Dai paesi emergenti: addio a FMI e Banca Mondiale

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wheaton80
00domenica 2 giugno 2013 21:58


I cinque leader dei Paesi Brics: da sinistra, la presidente del Brasile Dilma Roussef, il presidente russo Vladimir Putin, il primo nimistro indiano Manmohan Singh, il presidente cinese Hu Jintao, il presidente del Sudafrica Jacob Zuma

di Franco Fracassi
11 aprile 2013

Si tratta di un’azione rivoluzionaria, contrastata con forza da Usa e banche d’affari. I cosiddetti Brics creeranno una loro Banca per lo Sviluppo e un’agenzia di rating. I cinque leader dei Paesi Brics: da sinistra, la presidente del Brasile Dilma Roussef, il presidente russo Vladimir Putin, il primo nimistro indiano Manmohan Singh, il presidente cinese Hu Jintao, il presidente del Sudafrica Jacob Zuma. I Paesi emergenti creeranno la loro Banca per lo Sviluppo e la propria agenzia di rating per fermare la dittatura del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale.

È quanto deciso dai Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) in un vertice tenuto a Durban, in Sudafrica. Nel documento finale si parla anche di «emarginare la dittatura di Moody’s, Standard & Poor’s e Morgan Stanley». La Banca per lo Sviluppo Brics conterà su un capitale iniziale di cinquanta miliardi di dollari. Rimangono solo da ultimare i dettagli strutturali. Il suo scopo principale è di sostenere progetti di infrastrutture e sviluppo sostenibile. Gli Stati Uniti tremano.

Si tratta di uno strappo inimmaginabile fino a poco tempo fa. In una nota, Goldman Sachs definisce la decisione del vertice «un tentativo di sovvertire l’ordine costituito e un’aperta ribellione allo status quo consolidato dal diritto internazionale e da sessant’anni di diplomazia». Alla testa del progetto ci sono India e Brasile. L’ex ministro delle Finanze indiane, Jaswant Singh, ha dichiarato: «Si tratta della nostra grande occasione. L’India avrà l’occasione di ottenere un grande sviluppo economico, reale. Grazie al know how cinese potrà costruire una rete di infrastrutture che cambieranno il Paese».

Se il progetto divenisse realtà a rimetterci di più saranno gli Stati Uniti. Finora la moneta di scambio internazionale è stata il dollaro. Anche il petrolio viene pagato solo in dollari. Grazie a ciò Washington si è potuta permettere un debito pubblico spropositato, ben sapendo che nessuno avrebbe mai chiesto di saldare i conti, come invece è accaduto per alcuni Paesi europei, Italia compresa. Insomma, grazie alla posizione privilegiata del dollaro, il debito statunitense è stato pagato dal resto del mondo. Con la nascita della Banca per lo Sviluppo i Paesi Brics inizieranno a commerciare con un’altra moneta. A questo punto che cosa ne sarà del dollaro e del debito Usa?

popoff.globalist.it/Detail_News_Display?ID=70922&typeb=0
wheaton80
00venerdì 30 maggio 2014 02:07
Nasce l’Unione Euroasiatica

L’accordo prevede la libera circolazione di beni, servizi, capitali e lavoratori all’interno dell’Unione e una politica comune nei principali settori economici: energia, industria, agricoltura e trasporti. Secondo il presidente russo Putin:“Questo trattato è storico e segna un’epoca”, Il nuovo mercato comune, infatti, interesserà 170 milioni di cittadini, puntando a svolgere il ruolo di potente centro di attrazione e di sviluppo economico nella scena post-sovietica, potendo, in questa direzione, contare su un quinto di tutte le risorse globali di gas e su quasi il 15% di quelle relative al petrolio. L’unione euroasiatica si fonderà sui principi dell’Organizzazione mondiale del commercio. Per Putin:“Ogni nazione manterrà pienamente la propria sovranità statale ma impegnandosi a garantire una maggiore cooperazione economica tra Paesi fratelli. La nostra posizione geografica ci permette di dare vita a rotte di commercio non solo di pertinenza regionale ma anche di importanza globale, concentrando in esse gli ingenti flussi commerciali tra Europa e Asia”; e ancora:“questo è ciò che garantirà lo sviluppo economico della nuova Unione ed una crescente capacità competitiva”. Inoltre, Putin ha fatto presente che l’Unione eurasiatica sta negoziando la creazione di una zona di libero scambio con il Vietnam oltre a rafforzare la cooperazione economica con la Cina. In aggiunta, l’Unione potrebbe offrire scambi commerciali preferenziali ad Israele e all’India. Da parte sua, il presidente kazako, Nursultan Nazarbayev, ha aggiunto:“Oggi è nata la nuova realtà geo economica del XXI secolo e ci attende un difficile periodo di consolidamento e sviluppo. Ci saranno nuove sfide, nuovi compiti. Il nostro obiettivo più grande consisterà nel mostrare al mondo intero la fattibilità di questa nostra unione”. Attualmente, anche l’Armenia e il Kirghizistan sono in trattative per unirsi all’Unione euroasiatica.

www.signoraggio.it/nasce-lunione-euroasiatica/
wheaton80
00venerdì 11 luglio 2014 12:30
Nasce la "banca mondiale" dei paesi emergenti

Sarà basata a Shangai la Banca per lo sviluppo che i Paesi emergenti che il club dei Brics intende creare in occasione del summit della settimana prossima. Lo ha riferito il Cremlino, aggiungendo che la presidenza russa proporrà anche la creazione di una associazione energetica con l'obiettivo di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e di contribuire a regolare il mercato. "La sede avrà base a Shangai, questo è scritto nei documenti", ha detto il consigliere diplomatico di Vladimir Putin, Yuri Ushakov. Il capitale del nuovo istituto dovrebbe essere di 10 miliardi di dollari, con la possibilità di erogare sino a 100 miliardi di dollari. La creazione di questa banca, ma anche di un fondo valutario comune, è un obiettivo di lungo corso dei Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Afica del Sud), che si sentono poco e male rappresentati da Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale.

10 luglio 2014
www.wallstreetitalia.com/article/1710762/nasce-la-banca-mondiale-dei-paesi-emerge...
wheaton80
00martedì 22 luglio 2014 02:03
Scacco matto dei BRICS nel cortile di Washington

Stati Uniti e loro più stretti alleati hanno cercato di isolare la Russia e il Presidente Vladimir Putin dalla scena mondiale. Come risultato del sostegno occidentale al regime ucraino, salito al potere con le violenze a Kiev, le azioni intraprese dalle potenze occidentali contro la Russia comprendono l’espulsione della Russia dal G-8 delle potenze capitaliste, il congelamento dei beni dei funzionari del governo e delle banche russi, e divieto di viaggio a prominenti cittadini russi. Tuttavia, Putin ha messo sotto scacco il presidente degli Stati Uniti Barack Obama nel suo cortile di casa. I difensori di Obama immaginano il loro presidente come un maestro di “scacchi a 11 dimensioni”. Tuttavia, in Brasile, il vertice delle nazioni BRICS di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, mostra al mondo che è Putin, non Obama, il maestro di scacchi a 11 dimensioni. In realtà, Obama potrebbe mollare la scacchiera. Putin è in visita in Brasile partecipando al summit 2014 nella città di Fortaleza. Il vertice BRICS avviene mentre i membri dell’amministrazione Obama, tra cui neo-con come l’assistente del segretario di Stato per gli affari europei Victoria Nuland, stilano piani per inasprire le sanzioni contro la Russia, portandoli ai livelli di Iran, Siria e Cuba. Putin e i suoi colleghi dei BRICS firmeranno un accordo a Fortaleza per la creazione della banca di sviluppo BRICS che aiuterà a schivare il tentativo dei neo-con d’isolare la Russia dalle reti bancarie internazionali. Qualsiasi rafforzamento delle sanzioni, come quelle imposte da Washington a Iran, Siria, Cuba, corre il rischio di punire le banche brasiliane, indiane, cinesi, sudafricane e di altre società, qualcosa che potrà far finire l’amministrazione Obama nelle acque bollenti del tribunale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio che decide sulle pratiche commerciali che violano le norme dell’OMC.

L’eredità dell’amministrazione Obama è la politica da Guerra Fredda verso un’America Latina che ha chiuso definitivamente il vecchio dominio politico-economico degli Stati Uniti dell’emisfero occidentale. Obama ha piantato l’ultimo chiodo sull’arcana dottrina Monroe che decise che gli Stati Uniti avrebbero impedito alle nazioni non dell’emisfero occidentale, comprese le potenze d’Europa, dall’intervenire nelle Americhe. L’interventismo in Paesi come Venezuela e Honduras svolto dalla collega neocon della Nuland, Roberta Jacobson, assistente del segretario di Stato per gli affari dell’emisfero occidentale, ha portato un grosso contingente di leader latinoamericani a partecipare con Putin, il presidente cinese Xi Jinping e gli altri leader dei BRICS al vertice in Brasile in cui gli Stati Uniti non avranno un posto. In effetti, gli Stati Uniti e le loro politiche imperialistiche saranno un tema importante in Brasile, un Paese che ha visto le sue telecomunicazioni, comprese chiamate ed e-mail private della presidentessa brasiliana Dilma Rousseff, regolarmente spiate dalla National Security Agency degli Stati Uniti. Putin ha svolto il grosso della sua visita di sei giorni in America Latina. Ha condonato il debito di Cuba verso la Russia, durante la visita a L’Avana ed si è anche fermato in Nicaragua e Rio de Janeiro. A Cuba Putin ha incontrato l’ex-leader cubano Fidel Castro e suo fratello Raul Castro, presidente di Cuba, due leader che continuano a far infuriare i centri di potere di destra e neo-con di Washington. Putin ha anche presenziato alla finale della Coppa del Mondo a Rio. La Russia sarà l’ospite della Coppa del Mondo 2018. Putin ha anche visitato l’Argentina dove ha firmato un accordo sull’energia nucleare. L’interesse di Iran, Argentina, Nigeria, Siria ed Egitto nel far parte dei BRICS potrebbe presto far divenire la sigla del gruppo “BRICSIANSE”. Un tale sviluppo farà trionfare le nazioni che si rifiutano di prendere ordini da Washington, e la presenza della Siria significherà la sconfitta definitiva della dottrina Obama della “R2P”, o “responsabilità di proteggere” filo-USA, e dell’intelligence occidentale che finanzia i capi dell’opposizione intenti a sostituire i governi anti-americani con regimi filo-USA. La Siria che entra nei BRICS come membro, a pieno titolo o associato, sarà il paletto nel cuore della R2P.

L’amministrazione Obama non è riuscita a convincere un solo leader sudamericano ad evitare il vertice BRICS in Brasile. Infatti, due dei leader sudamericani sedutisi con Putin, Xi, Rousseff e gli altri leader in Brasile, il presidente del Venezuela Nicolas Maduro e il presidente del Suriname Desi Bouterse, sono stati oggetto dei tentativi di destabilizzazione della CIA e del dipartimento di Stato, collegati a minacce di sanzioni. Erano anche presenti presso i BRICS la presidentessa argentina Cristina Fernández de Kirchner, il presidente della Bolivia Evo Morales, la presidentessa del Cile Michelle Bachelet, il presidente colombiano Juan Manuel Santos, il presidente dell’Ecuador Rafael Correa, il presidente della Guyana Donald Ramotar, il presidente del Paraguay Horacio Cartes, il presidente del Perù Ollanta Humala e il presidente dell’Uruguay José Mujica. Le sanzioni statunitensi contro la Russia e la sua dimostrazione di forza contro la Cina attraverso Giappone e Filippine, sono cadute nel vuoto in Sud America. Le buffonate adolescenziali di Nuland, Jacobson, della consigliera per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti Susan Rice, dell’ambasciatrice degli Stati Uniti alle Nazioni Unite Samantha Power, saranno di sicuro discusse nei pettegolezzi dei leader riunitisi a Fortaleza. La presenza del presidente della Colombia Santos è particolarmente degna di nota. Santos ha recentemente sconfitto il candidato della destra sostenuto dagli stessi interventisti dell’amministrazione Obama che hanno sabotato l’economia del Venezuela. Il candidato perdente, Oscar Ivan Zuluaga, aveva il pieno sostegno del predecessore di destra e pro-Israele/USA di Santos, Alvaro Uribe. Notizie recenti dimostrano che Uribe ha istituito un sistema di sorveglianza nazionale delle comunicazioni, in stile NSA, contro i suoi avversari.

I legami di Zuluaga con gli stessi elementi che cercano di deporre Maduro in Venezuela non sono stati dimenticati da Santos, che continua ad impegnarsi in negoziati di pace a L’Avana con i guerriglieri di sinistra delle FARC e a migliorare i rapporti con il Venezuela, con grande disappunto degli agenti della CIA che vivono nello splendore di Miami, in Florida. A Rio, Putin è riuscito a sabotare gli sforzi degli Stati Uniti per isolarlo, incontrando il primo ministro di Trinidad e Tobago Kamla Persad-Bissessar e il primo ministro di Antigua e Barbuda Gaston Browne, oltre al primo ministro ungherese Victor Orban, al presidente della Namibia Hage Geingob, al presidente del Gabon Ali Bongo e alla cancelliera tedesca Angela Merkel. Merkel e Rousseff hanno molto in comune, in quanto entrambi hanno avuto i loro cellulari personali monitorati dalla NSA, un fatto che Putin, che ha fornito asilo all’informatore della NSA Edward Snowden, probabilmente ha menzionato di sfuggita. L’unico tentativo che gli Stati Uniti hanno potuto fare affinché qualche funzionario latinoamericano criticasse i contatti tra i leader dell’emisfero occidentale e Putin, è stato organizzare il viaggio privato del capo dell’opposizione di Trinidad, Keith Rowley, per condannare il viaggio del primo ministro del suo Paese in Brasile. Rowley ha criticato Persad-Bissessar e suo nipote per l’incontro con Putin e gli altri leader a Rio, perché il viaggio è stato compiuto durante la controversia che coinvolge il dipartimento dell’immigrazione di Trinidad. Il potere d’influenza di Washington sugli eventi nell’emisfero occidentale è davvero sprofondato in nuovi abissi. L’ordine del giorno delle nazioni dei BRICS è diversificato come quello di qualsiasi riunione del G-7, non più chiamato G-8 dopo che la Russia è stata espulsa. Nell’agenda del vertice BRICS vi sono commercio, sviluppo, politica macroeconomica, energia, finanza, terrorismo, cambiamenti climatici, sicurezza regionale, traffico di droga e criminalità transfrontaliera, industrializzazione dell’Africa e ciò che sarebbe il campanello d’allarme per Wall Street, Banca Mondiale, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale e altri strumenti del capitalismo occidentale, la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali (IFI).

Le operazioni di sicurezza dei Paesi BRICS in Afghanistan sostituiranno quelle degli Stati Uniti, dopo il ritiro delle loro truppe. La Russia guida gli sforzi dei BRICS per affrontare il riciclaggio di denaro e la criminalità transfrontaliera ottenendo la partecipazione di Bielorussia, India, Kazakistan, Cina, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Osservatori provenienti da Mongolia e Armenia si sono uniti ai colloqui. Nel settore della sicurezza, è evidente il sinergismo tra BRICS e Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), guidando Russia e Cina nella politica di sicurezza comune con gli Stati dell’Asia centrale come Kazakistan e Uzbekistan. Russia e Cina sembrano intenzionate a che Ucraina e Georgia siano la “linea sulla sabbia” di eventuali ulteriori invasioni delle rivoluzioni “R2P” di George Soros e CIA nello spazio eurasiatico. E’ anche chiaro che Putin ha battuto in astuzia Obama nel suo cortile di casa.

Wayne Madsen - Strategic Culture Foundation, 15/07/2014
Traduzione di Alessandro Lattanzio
aurorasito.wordpress.com/2014/07/15/scacco-matto-a-washington-nel-suo-cortile-con-...
wheaton80
00domenica 9 novembre 2014 13:50
Da Pechino, il crepuscolo asiatico post-Bretton Woods

La creazione della Banca Asiatica per gli Investimenti Infrastrutturali (BAII), è stata infine decisa da 22 Paesi asiatici il 24 ottobre. Da un lato, la nuova banca di sviluppo regionale entrerà in diretta concorrenza con la Banca asiatica di sviluppo, fondata nel 1966 sotto il dominio schiacciante di Stati Uniti e Giappone; dall’altra parte sarà un meccanismo di coesione regionale contro la “dottrina del perno” di Pentagono e dipartimento di Stato USA.

Il 24 ottobre, 22 Paesi asiatici riunitisi a Pechino firmavano il protocollo d’intesa che approvava la creazione della Banca Asiatica per gli Investimenti Infrastrutturali (AIIB nell’acronimo in inglese), ad oltre un anno da quando il presidente della Repubblica popolare cinese, Xi Jinping, presentò per la prima volta prima la proposta al forum della Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC) a Bali, Indonesia. Secondo diversi funzionari intervistati sulla nuova banca, sarà una piattaforma per il finanziamento nella regione asiatica dei grandi progetti su telecomunicazioni, energia e trasporti. Jin Liqun, ex-presidente del consiglio dell’autorità di vigilanza del fondo sovrano cinese Sovereign Wealth Fund ed ex-vicepresidente della Banca asiatica di sviluppo, sarà a capo dell’istituto. Come la banca di sviluppo dei BRICS (acronimo di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), Pechino ospiterà la sede della BAII. Avrà un capitale di 50 miliardi di dollari e un capitale sociale di 100 miliardi di dollari. La Cina contribuirà con metà dei fondi e l’India sarà il secondo azionista. L’ammontare del capitale sociale della BAII è pari ai tre quinti del capitale della Banca asiatica di sviluppo (165 miliardi di dollari), banca di sviluppo regionale con 67 membri (48 regionali e 19 extraregionali) creata nel 1966 sotto gli auspici della Banca Mondiale. I principi guida della BAII sono ‘giustizia, equità ed apertura’, alludendo alllo schiacciante predominio di Washington nella governance dell’architettura finanziaria internazionale. Dopo sette decenni dalla conferenza di Bretton Woods, il ruolo degli Stati Uniti come gendarme del capitalismo globale rimane intatto, nonostante la stagnazione economica e l’alto debito pubblico e privato. “Si potrebbe pensarla come una partita di basket in cui gli Stati Uniti vogliono imporre durata del gioco, dimensioni del campo, altezza del cesto e tutto ciò che gli conviene“, ha detto Wei Jianguo, ex-ministro del Commercio cinese. In questo senso, le operazioni delle banche regionali di sviluppo sono fondamentali per comprendere la portata del ‘soft power’. Fin dalla sua fondazione, doveva integrare le funzioni di Fondo monetario internazionale (FMI) e Banca mondiale quali istituti di credito. I programmi di lotta alla povertà e di trasferimento agli ambiti più svantaggiati della popolazione servirono da palliativi alle contraddizioni periferiche, consolidando il ruolo del capitalismo statunitense nell’economia mondiale. In altre parole, Banca interamericana di sviluppo (BID), Banca africana di sviluppo e Banca asiatica di sviluppo avevano quale leitmotiv il sostenere l’espansione delle multinazionali (MNC) e delimitare la sfera d’influenza economica e politica dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) nel Terzo Mondo.

Durante la Guerra Fredda, la Banca asiatica di sviluppo passò nell’orbita degli interessi geoeconomici e geopolitici degli Stati Uniti con il pieno sostegno del Giappone. Come nel caso di FMI e Banca mondiale, governati dal 1944 rispettivamente da europei e statunitensi, Tokyo finora ha avuto la presidenza della Banca asiatica di sviluppo. Giappone e Stati Uniti rimangono gli azionisti di maggioranza con il 31,23 per cento del capitale sociale e il 25 per cento dei diritti di voto. Qui, Cina e Hong Kong hanno congiuntamente 7 e 6,21 punti percentuali. Tuttavia, al di là della questione della rappresentanza, i progetti infrastrutturali sono un supporto chiave senza cui è impossibile sostenere alti tassi di crescita economica su un lungo periodo. L’accumulazione capitalistica globale è sempre più orientata verso Oriente e il continente asiatico ha urgente bisogno di mobilitare risorse per collegare le reti di produzione regionali, ad esempio attraverso la “Via della seta del XXI secolo”, una cintura economica incentrata sulla vasta rete ferroviaria continentale che collegherà la Cina con Asia centrale, Russia, Europa e forse Medio Oriente. Le stime della Banca asiatica di sviluppo, solo per il 2010 – 2020, sono che 8 miliardi di dollari saranno necessari per i progetti nazionali e 290 miliardi per i progetti infrastrutturali regionali. Tuttavia, i prestiti della Banca asiatica di sviluppo, pari a 10 miliardi di dollari annuali, sono chiaramente insufficienti a soddisfare la richiesta di crediti. Dato il rallentamento della crescita dell’economia cinese, a tassi inferiori all’8 per cento, e la crescente debolezza della domanda estera, il finanziamento dei progetti infrastrutturali attraverso la BAII fornirebbe all’integrazione asiatica una spinta senza precedenti e la Cina avrebbe accesso privilegiato alle risorse naturali strategiche e a potenziali mercati di consumo. La Cina è il primo partner commerciale della maggior parte dei Paesi della regione, come India, Pakistan e Bangladesh, e il secondo in Sri Lanka e Nepal. Nel 2012, il commercio tra la Cina e i dieci membri dell’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico (ASEAN) raggiunse il valore record di 400 miliardi di dollari. Senza dubbio, prima che Pechino aspiri a conquistare l’egemonia economica globale, è necessario consolidarne la leadership regionale non solo in termini economici ma attraverso un maggiore equilibrio geopolitico tra i Paesi asiatici, tenendo a bada la “dottrina del perno” di Pentagono e dipartimento di Stato USA. Nonostante il fatto che Giappone, Corea del Sud, Indonesia e Australia abbiano rifiutato di sostenere l’attuazione della BAII su pressione di Barack Obama, il sostegno della maggioranza del continente asiatico rivela che gli sforzi della Casa Bianca volti a minare l’integrazione regionale sono stati estremamente inefficaci rispetto alla diplomazia dello yuan. In sintesi, l’attuazione della nuova istituzione sfida apertamente le basi di Bretton Woods ed accentua la transizione verso nuove forme di governance incentrate sulla regionalizzazione finanziaria. Forse, ad un certo punto, l’era statunitense collasserà subitaneamente al bagliore luccicante del crepuscolo asiatico scaturito dall’ascesa multipolare di Pechino.

9 novembre, 2014
Ariel Noyola Rodríguez, Membro dell’Observatorio Económico de América Latina dell‘Instituto de Investigaciones Económicas de la Universidad Nacional Autónoma de México. Editorialista della revista Contralínea (Messico) e collaboratore della Rete Voltaire (Francia)

Traduzione di Alessandro Lattanzio
aurorasito.wordpress.com/2014/11/09/da-pechino-il-crepuscolo-asiatico-post-bretto...
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00lunedì 29 dicembre 2014 19:47
La politica multipolare networkcentrica dell’Unione Eurasiatica

La visione russa dell’Unione Eurasiatica la pone al centro di un supercontinente interconnesso, con Mosca che prende l’iniziativa per avvicinare tutti con reciproco vantaggio multivettoriale. Il confronto dell’occidente con la Russia e la nuova guerra fredda possono effettivamente essere una benedizione travisata, come sempre, con Mosca che agisce con rinnovato senso di urgenza sondando e stringendo importanti accordi in Eurasia. Dal Vietnam al Paese più popoloso del mondo arabo, l’Egitto, si vede una diplomazia russa onnipresente. Lo scopo della spinta pan-eurasiatica della politica estera della Russia è cementare un accordo politico ed economico alternativo sfidando il dominio occidentale e facilitando la nascita di un mondo realmente multipolare.

Dalla rete della diplomazia…
La base dei successi in politica estera della Russia è che tutti i partner strategici, in un modo o nell’altro, comprendono la necessità di un mondo multipolare per salvaguardare la piena sovranità (culturale, politica, storica, ecc). Per inciso, gli Stati Uniti e la loro annaspante politica estera (soprattutto nel periodo post-9/11) hanno convinto la maggior parte del mondo che la multipolarità è l’unica opzione pratica per sopravvivere nel 21° secolo. Collaborare con l’occidente comporta alcuni privilegi (come l’Arabia Saudita e i suoi clienti del Golfo sanno), ma l’esistenza di uno Stato non-occidentale in tale sistema traballa, e una volta che l’utilità del suo leader finisce, inevitabilmente, (come Mubaraq) o rifiuta di seguire i dettami unipolari (come la Libia di Gheddafi), allora il Paese viene distrutto finendo in una distopia. Anche prima della rivoluzione colorata di teatro, la ‘primavera araba’, tale obiettivo nefasto era evidente a Russia e Cina, entrati in partnership strategica nel 1997 per sostenersi nella costruzione del mondo multipolare. Poco dopo, trasformarono i Shanghai Five nella Shanghai Cooperation Organization (SCO) per salvaguardare se stessi e i loro alleati contro le armi asimmetriche occidentali del terrorismo, separatismo ed estremismo (politico, religioso, economico (sanzioni), ecc…). Pochi anni dopo, la realtà economica emergente del mondo non-occidentale ha portato alla nascita dei BRICS, rapidamente evolutisi in un gruppo politico ed economico dinamico dedito al multipolarismo. Al fine di colmare eventuali rivalità e divergenze tra i suoi due maggiori membri, la Russia ha consolidato i propri partenariati strategici con Cina e India, fornendo il collante della fiducia geopolitica che ha impedito cadessero nelle trappola occidentale istigata da Brzezinski per creare un conflitto intra-BRICS. Sebbene ciò esista a un certo livello, la Russia posizionandosi da mediatore con i partenariati bilaterali, li ha avvicinati, agendo da intermediario di fiducia, qualora le tensioni riemergano in futuro. Visto da un’altra angolazione, SCO e BRICS sono i nuclei istituzionali della multipolarità del supercontinente eurasiatico, mentre i partenariati strategici russo-cinese e russo-indiano sospingono il processo. Complementare agli accordi eurasiatici ancorati al destino del mondo, vi sono le rispettive conseguenti (ma non per questo meno importanti) partnership strategiche, come quella russo-iraniana o cino-pakistana, aggiungendo un vettore ulteriore a questa visione globale, operando per erodere l’egemonia unipolare.

…alla rete dell’economia
I partenariati politici possono ovviamente andare lontano, ed è necessario che vi siano benefici tangibili per rafforzarli. Anche se la Cina ha ovviamente rapporti economici con la maggior parte del mondo, oggi non li indirizza verso uno scopo politico, guardando invece a interessi pragmatici reciproci incentrati sul profitto. La Russia ha adottato un approccio diverso, però, divenendo il principale promotore delle relazioni economiche euroasiatiche multipolari. Ciò significa che nell’attuale clima di piena russofobia (disprezzo dell’occidente verso chi politicamente, economicamente e militarmente collabora con la Russia), i Paesi che hanno deciso di collaborare con la Russia fanno la netta dichiarazione politica di non voler subire prepotenze dall’occidente. Capiscono perfettamente che la cooperazione con Mosca è in netto contrasto con il mondo unipolare che gli ‘amici’ occidentali vogliono mantenere, a scapito dei loro interessi nazionali. Così, ogni Paese che collabora con la Russia o addirittura ne espande le relazioni, in questi tempi di tensione, avanza la costruzione del mondo multipolare. Per parlarne in modo più specifico, è necessario richiamare l’attenzione sui principali Paesi che rientrano in questa categoria. Ciò che segue è una panoramica degli Stati attualmente in trattative con l’Unione Eurasiatica per un accordo di libero scambio, dal sud-est asiatico al Medio Oriente.

Vietnam

Il Paese si preannuncia essere il perno nel Sud-Est asiatico ed opera con tutti i Paesi in tutti i modi possibili, raccogliendone i frutti. Non opera alcuna discriminazione verso i non-occidentali, e considerando il decennale rapporto con Mosca, ha molto terreno storico da sviluppare con la Russia. Il Vietnam è anche una delle maggiori economie in rapida crescita nella regione, e più stretti legami economici con la Russia aiuteranno quest’ultima a creare un punto d’appoggio nel fiorente mercato del Sud-Est asiatico. Inoltre, l’espansione dei legami economici integreranno i già forti legami militar-industriali tra i due Stati che potrebbero fiorire nel campo politico e dare a Mosca una leva nel moderare la belligeranza di Hanoi verso la Cina sulle isole disputate. Ciò sarà un duro colpo allo scopo occidentale di creare una ‘ASEAN NATO’ per contrastare la Cina, sottolineando per Pechino i vantaggi asimmetrici del partenariato strategico russo-cinese.

India/Iran
La visita di Putin in Asia meridionale all’inizio di questo mese è stata monumentale, in quanto ha assicurato accordi per 100 miliardi di dollari su energia nucleare, petrolio, gas e altri settori commerciali, come diamanti e difesa. Come già spiegato, le relazioni della Russia con l’India aiutano a mantenere un canale tra New Delhi e Pechino evitando che i BRICS si dividano su rivalità geografiche in Himalaya e Sud-Est asiatico. Inoltre è soprattutto lo snodo che integra l’Iran al corridoio russo-indiano. All’inizio del mese, l’ambasciatore indiano in Russia, in un’intervista a Sputnik News, parlava della citata via come corridoio di transito tra Mumbai in India, Bandar Abbas e coste del Caspio dell’Iran, ed Astrakhan in Russia. In caso di successo, farà di Teheran l’intermediario tra Mosca e Nuova Delhi, e probabilmente ciò darà all’Iran un rapporto economico privilegiato (forse anche un accordo di libero scambio) con l’Unione Eurasiatica. Così, l’India rientrerà non solo nell’apertura di uno dei maggiori potenziali mercati con la Russia, ma permetterà anche la fuoriuscita dell’Iran dalle sanzioni occidentali, fornendo un orientamento economico multipolare.

Turchia
I rapporti con i turchi sono sempre stati pragmatici (anche se politicamente divergenti, come illustra la crisi siriana), ma hanno ricevuto uno stimolo sorprendente alla fine di novembre, quando fu deciso di dirottare il gasdotto South Stream nel Paese invece che nei Balcani. Assieme alla trascuratezza dell’UE verso le aspirazioni del Paese e al tradimento degli Stati Uniti della sovranità territoriale di Ankara, giocando la carta del nazionalismo curdo, Ankara ha deciso di divenire un perno geo-energetico e porta del gas della Russia per il Mediterraneo, concedendo in sostanza a Mosca accesso ai mari caldi, desiderato da secoli. Ciò apre interessanti possibilità per il mondo multipolare e dimostra che l’ultimo perno eurasiatico non è più contento di essere il lacchè mediorientale dell’occidente. Non solo, ma lavorando su un accordo di libero scambio con l’Unione Eurasiatica, avrà un enorme mercato per beni e servizi lungo il Mar Nero, prossimo alla Russia, facendone un partner economico conveniente e naturale in futuro.

Siria
Quindi la Siria, che ha relazioni fraterne con la Russia dagli anni ’70, sola alleata strategica di Mosca durante l’era comunista, rimasta fedele anche nel dopo Guerra Fredda. I frutti di questa amicizia sono illustrati globalmente, con Mosca e Siria migliori alleati nella lotta al terrorismo. Il Paese purtroppo è distrutto dalla guerra che Stati Uniti ed alleati conducono da quattro anni contro il suo popolo e la sua leadership democraticamente eletta, ed avrà bisogno di serie riparazioni dopo la fine del conflitto. Qui arriva il Trattato di Libero Commercio provvisorio con l’Unione Eurasiatica, fornendo una via rapida a beni e servizi in Siria, aiutandola nella ricostruzione. La Russia già aiuta la Siria in ciò, ma un accordo tra i due tramite l’Unione Eurasiatica (soprattutto dopo la risoluzione del conflitto) darebbe un partenariato economico più profondo e più robusto alle loro relazioni e fornirebbe il meccanismo necessario per accelerare il processo. Dopo tutto, l’economia del Paese ha registrato una crescita costante e rapida negli anni precedenti la guerra occidentale alla Siria, dimostrandone la vitalità, e non è impossibile che un giorno si ricrei la ricetta del successo purtroppo danneggiata in nome del cambio di regime nel 2011.

Egitto
A completare la lista di potenziali partner della Russia nell’Unione Eurasiatica è l’Egitto, il Paese arabo più popoloso e centro gravitazionale del Medio Oriente. Collegando le economie russa ed egiziana tramite l’accordo di libero scambio con l’Unione eurasiatica, Mosca può anche guadagnare terreno prezioso in un altro mercato importante, avendo accesso ad altri Paesi lungo il Nilo e infine collegandosi all’Africa orientale. Questo è possibile poiché l’attuale leader egiziano al-Sisi diffida dell’occidente (in particolare degli Stati Uniti) per il sostegno ai Fratelli musulmani di Muhamad Mursi, durante la sua breve, violenta e controversa presidenza del Paese. Anche se Stati Uniti ed Egitto hanno ancora rapporti privilegiati, il gioco è cambiato e Cairo cerca di ritagliarsi una nicchia come ‘Jugoslavia araba’. Se ciò sarà mai pienamente attuato è materia di dibattito, ma ciò che è incontestabile è che l’Egitto ha inviato delegazioni di altissimo livello in Russia dopo che al-Sisi ha assunto il potere nell’estate 2013, dimostrando di voler sul serio diversificare le relazioni politiche ed eventualmente ripristinare a un certo livello i perduti legami dell’epoca sovietica con Mosca. Le implicazioni della riuscita mossa in senso eurasiatico della politica estera egiziana potrebbero essere il paradigma che trascende e completa il crollo del predominio degli Stati Uniti in Medio Oriente, già in lento declino dalla guerra in Iraq del 2003, e accelerato dal tentativo finale delle ‘rivoluzioni colorate’ della primavera araba, nel gioco di potere regionale orchestrato dall’occidente.

Pensieri conclusivi

La doppia politica della Russia delle complementari rete della diplomazia e dell’economia, forgia l’imminente mondo multipolare. Considerando che il vettore diplomatico/politico fornisce la giustificazione razionale a tali passi, e quello economico conferisce ad ogni partecipe vantaggi soddisfacenti e tangibili, necessari a mantenere la cooperazione, la Russia usa l’Unione Eurasiatica per posizionarsi al centro delle politiche economiche supercontinentali, riunendo geograficamente e culturalmente partner disparati come Egitto e Vietnam in nome dell’integrazione asimmetrica non occidentale. L’Unione riunisce la Russia e i suoi partner bielorusso e armeno al grosso dell’Asia centrale, mentre il partenariato strategico russo-cinese fa del Paese un ponte tra Asia ed Europa con la partecipazione di Pechino ai progetti Ponte Eurasiatico, Nuova Via della Seta e Passaggio a nord-est. I Paesi che contemplano accordi di libero scambio con l’Unione Eurasiatica sono sul margine meridionale dell’Eurasia, abbracciandone la massa da est a ovest. È interessante notare che la maggior parte di essi sono musulmani (anche l’India, che ha più aderenti alla fede del Pakistan), dimostrando che il multipolarismo ha anche una preziosa dimensione culturale/religiosa oltre alle più note manifestazioni politiche ed economiche. Questa osservazione s’incastra perfettamente con la politica interna della Russia di convivenza pacifica e armoniosa tra le quattro fedi storiche del Paese: cristianesimo, islam, buddismo e giudaismo, mostrando che la multipolarità culturale/religiosa può certamente essere applicata entro i confini di un Paese (come in Siria prima della destabilizzazione esterna) così come all’estero. Infine, tutto questo dimostra la serietà della Russia nella costruzione del mondo multipolare e nel trainare l’integrazione pan-eurasiatica. Opponendosi politicamente all’occidente e mostrando agli altri come allontanarsene economicamente, la Russia è diventata l’archetipo di Stato multipolare. Predica una politica di unità e solidarietà che trascende le differenze d’identità, pienamente in accordo con quanto fatto internamente. Con i fatti e le parole, la Russia è la prova tangibile che il multipolarismo è un fenomeno reale che può essere raggiunto se adeguate alleanze tramite le reti diplomatica ed economica possono essere create e mantenute.

Andrew Korybko
26 dicembre 2014
Fonte: orientalreview.org/2014/12/26/the-multipolar-network-centric-policy-of-the-eurasia...

aurorasito.wordpress.com/2014/12/29/la-politica-multipolare-networkcentrica-dellunione-eura...
wheaton80
00venerdì 16 gennaio 2015 02:12
Russia e Cina (con un socio americano!) fanno nascere una nuova agenzia di rating globale (contro Moody's, S&P, Fitch)

LONDRA - Anche chi non è esperto di economia capisce che le agenzie di rating, lungi dall' essere imparziali e indipendenti, sono di fatto uno strumento usato dai poteri forti per punire tutti i governi che non si piegano ai loro voleri. Il problema è che fino ad ora è mancata un' alternativa a Fitch, Standard & Poor's e Moody's, ma forse questa situazione è destinata a cambiare per il meglio visto che Russia e Cina hanno deciso di creare Universal Credit Rating Group, un' agenzia di rating che si pone come obiettivo quello di sfidare il predominio di queste tre istituzioni che per troppo tempo hanno monopolizzato questo settore. Questa nuova agenzia avrà sede a Hong Kong e conta di emettere il suo primo rating tra qualche mese, subito dopo aver ricevuto tutte le necessarie autorizzazioni dalle autorità di controllo. Dietro la sua creazione ci sono i governi di Russia e Cina e difatti gli azionisti di questa agenzia di rating sono la società russa RusRating, la società cinese Dragon e l' americana Egan Jones, le quali avranno ognuna un terzo del pacchetto azionario di questa agenzia di rating. La creazione di Universal Credit Rating Group però ha un piano molto più ambizioso che è quello di divenire il punto di riferimento di tutti gli investitori che operano nei paesi in via di sviluppo e in particolare dei paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Indonesia, Cina e Sudafrica) e si inserisce in un progetto più ampio che prevede la creazione di istituzioni alternative alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario al fine di cambiare in maniera radicale il funzionamento dei mercati finanziari. Ovviamente ci vorranno diversi anni prima che questa nuova agenzia possa diventare credibile ma un pò di concorrenza non può che avere effetti positivi e questo vale anche per il settore del rating.

Giuseppe de Santis
14 gennaio 2015
www.ilnord.it/c3965_RUSSIA_E_CINA_CON_UN_SOCIO_AMERICANO_FANNO_NASCERE_UNA_NUOVA_AGENZIA_DI_RATING_GLOBALE_CONTRO_MOODYS_...
wheaton80
00venerdì 27 febbraio 2015 22:24
La Russia ratifica 100 miliardi di dollari per la nuova banca dei BRICS che scalza l'FMI e la Banca Mondiale (addio USA)

MOSCA - La Duma di Stato russa ha ratificato 100 miliardi dollari da destinare alla banca BRICS. La gigantesca somma servirà per i progetti di infrastrutture in Russia, Brasile, India, Cina e Sud Africa, e soprattutto sarà una sfida al predominio occidentale negli "aiuti" finora gestiti dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. La nuova banca dovrebbe iniziare ad essere pienamente funzionante entro la fine del 2015, secondo il Ministero delle Finanze russo. Inoltre, la Russia ha accettato di fornire 2 miliardi di dollari tratti dal bilancio federale per la banca per i prossimi sette anni. Il nuovo colosso bancario internazionale avrà tre livelli di corporate governance, con un Consiglio dei Governatori, un Consiglio di Amministrazione e un Presidente. Il Consiglio di Amministrazione della banca terrà la sua prima riunione a Ufa in Russia nel prossimo mese di aprile. Il ministro delle finanze russo Anton Siluanov molto probabilmente sarà il primo presidente della banca del Consiglio dei Governatori, secondo quanto dicchiarato dal vice Ministro delle Finanze Sergei Storchak al canale televisivo Russia 24. La decisione di istituire la banca BRICS, con 100 miliardi di dollari di moneta di riserva, è stata presa nel mese di luglio del 2014. Ciascuno dei cinque paesi membri prevede di destinare una parte uguale a 50 miliardi dollari di capitale all'avvio, somma che sarà portata in seguito a 100 miliardi di dollari. La Russia ha deciso di anticipare i tempi e mettere a disposizione l'intera somma. La banca avrà sede a Shanghai, e l'India avrà per i primi cinque anni la presidenza di turno, mentre il primo Presidente del Consiglio di Amministrazione verrà dal Brasile. La clamorosa decisione della Russia di mettere a disposizione 100 miliardi di dollari già ora smentisce nei fatti il presunto "problema di valuta estera" russo e dimostra quanto potenti siano le riserve patrimoniali di questa nazione, nonostante le sanzioni e l'accerchiamento tentato dalla UE assieme all'amministrazione Obama. Ma a livello globale, l'aspetto davvero significativo della nascita della Banca dei BRICS sta nel fatto che mette fine al predominio dell'FMI sul mondo e spiazza anche la Banca Mondiale, tagliata anch'essa fuori dai finanziamenti ai grandi e ai grandissimi investimenti pubblici nei BRICS, ora finalmente liberi dalle imposizioni capestro per cui è "famoso" l'FMI della signora Lagarde, meglio nota come "la strega".

24 febbraio 2015
www.ilnord.it/c4088_LA_RUSSIA_RATIFICA_100_MILIARDI_DI_DOLLARI_PER_LA_NUOVA_BANCA_DEI_BRICS_CHE_SCALZA_LFMI_E_LA_BANCA_MONDIALE_A...
wheaton80
00mercoledì 3 giugno 2015 02:07
I BRICS schiacciano gli Stati Uniti in Sudamerica

Tutto è iniziato nel mese di aprile con una valanga di offerte tra Argentina e Russia durante la visita del presidente Cristina Kirchner a Mosca. E continua con investimenti per 53 miliardi di dollari offerti dal premier cinese Li Keqiang in visita in Brasile durante la prima tappa di un’altra offensiva commerciale sudamericana – accompagnata da una dolce metafora: Li che viaggia su una metropolitana made-in-China e si prepara alla nuova linea della metropolitana di Rio de Janeiro che sarà completata in occasione delle Olimpiadi del 2016. Se gli Stati Uniti c’entrano qualcosa in tutto questo? No, per niente. A poco a poco e inesorabilmente, i membri BRICS, Cina e, in misura minore, Russia, hanno letteralmente ristrutturato il commercio e le infrastrutture dell’America Latina. Innumerevoli missioni commerciali cinesi hanno toccato ininterrottamente questi lidi, così come fecero gli Stati Uniti tra la prima e la seconda guerra mondiale. In un incontro chiave tenutosi nel gennaio scorso con i leader aziendali latino-americani, il presidente Xi Jinping ha promesso di convogliare nei prossimi 10 anni 250 miliardi di dollari per progetti d’infrastrutture. I maggiori progetti d’infrastrutture in America Latina sono tutti finanziati da capitali cinesi – eccetto il Porto di Mariel a Cuba, finanziato dalla brasiliana BNDES e gestito da un’operatore portuale di Singapore, la PSA International Pte Ltd. La costruzione del Canale Nicaragua - più grande, ampio e profondo di quello di Panama - è stata avviata lo scorso anno da una società di Hong Kong che prevede di terminarlo entro il 2019. L’Argentina, dal canto suo, si è aggiudicata 4,7 miliardi di dollari cinesi per la costruzione di due dighe idroelettriche in Patagonia. Tra le 35 offerte presentate durante la visita di Li in Brasile, ha trovato spazio anche un finanziamento di 7 miliardi di dollari per il gigante petrolifero brasiliano Petrobras; la vendita di 22 jet cargo brasiliani Embraer alla Tianjin Airlines per 1,3 miliardi di dollari; e una raffica di accordi che riguardano il gigante del ferro VALE. Gli investimenti cinesi serviranno soprattutto a ristrutturare la fatiscente rete di strade, autostrade, ferrovie e porti brasiliani; gli aeroporti sono in condizioni abbastanza soddisfacenti, grazie ai lavori di ammodernamento effettuati l’anno scorso per la Coppa del Mondo. La star di tutto questo show è senza dubbio la proposta di $30 miliardi di dollari per una mega-ferrovia di 3.500 chilometri dall’Atlantico al Pacifico, precisamente dal porto atlantico brasiliano di Santos al porto pacifico peruviano di Ilo, passando per l’Amazzonia. Logisticamente si tratta di un ‘must’ per il Brasile, poiché gli offrirebbe finalmente uno sbocco al Pacifico. Chi ne beneficierà maggiormente saranno i produttori di materie prime - dal minerale di ferro ai semi di soia – per le esportazioni in Asia, e soprattutto in Cina. La ferrovia Atlantico-Pacifico può essere un progetto estremamente complesso - che coinvolge tutto e tutti, dalle questioni dei diritti ambientali a quelle territoriali, e soprattutto, per il fatto che si dà la preferenza a un costruttore cinese ogni volta che le banche cinesi mettono mano alla borsa e deliberano linee di credito. Ma questa volta si andrà avanti. E i soliti sospetti sono, ovviamente, molto preoccupati.

Attenzione alla geopolitica
La politica ufficiale brasiliana, fin dagli anni di Lula, è stata quella di attrarre i migliori investimenti cinesi. La Cina è dal 2009 il primo partner commerciale del Brasile; prima lo erano gli Stati Uniti. Questo trend iniziò con la produzione di alimenti, ora va verso investimenti in porti e ferrovie; la prossima tappa sarà il trasferimento di tecnologia. La Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS e la China Infrastructure Investment Bank (AIIB), di cui il Brasile è uno dei principali fondatori, avranno sicuramente un ruolo fondamentale in questo scenario. Il problema è che questo nuovo quadro commerciale dei BRICS si sta sviluppando sullo sfondo di un processo politico piuttosto contorto. Le prime tre potenze sudamericane - Brasile, Argentina e Venezuela, che, tra l’altro, sono anche parte di MERCOSUR – hanno dovuto affrontare tentativi di “destabilizzazione", causati dai soliti sospetti, che attaccano regolarmente la politica estera dei presidenti Dilma Rousseff, Cristina Kirchner e Nicolas Maduro, e guardano con nostalgia ai vecchi tempi della ‘buona relazione di dipendenza’ che avevano con gli Stati Uniti. Con diversi gradi di complessità – e di conflitti interni - Brasilia, Buenos Aires e Caracas stanno tutti affrontando contemporaneamente degli attacchi al loro ordine istituzionale. I soliti sospetti non cercano neanche di nascondere il loro totale distacco diplomatico dai primi tre paesi sudamericani. Il Venezuela, che è sotto sanzioni USA, è considerato una minaccia per la sicurezza nazionale americana – cosa che non può neanche considerarsi uno scherzo. La Kirchner è stata sotto continuo attacco diplomatico, per non parlare dei ‘fondi speculativi avvoltoio’ (vulture funds) degli Stati Uniti in Argentina. Con Brasilia, i rapporti sono praticamente congelati dal settembre del 2013, quando Rousseff sospese una visita a Washington in risposta allo spionaggio NSA su Petrobras e sulla sua stessa persona. E questo ci porta ad una questione di strategia geopolitica cruciale, finora irrisolta. Lo spionaggio NSA potrebbe aver fatto trapelare deliberatamente informazioni sensibili per destabilizzare i programmi di sviluppo brasiliani – che comprendevano, nel caso della Petrobras, l'esplorazione del più grande giacimento di petrolio individuato dai primi anni del 21° secolo. Quello che ora sta accadendo è estremamente importante poiché il Brasile è la seconda maggiore economia del continente americano (dopo gli Stati Uniti); è la più grande potenza commerciale e finanziaria latinoamericana; ospita la seconda più grande banca di sviluppo mondiale, la BNDES, ormai superata dalla Banca del BRICS; e ospita anche la più grande società dell’America Latina, Petrobras, che è anche uno dei giganti mondiali dell’energia. La maggiore pressione su Petrobras arriva dagli azionisti statunitensi – che si comportano come degli autentici avvoltoi, chini sulla preda, in attesa di un suo sanguinamento, pronti ad approfittarne, alleati con quei lobbisti che detestano il fatto che a Petrobras spetti il primato nell’esplorazione petrolifera di quei giacimenti… In poche parole, il Brasile è l'ultimo grande stato sovrano-barriera contro l’illimitato dominio egemonico nelle Americhe. Qualcuno doveva pur mettere i bastoni fra le ruote al Grande Impero del Caos.

Cavalcando l’onda continentale
La realizzazione di una partnership strategica in continua evoluzione tra le nazioni BRICS ha raggiunto gli ambienti di Washington provocando non solo incredulità, ma anche paura. Washington non può permettersi di recare alcun danno alla Cina, ma a Brasile e Russia sì, è più semplice; anche se la prima causa dell’ira funesta di Washington è proprio la Cina, che ha avuto l’ardire di venire a fare shopping nel cortile sotto casa USA. Ancora una volta, la strategia cinese – come quella russa - è quello di mantenere la calma e adottare un profilo "win-win". Nel gennaio scorso Xi Jinping ha incontrato Maduro e ha fatto delle offerte. Poi ha incontrato Cristina Kirchner e ha fatto lo stesso – proprio nel momento in cui gli speculatori stavano per sferrare un altro attacco al Peso argentino. E ora, la visita di Li in Sud America. E’ inutile dire che gli scambi tra il Sud America e la Cina continuano ad espandersi. L’Argentina esporta cibo e soia; lo stesso fa il Brasile, oltre a petrolio, minerali e legname; la Colombia vende petrolio e minerali; Perù e Cile, rame e ferro; Venezuela vende petrolio; Bolivia, minerali. La Cina esporta per lo più prodotti ad alto valore aggiunto. Uno sviluppo importante da tenere sott’occhio nell’immediato futuro è il progetto Transul, che fu proposto per la prima volta nel corso di una conferenza BRICS l'anno scorso a Rio. Transul rappresenta un’alleanza strategica Brasile-Cina che collega lo sviluppo industriale brasiliano per un parziale outsourcing di metalli in Cina; mentre aumenta la domanda cinese di metalli – si prevede da oggi al 2030 la costruzione di 30 megalopoli – il Brasile contribuirà a soddisfarla. Pechino ha dato finalmente la sua approvazione definitiva. Con queste premesse, il Nuovo Grande Quadro appare inesorabile e inevitabile: BRICS e nazioni sudamericane, che confluiscono nell’UNASUR - l’Unione delle Nazioni Sudamericane - stanno scommettendo su un ordine mondiale multipolare e su un processo di indipendenza continentale. È facile capire quanto tutto questo sia distante dalle dottrine di Monroe.

Pepe Escobar
22.05.2015

Traduzione di Skoncerata63
Fonte: rt.com/op-edge/261237-brics-us-south-america-russia/

www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&s...
wheaton80
00mercoledì 8 luglio 2015 01:23
Cina ratifica accordo su New Bank Development BRICS

La Cina ha ufficialmente ratificato un accordo sulla creazione della Nuova Banca di Sviluppo dei paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). La decisione è stata approvata durante la sessione di mercoledì dal legislatore della Cina, il Comitato Permanente del Congresso Nazionale del Popolo. L’accordo sulla creazione della banca è stato raggiunto il 15 luglio 2014 a Fortaleza, in Brasile. La banca avrà un capitale iniziale di 50 miliardi di dollari e il capitale può essere successivamente aumentato a 100 miliardi. La banca è stata istituita per finanziare i progetti infrastrutturali e quelli per lo sviluppo sostenibile del BRICS e di altri paesi in via di sviluppo. Il funzionamento della Nuova Banca di Sviluppo del BRICS avrà inizio il 7 luglio con la riunione del Consiglio dei Governatori a Mosca. Il primo Presidente della banca sarà un rappresentante dell’India. Un rappresentante del Brasile diventerà il Presidente del Consiglio di Amministrazione e il Ministro delle Finanze russo Anton Siluanov sarà il Presidente del Consiglio di Amministrazione.

1 luglio 2015
Fonte: tass.ru/en/world/805117
www.iconicon.it/blog/2015/07/buon-lavoro-brics-bank/
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00lunedì 27 luglio 2015 22:21
I BRICS lanciano il guanto di sfida al FMI

(Teleborsa) - I paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), dopo aver costituito una propria banca denominata Nuova Banca di Sviluppo, dotata di 17mila miliardi di dollari, annunciano l'emissione di un primo prestito obbligazionario denominato in yuan. La nuova banca lancia così la sua sfida in grande stile al Fondo Monetario Internazionale, giacché l'istituto dei BRICS è considerato un'alternativa al FMI. Lo yuan si appresta così a diventare una moneta di riferimento internazionale: un passaggio di testimone fra due civiltà che potrebbe segnare la fine del predominio della divisa statunitense. A comunicare la prima emissione in yuan è stato il Presidente della banca, Kundapur Vaman Kamath, specificando che l'emissione è prevista per il prossimo aprile.

27 luglio 2015
economia.ilmessaggero.it/flashnews/i_brics_lanciano_il_guanto_di_sfida_al_fmi/14857...
wheaton80
00venerdì 21 agosto 2015 01:28
I BRICS e la Nuova Via della Seta sono volani per l’economia reale

Mentre Europa e Stati Uniti pretendono ancora di dominare il commercio mondiale e le regole del gioco, sta di fatto che gli scambi tra i cinque Paesi che appartengono al gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) sono aumentati del 70% dal 2009. Stando al Fondo Monetario Internazionale, i cinque Paesi insieme registrano attualmente un PIL di 32.500 miliardi di dollari, in termini di parità del potere di acquisto solo lievemente inferiore a quello del G7 che è fermo a 34.000 miliardi di dollari. Ai BRICS va dunque attribuito il 30% del PIL mondiale (rispetto al 19% del 2012). Bisogna tenere a mente che, contrariamente al mondo transatlantico, i dati dei BRICS sono strettamente legati all’economia reale e non al mero spostamento di valori elettronici e investimenti in strumenti speculativi. Ne è una dimostrazione il fatto che i cinque Paesi dei BRICS ora producono un terzo del prodotto industriale del mondo e la metà dei beni agricoli. Per citare solo un’eloquente statistica legata alla produzione di energia, che è un indicatore dell’economia reale: di 76 centrali nucleari in costruzione al mondo oggi, 40 sono nei Paesi BRICS! E mentre molti analisti occidentali gongolano per il fatto che anche in questi Paesi diminuisce il tasso di crescita, questo è ancora a livelli che l’Europa non si sogna da anni. Quanto agli investimenti diretti globali nel 2014, i BRICS hanno attirato il 20,5%, in crescita dal 16,9% del 2009, e la percentuale di investimenti in conto capitale dei BRICS sul mercato globale è aumentata fino al 14%, dal 9,7% del 2009. Questo trend verrà migliorato con la strategia coordinata di partnership economiche, concordata al recente vertice BRICS ad Ufa (in Russia), che premia gli investimenti nell’economia reale concentrati sullo sviluppo delle infrastrutture e degli scambi commerciali. Il Presidente sudafricano Jacob Zuma ha ribadito il 6 agosto, parlando al Parlamento, che il Paese trae grandi benefici dalla Nuova Banca per lo Sviluppo dei BRICS di recente costituzione, che alla fine dell’anno inizierà a selezionare i progetti da finanziare. Sono stati registrati trend positivi anche nella strategia della Nuova Via della Seta cinese (“One Belt, One Road”). Nella prima metà del 2015, un quarto dell’export totale cinese è andato a Paesi che si trovano lungo la Via della Seta, arrivando secondo il Ministero del Commercio a 295,8 miliardi di dollari. L’import da questi Paesi è stato di 189,6 miliardi di dollari, ovvero il 23.4% del totale. Gli investimenti diretti fatti da imprese cinesi nei 48 paesi della “Belt and Road” nei primi sei mesi dell’anno equivalgono ad un totale di 7,1 miliardi di dollari, con una crescita annuale del 22%.

15 agosto 2015
movisol.org/i-brics-e-la-nuova-via-della-seta-sono-volani-per-leconomi...
wheaton80
00mercoledì 20 gennaio 2016 18:32
Parte la AIIB, la banca che vuole fare concorrenza a FMI e Banca Mondiale

Con un evento a Pechino, alla presenza del Presidente cinese Xi Jinping, la Banca Asiatica per le Infrastrutture e gli Investimenti (AIIB) ha segnato il suo effettivo ingresso in campo, entrando in competizione con l’FMI e la Banca Mondiale. Creata nell’ottobre del 2014, la AIIB entra a regime, dunque, con l’obiettivo di diventare la regina degli investimenti nei Paesi ancora con un grosso potenziale di sviluppo, soprattutto nello scacchiere del Pacifico. Il Presidente Jin Liqun spiega: “Rispondere alla necessità di infrastrutture è fondamentale, perché così si gettano buone basi per una crescita economica robusta, le opportunità economiche aumentano e migliora la qualità della vita di tutti”. La banca può contare sull’equivalente di poco più di 91 miliardi di euro. La Cina detiene circa il 30% del capitale, a seguire l’India e la Russia. I Paesi fondatori sono 57, fra cui anche l’Italia, con altri stati dell’Unione Europea, e i membri del BRICS.

17 gennaio 2016
it.euronews.com/2016/01/17/parte-la-aiib-la-banca-che-vuole-fare-concorrenza-a-fmi-e-banca-m...
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00domenica 17 aprile 2016 03:27
La Nuova Banca di Sviluppo del BRICS ha approvato il primo pacchetto prestiti

«La Nuova Banca di Sviluppo del BRICS ha annunciato oggi che il Consiglio di Amministrazione ha approvato il primo pacchetto di prestiti del valore di 811 milioni di dollari, che saranno assegnati in tranche, per il supporto di progetti nel settore dell'energia rinnovabile potenza 2,37 MW», si legge nel comunicato dell'istituto. I progetti sono stati presentati alla riunione della banca, avvenuta a margine della sessione primaverile degli organi direttivi della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale a Washington. La banca ha approvato il finanziamento di quattro progetti di investimento. Il Brasile riceverà 300 milioni di dollari; la Cina 81 milioni di dollari; l'India 250 milioni di dollari; il Sud Africa 180 milioni di dollari. La Banca stima che i progetti nel settore dell'energia rinnovabile nel loro insieme contribuiranno a ridurre la quantità di emissioni nocive di 4 milioni di tonnellate all'anno. Il Ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov, aveva precedentemente evidenziato che ciascuno dei paesi del BRICS aveva presentato un progetto. Il progetto di investimento russo si trova, secondo Siluanov, ad un alto grado di elaborazione, tuttavia non è ancora stato presentato al Consiglio Direttivo della Banca.

16.04.2016
it.sputniknews.com/mondo/20160416/2494559/braces-banca-progetti-prest...
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00venerdì 24 giugno 2016 17:52
Vertice SCO, entrano India e Pakistan

I leader dei Paesi membri dell’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione (SCO), durante il vertice di Tashkent, hanno firmato il memorandum per l’adesione di India e Pakistan, segnala Ria Novosti. La Sco attualmente comprende Russia, Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. La procedura di ammissione dei due Paesi all’interno dell’organizzazione era stata avviata lo scorso anno. Inoltre, il Segretario Generale della SCO, Dmitry Mezentsev, in precedenza aveva fatto sapere che l’Organizzazione di Shanghai avrebbe esaminato la richiesta di adesione dell’Iran subito dopo la rimozione delle sanzioni delle Nazioni Unite. Il Presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato di non vedere alcun ostacolo per l’ingresso dell’Iran nella SCO.

24 giugno 2016
eurasiatx.com/vertice-sco-entrano-india-e-pakistan/?lang=it
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00venerdì 9 settembre 2016 01:30
USA sempre più soli: anche il Canada in fondo voluto da Pechino

Il Canada ha presentato nei giorni scorsi la sua candidatura per entrare nella “Banca per gli Investimenti Infrastrutturali Asiatici” (AIIB), il nuovo fondo creato dalla Cina per finanziare grandi opere infrastrutturali che servano a connettere Europa e Asia. L'AIIB è un'impresa che vede unita la Cina a molti altri Paesi (57 in totale), alcuni dei quali occidentali (tra gli altri anche Italia, Germania e Francia), ma che Stati uniti e Giappone hanno esplicitamente snobbato considerando non adeguatamente garantita la governance rispetto alla predominante presenza cinese e perché in contrasto con i propri interessi strategici nell’area interessata. Al contrario, il Primo Ministro canadese Justin Trudeau sembra molto interessato non solo al fondo, ma anche a intessere una rete crescente di accordi con Pechino. In visita nella capitale cinese prima dell’apertura del G20, incontrando il Presidente cinese Xi Jinping, gli ha annunciato la decisione di chiedere l'adesione all'AIIB. Ovviamente Xi – ha riferito l'agenzia di stampa cinese Xinhua – ha espresso soddisfazione per la decisione canadese ed ha auspicato un rafforzamento delle relazioni tra Pechino e il Paese nordamericano, gongolando ovviamente per il passo di Trudeau, che costituisce un serio colpo per la politica estera statunitense. La famiglia Trudeau ha un passato di ottime relazioni con la Cina. Il padre dell’attuale Premier, Pierre Trudeau, è stato infatti il primo capo di governo canadese a visitare la Cina dopo l'apertura delle formali relazioni diplomatiche tra i due Paesi.

“Il Canada è sempre alla ricerca di modi per creare opportunità e speranze per la nostra classe media, così come per l’intera popolazione mondiale, e la membership della AIIB rappresenta un’occasione in questa direzione”, ha dichiarato alla stampa Bill Morneau, Ministro delle Finanze del governo liberale canadese, anche lui in visita a Pechino insieme al Premier Justin Trudeau. Scriveva nei giorni scorsi il sito www.cinaforum.net: “Secondo Morneau, il finanziamento di opere infrastrutturali in Asia attraverso la AIIB permetterà alle aziende canadesi di esplorare nuove possibilità nei mercati del continente. La AIIB è infatti il principale motore finanziario della One Belt One Road, la cosiddetta “nuova via della Seta” voluta dal Presidente cinese Xi Jinping, che si propone di aumentare i collegamenti tra Asia ed Europa attraverso lo sviluppo massiccio di opere infrastrutturali nei Paesi attraversati dal progetto. Se il Canada entrerà ufficialmente nella AIIB, sarà il primo membro nordamericano a farne parte. “La decisione del Canada di chiedere l’ingresso nella AIIB è più che benvenuta e dimostra la fiducia nelle solide fondamenta che la banca ha costruito nei mesi scorsi”, ha commentato il governatore della Asian Infrastructure Investment Bank, Jin Liqun. Contrariamente ai desiderata di Washington – che domina le “vecchie” IFI (Istituzioni Finanziarie Internazionali), come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale – i suoi alleati più importanti, a partire dal Regno Unito, passando per la Germania, la Francia e l’Australia, hanno tutti aderito all’ambizioso progetto finanziario a guida cinese, partito nel gennaio scorso con 100 miliardi di dollari USA di capitale iniziale. L’unica eccezione rilevante – dopo l’adesione canadese – resta quella del Giappone, che guida la “sua” Banca di Sviluppo Asiatica (ADB)".

MS
3 settembre 2016
contropiano.org/news/news-economia/2016/09/03/usa-soli-canada-fondo-pechin...
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00mercoledì 19 ottobre 2016 03:58
BRICS: Incontro bilaterale India-Brasile

Dopo l’incontro bilaterale con il Primo Ministro indiano, Narendra Modi, tenutosi oggi a Goa (India), il Presidente del Brasile, Michel Temer, ha detto che questa visita ha “rilanciato” il partenariato strategico tra i due Paesi. “Questa visita ha rilanciato la nostra partnership strategica verso un inserimento più competitivo sui mercati mondiali e lo sviluppo delle nostre società. Durante l’incontro, sono stati compiuti progressi nei negoziati per l’accordo di cooperazione e gli investimenti, che aumenteranno la certezza del diritto per gli investitori dei due Paesi, favorendo l’inserimento di aziende brasiliane in India e la venuta di società indiane in Brasile. Temer ha detto che nelle riunioni di lavoro che si sono svolte durante la visita si è constatato il grande interesse di imprenditori brasiliani per investire i loro fondi in India. Ha incoraggiato, tuttavia, gli imprenditori indiani ad investire in Brasile, e ha evidenziato le opportunità di investimento del programma Grow, che ha lanciato 34 progetti iniziali nelle aree di porti, aeroporti, autostrade, ferrovie, energia, petrolio e gas. “Sappiamo tutti quello che l’India è diventata negli ultimi anni, è ora una delle principali economie mondiali, che cresce a tassi elevati ed è complementare con il Brasile”, ha detto Temer. E ha sottolineato che in Brasile c’è ora anche un processo di trasformazione. “La ripresa della crescita economica rende necessaria la presenza attiva del Brasile non solo internamente, ma nei principali mercati mondiali, anche in India”. Nel corso della riunione, quando si è discusso di questioni di difesa, di agricoltura e di industria farmaceutica, è stato concordato che le missioni del Brasile saranno inviate in India, al fine di ampliare le relazioni in questi settori. I due leader si sono anche concentrati su iniziative ambientali nei due Paesi e sulle posizioni comuni riguardo la necessità di un miglioramento delle regole e delle istituzioni internazionali. Michel Temer ha invitato il Primo Ministro indiano in visita ufficiale in Brasile. “La sua presenza nello stato brasiliano sarebbe estremamente utile per il popolo brasiliano, ma in particolare per il nostro governo”, ha detto.

17 ottobre 2016
www.agenparl.com/brics-incontro-bilaterale-india-brasile/
wheaton80
00venerdì 21 ottobre 2016 23:43
Isteria americana: sanzioni, disinformazione e terrorismo non fermano i BRICS



Pochi giorni fa a Goa, in India, i leader dei Paesi BRICS compivano un altro passo verso la riforma dell’ordine mondiale. Nonostante le affermazioni occidentali e di certi media ed esperti russi secondo cui i BRICS sarebbero un’organizzazione in crisi e non più necessaria, è improvvisamente apparso chiaro che l’unione, consolidando le maggiori economie in via di sviluppo, si rafforza a pieno. Se si chiamano le cose con il loro nome, allora va riconosciuto che i BRICS sono più vivi di tutti i vivi e saranno ai funerali di coloro che ne affermano la morte. Va attirata l’attenzione su un fatto che ha molto addolorato gli Stati Uniti, in particolare il Dipartimento di Stato e la CIA. Se si ricorda, fecero sforzi titanici per organizzare l’impeachment dell’ormai ex-Presidentessa brasiliana Dilma Rousseff. L’operazione è stata lunga, sporca e le orecchie statunitensi sporgevano dalle quinte, tanto che fu del tutto indecente. Dall’ascesa del protetto degli statunitensi Michel Temer, molti si aspettavano l’imminente fine dei BRICS. In pratica, gli statunitensi furono palesemente ingannati. Temer arrivava a Goa con una coorte di uomini d’affari brasiliani dichiarando di accoglierne i necessari investimenti nel Paese. Non una parola su abbandono o crollo dei BRICS. Tutte le conversazioni riguardavano i soldi. Gli statunitensi ne saranno offesi, non avendo trovato in Brasile il suo Poroshenko. Netto fallimento della politica estera degli Stati Uniti. In questo contesto, passava inosservata la notizia che la Nuova Banca per lo Sviluppo (Banca BRICS), creata congiuntamente, dal prossimo anno investirà in specifici progetti infrastrutturali, anche in Russia, e probabilmente avvierà l’emissione di obbligazioni nelle valute dei Paesi BRICS, anche rubli. Così, il dominio del sistema finanziario globale di FMI e Banca Mondiale volge visibilmente al termine. La ciliegina sulla torta è la dichiarazione dei leader dei BRICS secondo cui l’organizzazione dovrà svolgere un ruolo più importante nell’influenzare l’agenda internazionale. Ciò fu vivacemente e fermamente espresso dal leader cinese Xi Jinping. Traducendo la dichiarazione dal linguaggio diplomatico a uno semplice: influenzare l’agenda globale è un gioco a somma zero. Quando qualcuno influenza di più, l’altro influenza di meno.

E saranno gli Stati Uniti, che hanno influenzato tutti, a influenzare di meno. I tentativi diplomatici statunitensi (e di certi europei) di proteggere terroristi e specialisti militari statunitensi intrappolati ad Aleppo appaiono francamente grotteschi in questo contesto, minacciando la Russia di nuove sanzioni, che l’entourage di Angela Merkel ha già accettato, a quanto pare per spaventare Vladimir Putin. Il piano non ha funzionato, ed è improvvisamente chiaro che non solo non ha funzionato, ma ha fallito miseramente. Si guardi cosa il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, ha detto:“Le sanzioni sono attivamente discusse sui media, ma non nelle nostre riunioni. Non un solo Paese le ha proposte nei nostri incontri”. Uh oh! E’ questo che accade quando si bluffa? Gli statunitensi hanno portato avanti un attacco psicologico e mediatico contro la Russia, scoprendo in realtà che nessuno aveva proposto nuove sanzioni. Non solo è una vergogna, ma un segno di disperazione. Cosa potranno fare gli statunitensi per rallentare la fine della loro egemonia globale? Si daranno da fare con campagne di disinformazione, coi media che controllano. E lo fanno. Possono anche accanirsi con i rastrellamenti diplomatici. E lo fanno. Possono imporre sanzioni. E lo fanno. Purtroppo hanno anche la possibilità di usare il terrorismo. E lo fanno pure. Credo che Motorola sia stato vittima delle ambizioni geopolitiche dei nostri nemici (https://it.sputniknews.com/mondo/201610173502188-Motorola-ATO-attentato-Ucraina-battaglia/). Sottolineo che questa valutazione non dipende da chi ha piazzato l’esplosivo o da quale gruppo o nazionalità appartenesse. Non importa, questo crimine porta agli Stati Uniti, e vi si deve rispondere a freddo, abilmente, in modo asimmetrico e naturalmente senza rivendicarne la responsabilità. L’isteria dei falchi statunitensi dimostra ancora una volta che la tattica fredda e costante della Russia produce i risultati migliori. Non va cambiata e va continuata, scacciando gradualmente gli statunitensi, prestando particolare attenzione a quei punti nel mondo che gli sarebbero più dannosi. Perdere Aleppo è un disastro tangibile per gli statunitensi. Per noi, lo ripeto, non c’è che una sola opzione: continuare lentamente e costantemente a fare pressione dappertutto. E chi resisterà fino alla fine sarà il vincitore di questo conflitto geopolitico. Le crepe dell’egemonia degli USA sono già visibili e l’isteria statunitense è già frastornante. È impossibile interrompere la creazione del mondo multipolare.

Ruslan Ostashko
18 ottobre 2016
Fonte: www.fort-russ.com/2016/10/american-hysteria-sanctions.html

Traduzione. Alessandro Lattanzio
aurorasito.wordpress.com/2016/10/19/isteria-americana-sanzioni-disinformazione-e-terrorismo-non-fermano-...
wheaton80
00mercoledì 5 aprile 2017 00:57
Russia e Cina uniscono le loro forze aurifere per bypassare il dollaro

La Banca Centrale Russa ha aperto il suo primo ufficio estero a Pechino il 14 marzo. Si tratta di un grande passo in avanti nel forgiare un'alleanza economico-finanziaria che possa bypassare il dollao nel sistema monetario globale. Secondo quello che riporta il South China Morning Post (http://www.scmp.com/news/china/diplomacy-defence/article/2079648/russian-central-bank-opens-first-overseas-office), l'apertura del nuovo ufficio rientra negli accordi stipulati tra i "due vecchi vicini di casa per creare legami economici più forti", in quanto l'occidente, con le sanzioni alla Russia dopo il colpo di stato in Ucraina, e il crollo del prezzo del petrolio hanno gravemente danneggiato l'economia russa. Dmitry Skobelkin, il vice governatore della Banca Centrale della Russia, ha commentato l'apertura dell'ufficio di rappresentanza di Pechino da parte della Banca Centrale Russa come una mossa “di grande attualità” e significativa per aiutare la cooperazione bilaterale, compresa l'emissione di obbligazioni, l'antiriciclaggio e le misure anti-terrorismo tra la Cina e la Russia. La nuova sede della banca centrale è stata aperta, sottolinea il blog americano Zero Hedge (http://www.zerohedge.com/news/2017-04-01/moscow-and-beijing-join-forces-bypass-us-dollar-global-markets-shift-gold-standard), nel momento in cui la Russia si prepara a emettere i suoi primi titoli di prestito federale denominati in yuan cinese. Funzionari di banca e commissioni finanziarie della Banca Centrale Cinese hanno partecipato alla cerimonia presso l'ambasciata russa a Pechino. I regolatori finanziari dei due Paesi hanno concordato nel maggio scorso di emettere obbligazioni denominate in valutacasa nei rispettivi mercati. Questa mossa è stata considerata da diversi analisti come una sfida aperta allo stato di riserva globale del dollaro USA.

Vladimir Shapovalov, alto funzionario della Banca Centrale Russa, ha sottolineato che le due banche centrali hanno pronta la stesura di un protocollo d'intesa per risolvere i problemi tecnici per le importazioni d'oro della Cina dalla Russia. I dettagli saranno rilasciati al più presto. Se la Russia - il quarto produttore mondiale di oro, dopo la Cina, il Giappone e gli Stati Uniti - dovesse diventare realmente un importante fornitore di oro della Cina, la probabilità di uno scenario suggerito da molti negli ultimi anni, vale a dire che Pechino si prepari ad abbandonare il dollaro per l'oro, aumenta di propabilità. Bypassare il dollaro USA sembra dare i primi frutti: secondo la cinese State Administration of Taxation, il fatturato del commercio tra la Cina e la Russia è aumentato del 34% nel mese di gennaio. Gli scambi bilaterali nel gennaio 2017 è stato pari a 6,55 miliardi di dollari. Le esportazioni della Cina verso la Russia sono cresciute del 29,5%, raggiungendo i 3.41 miliardi di dollari, mentre le importazioni dalla Russia sono aumentate del 39,3%, a 3.14 miliardi di dollari. La creazione, infine, di un centro di compensazione permette ai due Paesi di aumentare ulteriormente il commercio bilaterale e gli investimenti, riducendo la dipendenza dal dollaro. Si creerà molto presto una grande liquidità yuan in Russia che consentirà la possibilità di operazioni finanziarie e commerciali senza problemi. Si tratta di una sfida epocale al dollaro, creando scenari di cambiamenti epocali che potete facilmente immaginare. Non a caso, o forse solo per coincidenza, proprio nel momento in cui a Pechino avvenivano questi passaggi, gli uomini degli Stati Uniti in Russia, come il blogger Navalny, decidevano di sfidare le autorità con manifestazioni non autorizzate una settimana fa. Manifestazioni non autorizzate che sono proseguite anche oggi a Mosca.

02/04/2017
www.lantidiplomatico.it/dettnewsrussia_e_cina_uniscono_le_loro_forze_aurifere_per_bypassare_il_dollaro/8...
wheaton80
00giovedì 9 novembre 2017 21:31
Cina e Russia scavano la fossa al dollaro statunitense

La Cina, l’unico Paese dal sufficiente peso per sfidare l’egemonia finanziaria statunitense, ha appena annunciato attraverso la Banca Popolare l’avvio del sistema di pagamento contro pagamento (PVP) per le operazioni in rubli russi e yuan cinesi, riducendo l’influenza del dollaro statunitense sulle transazioni internazionali. Il grande piano dietro la One Belt, One Road Initiative (ICR) ha una componente in valuta integrale basata sull’oro che cambierà l’equilibrio del potere globale a favore delle Nazioni eurasiatiche, dalla Russia e dai Paesi dell’Unione Economica Euroasiatica (UEE) alla Cina e all’Asia.

La guerra del dollaro, pessimo affare

Il commercio tra Cina e Russia nelle proprie valute, evitando il dollaro, è significativo fin da quando gli Stati Uniti hanno sanzionato la Russia durante la crisi del 2014 in Ucraina, descritta da alcuni come mossa molto impacciata dell’Amministrazione Obama. Dal 1945 è ben noto che lo status di superpotenza mondiale statunitense si basa su due pilastri: prima potenza militare del mondo e dollaro come moneta assoluta di riserva mondiale, permettendo di controllare l’economia globale. Dal 1944, quando tutte le altre valute erano collegate al dollaro, il dollaro USA iniziò l’ascesa come valuta di riserva delle banche centrali del mondo. Questo legame fu rafforzato dal fatto che i Paesi dell’OPEC decisero di vendere il petrolio in dollari e che la maggior parte del commercio globale avveniva in dollari. Il dollaro USA continua ad essere la valuta di riserva più importante. Attualmente il 64% delle riserve finanziarie del mondo è ancora in dollari USA, con l’euro suo rivale più vicino al 20%. Questo dà al governo degli Stati Uniti un vantaggio straordinario.

Gli Stati Uniti hanno gestito un deficit di bilancio su 41 degli ultimi 45 anni. Questo è un grande svantaggio per molti Paesi, perché gli investimenti delle loro banche centrali nei titoli del Tesoro USA perdono valore. Ma sono più o meno obbligati ad investire i dollari statunitensi che guadagnano dall’eccedenza nell’esportazione, ad esempio il flusso annuo della Banca Centrale Cinese in dollari statunitensi, o l’eccedenza commerciale giapponese o della Russia prima del 2014, o della Germania e di altri Paesi con surplus commerciale. Ciò consente agli Stati Uniti di mantenere bassi i tassi d’interesse e di finanziare relativamente facilmente i propri disavanzi di bilancio e commerciali. Quest’anno il deficit di bilancio statunitense ha raggiunto i 585 miliardi di dollari USA. È così che Cina e Russia hanno finanziato il bilancio militare statunitense negli ultimi anni acquistando obbligazioni e titoli che consentono al Tesoro statunitense di finanziare tale deficit senza aumentare i tassi d’interesse. Il bilancio militare statunitense mira a controllare Cina, Russia e blocco eurasiatico e a distruggerne le economie, mentre questi Paesi devono tenere riserve di dollari contro eventuali future guerre del dollaro statunitense.

Verso l’internazionalizzazione di yuan e rublo

Cina, Russia, Paesi alleati dell’Eurasia, gli altri Paesi BRICS, i Paesi dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai (SCO) e possibili aderenti come Iran e Turchia si preparano a ridurre la vulnerabilità a un sistema bancario mondiale in bancarotta. Se ricorrono ad accordi bilaterali per il commercio, evitando il dollaro USA, questi perderà lo status di moneta di riserva e sarà sostituito da altre valute, probabilmente yuan cinesi. Nel 2014, Cina e Russia raggiunsero un accordo per scambiare rubli e yuan per tre anni per un controvalore di 25 miliardi di dollari. Nel maggio 2017, Russia e Cina istituirono un fondo d’investimento di 68 miliardi di yuan (10 miliardi di dollari) e previdero d’estendere l’accordo bilaterale di cambio per altri tre anni. Il commercio tra i due Paesi è aumentato di un terzo nei primi otto mesi di quest’anno. Nel 2016, la Cina entrava a far parte del Fondo Monetario Internazionale come una delle cinque valute principali del cesto valutario col quale l’FMI calcola il valore dei suoi Diritti di Cambio Speciali. Questo passo ha dato allo yuan una grande spinta nell’accettazione internazionale.

Prima del 2004 non era permesso come strumento di cambio internazionale al di fuori della Cina, ma da allora le sue autorità monetarie hanno posto una precisa base all’internazionalizzazione dello yuan, che già supera le aspettative, divenendo un’ancora globale, una moneta di riserva che supererà l’euro nei prossimi anni. In una relazione del 2016, la banca HSBC riferiva che dal 2012 lo yuan (o renminbi, RMB) è diventata la quinta valuta più utilizzata al mondo. Elvira Nabjullina, governatrice della Banca Centrale della Russia, dichiarava:“Abbiamo finito di lavorare sul nostro sistema di pagamenti e se succede qualcosa, tutte le operazioni in formato SWIFT (World Society for Telecomunication Financial Interbank) funzioneranno col nostro sistema. Abbiamo creato un’alternativa, allarmando il Tesoro degli Stati Uniti, la Federal Reserve e Wall Street”. “Il sistema finanziario mondiale ha bisogno di più equilibrio”, aveva detto il Primo ministro russo Dmitrij Medvedev in una riunione col Premier cinese Li Keqiang. “Stiamo discutendo sull’utilizzo dei nostri sistemi di pagamento nazionali, tra cui l’UnionPay della Cina, e sviluppiamo anche il nostro sistema MIR”. Rivelava che i due Paesi emetteranno in futuro un sistema di pagamento congiunto.

Il Venezuela come piattaforma per il petroyuan

Nel 1974 il governo degli Stati Uniti studiò come controllare il commercio internazionale del petrolio convincendo le autorità saudite che i loro petrodollari sarebbero stati più sicuri nelle banche degli Stati Uniti. Ma recentemente l’industria del fracking statunitense ha frantumato i prezzi del petrolio, creando un problema fiscale per l’Arabia Saudita. Al fine di evitare un forte calo delle entrate petrolifere, re Salman dell’Arabia Saudita visitava Mosca all’inizio di ottobre, dove senza dubbio avrà discusso il piano del petroyuan. La Cina sostiene un maggiore utilizzo dello yuan negli scambi petroliferi. Poiché il Paese è il più importante importatore di petrolio, superando gli Stati Uniti, può pesare internazionalmente e provvedere a una maggiore sicurezza energetica. Così Pechino spera di sfidare il dollaro creando un mercato dei futures con la propria moneta e relazioni indicano che la Cina è disposta a introdurre nei prossimi mesi un indice di riferimento del petrolio con prezzi in yuan. Un mercato dei futures petroliferi basato sullo yuan stimolerà la domanda della moneta che darà influenza strategica alla Cina. Il piano è lanciare un contratto futures petrolifero sulla Shanghai International Energy Exchange (INE), ma convincere i grandi produttori e consumatori di petrolio ad utilizzare lo yuan e ad investire nella borsa di Shanghai affronta ostacoli. Senza la partecipazione di certi Paesi produttori di petrolio, come Arabia Saudita, Russia, Iran, Indonesia o Venezuela, sarà difficile creare un mercato che faccia la differenza.

A causa delle sanzioni e delle intimidazioni globali del dipartimento del Tesoro statunitense, l’Iran, in particolare, è stato tra i primi ad adottare la vendita del petrolio sulla base dello yuan. Ora, nel 2017, il Venezuela segue questa strada. Per la stessa ragione, la Russia ha accettato di vendere petrolio in yuan nel 2015. Qualsiasi calo dello status del dollaro indebolisce pesantemente la capacità di Washington di attuare la sua guerra economica contro la Russia e di destabilizzare il blocco euroasiatico. Cina e Russia non cercano di attaccare il dollaro per distruggerlo, ma di creare una valuta di riserva alternativa indipendente per le Nazioni che vogliono proteggersi dagli attacchi finanziari sempre più frequenti delle banche di Regno Unito, Wall Street e dagli hedge funds. Per il Venezuela si tratta di costruire un elemento cruciale della sovranità nazionale perché il sistema del dollaro di oggi viene utilizzato per devastarne la sovranità economica attraverso sanzioni che ne colpiscono programmi sociali ed investimenti, nonché il commercio con il resto del mondo. Ora il sistema cino-russo di liquidazione dei pagamenti bilaterali è stato esteso ad altri Paesi dell’Iniziativa Via della Seta in Eurasia, ai Paesi BRICS e al Venezuela nell’ambito della sua orbita geopolitica; la dichiarazione del governo cinese contribuisce a creare questo sistema monetario alternativo. Inoltre, come alternativa basata sull’oro, indipendente dal sistema politicamente esplosivo e speculativo del dollaro degli Stati Uniti, in futuro potrà proteggere gli alleati dei cinesi dagli attacchi economici e dalla guerra finanziaria dell’Unione Europea e di Washington.

Fonte: tortillaconsal.com/albared/node/8701
06/11/2017

Traduzione: Alessandro Lattanzio (rivista da Wheaton80)
aurorasito.wordpress.com/2017/11/08/cina-e-russia-scavano-la-fossa-al-dollaro-statu...
wheaton80
00venerdì 19 gennaio 2018 23:31
L’economia cinese stupisce il mondo. La vittoria di Xi Jinping

Torna a crescere come nel periodo di Hu Jintao l’economia cinese, nonostante la Repubblica Popolare Cinese abbia inaugurato da un pezzo la politica del cosiddetto “new normal”, la parola d’ordine che aveva di fatto dichiarato la fine all’era delle grandi esportazioni cinesi a bassissimo costo. L’obiettivo dichiarato di Xi Jinping è infatti quello di condurre Pechino verso un’economia più progredita dopo anni di crescita. Il Prodotto Interno Lordo di Pechino torna a far registrare un trend positivo nella crescita annuale, che si è attestata nell’anno 2017 attorno al 6,9%. Non accadeva dal 2010, quando il PIL cinese nel periodo 2010-2016 aveva fatto registrare un crollo della crescita dal 10,6% al 6,7% del 2016. Gli effetti della nuova politica economica del governo, volta ad incrementare la domanda interna, sta dando i suoi frutti. Dalla lotta alla corruzione lanciata dal PCC, che ha aumentato la popolarità dello stesso Xi Jinping, al piano di investimenti nelle infrastrutture, la Cina, dopo qualche anno di assestamento, che ha sfiorato anche la borsa di Shanghai, sta per ottenere un nuovo slancio sul piano economico, oltre che su quello politico. In particolare i suoi circa 25.000 chilometri di ferrovia ad Alta Velocità, destinati a diventare 38.000 entro il 2025, e i suoi investimenti nella rete stradale rischiano di diventare un modello per tutti gli altri Paesi nel globo. È della Cina infatti il record del più lungo ponte marittimo del mondo, ultimato negli ultimi mesi del 2017 e che collegherà Hong Kong, Zhuhai e Macao per una lunghezza di circa 55 chilometri. Investimenti quelli delle infrastrutture ai quali si aggiungono la già citata lotta alla corruzione, con circa un milione di dirigenti cinesi colti in flagrante, gli investimenti nello sviluppo e nella ricerca tecnologica e industriale e l’importantissima riforma fiscale che ha fatto risparmiare alle imprese cinesi circa 1.000 miliardi di yuan. Novità nell’economica cinese è invece la crescita del settore terziario, che nel 2017 è cresciuto di circa il 7,6%, più di tutti gli altri settori. Una ristrutturazione controllata quella cinese che ha portato Pechino a guadagnare ancora più credibilità di prima sul piano politico. Non è un caso se Trump nel suo primo anno di presidenza ha avuto come maggiore interlocutore Xi Jinping e non Putin, come molti in Occidente temevano. I successi di Pechino sono infatti anche politici: la proverbiale diplomazia cinese è stata fondamentale per l’accordo tra le due Coree alle prossime Olimpiadi Invernali di Pyongyang, accordo che potrebbe essere il primo viatico per la pace.

18 gennaio 2018
www.opinione-pubblica.com/economia-cinese-stupisce-mondo-xi-...
wheaton80
00venerdì 11 gennaio 2019 01:08
La Cina progetta un nuovo boom

Quest’anno il babbo Natale cinese regala fortissime deduzioni fiscali per istruzione dei figli, dai livelli prescolari ai dottorati, deduzioni per affitti nelle grandi città, deduzioni per cure anziani e soprattutto forti deduzioni fiscali per cure mediche. Come scrivevo un mese fa, la Cina risponde alla guerra commerciale con il salario sociale globale di classe e la costruzione di un “potente mercato interno”. Di solito al capodanno cinese ci anche sono altre strenne, tipo aumenti del 15% del salario minimo. Vedremo. Intanto ieri il Consiglio di Stato ha augurato a suo modo al mondo buon Natale. Mentre in Usa c’è lo shutdown (il blocco del bilancio federale), in Cina si attua una politica fiscale fortemente espansiva a favore dei ceti medio bassi. Del resto la PBOC, la Banca Centrale Cinese, un anno e mezzo fa aveva esortato il governo ad aumentare il deficit pubblico al 5% per contrastare il rallentamento mondiale. Per 30 anni la Cina ha represso risparmi e consumi per investimenti, al fine di aumentare la produttività totale dei fattori produttivi per allinearla ai livelli occidentali. Una volta fatto questo, è seguita 10 anni fa la nuova legge sul lavoro e la reflazione salariale (aumento costante delle retribuzioni). Ora si cambia passo: si utilizza la politica fiscale per liberare reddito e risparmio ai fini dell’aumento dei consumi e la costruzione di un forte mercato interno. La repressione del risparmio e dei consumi è durata 30 anni, ma cosa volete che siano per i cinesi 30 anni…

Pasquale Cicalese
24 dicembre 2018
contropiano.org/news/internazionale-news/2018/12/24/la-cina-progetta-un-nuovo-boom...




La Cina abolisce le tasse per i lavoratori e spinge i consumi interni

Si incominciano a delineare i contorni delle misure adottate il 24 dicembre dal Consiglio di Stato cinese, proprio mentre l’Occidente festeggiava il Natale, e di cui abbiamo dato notizia proprio quel giorno su questo sito. Due premesse. In Cina salari e costi sono molto differenziati a seconda delle zone, per cui il salario dell’ovest è diverso da quello di Pechino o Nanchino. Inoltre: secondo il sistema fiscale cinese le detrazioni avvengono su base mensile, non annuale, tranne le spese sanitarie. C’è da sottolineare che già nei mesi scorsi in Cina era diminuita l’IVA, e in tal modo erano state tagliate le aliquote sia sui redditi medio bassi che su quelli alti. Il tetto dell’imponibile è ora a 5mila yuan, circa 625 euro. Con le misure adottate il 24 dicembre ci sono detrazioni fiscali mensili pari a 400 yuan (50 euro) per master o corsi di formazione, 1.000 yuan per spese affitto, 1.000 yuan per ciascun figlio a scuola, 1.000 yuan per cura di ciascun genitore e detrazioni annuali per spese mediche pari a 60mila yuan (7.500 euro). In Cina la sanità è a carico dello Stato al 70% e del lavoratore per il restante 30%. Con le detrazioni decise a dicembre, in pratica, il lavoratore anticipa mensilmente le spese mediche e poi riavrà un credito di imposta pari al costo sostenuto alla fine dell’anno, questo in vista della costruzione futura del sistema universale della sanità. Facciamo un esempio: un operaio della zona di Nanchino guadagna mensilmente 3mila yuan, 450 euro (1.300 euro, a parità di potere d’acquisto con un cittadino europeo); con il sistema delle detrazioni si troverà centinaia di euro mensili detratte (soldi netti in più in busta paga). Un impiegato qualificato di Shanghai, che guadagna 8mila yuan, circa mille euro, avrà tutto il salario detratto. Con questo sistema di detrazioni praticamente operai e impiegati cinesi non pagheranno tasse, ritrovandosi in più, alla fine dell’anno, un credito di imposta per le spese mediche. E’ come se, su 23 milioni di lavoratori italiani soggetti ad IRPEF, circa 20 milioni non pagassero le tasse. Proiettatele su scala continentale cinese e capirete l’impatto su risparmi e consumi. Insomma, a differenza che nell’Occidente, in Cina si lavora per la riproduzione del proletariato. Mentre qui si smantella lo “stato sociale” per riportarlo a condizione di semi-schiavitù.

Pasquale Cicalese
8 gennaio 2019
contropiano.org/news/internazionale-news/2019/01/08/la-cina-abolisce-le-tasse-per-i-lavoratori-e-spinge-i-consumi-interni...
wheaton80
00giovedì 21 marzo 2019 22:11
Cina. Ambasciatore Li Ruiyu: Visita Xi Jinping momento storico, incontro può lanciare segnale al mondo

Quello di Roma sarà l’incontro tra le Nazioni «rispettivamente emblema della civiltà orientale e occidentale». Così, citando anche Gan Ying e Pomponio Mela, lo stesso Xi Jinping ha definito il vertice fra Cina e Italia dalle pagine del Corriere della Sera, nel suo tradizionale intervento sul principale organo di stampa del Paese dove è atteso in visita. Prossimo allo sbarco a Fiumicino, il volo presidenziale del leader cinese comprende una delegazione al seguito di oltre 500 fra ministri, funzionari e uomini d’affari. Scenari Internazionali ha appena pubblicato “Cina, 70 anni di progressi”, un numero speciale pensato proprio per questo evento. Proponiamo in anteprima ai nostri lettori l’intervista all’ambasciatore cinese in Italia Li Ruiyu, contenuta all’interno della pubblicazione.

S.E. - Li Ruiyu, bentornato su Scenari Internazionali. Il Ministro degli Esteri italiano Moavero Milanesi, durante la 9a sessione del Comitato Intergovernativo Italia-Cina, ha dichiarato che il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, effettuerà una visita di Stato in Italia alla fine di questo mese di marzo. Quale crede sia il significato principale di tale visita?
Su invito del Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, il Presidente Xi Jinping si appresta ad effettuare una visita di Stato in Italia. Si tratta della prima visita di un Presidente cinese in Italia negli ultimi dieci anni ed è la prima visita di Stato in Italia del Presidente Xi Jinping dalla sua entrata in carica. Durante la visita, le due parti pubblicheranno una dichiarazione congiunta ed il Presidente Xi Jinping avrà un confronto ed uno scambio di vedute con le autorità italiane al fine di promuovere ulteriormente la cooperazione fattiva sotto l’egida dell’iniziativa Belt and Road in tutti i settori e farà da testimone alla firma di una serie di accordi di cooperazione. Quest’anno ricorre il quindicesimo anniversario dalla firma del Partenariato Strategico Globale Bilaterale Cina-Italia e il prossimo anno si celebrerà il cinquantesimo anniversario dall’avvio ufficiale delle relazioni diplomatiche bilaterali. La visita del Presidente Xi Jinping in Italia sarà un momento importante per delineare le linee-guida di riferimento, per definire la rotta dello sviluppo dei rapporti bilaterali nella nuova era e per aprire un nuovo capitolo nella cooperazione fattiva e nell’amicizia tradizionale che lega i due Paesi. Inoltre, di fronte all’attuale emergere di tendenze protezioniste ed unilateraliste, speriamo che, attraverso la visita del Presidente Xi Jinping, sarà possibile inviare un chiaro segnale al mondo intero in merito alla volontà di Cina ed Italia e di Cina ed Europa di continuare a tutelare fermamente il multilateralismo e il sistema di libero scambio basato su regole condivise, ed iniettare nuova linfa vitale per un proficuo sviluppo dei rapporti sino-europei in questa nuova era.

Il primo ottobre prossimo ricorrerà il settantesimo anniversario dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese. In questi settant’anni, la Cina ha vissuto grandi cambiamenti ed è diventata la seconda economia mondiale, nonché il primo Paese al mondo per commercio di beni. Ad oggi, nessun consesso internazionale può svolgersi senza coinvolgere o tenere in considerazione la Cina. Si può dire che questo rappresenti la più grande rivincita della Nazione?
Negli ultimi settant’anni anni, lo sviluppo cinese ha superato tutti gli ostacoli, andando avanti nonostante le difficoltà, e la Cina ha visto cambiamenti senza precedenti e raggiunto innumerevoli risultati importanti. Soprattutto negli ultimi quarant’anni di riforme e apertura, la Cina ha mantenuto un tasso di crescita medio annuo del 9,5% e il commercio estero ha registrato una crescita media annua del 14,5%. Oggi la Cina è la seconda economia mondiale e il primo Paese industriale al mondo, nonché il primo per commercio di beni. Inoltre è arrivata a contribuire per oltre il 30% alla crescita economica mondiale per molti anni consecutivi, diventando così un fondamentale fattore di stabilizzazione dell’economia mondiale ed una sua importante fonte di dinamismo. Contemporaneamente allo sviluppo economico, abbiamo portato avanti un approccio che mette le persone al centro e ci siamo impegnati affinché quello del popolo cinese si trasformasse gradualmente da un tenore di vita basato sulla “soddisfazione dei bisogni primari” ad uno di “livello medio di benessere diffuso”. Il PIL pro-capite dei cittadini cinesi è passato da 160 a quasi 10.000 dollari e più di 70 milioni di persone sono state strappate ad una condizione di povertà: una riduzione che ha riguardato il 70% del totale della popolazione in stato di indigenza a livello mondiale. I grandi cambiamenti che la Cina ha vissuto hanno un profondo significato anche per il mondo intero. Nella sua partecipazione ai processi di governance mondiale, la Cina ha mostrato sempre un comportamento di potenza responsabile. Dalla politica di attrazione delle imprese estere a quella del Go global per le aziende cinesi, dall’ingresso nel WTO al lancio dell’iniziativa Belt and Road, la Cina ha contribuito con la sua saggezza e proposto “ricette cinesi” per affrontare un numero sempre maggiore di sfide internazionali e per realizzare uno sviluppo condiviso da tutti i Paesi.

Cina e Stati Uniti stanno affrontando un momento di tensione. È più che mai evidente a tutto il mondo che Washington, con il suo atteggiamento poco collaborativo, si stia lentamente isolando, mentre la Cina sta diventando sempre più un modello a cui guardare su temi importanti dell’agenda internazionale, come il commercio, l’ambiente, l’innovazione, la sostenibilità ed altri ancora. Come vede lo sviluppo della Cina per i prossimi dieci anni?
I prossimi dieci anni sono un lasso di tempo cruciale per la Cina nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi dei “Due centenari”, ovvero completare la costruzione di una società caratterizzata da un livello di benessere diffuso e la creazione di un Paese socialista modernizzato. Di fronte ad un nodo storico cruciale, dobbiamo, da un lato, far fronte al grande compito di trasformare il modello economico del Paese, dall’altro, guardare allo scenario internazionale attraversato da complessi mutamenti. Per questo, lo sviluppo futuro della Cina non sarà una missione semplice. In seguito continueremo ad ampliare la riforma strutturale dell’offerta, a rafforzare la qualità dell’output economico, ad ampliare gli investimenti nell’innovazione per iniettare nuova linfa vitale allo sviluppo del Paese. Al contempo porteremo avanti una strategia di rivalorizzazione delle campagne per promuovere uno sviluppo più equilibrato, aumenteremo l’apertura, rafforzeremo il lavoro di realizzazione dell’iniziativa Belt and Road e promuoveremo la costruzione di un nuovo assetto di apertura completa. Nei prossimi dieci anni, a prescindere da quante turbolenze e tempeste dovremo affrontare, continueremo ad appoggiarci sul popolo, a rinnovarci, ad affrontare le avversità con tenacia e a promuovere uno stabile progresso della Cina nella giusta direzione. Tutto questo permetterà al Paese di contribuire in modo incisivo alla ripresa economica e alla prosperità mondiale.

I rapporti tra Cina e Italia godono di un momento di sviluppo particolarmente positivo. Il vice-premier e Ministro per lo Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha già effettuato due visite in Cina, dove non molto tempo dopo anche il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo, Gian Marco Centinaio, ha fatto tappa. Guardando a queste visite, quali sono le Sue speranze per lo sviluppo futuro dei rapporti bilaterali?
Il nuovo governo italiano, sin dal suo insediamento, si è impegnato attivamente per lo sviluppo dei rapporti con la Cina. Sotto la guida del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’esecutivo di Roma ha istituito la Task Force Cina al fine di rafforzare gli scambi economici e in ambito di investimenti tra i due Paesi, un’iniziativa che abbiamo molto apprezzato. Nel 2018, nonostante l’aumento dei fattori di incertezza e instabilità a livello mondiale, l’interscambio bilaterale tra Cina e Italia ha raggiunto un nuovo massimo storico per un ammontare totale di 54,23 miliardi di dollari. Nel dettaglio, le esportazioni italiane in Cina hanno visto un incremento del 17,2% e la bilancia commerciale bilaterale è oggi più equilibrata. Alla fine di gennaio, il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha effettuato una visita in Italia e ha presieduto, con la sua controparte italiana, il Ministro Moavero Milanesi, la 9a edizione del Comitato Intergovernativo Italia-Cina, in cui i due Paesi hanno raggiunto un’importante intesa riguardo le modalità di miglioramento della cooperazione in tutti i settori. Come detto, quest’anno celebriamo il quindicesimo anniversario della firma del Partenariato Strategico Globale Bilaterale. Noi siamo pronti, insieme al nuovo governo italiano, per continuare a mantenere contatti serrati e scambi frequenti e a sfruttare al massimo la forza che la sua posizione geografica dà all’Italia all’interno del progetto Belt and Road. Siamo inoltre pronti a rafforzare i matching strategici fra i due Paesi, ad esplorare il potenziale di collaborazione e a portare il partenariato strategico globale bilaterale ad un gradino sempre più alto.

Lo scorso anno, la prima edizione della China International Import Expo di Shanghai ha segnato definitivamente il passaggio della Cina da “fabbrica del mondo” a “mercato mondiale”. La Cina dispone di un bacino di 1,3 miliardi di potenziali consumatori e la domanda interna di beni e prodotti cresce sempre di più. Cosa si aspetta dalla prossima edizione dell’Import Expo?
Come ha giustamente notato, la Cina ha un mercato di consumo enorme. Nel 2018, il valore del commercio al dettaglio e dei consumi sociali cinesi ha raggiunto un totale di oltre 38.000 miliardi di renminbi e la percentuale rappresentata dalla spesa al consumo sul PIL è cresciuta fino al 76,2%, facendo sì che i consumi divenissero una delle forze trainanti della crescita economica cinese. Durante la prima China International Import Expo dello scorso anno, il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio ha guidato la partecipazione alla fiera di una delegazione di oltre 190 fra imprese e organizzazioni, ottenendo importanti risultati, come la firma di diversi accordi di collaborazione con le rispettive controparti cinesi da parte di Leonardo, Fincantieri, Ansaldo e altri importanti gruppi ed aziende italiani. Il prossimo novembre si svolgerà la seconda edizione di questo evento, in vista della quale è previsto un ampliamento dell’area dedicata alla Fiera per il Business e le Imprese (Enterprise & Business Exhibition), che arriverà a coprire 300.000 m2. Le iscrizioni e l’affitto degli spazi dell’Expo sono già in corso e, al momento, più di 500 aziende provenienti da oltre 40 Paesi hanno confermato la loro partecipazione. Nel gennaio scorso, la Cina ha organizzato a Milano la seconda edizione della Presentazione della China International Import Expo, a cui hanno preso parte molte imprese italiane e che ha visto la firma di un accordo per l’affitto di 2.000 m2 di superficie espositiva tra l’Ufficio Generale della China International Import Expo, da una parte, e la Fondazione Italia-Cina, la Camera di Commercio Italo-Cinese e ICE-Agenzia, dall’altra. Come ha ribadito il Presidente Xi Jinping, i cancelli dell’apertura cinese si schiuderanno sempre di più. Sono convinto che la seconda edizione dell’Expo rappresenterà una piattaforma di servizio, migliore e di qualità, per agevolare l’ingresso delle aziende italiane nel mercato cinese, e permetterà ad un numero sempre maggiore di prodotti di qualità del Made in Italy di accedere al mercato cinese.

Da diversi anni, la visione dello scenario internazionale del governo cinese è orientata all’idea che il sistema multipolare attuale sia una naturale e logica evoluzione del processo di globalizzazione partito negli anni Ottanta del secolo scorso. Crede che in Occidente esistano ancora resistenze a questo cambiamento?
Credo che la globalizzazione sia una tendenza irreversibile che mira a promuovere l’interconnessione economico-sociale tra tutti i Paesi e lo sviluppo integrato. Ad oggi, l’assetto internazionale sta vivendo delle evoluzioni complesse, non soltanto in termini di tendenze protezioniste, ma anche di altri trend contrari alla globalizzazione dovuti alle politiche migratorie, degli investimenti e del controllo, intraprese da alcuni Paesi. Ovviamente, queste ondate antiglobaliste e protezioniste non generano fiducia e speranza ma pessimismo e perplessità. Dobbiamo invece renderci conto che il libero scambio e la globalizzazione sono il risultato scontato del grande sviluppo della produttività a livello mondiale e sono la via obbligata per lo sviluppo economico-sociale del nostro tempo. Non dobbiamo opporci alla globalizzazione, ma adattarci ad essa e guidarla affinché possa andare verso una direzione di sempre maggiore apertura, inclusione, diffusione, equità e mutuo vantaggio, al fine di promuovere lo sviluppo economico-sociale di tutti i Paesi, in particolare di quelli in via di sviluppo. La Cina intende essere una guida, una fonte di miglioramento ed un contributore per un nuovo modello di globalizzazione e tutelare attivamente un sistema di commercio multilaterale che sia aperto ed equo, ruoti intorno al WTO e sia basato su regole condivise. Intende inoltre tutelare un ordine normale del commercio internazionale e promuovere una crescita economica mondiale sana e sostenibile.

21 marzo 2019
www.scenari-internazionali.com/cina-ambasciatore-li-ruiyu-visita-xi-jinping-momento-storico-incontro-puo-lanciare-segnale-al-mondo/?fbclid=IwAR0zzz2lMaHjuMyYqR69ESz9M4lRg63KxJOmO3dFpkZIdcnQJ2t...
wheaton80
00giovedì 21 marzo 2019 22:22
Cina, è via della seta o via dell'ignoranza?

La visita del Presidente cinese per la firma dell’accordo sulla “Nuova Via della Seta” ha dato luogo a un dibattito politico-mediatico inconcludente e povero di contenuti. Anche chi difende le ragioni dell’accordo dimostra una conoscenza a dir poco incerta delle sue premesse e delle sue implicazioni. Ciò si deve a un fondamentale vuoto di conoscenza sulla Cina, che viene sostituito da uno schema mentale tanto facile quanto sbagliato: Cina eguale a Stati Uniti. Il Paese di Xi Jinping è, per la quasi totalità dei commentatori italiani di politica estera e per gli sprovveduti leader dell’opposizione e del governo, nient’altro che una replica autoritaria della superpotenza americana. Pochi di loro, in verità, dubitano che la Cina diventerà entro un decennio la maggiore economia del pianeta, con l’America al secondo posto. Ma ciò avverrebbe grazie al fatto di aver perseguito gli stessi obiettivi, seguito la stessa strategia e usato gli stessi strumenti adoperati dall’Europa negli ultimi secoli, e dagli USA negli ultimi decenni, per impadronirsi del pianeta. Con la sola differenza della natura antidemocratica del regime di Pechino, guidato dal partito comunista.

Ma una lettura anche sbadata di qualche buon libro di storia della Cina dovrebbe essere sufficiente a smentire questo stereotipo. In materia di pace e di guerra, negli ultimi 2500 anni, si è consolidata in Cina una vocazione diametralmente opposta a quella occidentale. Il disprezzo e l’avversione alla guerra sono un filo che corre lungo l’intera storia e cultura del Paese. Mentre nei sette secoli e mezzo che vanno dal 1200 al 1945 l’Europa è stata dilaniata da un massacro ogni pochi anni, la Cina ha goduto nello stesso arco di tempo di periodi di pace lunghi fino a 500 anni. Ed è su questa base non violenta (senza costruire imperi oltremare e senza corsa agli armamenti) che essa ha edificato una supremazia economica globale durata fino al 1820. E terminata a opera delle armi, della droga e dell’espansionismo spoliatorio dell’Occidente. Tra tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU, la Cina è l’unico a non aver sparato un solo colpo di cannone ai suoi confini negli ultimi 31 anni, dopo un breve scontro armato con il Vietnam nel 1988. L’idea della conquista imperiale, formale o tramite il libero scambio, è estranea alla cultura politica cinese altrettanto di quanto essa sia familiare all’Europa dall’Impero Romano in poi, e agli Stati Uniti dalla loro nascita, 250 anni fa, fino adesso.

Consiglio a tutti di riflettere sulla vicenda delle spedizioni oltremare dell’ammiraglio cinese Cheng Ho, intraprese 80 anni prima di Cristoforo Colombo. Spedizioni colossali, richiamate in patria perché non animate dall’auri sacra fames, e che ci aiutano a capire perché oggi non parliamo cinese, mentre nel continente americano si parla spagnolo e portoghese. La Cina è una potenza non-espansionista, non-militarista e pacifica sin dalle sue origini, e non c’è alcuna ragione di pensare che lo diventerà solo per imitare gli Stati Uniti. Essa non ha alcuna propensione a trasformare la sua potenza economica in potenza militare. Prove recenti? Il suo budget militare, modesto e in costante diminuzione come percentuale del PIL, e il suo approccio al sistema internazionale creato dopo il 1945 dall’Occidente “pentito” delle sue ultime carneficine. L’approccio cinese si è basato sull’accettazione delle regole multilaterali e non sul loro sovvertimento. Dalle Nazioni Unite fino al WTO, dalle missioni di pace ONU (delle quali è il maggior contributore in termini di personale) ai grandi accordi su clima, ambiente, energia, mercati e nucleare, la Cina si comporta come uno Stato membro responsabile e pragmatico e non come una potenza aggressiva e minacciosa.

Assomiglia a un’Europa priva della subordinazione agli Stati Uniti. Dal punto di vista politico, la principale differenza tra Cina e Stati Uniti consiste nell’adesione da parte della prima al concetto-guida delle Nazioni Unite, divenuto ormai una realtà di fatto delle relazioni internazionali: la multipolarità di un ordine mondiale basato su norme universalmente condivise e sul rispetto delle sovranità nazionali. Una potenza in ascesa che fosse simile agli USA avrebbe avuto tutto l’interesse a sposare una concezione unipolare del mondo, dove un singolo Paese giunto ai vertici del potere globale si assume il compito di dispensare a tutti il bene supremo della sicurezza. Le “dimissioni” di Trump dal ruolo degli USA come governo mondiale sono di sicuro un passo importante verso la multipolarità, e aprono uno spazio verso la coesistenza con una Cina interessata al “vivi e lascia vivere” invece che all’imperium globale. Come l’ Unione Europea. Ma è altrettanto certo che non siamo di fronte all’accettazione di un mondo post-americano. Esso comporta uno choc politico e un colpo al cuore militare-industriale di una potenza che è abituata a non avere rivali nel pianeta. E ciò può sconvolgere tutto.

Pino Arlacchi
21/03/2019
www.ilfattoquotidiano.it/inedicola/articoli/2019/03/21/cinaeviadellasetaodellignoranza/...
wheaton80
00venerdì 26 aprile 2019 19:52
Al via il Forum Belt and Road, cresce il consenso internazionale attorno all'iniziativa cinese

Si è aperto oggi a Pechino il secondo Forum Belt and Road per la Cooperazione Internazionale. Si tratta della seconda edizione dell'appuntamento a scadenza biennale, tenutosi per la prima volta nel maggio 2017. Ad anticipare la cerimonia di inaugurazione c'è stato, nella giornata di ieri, un intenso lavoro di confronto distribuito fra 12 forum tematici. Stamattina, invece, il momento più atteso è stato il saluto del Presidente Xi Jinping agli ospiti, fra cui anche il nostro Presidente del Consiglio Giuseppe Conte in rappresentanza del primo, e fin'ora unico, Paese del G7 ad aver formalmente aderito all'iniziativa Belt and Road. Nel quadro UE, all'Italia si è aggiunto pochi giorni dopo il Lussemburgo. Più recentemente è toccato invece alla Svizzera annunciare la propria adesione all'iniziativa, con la firma del Presidente della Confederazione Ueli Maurer attesa per dopodomani a Pechino. Significative sono state le parole pronunciate dal leader cinese nel discorso inaugurale del Forum, a partire da quelle che vengono considerate la «pietra angolare della connettività» e il «punto debole» con cui molti Paesi si stanno confrontando, ovvero le infrastrutture, che secondo Xi devono essere caratterizzate da «alta qualità, sostenibilità, resistenza ai rischi, costi ragionevoli, inclusività ed accessibilità». “La costruzione di infrastrutture con simili standard”, ha proseguito il Presidente cinese, “potrebbe aiutare i Paesi del mondo a concretizzare appieno i propri punti di forza nelle risorse e ad integrarsi meglio nelle catene globali logistiche, industriali e del valore».

Com'è ormai noto ai più, l'iniziativa Belt and Road (BRI) è il megaprogetto lanciato da Xi Jinping nel 2013 per ricostruire in chiave moderna le antiche direttrici terrestri e marittime della Via della Seta. Essa si snoda lungo tre traiettorie principali: due ormai consolidate, cioè quella terrestre sviluppata attorno all'Asia Centrale e quella marittima centrata sull'Oceano Indiano; ed una terza, di più recente ideazione, che vede la Cina impegnata con la Russia nello sviluppo di una linea di comunicazione artica, già definita da diversi analisti con il suggestivo nomignolo di "Via della Seta polare". Il piano viene sostenuto, fra gli altri, anche dall'AIIB, la banca di sviluppo multilaterale inaugurata a Pechino nel 2016, ad oggi formata da 70 membri fra Paesi e territori, in attesa di altri 27 pronti all'ingresso, e pensata per il supporto finanziario agli investimenti infrastrutturali in Asia. Strade, linee ferroviarie, porti e aeroporti dovranno dunque mettere in collegamento fra loro tre continenti, Asia, Europa ed Africa, ed in particolare alcune regioni-chiave al loro interno: l'area Asia-Pacifico, il Mediterraneo e il Mar Rosso. Come sancito dai contenuti del Memorandum d'Intesa firmato a Roma circa un mese fa, nel nostro Paese sono i porti di Trieste e Genova a giocare un ruolo determinante nella logistica intermodale della Nuova Via della Seta, pensata anzitutto per connettere Europa ed Asia. Questo, tuttavia, non ha impedito a governi americani, come quelli canadese, brasiliano, argentino, boliviano, peruviano ed altri ancora, e ancor meno a quelli oceanici, Australia e Nuova Zelanda in primis, di prendere parte (o progettare di farlo) al consiglio direttivo dell'AIIB, guardando dunque con interesse anche alla BRI.

Nello specifico, fra Europa ed Asia, la connettività a tutto campo è cresciuta esponenzialmente nel corso degli ultimi cinque anni. Come indica il quotidiano cinese in lingua inglese "Global Times", dal 2013 al 2018 si sono registrati 14.691 viaggi ferroviari merci tra la Cina e il Vecchio Continente, che hanno messo in collegamento 62 città del Paese asiatico con 51 in Europa in 15 diversi Paesi, a partire da Germania, Olanda e Belgio. Più in generale, invece, Pechino ha già ufficializzato accordi per la facilitazione dei trasporti internazionali con 15 Paesi coinvolti nella BRI, 38 accordi, fra bilaterali e regionali, per la navigazione con 47 Paesi BRI ed altri accordi per il trasporto aereo che hanno portato in cinque anni all'apertura di 1.239 nuove rotte verso i Paesi BRI. «Si tratta di un'opportunità molto importante», aveva affermato martedì scorso il Segretario Generale dell'ONU Antonio Guterres, anch'egli ospite del Forum, riferendosi in particolare alla capacità della BRI di «realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile» e «avviare prospettive ecocompatibili negli anni a venire». Fondamentale è infatti il duplice carattere, interno ed esterno, del nuovo corso politico cinese in tema di sostenibilità e salvaguardia dell'ambiente, che estende l'approccio green della quinta generazione della leadership anche ai progetti negli altri Paesi BRI e nei Paesi terzi, assieme ai partner della BRI.

Il passaggio della Cina da una condizione di estrema povertà allo status di seconda economia del pianeta «probabilmente rappresenta un esempio unico al mondo», aveva proseguito Guterres, sottolineando il contributo del colosso asiatico alla facilitazione della connessione fra i Paesi del mondo. Facilitazione che si estende anche al commercio e agli investimenti, con le nuove misure pensate da Pechino per aumentare il livello di apertura del mercato interno. Proprio nel discorso inaugurale pronunciato oggi, Xi Jinping ha confermato che «la Cina aumenterà le importazioni di beni e servizi su più vasta scala», «continuerà a ridurre le aliquote tariffarie» ed «aprirà costantemente il suo mercato accogliendo prodotti di qualità da tutto il mondo». A novembre, infatti, andrà in scena a Shanghai la seconda edizione del China International Import Expo, appuntamento lanciato per la prima volta lo scorso anno presso il centro fieristico della città cuore finanziario del Paese, dove funzionari di governo ed aziende da oltre 130 fra Paesi e territori di tutto il mondo si sono ritrovati per promuovere e proporre beni e servizi ai loro interlocutori cinesi. Il primo gennaio successivo entrerà invece in vigore la nuova legge sugli investimenti, approvata durante l'ultima Assemblea Nazionale del Popolo del marzo scorso, che garantirà maggiore trasparenza, equità e semplificazione agli investitori esteri che operano in Cina.

Andrea Fais
26 Aprile 2019
agenziastampaitalia.it/politica/politicaestera/45105alviailforumbeltandroadcresceilconsensointernazionaleattornoalliniziativacinesefbclid=IwAR38vPPA_BQSXMiQNsTksA6ijsrKgMPcvSNsMH03xy3Y_U07lRy...
wheaton80
00lunedì 24 giugno 2019 18:07
La FAO disegna il multilateralismo



Con 108 voti a favore su 192 aventi diritto, Qu Dongyu, il candidato della Cina alla poltrona di Direttore Generale della FAO, ha sconfitto la francese Catherine Geslain-Lanéelle (71 voti), che era il candidato non solo della Francia ma di tutta l’Unione Europea ed era sostenuta dagli Stati Uniti e dai Paesi satelliti. L'outsider georgiano, Davit Kirvalidze, ha invece ottenuto 12 voti, mentre uno è risultato una astensione. A poco è servito l’intenso lavoro diplomatico di Parigi per compattare l’Occidente e l’Africa sulla sua candidata. Anzi, proprio dall’Africa i segnali arrivati al palazzone razionalista di Roma sono stati inequivocabili ed hanno rappresentato uno smacco per la consolidata influenza che la Francia esercita sul continente nero. Di contro, il voto a favore della Cina testimonia come la sua opera di penetrazione economico-finanziaria in Africa, sia riconosciuta. Del resto il gigante asiatico ha assoluto bisogno di alimenti ed energia per sostenere il suo sviluppo industriale e grazie ai massicci investimenti ed alla realizzazione di importanti opere infrastrutturali destinati al miglioramento delle condizioni di abitabilità e di sviluppo di interi Paesi, Pechino viene riconosciuta oggi come un partner credibile per un continente in cerca di politiche favorevoli alla sua crescita e non alla sua spoliazione. Interventi che verranno ulteriormente ampliati e valorizzati proprio dall’iniziativa intercontinentale di Pechino che va sotto il nome di Nuova Via della Seta (Belt and Road) e che troverà nelle politiche della FAO destinate alla crescita ed alla lotta contro la fame e la povertà un ulteriore sostegno. Decisamente diversa dall’idea occidentale di depredazione coloniale o di elemosina destinata a ridurre i danni, la politica di Pechino in Africa e in America Latina punta proprio sullo sviluppo delle infrastrutture dei Paesi per sconfiggere il sottosviluppo, del quale la fame, l’assenza di reti viarie e ferroviarie, la difficoltà dell’accesso all’acqua e le malattie endemiche, sono solo alcuni degli aspetti peggiori. Qu Dongyu, biologo di 55 anni e Viceministro cinese dell’Agricoltura, s’insedierà tra pochi giorni e resterà in carica fino al 2023. Nel suo saluto seguito alla proclamazione della vittoria ha espresso “gratitudine per la madrepatria" e ha rassicurato circa la fedeltà alla mission della FAO da parte della Cina, che ne segue "le regole". Il nuovo Direttore Generale ha tutte le ragioni per dirsi soddisfatto. Aldilà della retorica scontata, il risultato di ieri alla FAO è di straordinaria importanza geopolitica.

Intanto perché è la prima volta nella storia della Repubblica Popolare Cinese che un suo candidato ad un ruolo di primaria importanza sulla scena internazionale ottiene un successo. Quello alla FAO è insomma un voto che da un lato, nelle proporzioni assolute, rappresenta il declino politico europeo nelle assisi multilaterali e, dall’altro, conferma l’ormai apparentemente inarrestabile crescita di Pechino nello scenario della governance globale. Il voto segreto impedisce una ricostruzione dettagliata dello spoglio delle schede ma, stando alle dichiarazioni di voto diffuse nei giorni che hanno preceduto l’assise, oltre che Iran e Russia, Sudafrica e India, a sostegno del candidato di Pechino si sono schierati compatti Cuba, Nicaragua, Bolivia e Venezuela. Persino Argentina e Brasile, pur legati mani e piedi a Washington, hanno votato per il candidato cinese, viste le profonde ed estese reti di cooperazione e di import/export con Pechino. Per gli stessi Stati Uniti è la seconda sconfitta in sede ONU nel giro di una settimana, dopo l’ingresso del Nicaragua nel Consiglio Economico delle Nazioni Unite, avvenuto nonostante le pressioni contrarie da parte di Washington. E per rimanere in ambito ONU, la sconfitta della candidata francese segna uno smacco anche per l'Europa. Prima donna in corsa per la carica, Deslain-Lanéelle aveva dato la disponibilità a controverse aperture nei confronti degli Stati Uniti su dossier sensibili come quello degli OGM. E per quanto si voglia ora responsabilizzare della sconfitta la candidata, ad una analisi attenta non può sfuggire come la debacle sia in primo luogo la misura della perdita d’influenza francese e l’ennesimo rovescio patito dal Governo Macron, ormai indigesto in patria e fuori. La grandeur s’è fatta piccola come il suo Presidente.

Fabrizio Casari
23 Giugno 2019
www.altrenotizie.org/spalla/8498-la-fao-disegna-il-multilaterali...
wheaton80
00sabato 2 luglio 2022 01:34
Russia isolata? Ora Argentina e Iran chiedono di entrare nei BRICS

Nelle ultime ore i principali organi di informazione occidentale hanno rilanciato la notizia di un presunto default della Russia.

Il default russo che non esiste

“La Russia è in default sul debito estero per la prima volta da oltre un secolo”, “La Russia è ufficialmente in default secondo Moody’s”, sono alcuni dei titoli apparsi sulla stampa mainstream italiana. Ci si aspetterebbe quindi di vedere la Russia in ginocchio e Vladimir Putin pronto ad abbandonare la nave, invece non è così. Perché la Russia ha i soldi per pagare i 100 milioni di interessi su due obbligazioni estere, ma è impossibilitata a saldare per i divieti di pagamenti imposti con le sanzioni. È il primo caso in cui si dichiara insolvente un Paese che ha le risorse per onorare i debiti, ma viene impedito il pagamento. La storia del possibile default russo annunciato in occidente va avanti in realtà da mesi, come testimoniano alcuni articoli del marzo scorso, e si tratta così di pura propaganda occidentale in tempo di guerra.

La nuova valuta dei BRICS
In realtà la salute economica di Mosca sembra tutt’altro che compromessa e lo dimostrano le ultime iniziative intraprese in ambito diplomatico. Prendiamo, per esempio, il gruppo dei BRICS. Si tratta di un’alleanza internazionale di Paesi che raggruppa il Brasile, la Russia, l’India, la Cina e il Sudafrica. Bene, nonostante la guerra, le relazioni politiche e commerciali tra questi Paesi sembrano rafforzarsi di giorno in giorno, come testimoniato dall’ultima riunione. La Russia ha infatti proposto la creazione di una valuta di riserva internazionale basata sul paniere valutario dei BRICS. Cosa significa? Non si tratta della creazione di una nuova moneta comune fisicamente circolante tra i BRICS, ma dell’intenzione di sostituire il dollaro come valuta di riserva di riferimento. Con gli accordi di Bretton Woods, del 1944, si impose a tutti i Paesi di accettare il dollaro come moneta obbligatoria di riferimento per le transazioni internazionali. Da allora il dollaro è detenuto in quantità molto significative dalla maggior parte dei Governi e delle istituzioni finanziarie mondiali ed è diventato così valuta di riserva principale. Bene, l’iniziativa russa vuole scalzare questa egemonia monetaria. Al momento si tratta di una proposta sul tavolo che dovrà essere valutata dagli altri membri del BRICS, ma la sensazione è che questo gruppo possa sempre più rappresentare un’alternativa al blocco occidentale.

Argentina e Iran pronte ad allargare il gruppo

Negli ultimi giorni infatti sono arrivate le richieste formali di ingresso nei BRICS da parte di Argentina e Iran. Il Presidente del Paese sudamericano, Alberto Fernandez, ha infatti così dichiarato:“Siamo onorati dell’invito a questo incontro allargato dei BRICS. Aspiriamo ad essere membri a pieno titolo di questo gruppo di Nazioni che già rappresenta il 42 per cento della popolazione mondiale e il 24 per cento del PIL mondiale”. Oltre al contributo economico si tratta di una mossa dal profondo significato politico. In un momento in cui la tensione tra Stati Uniti e Russia è ai massimi livelli, forse più alti della Guerra Fredda, un Paese facente parte del cosiddetto cortile di casa americano, decide di tendere la mano a Mosca. Da parte iraniana invece il portavoce del Ministero degli Esteri ha affermato che:“L’appartenenza dell’Iran al gruppo BRICS comporterebbe un valore aggiunto per entrambe le parti”. E in effetti così non potrebbe non essere, visto che l’Iran detiene le seconde riserve di gas al mondo. L’isolamento e la crisi russa sembra quindi esistere solo nelle pagine dei quotidiani mainstream occidentali. La realtà sembra consegnarci un quadro ben diverso, dove il blocco dei BRICS sta sempre più rappresentando un’alternativa economica, politica e culturale al modello occidentale.

28 giugno 2022
Michele Crudelini
www.byoblu.com/2022/06/28/russia-isolata-ora-argentina-e-iran-chiedono-di-entrare-nei...
wheaton80
00mercoledì 20 luglio 2022 18:55
I BRICS si allargano

Il Presidente cinese Xi Jinping ha annunciato l’accelerazione del processo di espansione dei BRICS (Brasile, Russia, Cina, India, Sudafrica) a Iran e Argentina in occasione del 14° incontro dei leader dei BRICS a Pechino a fine giugno. Iran e Argentina hanno annunciato di aver presentato la richiesta formale di adesione al gruppo. A maggio, per la prima volta hanno partecipato alla Riunione dei Ministri degli Esteri dei BRICS i ministri degli Esteri di Kazakistan, Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Indonesia, Nigeria, Senegal, Emirati Arabi Uniti, Thailandia e altri Paesi. Tutto questo indica che l’espansione dei BRICS sta accelerando. Il Presidente argentino Alberto Fernandez ha ribadito nei giorni scorsi il desiderio che l’Argentina si unisca ai BRICS. L’Argentina spera di diventarne un membro il prima possibile. Non è da escludere il possibile allargamento dei BRICS a Paesi come l’Arabia Saudita, che ha già espresso il suo interessamento, e a Nazioni, come Bangladesh, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Uruguay, che l’anno scorso hanno aderito alla New Development Bank, istituto fondato dai BRICS nel 2015. L’ingresso dell’Iran aggiungerebbe ulteriore valore ai BRICS, dato che il Paese detiene circa un quarto delle riserve petrolifere del Medio Oriente e la seconda riserva mondiale di gas. Invitato a una riunione virtuale del vertice, il Presidente iraniano Ebrahim Raisi ha tenuto un discorso in cui ha espresso la disponibilità dell’Iran a condividere le sue vaste capacità e il suo potenziale per aiutare i Paesi BRICS a raggiungere i loro obiettivi. Nello stesso periodo, Teheran ha partecipato a due giorni di colloqui a Doha volti a riallacciare il rapporto con gli USA, riportando in vita l’accordo del Piano d’Azione Congiunto Globale (JCPOA) tra Iran e Stati Uniti, che si sono conclusi senza alcun risultato positivo. Allo svanire della speranza di normalizzare i suoi legami con il blocco occidentale, l’Iran vede ora questa opportunità di rompere l’isolamento.

Anche Egitto, Arabia Saudita e Turchia bussano alla porta
Dopo l’adesione all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) lo scorso anno, la partecipazione ai BRICS è il secondo passo dell’Iran verso l’adesione a questo gruppo, che si propone esplicitamente come alternativa all’Occidente, e all’egemonia del dollaro nell’economia globale. Feng Xingke, Segretario Generale del World Financial Forum e Direttore del Center for BRICS and Global Governance, ha dichiarato al Global Times di Pechino che l’inclusione dell’Iran nei BRICS significherà “canali più stretti ed efficaci tra risorse e mercati, a beneficio di tutti i membri". In un’intervista rilasciata alla testata russa Izvestia, Purnima Anand ha dichiarato che Cina, Russia e India hanno discusso l’adesione a BRICS di Egitto, Arabia Saudita e Turchia, aggiungendo che questa potrebbe non realizzarsi in tempi diversi. “Tutti questi Paesi hanno mostrato interesse ad aderire e si stanno preparando a fare domanda di adesione. Penso che questo sia un buon passo, perché l’espansione è sempre percepita positivamente; questo aumenterà chiaramente l’influenza dei BRICS nel mondo”, ha spiegato Anand. “Spero che l’adesione dei Paesi ai BRICS avvenga molto rapidamente, perché ora tutti i rappresentanti del nucleo dell’associazione sono interessati all’espansione dell’organizzazione “. In precedenza, anche Li Kexin, Direttore Generale del Dipartimento per gli Affari Economici Internazionali del Ministero degli Esteri cinese, aveva dichiarato che diversi Paesi stavano “bussando alle porte” dell’organizzazione, tra cui Indonesia, Turchia, Arabia Saudita, Egitto e Argentina. Putin, parlando al Forum mercoledì, ha sottolineato la necessità di “creare una valuta di riserva internazionale basata su un paniere di valute dei nostri Paesi”.

Questa idea è parte del cosiddetto progetto R5, sigla che prende spunto dalla lettera iniziale comune della valuta dei cinque Paesi BRICS (il real brasiliano, il rublo russo, la rupia indiana, il renminbi cinese e il rand sudafricano). A tal proposito, Putin ha fatto notare al Forum che il totale delle riserve internazionali dei Paesi BRICS ammonta circa al 35% delle riserve mondiali. L’idea è quella di sviluppare un sistema per la multilateralizzazione degli accordi di pagamento, facendo ricorso alle proprie valute, bypassando completamente il dollaro e le istituzioni finanziarie occidentali e mettendosi così al riparo dalle sanzioni. Un altro vantaggio che i BRICS potrebbero dare alla Russia di Putin è quello di collegare il suo sistema di pagamenti bancari, attualmente disconnesso da quello occidentale a causa delle sanzioni, a quello delle economie BRICS. Come mostrano i dati di Rystad Energy, l’India ha acquistato dalla Russia tra marzo e maggio di quest’anno un quantitativo di greggio sei volte superiore rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre le importazioni cinesi nello stesso arco di tempo si sono triplicate. Come ha sottolineato Rita Fatiguso sul Sole 24 Ore, la New Development Bank, la Banca per lo sviluppo dell’alleanza, “è stata (…) rifinanziata con 30 miliardi di dollari per il quinquennio 2022-2026 in occasione del rinnovo del board. Il che ha portato a 60 miliardi di dollari la dote stanziata a oggi dalla banca per progetti infrastrutturali. Fondi dei quali usufruirà anche la Russia di Vladimir Putin, che in questo contesto è totalmente al riparo da qualsiasi sanzione internazionale”. Un processo di aggregazione dei Paesi non allineati con gli USA che viene da lontano, dalla creazione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), nel 2001, un’evoluzione dei “Cinque di Shanghai”, un accordo di sicurezza reciproca stipulato nel 1996 tra Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan. Il 15 giugno 2001, i leader di queste Nazioni e dell’Uzbekistan si sono incontrati a Shanghai per annunciare una nuova organizzazione con una più profonda cooperazione politica ed economica; la Carta della SCO è stata firmata il 7 luglio 2002 ed è entrata in vigore il 19 settembre 2003.

Da allora i membri della SCO sono diventati otto, con l’ingresso di India e Pakistan il 9 giugno 2017. Un’operazione che ha sollevato da allora discussioni e commenti sulla natura geopolitica dell’Organizzazione. Matthew Brummer, nel Journal of International Affairs, traccia le implicazioni dell’espansione della SCO nel Golfo Persico. Secondo il politologo Thomas Ambrosio, uno degli obiettivi della SCO era quello di garantire che la democrazia liberale non potesse guadagnare terreno in questi Paesi. Lo scrittore iraniano Hamid Golpira commentava:“Secondo la teoria di Zbigniew Brzezinski, il controllo della terraferma eurasiatica è la chiave per il dominio globale e il controllo dell’Asia Centrale è la chiave per il controllo della terraferma eurasiatica… Russia e Cina hanno prestato attenzione alla teoria di Brzezinski, da quando hanno formato l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, apparentemente per frenare l’estremismo nella regione e migliorare la sicurezza delle frontiere, ma molto probabilmente con il vero obiettivo di controbilanciare le attività degli Stati Uniti e del resto dell’alleanza NATO in Asia Centrale". Già nel novembre 2005 il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov affermava che “l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) sta lavorando per stabilire un ordine mondiale razionale e giusto” e che “l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai ci offre un’opportunità unica di partecipare al processo di formazione di un modello fondamentalmente nuovo di integrazione geopolitica”. Il Quotidiano del Popolo commentava allora:“La dichiarazione sottolinea che i Paesi membri della SCO hanno la capacità e la responsabilità di salvaguardare la sicurezza della regione centroasiatica e invita i Paesi occidentali a lasciare l’Asia Centrale. Questo è il segnale più evidente dato dal vertice al mondo".

Maurizio Sacchi
17 luglio 2022
www.atlanteguerre.it/i-brics-si-allargano/
wheaton80
00lunedì 13 marzo 2023 16:01
I paesi del BRICS superano il PIL del G7. Prove di multipolarismo

Le sanzioni economiche sono una delle armi preferite dall’occidente per tentare di piegare i Paesi che non sottostanno alle direttive loro imposte in campo politico ed economico, ma come appare sempre più chiaro i risultati ottenuti sono del tutto negativi. Le Nazioni a cui gli Stati Uniti e i Paesi a loro assoggettati, come l’Unione Europea, applicano sanzioni sono numerosi ma i risultati di questa politica punitiva non sono quelli che ci si aspetterebbe. Infatti, come è oramai noto, le sanzioni non fermano la crescita economica del Paese che le subisce. Esistono poi i paradossi dove le sanzioni si ritorcono contro chi le promuove, come nel caso della Federazione Russa, sanzionata abbondantemente per l’invasione in Ucraina. In questo caso sono proprio le economie dei Paesi europei a subirne le conseguenze, mentre Mosca quasi non se ne accorge. Uno dei provvedimenti presi contro la Federazione Russa è anche l’embargo sulla vendita di prodotti petroliferi raffinati come il gasolio. Questo ha fatto sì che molti Paesi, tra cui l’Arabia Saudita, hanno enormemente aumentato l’importazione di diesel per poi rivenderlo proprio a noi che applichiamo tale divieto. Un bell’affare non c’è che dire. La Federazione Russa ha aumentato le esportazioni verso Riad sia direttamente che con trasferimenti in alto mare da una petroliera all’altra, denominati ship to ship. Il boom di esportazioni di gasolio russo verso l’Arabia Saudita è iniziato dopo il 5 febbraio, data in cui è iniziato il divieto di importazione nell’Unione Europea dei prodotti raffinati russi. Una volta ricevuto il gasolio russo, le raffinerie saudite raffinano ulteriormente i prodotti e di fatto li rendono nuovamente vergini e pronti per essere venduti sui mercati europei. Prima dell’inizio dell’embargo sui prodotti raffinati russi, l’Unione Europea importava dalla Federazione Russa 600mila barili al giorno. Attualmente la quantità delle importazioni di questi prodotti dall’Africa e dall’Asia è notevolmente aumentata. Anche i Paesi nordafricani, come Algeria e Tunisia, hanno aumentato notevolmente le loro importazioni di diesel russo, che poi finisce nei distributori di gasolio in Europa. Intanto il Ministero del Petrolio iraniano ha annunciato che il Paese ha raggiunto il livello massimo di esportazione di petrolio dal 2018, anno in cui gli Stati Uniti hanno applicato sanzioni al Paese persiano. Il Ministro del Petrolio Yavad Oyi ha dichiarato che l’Iran ha esportato nell’ultimo anno 86 milioni di barili di petrolio in più rispetto all’anno precedente e 198 milioni di barili in più rispetto al 2020. Yavad Oyi ha continuato affermando che ciò è stato possibile nonostante le numerose sanzioni applicate al suo Paese dai soliti Stati Uniti.

Secondo quanto affermato dalla Casa Bianca, nel 2018 le sanzioni avrebbero dovuto azzerare le esportazioni di greggio dall’Iran ma, come è oramai evidente a tutti, le sanzioni non servono per bloccare le economie dei Paesi sottoposti a tali provvedimenti. Anche le esportazioni di gas sono aumentate del 15% nel corso dell’ultimo anno, secondo quanto comunicato da Yavad Oyi, secondo Hispan TV. Nel 2022 la produzione media di greggio iraniano, secondo i dati forniti dall’OPEC, aveva raggiunto la quota di 2.554.000 barili giornalieri, con un aumento del 6,7 per cento rispetto al 2021. Secondo la società britannica di consulting Acorn, i Paesi aderenti ai BRICS, Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, hanno superato i Paesi del G7 in termini di Prodotto Interno Lordo (PIL). Se consideriamo che proprio l’Iran, la Russia e la Cina, anche se in maniera meno forte rispetto agli altri due Paesi, sono sottoposti a sanzioni, appare chiaro che alla fine questi provvedimenti punitivi hanno un impatto modesto o almeno meno importante di quanto ci aspetteremmo. I motivi sono molteplici ma credo che i più importanti siano che attualmente le economie dei Paesi sanzionati continuano a prosperare anche perché hanno relazioni dirette tra di loro. Poi non bisogna dimenticare che le sanzioni sono un provvedimento preso a livello politico dalla nostra classe dirigente, che dovrebbe colpire le economie dei Paesi sanzionati ma che non rispecchia la realtà finanziaria. Ma siccome l’economia non è più guidata dalla politica, che invece è manipolata dall’economia stessa, le sanzioni ovviamente non hanno effetto. Insomma la nostra classe politica crede di poter fermare l’economia di un Paese con uno o più provvedimenti sanzionatori ma non si rende conto invece che l’economia non può essere fermata da una sanzione. Ci sarà sempre qualcuno che troverà il modo per aggirare questi provvedimenti. Esempio tipico potrebbe essere quanto sopra riportato, ovvero la vendita da parte della Russia del diesel all’Arabia Saudita che poi, dopo averlo ulteriormente raffinato, lo rivende ai Paesi europei. Ciò avviene anche con il petrolio iraniano o venezuelano, che viene miscelato con il 51% di petrolio proveniente da altri Paesi e così miracolosamente scompare e diventa legale la sua vendita. I nostri politici come al solito credono di avere il controllo dell’economia ma in realtà sono loro che sono manovrati come burattini dai signori della finanza e dell’economia in genere.

Andrea Puccio
12/03/2023
www.occhisulmondo.info/2023/03/12/i-paesi-del-brics-superano-in-termini-di-pi...
wheaton80
00giovedì 30 marzo 2023 16:21
L'Egitto si unisce alla nuova banca del blocco BRICS

La Gazzetta Ufficiale dell'Egitto ha pubblicato la ratifica, da parte del Presidente Abdel-Fattah al-Sisi, dell'accordo che istituisce la New Development Bank (NDB), del blocco BRICS, dopo che l'Egitto ha firmato il documento di adesione alla banca. I BRICS sono uno dei blocchi economici più importanti del mondo, che comprende Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. BRICS è l'abbreviazione delle iniziali dei Paesi membri dell'organizzazione. Questi Paesi rappresentano circa il 30 percento delle dimensioni dell'economia globale, il 26 percento dell'area mondiale e il 43 percento della popolazione mondiale, oltre a produrre più di un terzo della produzione mondiale di cereali. Gli Stati membri hanno istituito la New Development Bank, con un capitale di 100 miliardi di dollari per finanziare progetti infrastrutturali e lo sviluppo sostenibile negli Stati membri, nonché nelle economie di mercato emergenti e in altri Paesi in via di sviluppo. La New Development Bank ha accettato l'Egitto come nuovo membro e lo aveva annunciato nel dicembre 2021. L'Egitto è appena diventato il quarto dei nuovi membri del blocco, preceduto nel settembre 2021 da Bangladesh, Emirati Arabi Uniti e Uruguay.

Traduzione: Wheaton80
30 marzo 2023
www.egyptindependent.com/egypt-joins-new-bank-of-brics-bloc/
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