Ecuador vince la battaglia per non pagare i debiti

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wheaton80
00mercoledì 5 marzo 2014 00:17

In Ecuador, Jubileo 2000, un movimento sorto nel 2000 in occasione del Giubileo cristiano cattolico, è riuscito a far ratificare al governo un audit cittadino sul debito. Si tratta di una revisione dei contratti di debito che l’Ecuador ha sottoscritto in 30 anni, dal 1976 al 2006, che ha permesso di capire come il debito si fosse formato e che cosa si stesse pagando annualmente, in termini di interessi e di politica economica sottratta al diretto controllo del paese da parte delle istituzioni finanziarie internazionali. Un risultato ottenuto nel 2007 dopo una campagna di sensibilizzazione durata 7 anni, partita dall’Università di Scienze Economiche di Guayaquil ad opera del prof. Ricardo Patiño, diventato poi ministro dell’Economia e attualmente ministro degli Affari Esteri della Repubblica ecuadoriana. Quella di Jubileo 2000, che negli anni ha costruito una rete internazionale con altre associazioni, è stata una battaglia per la trasparenza e la legittimità del debito. Dalla revisione sono stati evidenziati ad esempio diversi casi di anatocismo, ovvero interessi pagati sugli interessi di debiti precedentemente contratti, dichiarati poi illegittimi. E i risultati di questo audit sono stati eclatanti: un taglio del debito pubblico del 30% e la rottura dei rapporti con Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale. Oggi l’economia ecuadoriana vive un periodo di boom, ma alcuni credono che il paese sia ora sotto la minaccia di un nuovo creditore: la Repubblica Popolare Cinese, che investe nel paese per accaparrarsi i diritti futuri di sfruttamento delle risorse petrolifere. Un nuovo spunto per l’associazione Jubileo 2000, che anche in questa nuova situazione di indebitamento vuole vederci chiaro.

04 marzo 2014
www.wallstreetitalia.com/article/1673489/mondo/ecuador-vince-la-battaglia-per-non-pagare-i-deb...
wheaton80
00domenica 27 aprile 2014 23:40
L’Ecuador espelle i militari statunitensi e annulla il programma militare

Il presidente dell’Ecuador Rafael Correa ha ordinato a tutti gli ufficiali statunitensi di lasciare il Paese entro la fine del mese e ha annullato il programma di cooperazione per la sicurezza con il Pentagono, hanno detto funzionari USA. “Su richiesta del governo dell’Ecuador, i nostri programmi di cooperazione di sicurezza bilaterale in Ecuador giungono al termine“, ha detto il portavoce del Pentagono, colonnello Steven Warren. Il programma di Difesa doveva essere chiuso entro la fine di aprile, ha detto. Un funzionario dell’ambasciata statunitense a Quito in precedenza aveva detto che Quito aveva chiesto a 20 membri del personale del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti di lasciare il Paese, ed i funzionari ecuadoriani dissero che entro la fine del mese dovevano partire. La mossa è l’ultima battuta d’arresto delle relazioni USA-Ecuador, tese da quando Correa andò in carica nel 2007. Il suo governo ha espulso i diplomatici statunitensi e respinto l’accordo commerciale con Washington, mentre accusa gli Stati Uniti di ambizioni imperialiste. “Gli Stati Uniti rispettano il diritto dell’Ecuador, come nazione “sovrana”, di espellere i militare degli Stati Uniti, ma si rammarica che la mossa “limiterà severamente la nostra cooperazione bilaterale su questioni relative alla sicurezza”, ha dichiarato Jeffrey Weinshenker, portavoce dell’ambasciata degli Stati Uniti a Quito. Ha poi aggiunto: “Il governo ecuadoriano ha chiarito che non vuole più tale assistenza alla sicurezza. Il governo degli Stati Uniti riduce i nostri programmi di cooperazione sulla sicurezza e sposta tali attività in un altro luogo“, ha detto il diplomatico. L’assistenza militare degli Stati Uniti, in quarant’anni, in Ecuador includeva addestramento tecnico e supporto contro traffico di droga, tratta di esseri umani e criminalità transnazionale, secondo i funzionari degli Stati Uniti. Le espulsioni furono minacciate un mese fa da Correa per ridurre drasticamente la presenza dei militari statunitensi in Ecuador, citando preoccupazioni su “spionaggio” e “imperialismo” degli USA. A gennaio, Quito affermò di voler ridurre il personale militare statunitense sul suo territorio, e avvertì anche che non avrebbe permesso “apparecchiature per lo spionaggio” statunitense sul suo suolo. Prima dei decreti d’espulsione c’erano circa 50 militari degli Stati Uniti in Ecuador, secondo i funzionari del governo dell’Ecuador. Correa ha detto che si rese conto di ciò che descrive come aumento della presenza militare degli Stati Uniti nel Paese, dopo aver appreso che quattro militari del Pentagono erano a bordo di un elicottero militare ecuadoriano preso sotto tiro ad ottobre, vicino al confine con la Colombia. Le relazioni bilaterali sono state danneggiate dalla controversia sulla sorveglianza elettronica degli Stati Uniti dei governi stranieri, svelata dall’esiliato ex-agente dell’intelligence Edward Snowden. Nel 2009, Correa si rifiutò di rinnovare l’affitto che permetteva alle forze statunitensi di operare da Manta, una base importante nella lotta al narcotraffico in Sud America. Nel 2012, il presidente ecuadoriano irritò Washington quando il suo governo concesse asilo, presso la sua ambasciata a Londra, a Julian Assange fondatore del sito anti-segreti Wikileaks, che pubblicò numerosi documenti classificati degli Stati Uniti.

Traduzione di Alessandro Lattanzio
25 aprile 2014
Fonte: www.channelnewsasia.com/news/world/ecuador-expels-us/1083...

www.statopotenza.eu/11453/lecuador-espelle-i-militari-statunitensi-e-annulla-il-programma-...
wheaton80
00lunedì 19 gennaio 2015 22:41
Ecuador, ex capo dell’Interpol arrestato per traffico di cocaina

L’ex capo dell’Interpol ecuadoriana è stato arrestato nel corso di una vasta operazione antidroga a Latacunga, nella parte centrale del Paese. E tra le 20 persone fermate in tutta la provincia ci sono anche, oltre a due narcos colombiani, un maggiore e un sergente della polizia. L’annuncio è stato dato dal ministro dell’Interno, Josè Serrano, che ha spiegato come l’operazione appena conclusa faccia parte “della lotta contro l’impunità” condotta dal governo presieduto da Rafael Correa. Che l’anno scorso ha inaugurato una nuova politica di contrasto al narcotraffico che comprende anche il pugno duro contro le forze dell’ordine conniventi. Nel corso del blitz sono stati sequestrati oltre cento chilogrammi di cocaina. L’ex dirigente dell’Interpol, di cui non sono state rese note le generalità, è “un colonnello in servizio attivo”, ha precisato Serrano. Secondo le dichiarazioni del ministro al quotidiano Ecuador Inmediato, “gli esponenti delle forze dell’ordine, con i loro blindati, fornivano un lasciapassare per attraversare i controlli aeroportuali”. La rete di trafficanti inviava cocaina in Europa nascosta tra i fiori e il carico intercettato nel corso dell’operazione era destinato all’Olanda. Gli agenti sono risaliti all’ex capo dell’Interpol dopo aver trovato, a casa di uno dei narcos, prove che portavano alla residenza dell’ufficiale. Trentacinque chili di cocaina sono stati trovati solo nell’aeroporto di Latacunga e altri dieci nell’appartamento di uno dei trafficanti, insieme a due pistole, un camion, diversi computer, dei morsetti di ferro e 7mila dollari. Nel settembre scorso, altri sette i poliziotti sono stati arrestati nel Paese per presunti legami con i cartelli dei narcos colombiani.

18 ottobre 2014
www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/18/ecuador-ex-capo-dellinterpol-arrestato-per-traffico-di-cocaina/...
wheaton80
00domenica 25 febbraio 2018 17:42
Ecuador. Quito dice no alla base USA

Patricio Zambrano, Ministro della Difesa dell’Ecuador, ha dichiarato che nessuna base militare straniera potrà essere presente nel Paese andino, la cui costituzione ne vieta espressamente la presenza sul territorio nazionale. Secondo quanto riporta EFE, quando il Ministro ha risposto ad una domanda sullo smantellamento della base a Manta, nella provincia nordoccidentale di Manabi, ha detto:«Non ci possono essere basi militari straniere nel nostro Paese, è proibito dalla nostra costituzione». La questione se si possa permettere ad un contingente americano di operare in Ecuador, come era avvenuto fino al 2008, è un argomento sollevato da alcuni media locali, a causa dei contatti politici che i due Paesi hanno ripreso, dopo anni di relazioni molto lontane durante il precedente governo Rafael Correa. Altra ragione per una simile domanda era che, dopo l’attacco del mese scorso nella città di San Lorenzo da parte di narcotrafficanti apparentemente legati in passato alle FARC, la statunitense FBI partecipò all’indagine. Zambrano ha detto che l’Ecuador è sempre a favore della cooperazione tra persone e Paesi, ma si tratta di «cooperazione con il dovuto rispetto». Ha poi aggiunto che «una cosa è avere basi straniere sul nostro territorio e un’altra è avere il sostegno internazionale e la collaborazione di altri Paesi, che sono benvenuti». A metà settembre 2009, l’Ecuador lo considerava un «trionfo della sovranità nazionale», assumendo il controllo totale della base aerea di San Pablo de Manta, da cui gli Stati Uniti avevano lanciato operazioni antidroga nella regione per 10 anni. Il patto che ha permesso agli Stati Uniti di utilizzare tale base era stato firmato nel 1999 dal Presidente ecuadoriano dell’epoca, Jamil Mahuad, per un periodo di sei anni. Correa, che è diventato Presidente dell’Ecuador nel 2007 e che ha governato per 10 anni, ha detto in quello stesso anno che non avrebbe rinnovato il patto con Washington per l’uso della base aerea, che è stata poi smantellata.

Lucia Giannini
21 febbraio 2018
www.agcnews.eu/ecuador-quito-dice-no-alla-base-usa/
wheaton80
00venerdì 25 ottobre 2019 18:20
In Ecuador hanno vinto gli indigeni

Il movimento indigeno era stato chiaro: nessun accordo sarebbe stato possibile senza il ritiro delle misure anti-sociali disposte dal governo. “Non negozieremo con il sangue dei nostri fratelli”, aveva dichiarato la CONAIE, la Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador. E così, dopo 11 giorni di proteste popolari, e un bilancio ufficiale di 7 morti, 1.340 feriti e 1.152 persone arrestate, il Presidente Lenin Moreno ha fatto quello che in un primo tempo aveva tassativamente escluso: ha ceduto alla richiesta dei manifestanti. L’annuncio della deroga del decreto 883, con le sue misure di austerity raccomandate dal Fondo Monetario Internazionale, è arrivato domenica, nel corso dei negoziati tra governo e movimento indigeno, che erano cominciati nel pomeriggio con la mediazione delle Nazioni Unite e della Conferenza Episcopale. Un dialogo seguito a un’altra durissima giornata di manifestazioni e di implacabile repressione, ulteriormente complicata dal coprifuoco disposto a partire dal pomeriggio del sabato, quando migliaia di indigeni erano ancora in strada senza sapere dove rifugiarsi. A dare inizio ai colloqui era stato lo stesso Presidente, il quale aveva subito scagionato il movimento indigeno da ogni accusa di violenza, scaricando tutta la responsabilità sui sostenitori dell’ex Presidente Rafael Correa, e di nuovo, e senza fornire prove, sul Presidente venezuelano Nicolás Maduro.

E dunque rifiutandosi di ammettere la brutalità di cui hanno dato prova, ripetutamente e sistematicamente, le forze dell’ordine, anche nei confronti di anziani e bambini. Che poi i conti con il settore correista non siano affatto chiusi è risultato chiaro proprio ieri mattina, quando, malgrado l’accordo raggiunto con i manifestanti, le forze di sicurezza hanno invaso la casa di Paola Pabón, la Presidente della Provincia del Pichincha che comprende anche la capitale, e, dopo aver sfondato la porta, hanno proceduto ad arrestarla con l’accusa di istigazione ai saccheggi e agli atti di vandalismo commessi nel Paese. Con gli indigeni, al contrario, Moreno ha usato altre parole e altri toni:“Vi ho sempre trattato con rispetto e amicizia”, ha ribadito, proprio per marcare la distanza da Correa, il quale, benché eletto anche grazie ai voti indigeni, aveva finito per lanciare una dura offensiva contro la CONAIE, colpevole di contestare le politiche estrattiviste del suo governo. Proprio per questo, al momento dello scontro tra Moreno e il suo predecessore, il movimento indigeno si era schierato inizialmente con il primo, per poi chiarire, man mano che il nuovo governo tradiva le aspettative del suo elettorato, fino a ricadere nelle braccia degli USA e dell'FMI, di non stare “né con Moreno, né con Correa” e tantomeno, ovviamente, con Nebot e con Lasso, i due principali esponenti della destra ecuadoriana.

Così, alla presunta amicizia di Moreno, il Presidente della CONAIE Jaime Vargas ha risposto dicendosi “indignato” per la “violenza spropositata” scatenata contro il popolo (“Ho visto persone morire davanti ai miei occhi”), ribadendo come il ritiro del decreto fosse la condizione imprescindibile per giungere a un accordo. E non è stata più tenera la leader del popolo Sarayaku Mirian Cisneros, che ha inchiodato il Presidente alle sue responsabilità riguardo alla violenta repressione da parte delle forze di sicurezza:“Che le restino sulla coscienza”, ha affermato, “tutti i fratelli caduti in questa lotta”. Né i rappresentanti indigeni hanno risparmiato il governo rispetto all’accordo con il Fondo Monetario Internazionale:“Oggi si avverte chiaramente che è la destra, insieme all’FMI, ad amministrare il Paese”, ha detto Vargas rivolgendosi a Moreno, ma aprendo alla possibilità di “lavorare insieme a favore della prosperità, della giustizia sociale e del buen vivir”. Alla notizia del ritiro del decreto e della costituzione di una commissione bilaterale incaricata di elaborarne uno nuovo, migliaia di ecuadoriani sono scesi di nuovo in strada, ma stavolta per festeggiare. E a ragione. In tempi in cui c’è tanto poco di cui rallegrarsi, una battaglia vinta dal popolo non poteva certo non essere celebrata.

Claudia Fanti
15.10.2019
ilmanifesto.it/in-ecuador-hanno-vinto-gli-indigeni/
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