, nel culto, di errori contro la fede, insidiata allora dalla Riforma protestante.
Cosí gravi erano i motivi del Santo Pontefice che mai come in questo caso appare giustificata, quasi profetica, la sacra formula che chiude la Bolla di promulgazione del suo Messale:

«Si quis autem hoc attentare praesumpserit, indignationem Omnipotenti Dei ac beatorum Petri et Pauli Apostolorum eius se noverit incursurum» (Quo primum, 19 luglio 1570)(27).

Si è avuto l'ardire di affermare, presentando ufficialmente il Novus Ordo alla Sala Stampa del Vaticano, che le ragioni del Tridentino non sussistono piú. Non solo esse sussistono ancora, ma ne esistono oggi, non esitiamo a dirlo, di infinitamente piú gravi. Proprio facendo fronte alle insidie che minacciavano di secolo in secolo la purezza del deposito ricevuto («depositum custodi, devitans profanas vocum novitates», I Tim. 6, 20), la Chiesa dovette erigergli intorno le difese ispirate delle sue definizioni dogmatiche e dei suoi pronunciamenti dottrinali. Essi ebbero ripercussione immediata nel culto, che divenne il monumento piú completo della sua fede.
Volere ad ogni costo riportare questo culto all'antico, rifacendo freddamente, in vitro, quel che in antico ebbe la grazia della spontaneità primigenia, secondo quell'«insano archeologismo» cosí tempestivamente e lucidamente condannato da Pio XII (28), significa - come purtroppo si è visto - smantellarlo di tutte le sue difese teologiche oltre che di tutte le bellezze accumulate nei secoli(29), e proprio in uno dei momenti piú critici, forse il piú critico che la storia della Chiesa ricordi.

Oggi, non piú all'esterno, ma all'interno stesso della cattolicità l'esistenza di divisioni e scismi è ufficialmente riconosciuta(30); l'unità della Chiesa è non piú soltanto minacciata ma già tragicamente compromessa(31) e gli errori contro la fede s'impongono, piú che insinuarsi, attraverso abusi ed aberrazioni liturgiche ugualmente riconosciute(32).
L'abbandono di una tradizione liturgica che fu per quattro secoli segno e pegno di unità di culto (per sostituirla con un'altra, che non potrà non essere segno di divisione per le licenze innumerevoli che implicitamente autorizza, e che pullula essa stessa di insinuazioni o di errori palesi contro la purezza della fede cattolica) appare, volendo definirlo nel modo piú mite, un incalcolabile errore.

Corpus Domini 1969



(1) - «Le preghiere del nostro Canone si trovano nel trattato De Sacramentis (fine del IV-V secolo) ... La nostra Messa
risale, senza mutamento essenziale, all'epoca in cui si sviluppava per la prima volta dalla piú antica liturgia comune.
Essa serba ancora il profumo di quella liturgia primitiva, nei giorni in cui Cesare governava il mondo e sperava di poter
spegnere la fede cristiana; i giorni in cui i nostri padri si riunivano avanti l'aurora per cantare un inno a Cristo come a
loro Dio [cfr. Pl. jr., Ep. 96] … . Non vi è, in tutta la cristianità, rito altrettanto venerabile quanto la Messa romana»
(A. Fortescue).
«Il Canone romano risale, tale e quale è oggi, a San Gregorio Magno. Non vi è, in Oriente come in Occidente, nessuna
preghiera eucaristica che, rimasta in uso fino ai nostri giorni, possa vantare una tale antichità! Agli occhi non solo degli
ortodossi, ma degli anglicani e persino dei protestanti che hanno ancora in qualche misura il senso della tradizione,
gettarlo a mare equivarrebbe, da parte della Chiesa Romana, a rinnegare ogni pretesa di rappresentare mai piú la vera
Chiesa Cattolica » (P. Louis Bouyer).

(SU!)
(2) - In nota, per una tale definizione, si rimanda a due testi del Concilio Vaticano II. Ma a leggere quei due testi non si
trova nulla che giustifichi tale definizione.
Il primo testo (decreto Presbyterorum Ordinis, n. 5) suona cosí: « ...I presbiteri sono consacrati a Dio mediante il
ministero del vescovo, in modo che... nelle sacre celebrazioni agiscano come ministri di Colui che ininterrottamente
esercita la funzione sacerdotale in favore nostro nella Liturgia... E soprattutto con la celebrazione della Messa offrono
sacramentalmente il Sacrificio di Cristo».
Ed ecco l'altro testo cui si rimanda (Costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 33): «Nella Liturgia Dio parla al suo
popolo. Cristo annunzia ancora il suo Vangelo. Il popolo a sua volta risponde a Dio con i canti e con la preghiera. Anzi,
le preghiere rivolte a Dio dal sacerdote che presiede l'assemblea nella persona di Cristo vengono dette a nome di tutto il
popolo santo e di tutti gli astanti».
Non si spiega come da tali testi si sia potuto trarre la suddetta definizione.
Notiamo poi l'alterazione radicale, in questa definizione della Messa, di quella del Vaticano II (Presbyterorum Ordinis,
1254): «Est ergo Eucharistica Synaxis centrum congregationis fidelium...». Fatto sparire fraudolentemente
il centrum, nel Novus Ordo la congregatio stessa ne ha usurpato il posto.
(SU!)
(3) - Cosí il Tridentino sancisce la Presenza Reale: «Principio docet Sancta Synodus et aperte et simpliciter
profitetur in almo Sanctæ Eucharestiæ sacramento post panis et vini consacrationem Dominum
nostrum Iesum Christum verum Deum atque hominem vere, realiter ac substantialiter [can. 1] sub
specie illarum rerum sensibilium contineri». (DB, 874). Nella Sessione XXII, che ci interessa qui direttamente
(De sanctissimo Missæ Sacrificio), la dottrina sancita (DB, nn. 937a fino a 956) e chiaramente sintetizzata in nove
canoni:
1. La Messa è vero, visibile sacrificio - non simbolica rappresentazione - «quo cruentum illud semel in cruce peragendum repræsentaretur atque illius salutaris virtus in remissionem eorum, quæ a nobis quotidie committuntur peccatorum applicaretur» (DB, 938).
2. Gesú Cristo Nostro Signore «sacerdotem secundum ordinem Mechisedech se in æternum [Ps. 109, 4] constitutum declarans, corpus et sanguinem suum sub specibus panis et vini Deo Patri obtulit ac sub earundem rerum symbolis Apostolis (quos tunc Novi Testamenti sacerdotes constituebat), ut sumerent, tradidit, et eisdem eorumque in sacerdotio successoribus, ut offerent, præcepit per hæc verba: “Hoc facite in meam commemorationem” [Lc. 22, 19; I Cor. 11, 24] uti semper catholica Ecclesia intellexit et docuit». (DB, ibid.).
Il celebrante, l'offerente, il sacrificatore è il sacerdote, a ciò consacrato, non il popolo di Dio, l'assemblea. «Si quis dixerit, illis verbis: “Hoc facite” etc. Christum non instituisse Apostolos sacerdotes, aut non ordinasse, ut ipsi aliique sacerdotes offerent corpus et sanguinem suum: anathema sit» (Can. 2; DB, 949).
3. Il Sacrificio della Messa è un vero sacrificio propiziatorio e NON una «nuda commemorazione del sacrificio compiuto sulla croce». «Si quis dixerit; Missæ sacrificium tantum esse laudis et gratiarum actiones aut nudam commemorationem sacrificii in cruce peracti, non autem propitiatorium; vel soli prodesse sumenti, neque pro vivis et defunctis, pro peccatis, pœnis, satisfactionibus et aliis necessitatibus offeri debere, a.s.» (Can. 3; DB, 950).
Si ricorda inoltre il can. 6: «Si quis dixerit Canon Missæ errores continere ideoque abrogandum esse, a.s.»; (DB, 953) e il canone 8: «Si quis dixerit Missæ, in quibus solus sacerdos sacramentaliter communicat, illicitas esse, ideoque abrogandas, a.s.» (DB, 955).
(SU!)
(4) - Ora è superfluo asserire che, se venisse negato un solo dogma definito, crollerebbero ipso facto tutti i dogmi, in quanto
crollerebbe il principio stesso della infallibilità del supremo solenne Magistero Gerarchico, papale o conciliare che sia.
(SU!)
(5) - Si dovrebbe aggiungere anche l'Ascensione ove si volesse riprendere l'Unde et memores, che d'altronde non
accomuna ma nettamente e finemente distingue: ...«tam beatæ Passioni, nec non ab inferis Resurrectionis,
sed et in cœlum gloriosæ Ascensionis».
(SU!)
(6) - Tale spostamento di accento è riscontrabile anche nella sorprendente eliminazione, nei tre nuovi canoni, del Memento
dei morti e della menzione della sofferenza delle anime purganti, alle quali il Sacrificio satisfattorio era applicato.
(SU!)
(7) - Cfr. Mysterium Fidei, ove Paolo VI condanna sia gli errori del simbolismo che le nuove teorie della «transignificazione»
e «transfinalizzazione». «...aut ratione signi... ita instare quasi symbolismus, qui nullo diffitente
sanctissimæ Eucharistiæ certissime inest, totam exprimat et exhauriat rationem presentiæ Christi in
hoc Sacramento... aut de transubstantiationis mysterio disserere quin de mirabili conversione totius
substantiæ panis in corpus et totius substantiæ vini in sanguinem Christi, de qua lonquitur
Concilium Tridentinum, mentio fiat, ita ut in sola “transignificatione” et “transfinalizatione”, ut
aiunt, consistant» (A.A.S. LVII, 1965, p. 755).
(SU!)
(8) - L'introduzione di nuove formule, o di espressioni che, pur ricorrendo nei testi dei Padri e dei Concili e nei documenti del
Magistero, vengono usate in senso univoco, non subordinato alla dottrina sostanziale con cui formano una inscindibile
unità (p. es. «spiritualis alimonia», «cibus spiritualis», «potus spiritualis», ecc.) è ampiamente denunciata e
condannata nella Mysterium Fidei. Paolo VI premette che: «servata Fidei integritate, aptus quoque modus
loquendi servetur oportet, ne indisciplinatis verbis utentibus nobis falsæ, quod absit, de Fide
altissimarum rerum suboriantur opiniones»; cita Sant'Agostino: «Nobis tamen ad certam regulam loqui
fas est, ne verborum licentia etiam de rebus, quæ significantur impiam gignant opinionem» (De Civ.
Dei, X, 23. PL, 41, 300); continua: «Regula ergo loquendi, quem Ecclesia longo sæculorum labore non
sine Spiritus Sancti munimine induxit et Conciliorum auctoritate firmavit, quæque non semel tessera
et vexillum Fidei orthodoxæ facta est, sancte servetur, neque eam quisquam pro lubitu vel prætextu
novæ scientiæ immutare præsumat... Eodem modo ferendus non est quisquis formulis, quibus
Concilium Tridentinum Mysterium Eucharisticum ad credendum proposuit, suo marte derogare velit»
(A. A. S. LVII, 1965, p. 758).
(SU!)
(9) - In netta contraddizione con quanto prescrive (Sacros. Conc., n. 48) il Vaticano II.
(SU!)
(10) - Una volta (n. 259) è riconosciuta la sua funzione primaria: «Altare, in quo sacrificium crucis sub signis
sacramentalibus præsens efficitur». Non sembra molto per eliminare gli equivoci dell'altra costante
denominazione.
(SU!)
(11) - «Separare il Tabernacolo dall'altare equivale a separare due cose che in forza della loro natura debbono restare unite»
(Pio XII, Allocuzione al Congresso Internazionale di Liturgia, Assisi - Roma 18-23 settembre 1956). Cfr. anche
Mediator Dei, I, 5.
(SU!)
(12) - Raramente è usata, nel Novus Ordo, la parola «hostia», tradizionale nei libri liturgici con il suo preciso significato di
«vittima». Ciò rientra nel sistema inteso a mettere in evidenza esclusivamente gli aspetti di «cena» e di «cibo».
(SU!)
(13) - Per il consueto fenomeno di sostituzione e di scambio di una cosa per l'altra, la Presenza Reale viene equiparata alla
presenza nella parola (n. 7, 54). Ma questa è in verità di tutt'altra natura perché non ha realtà che in usu, mentre quella
è, in modo stabile, obbiettivamente, indipendentemente dalla comunicazione che se ne fa nel Sacramento.
Tipicamente protestanti le formule: «Deus populum suum alloquitur... Christus per verbum suum in
medio fidelium præsens adest» (n. 33, , cfr. Sacros. Conc., nn. 33 e 7), cosa che, strettamente parlando, non
ha senso perché la presenza di Dio nella parola è mediata, legata a un atto dello spirito, alla condizione spirituale
dell'individuo e limitata nel tempo.
L'errore non è senza la piú tragica conseguenza: l'affermazione, o l'insinuazione, che la Presenza Reale sia legata
all'usus e finisca insieme con esso.
(SU!)
(14) - L'azione sacramentale della istituzione è puntualizzata come avvenuta nel dare Gesú agli Apostoli «a mangiare» il suo
Corpo e Sangue sotto le specie del pane e del vino, e non nella azione della consacrazione e nella mistica separazione in
essa compiuta del Corpo e del Sangue, essenza del Sacrificio eucaristico (cfr. l’intero capitolo I della Parte II - «Il Culto
Eucaristico» - della Mediator Dei).
(SU!)
(15) - Le parole della Consacrazione, quali sono inserite nel contesto del Novus Ordo, possono essere valide in virtú
dell’intenzione del ministro. Possono non esserlo perché non lo sono piú ex vi verborum o piú precisamente in virtú
del modus significandi che avevano finora nella Messa. I sacerdoti, che, in un prossimo avvenire, non avranno
ricevuto la formazione tradizionale e che si affideranno al Novus Ordo al fine di «fare ciò che fa la Chiesa»
consacreranno validamente? È lecito dubitarne.
(SU!)
(16) - Non si dica, secondo il noto procedimento della critica protestante, che queste espressioni appartengono a quello stesso
contesto scritturistico. La Chiesa ne ha sempre evitato la giustapposizione e sovrapposizione per rimuovere appunto la
confusione delle diverse realtà che detti testi esprimono.
(SU!)
(17) - Di contro a luterani e calvinisti che affermavano come tutti i cristiani siano sacerdoti e perciò offerenti della cena v. A.
Tanquerey: Synopsis theologiæ dogmaticæ, t. III, Desclee 1930: «Omnes et soli sacerdotes sunt, proprie
loquendo, ministri secundarii sacrificii missæ. Christus est quidem principalis minister. Fideles
mediate, non autem sensu stricto, per sacerdotes offerunt ». (Cfr. Cons. Trid. Sess. XXII, Can. 2).
(SU!)
(18) - Notiamo una innovazione impensabile e che sarà psicologicamente disastrosa: il Venerdí Santo in paramenti rossi
anziché neri (n. 308b): la commemorazione cioè di un qualsiasi martire anziché il lutto della Chiesa tutta per il suo
Fondatore. Cfr. Mediator Dei, I, 5 (v. p. 36, nota 28).
(SU!)
(19) - P. Roquet, O.P., alle Domenicane di Betania a Plesschenet.
(SU!)
(20) - In alcune traduzioni del Canone romano, il «locus refrigerii, lucis et pacis» veniva reso come un semplice stato
(«beatitudine, luce, pace»). Che dire, ora, della sparizione di ogni esplicito accenno alla Chiesa purgante?
(SU!)
(21) - In tanta febbre di decurtazione, un solo arricchimento: l'omissione, menzionata nell'accusa dei peccati al Confiteor...
(SU!)
(22) - Alla conferenza stampa in cui fu presentato l'Ordo, il P. Lecuyer, in una professione di pura fede razionalistica, parlò
di convertire in «Dominus tecum», «Ora, frater», etc. le salutationes nella «Missa sine populo», «...perché
non vi sia nulla che non corrisponda a verità ».
(SU!)
(23) - A questo proposito noteremo marginalmente che appare lecito, ai sacerdoti che siano costretti a celebrare da soli prima o
dopo la concelebrazione, di comunicarsi di nuovo sub utraque specie durante questa.
(SU!)
(24) - Che si è voluto presentare come «canone di Ippolito» mentre di quel canone serba appena qualche reminiscenza
verbale.
(SU!)
(25) - Gottesdienst, n. 9, 14 maggio 1969.
(SU!)
(26) - Si pensi, per ricordare solo la bizantina, alle preghiere penitenziali, lunghissime, istanti, ripetute; ai solenni riti di
vestizione del celebrante e del diacono; alla preparazione, che è già un rito completo in sé stessa, delle offerte alla
proscomidia; alla presenza costante, nelle orazioni e persino nelle offerte, della Beata Vergine, dei Santi e delle
Gerarchie Angeliche (che, nell'Entrata col Vangelo sono addirittura evocate come invisibilmente concelebranti e con le
quali si identifica il coro nel Cherubicon); alla iconostasi che nettamente separa santuario da tempio, clero da popolo;
alla consacrazione celata, evidente simbolo dell'Inconoscibile a cui l'intera Liturgia allude; alla posizione del celebrante
versus ad Deum e mai versus ad populum; alla comunione amministrata sempre e solo dal celebrante; ai continui e
profondi segni di adorazione di cui sono fatte segno le Specie; all'atteggiamento essenzialmente contemplativo del
popolo.
Il fatto che tali liturgie, anche nelle forme meno solenni, durino piú di un'ora, e le costanti definizioni che vi si trovano
(«tremenda e inenarrabile liturgia», «tremendi, celesti, vivificanti misteri », ecc.) bastino a dir tutto.
Notiamo infine, sia nella Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo che in quella di San Basilio, come il concetto di
«cena» o di «banchetto» appaia chiaramente subordinato a quello di sacrificio, cosí come lo era nella Messa romana.
(SU!)
(27) - Nella Sessione XIII (decreto sulla SS.ma Eucarestia), il Concilio di Trento manifesta la sua intenzione «ut stirpitus
convelleret zizania execrabilium errorum et schismatum, quæ inimicus homo... in doctrina fidei
usu et cultu Sacrosanctæ Eucharestiæ superseminavit (Mt. 13, 25 ss.)... quam alioqui Salvator
noster in Ecclesia sua tamquam symbolum reliquit eius unitatis et caritatis, qua Christianos omnes
inter se coniunctos et copulatos, esse voluit» (DB, 873).
(SU!)
(28) - «Ad sacræ liturgiæ fontes mente animoque redire sapiens perfecto ac laudabilissima res est, cum
disciplinæ huius studium, ad eius origines remigrans, haud parum conferat ad festorum dierum
significationem et ad formularum, quæ usurpantur, sacrarumque cæremoniarum sententiam altius
dividentiusque pervestigandam: non sapiens tamen, non laudabile est omnia ad antiquitatem quovis
modo reducere. Itaque, ut exemplis utamur, is ex recto aberret itinere, qui priscam altari velit
mensæ formam restituere; qui liturgicas vestes velit nigro semper carere colore; qui sacras
imagines ac statuas e templis prohibeat; qui divini Redemptoris in Crucem acti effigies ita
conformari iubeat, ut corpus eius acerrimos non referat, quos passus est, cruciatus... Hæc enim
cogitandi agendique ratio nimiam illam reviscere iubet atque insanam antiquitatum cupidinem,
quam illegitimum excitavit Pistoriense concilium, itemque multiplices illos restituere enititur
errores, qui in causa fuere, cur conciliabulum idem cogeretur, quique inde non sine magno
animorum detrimento consecuti sunt, quosque Ecclesia, cum evigilans semper evistat “fidei
depositi” custos sibi a Divino Conditore concrediti, iure meritoque reprobavit» (Mediator Dei, I, 5).
(SU!)
(29) - «...Non ci illuda il criterio di ridurre l'edificio della Chiesa, diventato largo e maestoso per la gloria di Dio, come un suo
tempio magnifico, alle sue iniziali e minime proporzioni, quasi che quelle siano solo le vere, solo le buone...» (Paolo
VI, Ecclesiam suam).
(SU!)
(30) - «Un fermento praticamente scismatico divide, suddivide, spezza la Chiesa» (Paolo VI, Omelia in Cena Domini, 1969).
(SU!)
(31) - «Vi sono anche tra noi quegli «schismata», quelle «scissuræ» che la prima lettera ai Corinzi di San Paolo, oggi nostra
ammaestrante lettura, dolorosamente denuncia» (cfr. Paolo VI, ibid.).
(SU!)
(32) - È noto a tutti come il Concilio Vaticano II venga oggi rinnegato proprio da coloro che si vantarono di esserne i padri;
coloro che - mentre il Sommo Pontefice, chiudendolo, dichiarava non aver esso mutato nulla - ne partirono decisi a
«farne esplodere» il contenuto in sede di applicazione. Purtroppo la Santa Sede, con una fretta che ai piú parve
inesplicabile, ha consentito e quasi incoraggiato, attraverso il Consilium ad exequendam Constitutionem de
Sacra Liturgia, una sempre crescente infedeltà al Concilio; che va dagli aspetti solo apparentemente formali (latino,
gregoriano, soppressione di riti venerandi, ecc.) a quelli sostanziali consacrati dal Novus Ordo. Le terribili
conseguenze, che abbiamo tentato di illustrare, si sono ripercosse, in modo psicologicamente forse ancora piú
catastrofico, nei campi della disciplina e del magistero ecclesiastico, scuotendo paurosamente, insieme con il prestigio,
la docilità dovuta alla Sede Apostolica.


www.unavox.it/doc14.htm
hhh.
00mercoledì 22 luglio 2009 22:43
nom
alla faccia della breve critica [SM=g27827] questo topic e' stato fatto veramente molto bene,specialmente le voci autorevoli della critica.
avevo creato il topic sul concilio ,propio per parlare in tranquillita' e ammettere la crisi post -conciliare e inoltre ammettere che chi resto' fedele al post concilio molti lo fecero in buona fede e non tutto quello che contiene la chiesa post conciliare che e' la vera chiesa cattolica non e' tutto marcio.
io penso che nel concilio molti hanno agito in cattiva fede ,vedi le parole che ho postato nel topic ma molti erano in buona fede.
ormai la situazione e' questa e io lo ripeto ancora qua,forse il fatto piu' grave e' stata la chiusura di econe nel 75 che il cvII STESSO,perche' prima anche dopo il concilio non cera frattura dopo e' nata la divisione per colpa del fomento portato dai i veri modernisti francesi e svizzeri,lo stesso fomento che abbiamo visto ultimamente dopo che il papa tolse la scomunica ai sacerdoti lefebvriani.
LiviaGloria
00giovedì 23 luglio 2009 15:24
rivoltialsignore.blogspot.com/2008_08_01_archive.html

Invece trovo interessante questo sito e tali articoli,perché spiega le VERE problematiche senza essere ribelli e senza disconoscere il CVII,ma affermando,assieme al Papa,la cattiva interpretazione del CVII e sopratutto la licenziositá che persone del clero si sono PRESE in assoluta libertá andando contro a certe disposizioni.

E sinceramente...mi auguro che tra i due riti assolutamente regolari tutti e due,un giorno chissá,si potrá trovare il rituale di congiunzione tra i due....
Perché se é vero che la liberalizzazione del vecchio rituale doveva riportare ad una riunione tra fratelůli tramite un assopimento delle diatribe...in realtá ha portato a fratture ancora piu evidenti.

credo che per non arrivare ad uno scisma(cosa piu che auspicabile),sia gli ultratradizionalisti dovrebbero fare un passo verso il Papa e gli ultr modernisti ugualmente un passo verso il passa,cosí da trovarci tutti verso un "centro",il Papa appunto come richiesto da Cristo nella preghiera a Dio "che siano uno,come noi siamo uno"
hhh.
00giovedì 23 luglio 2009 19:57
Re:
LiviaGloria, 23/07/2009 15:24:

http://rivoltialsignore.blogspot.com/2008_08_01_archive.html

Invece trovo interessante questo sito e tali articoli,perché spiega le VERE problematiche senza essere ribelli e senza disconoscere il CVII,ma affermando,assieme al Papa,la cattiva interpretazione del CVII e sopratutto la licenziositá che persone del clero si sono PRESE in assoluta libertá andando contro a certe disposizioni.

E sinceramente...mi auguro che tra i due riti assolutamente regolari tutti e due,un giorno chissá,si potrá trovare il rituale di congiunzione tra i due....
Perché se é vero che la liberalizzazione del vecchio rituale doveva riportare ad una riunione tra fratelůli tramite un assopimento delle diatribe...in realtá ha portato a fratture ancora piu evidenti.

credo che per non arrivare ad uno scisma(cosa piu che auspicabile),sia gli ultratradizionalisti dovrebbero fare un passo verso il Papa e gli ultr modernisti ugualmente un passo verso il passa,cosí da trovarci tutti verso un "centro",il Papa appunto come richiesto da Cristo nella preghiera a Dio "che siano uno,come noi siamo uno"




molto significativo anche il sito che hai postato,io lo ripeto non cera neanche bisogno ne in passato ne oggi di trovare un rituale di congiunzione tra i due e lo ripeto prima della chiusura di econe i due riti convivevano pacificamente e i fedeli con i sacerdoti avevano libera scelta,poi il fomento degli ultra modernisti hanno fatto chiudere econe ed e nato tutto il casino con la nascita degli ultra tradizionalisti.
livia io lo so che vorresti una riconciliazione ma tutto questo non avverra ,gli ultra-tradizionalisti come gli ultra-modernisti sono sotto il sussurro del demonio e forse dobbiamo domandarci se questa situazione,questa oscurita' la voluta dio,per provarci.
guardiamo il mondo e leggiamo il vangelo

Ma egli rispose: « Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia;

al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?

questi sono i segni dei tempi.
LiviaGloria
00venerdì 24 luglio 2009 22:20
Re: Re:
hhh., 23.7.2009 19:57:




molto significativo anche il sito che hai postato,io lo ripeto non cera neanche bisogno ne in passato ne oggi di trovare un rituale di congiunzione tra i due e lo ripeto prima della chiusura di econe i due riti convivevano pacificamente e i fedeli con i sacerdoti avevano libera scelta,poi il fomento degli ultra modernisti hanno fatto chiudere econe ed e nato tutto il casino con la nascita degli ultra tradizionalisti.
livia io lo so che vorresti una riconciliazione ma tutto questo non avverra ,gli ultra-tradizionalisti come gli ultra-modernisti sono sotto il sussurro del demonio e forse dobbiamo domandarci se questa situazione,questa oscurita' la voluta dio,per provarci.
guardiamo il mondo e leggiamo il vangelo

Ma egli rispose: « Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia;

al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?

questi sono i segni dei tempi.




Una riconciliazione o no....dipende cosa si intende per riconciliazione.Da sempre sussistono vari rituali e nella Chiesa antica ve ne erano molti.

La fine dei tempi,anche questo io lo percepisco diversamente nel discorso del tempo...

Quando nell apocalisse si parla di apostasia della fine,credo sia un errore pensare solo oggi...quando ci penso,giá in antichitá ci furono apostasie molto grandi:ario e protestanti(dico solo i piu famosi,e si puo dire che fecere strage di conversioni...
Quindi l apostasia é giá iniziata da tempo...diciamo che manca lo strappo finale...cioé nel vero ultimo tempo.

Se noi guardiamo solo al protestantesiamo,vediamo quante persone e stati,una marea di persone...e ogni tanto penso a questo(solo mia considerazione)...quando vi é scritto "mille non piu mille",...si puo vedere piu cose:una una data simbolica per identificare un tempo finito,cioé in contrapposizione con "nei secoli dei secoli" e due,mi viene di pensare i primi mille anni della Chiesa dove era in espansione,diciamo il tempo della possibilitá di far arrivare il vangelo ovunque o meglio,in molti posti e prendere forza come istituzione e come religione in sé...ma dopo l anno mille é iniziata l apostasia...e quella di oggi é ancora nulla in confronto a quella che sará.
Quindi il mille non piu mille inteso non solo come fine,ma come inizio di una tribolazione nel secondo "mille"...fino all escalescion finale.

Non c é niente che non sia voluto da Dio "non c é uccello del cielo che muoia che Dio non voglia"
La notra lotta non é certamente andare contro un piano giá stabilito,ma sicuramente fare testimonianza per stimolare le anime nel loro libero arbitrio di scelta e volontá.
Quindi abbiamo da una parte un piano fisso,giá predetto e dall altro la variabilitá della salvezza che dipende dalla volontá dell uomo per la salvezza singola.
LiviaGloria
00venerdì 24 luglio 2009 22:21
it.wikiversity.org/wiki/Riforma_liturgica

Le precedenti riforme liturgiche

La messa non è sorta come qualcosa di predefinito, ma è il risultato di uno sviluppo a partire da alcuni elementi neotestamentari:
l’eucarestia in memoria di Cristo, il battesimo nel nome di Gesù, festa domenicale della resurrezione del Crocefisso. Le prime riforme liturgiche risalgono addirittura al IV e VII secolo, quando la Chiesa – superata l’epoca delle persecuzioni – si avviò ad essere una Chiesa di Stato.

Si svilupparono dunque, sia in oriente sia in occidente, una moltitudine di particolarità liturgiche, alcune delle quali ancora in uso: il rito ambrosiano, il rito gallicano, il rito mozarabico. Come rito romano si impose sotto l’influsso dei Franchi una variante del canone romano risalente a Papa Gelasio I.

Dopo la Riforma e la messa in discussione della Santa Messa e delle sue origini, tuttavia, il Papato avviò un processo di unificazione della liturgia, anche come garanzia della validità dei sacramenti.


A seguito del Concilio di Trento fu pertanto pubblicata sotto Papa Pio V nel 1570 una nuova versione del Missale Romanum. Per la sua redazione – così si scrisse nella bolla Quo Primum - furono utilizzati i più antichi manoscritti e messali a disposizioni, al fine di eliminare errori e falsità e giungere a una redazione secondo la norma dei Padri della Chiesa e rispettosa dei portati dei più rilevanti teologi preriformatori. Di fatto si trattava soltanto di una minima revisione del Missale curiale del 1472. Il nuovo messale fu dichiarato obbligatorio per l’intera Chiesa. Soltanto le diocesi e gli ordini, che godevano di una propria liturgia da almeno duecento anni, furono esentati dall’applicare la nuova liturgia. La riforma tridentina si differenzia da quella del XX secolo sotto i seguenti aspetti:

* per la portata assai ridotta delle modifiche apportate;
* per la carenza, all’epoca, di conoscenze adeguate sulla storia della liturgia, in specie quella della chiesa primitiva e delle chiese orientali;

[modifica] La riforma liturgica nel XX secolo

Dopo il Concilio di Trento, la liturgia fu modificata soltanto marginalmente. L’unico cambiamento di rilievo, prima del Concilio Vaticano Secondo, fu la nuova disciplina della Liturgia della notte di Pasqua e della Settimana santa disposta sotto papa Pio XII.

Le spinte verso una riforma della liturgia risalivano peraltro già al pontificato di papa Pio X e furono rafforzate dal cosiddetto movimento liturgico avviatosi con l’inizio del XX secolo. Soprattutto Romano Guardini aveva posto all’interno di questo movimento i presupposti della riforma con la sua opera del 1918 "Vom Geist der Liturgie" (Dello spirito della liturgia).

Il movimento liturgico con il suo bagaglio di esperienze pratiche con i movimenti giovanili cattolici ebbe un ruolo importante nell’idea dell’enciclica di papa Pio XII Mediator Dei, tutta dedicata alla liturgia. Pio XII istituì inoltre nel 1946 una commissione per la riforma generale della liturgia, che iniziò i propri lavori nel 1948 e che, nel 1959, confluì nella commissione preparatoria del concilio per la liturgia .

Si può quindi dunque affermare che la costituzione sulla liturgia del concilio cominciò ad essere predisposta fin dal 1948, prendendo spunto dall’enciclica. Fu forse proprio per l’approfondito lavoro preparatorio che il progetto di costituzione del 1962 firmato dal cardinale competente Gaetano Cicognani (fratello del Cardinale Segretario di Stato Amleto) pochi giorni prima della sua morte sfuggì al destino di tutti gli altri progetti preparati dalla curia, questi ultimi furono infatti sistematicamente respinti dal plenum conciliare.

Il 4 dicembre 1963 la costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium (in seguito SC) è approvata con soli quattro voti contrari sugli oltre 2000 vescovi partecipanti e pubblicata quale primo documento del Concilio Vativano Secondo. Oggetto del rinnovamento generale della liturgia (SC 21) sono tutti i riti della Chiesa: la celebrazione eucaristica, gli altri sacramenti, la liturgia delle ore, le feste e i tempi liturgici, la musica e l’arte sacra.

La SC diede soltanto lo spunto alla riforma della liturgia, nella misura in cui le riforme furono poi dai Papi portate al di là di quanto previsto dal concilio medesimo. Esempio più evidente e spesso ricordato fu l’abolizione della messa in latino, che prese rapidamente piede, sebbene il Concilio avesse in realtà auspicato il mantenimento dell’uso della lingua latina. I primi passi crearono inoltre una dinamica propria di mutamento e sperimentazione sia nel clero sia nei fedeli, contro la quale la curia dovette rapidamente intervenire. A titolo di esempio, in Olanda e in Belgio sarebbero stati elaborati, subito dopo il concilio, centinaia di nuove preghiere eucaristiche.

Già nel 1964 fu istituito il Consilium per l’applicazione della costituzione liturgica (Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Li), affinché adattasse i testi liturgici ai principi conciliari. La commissione fu, inizialmente, presieduta dall’arcivescovo di Bologna il cardinale [w:|Giacomo Lercaro]] e, dal 1968, dal cardinale Benno Gut. Da essa sorse poi la Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, il cui segretario sarebbe stato Annibale Bugnini, il quale aveva funto pure da segretario della commissione di riforma istituita nel 1948 e di quella preparatoria al concilio.

Il Concilium ebbe fra i suoi obiettivi anche l’evidenziazione delle caratteristiche che differenziavano il rito romano sia da quello ortodosso sia dalle altre tradizioni occidentali (ambrosiano, gallicano, mozarabico).

Fu modificata in particolare la liturgia della messa, il cui nuovo ordinamento fu messo in vigore e dichiarato obbligatorio da papa Paolo VI con la costituzione apostolica "Missale Romanum" del 3 aprile 1969.

[modifica] Obiettivi della riforma e mutamenti introdotti

Principio fondante della riforma liturgica è (SC 79) una partecipazione cosciente, attiva e semplice dei fedeli (conscia, actuosa et facilis participatio fidelium) alle liturgie festive della loro Chiesa, in questo obiettivo rientra la marginalizzazione del latino a favore delle lingue moderne. I riti sono stati semplificati e ai partecipanti sono stati attribuiti ruoli distinti:

* vescovo,
* Presbitero,
* Diacono,
* Accolito,
* ministro straordinario della santa comunione,
* lettore,
* cantore,
* ministrante,
* organista,
* assemblea.

La riforma prevedeva affianco al - leggermente mutato - canoneromano della messa (detta I preghiera eucaristica) tre nuove versioni della solenne preghiera eucaristica. La seconda segue il concetto della tradizione apostolica di Ippolito di Roma (III secolo). La III versione riassume in modo nuovo i contenuti del canone romano con particolare considerazione per l’ecclesiologia cristocentrica del Concilio Vaticano II, essa è breve ed è stata rapidamente accettata dal clero proprio per il suo carattere romano. La IV preghiera eucaristica si rifà alla tradizione bizantina, più precisamente ad una anafora della tradizione antiochena e, infine, una quinta versione ancora più vicina ai modelli orientali (in specie a quelli alessandrini di San Basilio) fu accantonata per le remore evidenziate dalla Congregazione della Dottrina della Fede nel 1967. Quest’ultima approvò invece gli altri tre nuovi testi.

Per evitare di creare un rito misto furono accettate soltanto le preghiere eucaristiche che corrispondevano alla tradizione romana. Tutte le tre le nuove preghiere liturgiche evidenziano infatti caratteri del rito romano che nel canone romano erano espressi meno chiaramente. Essi esprimono quindi meglio l’intera tradizione della Chiesa prima del 1570, di quanto facesse il messale di papa Pio V, la cui applicazione uniforma peraltro era un fenomeno risalente soltanto alla prima metà del XX secolo [1].

Lo stesso papa Paolo VI redasse le parole della Transunstanzazione – identiche in tutti i canoni - adattando con cautela il testo alla tradizione biblica sull’istituzione dell’eucarestia. Il cambiamento più evidente è lo spostamento delle parole "Mysterium Fidei", mistero della fede, dopo la transustanziazione stessa a modo di annuncio ai fedeli, i quali rispondono con un’acclamazione, per la quale il Missale Romanum 2002 prevede diverse varianti.

Papa Paolo VI desiderava che la nuova preghiera liturgica conservasse il tipico carattere romano, ciò si è riflesso in specie nella singola epiclesi consacratoria immediatamente prima della transustanziazione. Lo spostamento dell’intercessione della seconda parte della preghiera liturgica corrispondeva ad un obiettivo di maggiore trasparenza

Furono poi eliminati doppioni, recuperati testi pretridentini e rivisti altri. Il nuovo Missale Romanum fu pubblicato nel 1970. La riforma della messa poté dirsi conclusa nel 1975 con l’introduzione di due ulteriori preghiere eucaristiche di riconciliazione. A causa della resistenza di una minoranza la riforma dovette essere imposta con la massima autorità papale. Nel messale 2000, pubblicato nel 2002, sono stati introdotti tre nuovi canoni per le messe con i bambini e quattro varianti per messe celebrate in particolari occasioni.

Un mutamento molto visibile – non previsto dal concilio – fu la mutata posizione del sacerdote celebrante con il volto verso l’assemblea ("versus populum") e non più verso l’altare. Ribadito tuttavia come, in un caso come nell’altro, la preghiera è sempre da intendersi a Dio "ad Deum" e al Signore "ad Dominum. Con la riforma il modo in cui la messa era celebrata dal Papa divenne modello per ogni presbitero. Tale mutamento ha reso necessari mutamenti architettonici in quasi tutte le chiese. Vennero infine allontanate le barriere di fronte all’altare (banchi della comunione).

Il nuovo orientamento della liturgia ha comportato anche una rivalutazione del canto dei fedeli. In vari paesi le rispettive conferenze episcopale hanno elaborato appositi libri contenenti gli inni liturgici proposte alle assemblee liturgiche.

[modifica] Le critiche teologiche e le resistenze

Nei confronti della riforma liturgica, e in particolare del Messale promulgato da Paolo VI, numerosi gruppi "tradizionalisti" hanno espresso ed esprimono tuttora un rifiuto totale, mentre altri, pur non mettendo in discussione né la validità sacramentale, né la sostanziale bontà della riforma, non le risparmiano critiche di metodo e di merito.

Tra i primi critici, alcuni sostennero che la riforma ha un carattere modernista che rimuove il carattere di sacrificio dell’eucaristia. Ciò si evidenzierebbe in particolare dal confronto fra il canone romano (pur nella versione ripresa dalla prima preghiera eucaristica) e la seconda preghiera eucaristica.

Fece clamore il cosiddetto Intervento Ottaviani, ossia un breve esame critico del nuovo "Ordo Missae" redatto, sottoscritto e inviato a papa Paolo VI dai cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci il 25 settembre 1969. Il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, cardinale Franjo Šeper, respinse il 12 novembre 1969 questo scritto, ritenendolo superficiale e errato. Paolo VI integrò il Missale Romanum del 1970 con una prefazione, nella quale esponeva le ragione, in base alle quali egli riteneva che la riforma liturgica fosse fedele alla tradizione. Ancora durante i lavori della commissione liturgica era sorto un movimento di opposizione, dal quale sarebbero poi nati successivamente i cosiddetti movimenti tradizionalisti. Fra di essi è in specie nota la Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata dall’arcivescovo Marcel Lefebvre nel 1970], la quale ha respinto tout court il messale di Paolo VI. In ciò alcuni hanno intravisto:
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«En apparence cette différend porte sur une subtilité. Mais cette messe dite de Saint Pie V., comme on le voit à Ecône, devient le symbole de la condamnation du Concile. Or, je n'accepterai en aucune circonstance que l'on condamne le Concile par uns symbole. Si cette exception était acceptée, le Concile entier sera ébranlée. Et par voie de conséquence l'autorité apostolique du Concile»

(cfr. Jean Guitton, Paul VI secret, Paris 1979, S. 159.)
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«Apparentemente la differenza sembra sottile. Ma la messa detta di San Pio V, come si vede a Ecône, diviene il simbolo della condanna del Concilio. Ora, non accetterò in alcun modo che si condanni il Concilio mediante un simbolo. Se si accettasse questa eccezione l'intero Concilio sarebbe scosso e, conseguentemente, pure la sua autorità apostolica»


Dai gruppi tradizionalisti veniva in particolare criticato il divieto di celebrare la messa tridentina, ciò che sarebbe stato illegittimo in virtù della costituzione Quo primum tempore di papa Pio V così come le misure punitive nei confronti dei preti che celebravano secondo il vecchio rito. Inoltre, sulla base di un malcompreso ecumenismo, la Chiesa cattolica avrebbe - a loro parere - fatto troppe concessioni al protestantesmo.

Il Vaticano ritenne che la condotta dei vertici della Fraternità Sacerdotale San Pio X ]] fosse di natura scismatica. I sacerdoti della Fraternità, validamente ordinati, furono quindi sospesi dalle loro funzioni, impedendo così loro di celebrare la messa e di distribuire i sacramenti nelle chiese cattoliche.

In seguito, il 2 luglio 1988, papa giovanni Paolo II pubblicò il motu Proprio Ecclesia Dei, nel quale egli si rivolse a tutti quelli che erano legati al movimento di Marcel Lefebvre, invitandoli ad adempiere seriamente i propri doveri rimanendo fedeli al Vicario di Cristo nell’unità della Chiesa Cattolica e cessando di sostenere quel movimento. Egli invitava tuttavia la Chiesa e le comunità a venire incontro con le necessarie misure alle esigenze di quei fedeli cattolici, che si sentivano legati alle precedenti forme della liturgia e disciplina della tradizione cattolica.

Autorizzava i vescovi diocesani a rilasciare a ben precise condizioni un'autorizzazione alla celebrazione della messa secondo il messale romano del 1962. Nello scritto Quattuor abhinc annos del 3 ottobre 1981 furono individuate le linee direttive per tale pratica. Oggi vi sono, in sostanza, una ventina di gruppi tradizionalisti che hanno ottenuto tale autorizzazione.

Con la Fraternità Sacerdotale San Pio X non si è, invece, finora trovato alcun accordo, in quanto gli aderenti a quest’ultima continuano a respingere le novità più rilevanti del concilio: libertà religiosa, ecumenismo e rivalutazione del ruolo dei laici.

Benedetto XVI concedendo il motu proprio "Summorum Pontificum" ha dato seguito ai rilievi già espressi da cardinale. Nella propria Autobiografia, contestava il divieto pressoché totale del Messale precedente come espressione di una perniciosa ermeneutica della discontinuità. Nella sua Introduzione allo spirito della liturgia, il futuro Pontefice biasimava anche l'archeologismo liturgico, che sembra sposato, invece, dalla Costituzione Apostolica Missale Romanum. Il motu proprio "Summorum Pontificum" sottolinea la continuità con la tradizione liturgica precedente il Concilio e permette l'uso dei libri liturgici antichi a condizioni generosamente ampie.

LiviaGloria
00venerdì 24 luglio 2009 22:51
www.christianismus.it/modules.php?name=News&file=article...

Conoscere per non ignorare,ma da tutte le diverse posizioni,poi la scelta resta sempre e comunque un fatto individuale in base alla fede al fatto che Dio scruta il cuore e i reni.

Comunque su questi argomenti...il conoscere sarebbe un impresa titanica,specialmente per persone "semplici" come noi...comporta tanti tipi di studi e tante epoche della chiesa...e noi abbiamo cosí TANTO poco tempo! [SM=g27823]
hhh.
00venerdì 24 luglio 2009 23:53
Re: Re: Re:
LiviaGloria, 24/07/2009 22:20:






Quando nell apocalisse si parla di apostasia della fine,credo sia un errore pensare solo oggi...quando ci penso,giá in antichitá ci furono apostasie molto grandi:ario e protestanti(dico solo i piu famosi,e si puo dire che fecere strage di conversioni...
Quindi l apostasia é giá iniziata da tempo...diciamo che manca lo strappo finale...cioé nel vero ultimo tempo.

Se noi guardiamo solo al protestantesiamo,vediamo quante persone e stati,una marea di persone...e ogni tanto penso a questo(solo mia considerazione)...quando vi é scritto "mille non piu mille",...si puo vedere piu cose:una una data simbolica per identificare un tempo finito,cioé in contrapposizione con "nei secoli dei secoli" e due,mi viene di pensare i primi mille anni della Chiesa dove era in espansione,diciamo il tempo della possibilitá di far arrivare il vangelo ovunque o meglio,in molti posti e prendere forza come istituzione e come religione in sé...ma dopo l anno mille é iniziata l apostasia...e quella di oggi é ancora nulla in confronto a quella che sará.
Quindi il mille non piu mille inteso non solo come fine,ma come inizio di una tribolazione nel secondo "mille"...fino all escalescion finale.

Non c é niente che non sia voluto da Dio "non c é uccello del cielo che muoia che Dio non voglia"
La notra lotta non é certamente andare contro un piano giá stabilito,ma sicuramente fare testimonianza per stimolare le anime nel loro libero arbitrio di scelta e volontá.
Quindi abbiamo da una parte un piano fisso,giá predetto e dall altro la variabilitá della salvezza che dipende dalla volontá dell uomo per la salvezza singola.




certo che l'apostasia e iniziata da tempo pero' il profeta daniele parla di grande apostasia e anchio penso che peggiorera' nel tempo,oltre al protestantesimo pensiamo ai motti illuministi, al rinascimento,si sa che nel medioevo gli europei vivevano una forte fede,bene questo periodo storico viene criticato e usato come termine dispreggiativo(non siamo mica nel medioevo)tutto questo perche' ?,ogni periodo storico ha le sue luci e ombre ,pero' caso strano dopo il periodo infame medioevale viene il periodo chiamato rinascimento,da cosa rinasciamo ,per rinascere significa che eravamo morti?dalla rivoluzione franscese e i motti illuministi massonici ,continua a peggiorare l'apostasia l'europa dopo che si era divisa tra cattolici e protestanti entrano in scena anche i rivoluzionari statalisti giacobimi ,che poi dall'evoluzione socialista e poi comunista ,all'inizio del novecento divide l'europa in cattolici ,protestanti e atei,l'ateismo sembra aumentare ogni decennio
dalla rivoluzione comunista e dopo la fine della seconda guerra mondiale vediamo ogni 10 anni aumentare l'ateismo 50 60 70 80 90 fino ad arrivare ad oggi alla grande apostasia ,nazioni dell'est una volta cattoliche o ortodosse se leggiamo le statistiche la percentuale piu' alta della religiosita' sono gli atei,per non parlare che in italia sono stati contati 10 milioni di atei,senza contare i credenti non praticanti che nel mondo sono un numero impressionante e incalcolabile.
e' vero guardare l'apostasia solo oggi e' sbagliato ma io penso che il mondo dopo aver conosciuto cristo e gli apostoli nel tempo e' iniziato un deterioramento normale,consegueza che l'uomo e' lontano da dio,come dopo la cacciata dll'eden ,l'uomo aveva visto in faccia dio ma tempo dopo tempo si e' dimenticato di lui e si e' deteriorato da meritare il diluvio universale.
la storia si ripete in modo trinitario come e' nostro signore'


abbiamo avuto un diluvio di acqua
uno di sangue
e avremmo quello di fuoco
sempre per il detoriamento dell'uomo e l'allontanamenton da dio
Ardisia
00lunedì 27 luglio 2009 21:38
Re:
LiviaGloria, 24/07/2009 22.51:

http://www.christianismus.it/modules.php?name=News&file=article&sid=117

Conoscere per non ignorare,ma da tutte le diverse posizioni,poi la scelta resta sempre e comunque un fatto individuale in base alla fede al fatto che Dio scruta il cuore e i reni.

Comunque su questi argomenti...il conoscere sarebbe un impresa titanica,specialmente per persone "semplici" come noi...comporta tanti tipi di studi e tante epoche della chiesa...e noi abbiamo cosí TANTO poco tempo! [SM=g27823]



Fare una scelta è ineluttabile, tutta la nostra vita lo è, compresa la salvezza dell'anima. Il "conoscere" non è un'impresa titanica, ma doverosa e deve corrispondere ai talenti donateci. Il solo fatto che noi siamo qui, non ci rende più persone semplici, ma chiamate. E' vero, il tempo a disposizione è poco, ma dobbiamo farlo fruttare nel modo migliore, non possiamo seppellire l'unico talento donatoci da Nostro Signore e renderlo sterile, non ci è stato donato per questo. [SM=g27823]


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