III. IL GRANDE ERRORE
III. IL GRANDE ERRORE
Sono in piedi davanti ad una specie di tribunale. La sala, gremita di pubblico, è immersa nel silenzio. Vedo dovunque volti severi. Rompendo la tremenda tensione che si è accumulata tra i presenti, il Segretario, aggiustandosi gli occhiali, prende un foglio di carta e annuncia solennemente: “Questo tribunale condanna l’imputato alla pena di morte”. Subito si leva uno schiamazzo. Chi applaude, chi disapprova. Riesco a vedere una donna che cade svenuta. Poi un funzionario riesce a imporre il silenzio.
Il Segretario mi fissa torvo, mentre mi domanda: “Ha qualcosa da dire?”. Gli rispondo di sì. Allora tutti si rimettono a sedere. Subito dopo chiedo un bicchiere d’acqua e, passata una certa agitazione nella sala, qualcuno me lo porge. Lo porto alle labbra e bevo un sorso. Concludo l’azione con un sonoro e prolungato gargarismo. Poi dico: “Ecco fatto!”. Uno del tribunale mi redarguisce aspramente: “Come sarebbe a dire, ecco fatto?”. Gli rispondo che è così, ecco fatto. In ogni modo, per farlo contento, gli dico che l’acqua del luogo è molto buona, chi l’avrebbe mai detto, e due o tre cosette gentili di questo tipo...
Il Segretario finisce di leggere il foglio di carta con queste parole: “... Di conseguenza, la sentenza verrà eseguita oggi stesso, lasciandolo in pieno deserto senza cibo né acqua. Soprattutto senza acqua. Ho detto!”. Gli rispondo con forza: “Come sarebbe a dire, ho detto?”. Inarcando le sopracciglia, il Segretario afferma: “Quello che ho detto ho detto!”.
Di lì a poco mi ritrovo nel deserto su un mezzo di trasporto, scortato da due pompieri. A un certo punto ci fermiamo ed uno di loro mi fa: “Scenda!”. Io scendo. Il mezzo gira e ritorna da dove era venuto. Lo vedo rimpicciolirsi sempre di più, a mano a mano che si allontana tra le dune.
Il sole sta tramontando, ma è sempre forte. Comincio ad avere una gran sete. Mi levo la camicia e me la metto sulla testa. Mi guardo attorno. Vedo nelle vicinanze un avvallamento accanto a delle dune. Mi dirigo da quella parte e mi metto a sedere nell’angusto spazio d’ombra proiettato dal pendio. L’aria è presa da un moto impetuoso e solleva una nube di sabbia che oscura il sole. Esco dall’avvallamento nel timore di venire seppellito se il fenomeno si accentuasse. I granelli di sabbia mi colpiscono la schiena nuda come raffiche vetrose di mitraglia. In breve tempo la violenza del vento mi butta a terra.
La tempesta è passata, il sole è tramontato. Nel crepuscolo scorgo davanti a me un emisfero biancastro, grande come un edificio di vari piani. Pur pensando che possa trattarsi di un miraggio, mi alzo e mi dirigo da quella parte. A brevissima distanza mi accorgo che la struttura è fatta di materiale chiaro, come una plastica rilucente, forse piena di aria compressa.
Mi riceve un tale vestito secondo l’usanza beduina. Entriamo in un tubo rivestito di tappeti. Scorre un pannello metallico ed allo stesso tempo mi investe un’aria fresca. Siamo all’interno della struttura. Vedo che tutto è alla rovescia. Si direbbe che il soffitto sia un pavimento piano, dal quale pendono diversi oggetti: tavoli rotondi con le zampe all’aria, acqua che cadendo in zampilli si incurva e risale e forme umane sedute in alto. Accorgendosi del mio stupore il beduino mi porge un paio di occhiali e mi dice: “Se li metta!”. Obbedisco e si ristabilisce la normalità. Di fronte a me vedo una grande fontana che emette getti d’acqua verticali. Ci sono dei tavoli e vari oggetti, squisitamente combinati tra loro nei colori e nelle forme.
Il Segretario mi si accosta camminando a quattro zampe. Dice di sentirsi orribilmente male di stomaco. Gli spiego che sta vedendo la realtà alla rovescia e che deve togliersi gli occhiali. Se li toglie, si alza in piedi sospirando e dice: “Effettivamente ora è tutto a posto, solo che ho la vista corta”. Poi aggiunge che mi stava cercando per spiegarmi che non sono la persona che doveva essere giudicata, che c’è stata una deplorevole confusione. Quindi, tutto a un tratto, esce da una porta laterale.
Faccio alcuni passi e trovo un gruppo di persone sedute in cerchio su grossi cuscini. Sono anziani di ambo i sessi, con caratteristiche razziali ed indumenti diversi. Hanno tutti dei bei visi. Ogni volta che uno di loro apre la bocca, ne escono suoni che sembrano di ingranaggi lontani, di macchine gigantesche, di immensi orologi. Ma posso anche sentire il rombo di tuoni intermittenti, lo scricchiolio dei massi, il distacco dei blocchi di ghiaccio, il ritmico ruggito dei vulcani, il breve impatto della pioggia gentile, il sordo agitarsi dei cuori; il motore, il muscolo, la vita... ma tutto questo armonico e perfetto, come se lo suonasse una orchestra di magistrale talento.
Il beduino mi porge degli auricolari dicendo: “Se li metta. C’è la traduzione”. Io me li metto e sento con chiarezza una voce umana. Mi rendo conto che si tratta della stessa sinfonia di uno di quei vecchi, tradotta per il mio maldestro udito. Adesso, mentre lui apre la bocca, io posso ascoltare: “Siamo le ore, siamo i minuti, siamo i secondi, siamo le diverse forme del tempo. Poiché con te è stato commesso un errore, ti daremo l’opportunità di ricominciare di nuovo la tua vita. Da dove vuoi ricominciarla? Forse dal momento della nascita... forse da un istante prima del tuo primo fallimento. Pensaci su”.(*)
Ho cercato di ricordare il momento in cui ho perduto il controllo della mia vita. Lo spiego al vecchio. (*)
“Benissimo,”- mi dice -“e come farai, se ritorni indietro a quel momento, a prendere una direzione differente? Pensa che non ricorderai quello che viene dopo”. “Ma esiste un’altra alternativa,”- soggiunge -“puoi tornare al momento del più grande errore della tua vita e, senza cambiare i fatti, puoi cambiarne i significati. In questo modo puoi rifarti una vita”.
Nel momento stesso in cui il vecchio tace, vedo che tutt’intorno a me si invertono luci e colori, come se si trattasse del negativo di una pellicola... finché tutto ritorna normale. Ma mi trovo nel momento del grande errore della mia vita. (*)
Sono lì, spinto a commettere l’errore. E perché sono costretto a farlo? (*)
Non ci saranno altri fattori che influiscono e che io non voglio vedere? A che cosa si deve l’errore fondamentale? Cosa dovrei fare, invece? Se non commetto quell’errore, cambierà l’impianto della mia vita e questa sarà migliore o peggiore? (*)
Cerco di convincermi che le circostanze che agiscono non possono essere modificate ed accetto tutto come un evento naturale: come un terremoto od un fiume che, straripando dal suo letto, distrugga il lavoro e le case degli abitanti. (*)
Mi sforzo di accettare il fatto che nelle calamità non ci sono colpevoli. Né la mia debolezza né i miei eccessi né le intenzioni altrui possono essere modificati in questo caso. (*)
So che se adesso non arrivo a una riconciliazione, la frustrazione continuerà a trascinarsi nella mia vita futura. Allora, con tutto il mio essere, perdono e mi perdono. Ammetto che quello che è successo sfugge al controllo mio e di chiunque altro. (*)
La scena comincia a deformarsi, mentre si invertono i chiaroscuri come in un negativo fotografico. Nello stesso tempo sento la voce che mi dice: “Se puoi riconciliarti con il tuo più grande errore, la tua frustrazione morirà ed avrai cambiato il tuo destino”.
Sono in piedi in mezzo al deserto. Vedo avvicinarsi un’auto. Grido: “Taxi!”. Subito dopo sono comodamente seduto sul sedile posteriore. Guardo l’autista che è vestito da pompiere e gli dico: “Mi porti a casa... senza fretta, così avrò il tempo di cambiarmi d’abito”. Penso: “Chi non ha subito qualche incidente nella vita?”.
III. Il grande errore
La scena dei pompieri come agenti ed esecutori della giustizia si ispira a Fahrenheit 451 di Bradbury. In questo caso, l’immagine è usata per creare un contrasto con la pena di morte per sete nel deserto. La stessa idea permette di sviluppare la situazione assurda di un giudizio in cui l’imputato, anziché scaricare la sua presunta colpa, “carica” la propria bocca con un sorso d’acqua.
Quando il Segretario conclude: “Quello che ho detto ho detto!”, altro non fa che adeguarsi alle parole di Pilato, richiamando quell’altro giudizio surreale.
I vecchi che personificano le ore si ispirano all’Apocalisse di Lawrence.
Il tema degli occhiali invertitori è molto noto nella psicologia sperimentale ed è stato citato, fra gli altri, da Merleau-Ponty ne La struttura del comportamento.