Esperienze Guidate

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Salidum
00martedì 7 agosto 2007 22:03
esperienze guidatate
Ecco a voi ciò che ho appreso nell'organizzazione "massonica" o setta che dir s voglia. L'autore è Silo e la casa editrice è la Multimage. L'associazione si chiama "Movimento Umanista":


NOTE A ESPERIENZE GUIDATE



Lo schema con il quale sono costruite le Esperienze Guidate è: 1) entrata ed ambientazione 2) aumento della tensione 3) rappresentazione del nucleo psicologico problematico 4) soluzione (o possibilità di soluzione) del nucleo problematico 5) diminuzione della tensione e 6) uscita in modo progressivo, in generale ripercorrendo le tappe precedenti. Quest’ultimo punto ci permette una specie di sintesi di tutta l’esperienza.
Gli asterischi (*) segnalano le pause in cui elaborare le proprie immagini.
Salidum
00martedì 7 agosto 2007 22:04
I. IL BAMBINO
I. IL BAMBINO


Cammino in aperta campagna. E’ mattina molto presto. A mano a mano che procedo mi sento sempre più sicuro e lieto.
Arrivo ad individuare una costruzione dall’aria antica. Sembrerebbe fatta di pietra. Anche il tetto a due spioventi sembra di pietra. Grandi colonne di marmo si stagliano sulla facciata. Giungo davanti all’edificio e vedo una porta in metallo che si direbbe piuttosto pesante. Ad un tratto, escono da un lato due animali feroci che mi si scagliano contro. Fortunatamente, sono trattenuti da catene ben tirate, a brevissima distanza da me. Non ho modo di raggiungere la porta senza che questi animali mi attacchino e così getto loro un cartoccio con della roba da mangiare. Le bestie la trangugiano e si addormentano.
Mi avvicino alla porta. La esamino. Non scorgo una serratura né un altro elemento atto ad aprirla. Comunque, spingo dolcemente e il battente si apre con un rumore metallico di secoli. Appare un ambiente molto lungo e debolmente illuminato. Non riesco a vederne il fondo. A destra ed a sinistra ci sono dei quadri che arrivano fino a terra. Sono grandi come persone. Ciascuno rappresenta una scena diversa. Nel primo alla mia sinistra si vede un uomo seduto a un tavolo, sul quale sono sparsi carte, dadi ed altri oggetti per il gioco. Resto ad osservare lo strano cappello che copre il capo del giocatore. Allora cerco di accarezzare il dipinto sulla parte del cappello, ma non avverto alcuna resistenza al tatto, mentre il mio braccio entra nel quadro. Introduco una gamba e poi tutto il corpo all’interno del quadro. Il giocatore solleva una mano ed esclama: “Un momento, non può entrare se non paga l’ingresso!”. Mi frugo addosso, tiro fuori una pallina di vetro e gliela porgo. Il giocatore fa un cenno d’assenso ed io passo di fianco a lui.
Mi trovo in un luna-park. E’ sera. Dappertutto vi sono giochi meccanici pieni di luce e movimento... però non c’è nessuno. Poi scorgo accanto a me un ragazzino di una decina di anni. Mi volge le spalle. Mi avvicino e, quando si volta a guardarmi, mi accorgo che sono io stesso quando ero bambino. (*)
Gli domando che cosa faccia lì e mi dice qualcosa che ha a che vedere con un’ingiustizia che gli hanno fatto. Scoppia a piangere ed io lo consolo, promettendogli di portarlo sulle giostre. Insiste a parlarmi di quell’ingiustizia. Allora, per riuscire a capirlo, provo a ricordare quale fu l’ingiustizia da me subita a quell’età. (*)
Ora ricordo e, per qualche ragione, mi rendo conto che somiglia a quella che subisco attualmente. Rimango lì a pensare, ma il piccolo continua a piangere. (*)
Allora gli dico: “Va bene, sistemerò questa ingiustizia che mi sembra di patire. E perciò comincerò a comportarmi in modo amichevole con le persone che mi creano questa situazione.” (*)
Vedo che il bambino ride. L’accarezzo e gli dico che ci rivedremo ancora. Mi saluta e se ne va tutto contento. Esco dal parco, passando accanto al giocatore che mi guarda di sbieco. Mentre passo gli tocco il cappello e lui mi strizza scherzoso l’occhio. Emergo dal quadro e mi trovo nell’ambiente lungo di prima. Allora, camminando a passi lenti, esco dalla porta. Fuori gli animali dormono. Passo in mezzo a loro senza provare timore.
Il giorno splendente mi accoglie. Ritorno attraverso i campi, con la sensazione di aver compreso una strana situazione le cui radici affondano in un tempo lontano. (*)

I. Il bambino
Il quadro attraverso il quale si entra nel luna-park si ispira alla prima carta dei Tarocchi. Si tratta della figura di un giocatore a cui si sono sempre associati l’inversione della realtà, la sparizione ed il trucco. E’ parente del prestigiatore e apre un filone di irrazionalità che permette di entrare nella dimensione del meraviglioso, propizio al ricordo infantile.
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Salidum
00mercoledì 8 agosto 2007 13:34
II. IL NEMICO
II. IL NEMICO

Mi trovo nel centro della città, nell’ora di punta. Gente e veicoli si muovono frenetici. Anch’io mi muovo frettolosamente.
All’improvviso tutto resta paralizzato. Io soltanto rimango in movimento. Allora mi metto a esaminare le persone. Mi soffermo a contemplare una donna e quindi un uomo. Giro loro intorno e li studio da vicino. Poi salgo sul tetto di un’auto e da lì mi guardo attorno, accorgendomi, tra l’altro, che vi è un silenzio totale. Rifletto un istante e mi rendo conto che persone, veicoli ed ogni genere di oggetti sono a mia totale disposizione. Immediatamente mi metto a fare tutto quello che mi passa per la testa, in modo così frenetico che di lì a poco mi sento estenuato. Mentre riposo mi vengono in mente altre attività, per cui mi rimetto a fare quello che mi pare senza la minima remora.
Ma chi non ti vedo! Niente meno che la persona con cui ho diversi conti in sospeso. Credo in effetti che sia quella che più mi ha danneggiato in tutta la vita... Poiché le cose non possono rimanere così, provo a dare una toccatina al mio nemico e vedo che riacquista qualche movimento. Mi guarda con orrore e capisce al volo la situazione ma è paralizzato e indifeso. Comincio a dirgli tutto quello che voglio, minacciando di prendermi subito la rivincita. So che sente tutto, ma non può rispondere, così comincio a ricordargli tutte le occasioni in cui mi ha fatto tanto soffrire. (*)
Mentre sono impegnato con il mio nemico, compaiono varie persone. Si fermano davanti a noi e cominciano ad infierire con domande sul malcapitato. Questi risponde fra le lacrime, dice di essere pentito per ciò che ha fatto. Chiede perdono e si inginocchia, mentre i nuovi arrivati continuano ad interrogarlo. (*)
Dopo un po’ dichiarano che una persona tanto infame non può continuare a vivere e lo condannano a morte. Stanno per linciarlo, mentre la vittima chiede clemenza. Allora io lo perdono. Tutti rispettano la mia decisione. Poi il gruppo si allontana in modo ordinato e noi restiamo di nuovo soli. Approfitto della situazione per completare la mia rivincita, di fronte alla sua crescente disperazione. Così finisco col dire e fare tutto quello che mi sembra giusto. (*)
Il cielo si oscura improvvisamente e comincia a piovere forte. Mentre cerco riparo dietro una vetrina, vedo che la città riprende la vita normale. I pedoni corrono, i veicoli procedono con cautela tra cortine d’acqua e raffiche di vento da uragano. Continui lampi carichi di elettricità e forti tuoni avvolgono la scena, mentre continuo a guardare attraverso i vetri. Mi sento del tutto rilassato, vuoto dentro, mentre guardo quasi senza pensare.
In quell’istante compare il mio nemico in cerca di un riparo dal temporale. Si avvicina e mi dice: “Che fortuna trovarsi insieme in una situazione come questa!”. Mi guarda timidamente. Lo riconforto con un colpetto sulla schiena, mentre si stringe nelle spalle. (*)
Comincio a passare in rassegna dentro di me i problemi dell’altro. Vedo le sue difficoltà, i fallimenti della sua vita, le sue enormi frustrazioni, la sua fragilità. (*)
Sento la solitudine di quell’essere umano che mi si rannicchia accanto tutto bagnato e tremante. Lo vedo sporco, in uno stato di patetico abbandono. (*)
Allora in un impeto di solidarietà gli dico che lo aiuterò. Lui non pronuncia una parola. Abbassa la testa guardandosi le mani. Mi accorgo che gli occhi gli si inumidiscono. (*)
La pioggia è cessata. Esco in strada e aspiro profondamente l’aria pulita. Poi mi allontano subito da quel luogo.



II. Il nemico
La “paralisi” che domina buona parte del racconto consente di ricreare delle situazioni in cui molte emozioni perdono peso proprio grazie al fatto che la dinamica delle immagini viene resa più lenta. E’ così che si può generare un clima di riconciliazione; inoltre chi “perdona” viene a trovarsi in una posizione di superiorità rispetto a chi in un altro momento controllava la situazione, vale a dire, l’“offensore”.
Salidum
00giovedì 9 agosto 2007 08:53
III. IL GRANDE ERRORE
III. IL GRANDE ERRORE

Sono in piedi davanti ad una specie di tribunale. La sala, gremita di pubblico, è immersa nel silenzio. Vedo dovunque volti severi. Rompendo la tremenda tensione che si è accumulata tra i presenti, il Segretario, aggiustandosi gli occhiali, prende un foglio di carta e annuncia solennemente: “Questo tribunale condanna l’imputato alla pena di morte”. Subito si leva uno schiamazzo. Chi applaude, chi disapprova. Riesco a vedere una donna che cade svenuta. Poi un funzionario riesce a imporre il silenzio.
Il Segretario mi fissa torvo, mentre mi domanda: “Ha qualcosa da dire?”. Gli rispondo di sì. Allora tutti si rimettono a sedere. Subito dopo chiedo un bicchiere d’acqua e, passata una certa agitazione nella sala, qualcuno me lo porge. Lo porto alle labbra e bevo un sorso. Concludo l’azione con un sonoro e prolungato gargarismo. Poi dico: “Ecco fatto!”. Uno del tribunale mi redarguisce aspramente: “Come sarebbe a dire, ecco fatto?”. Gli rispondo che è così, ecco fatto. In ogni modo, per farlo contento, gli dico che l’acqua del luogo è molto buona, chi l’avrebbe mai detto, e due o tre cosette gentili di questo tipo...
Il Segretario finisce di leggere il foglio di carta con queste parole: “... Di conseguenza, la sentenza verrà eseguita oggi stesso, lasciandolo in pieno deserto senza cibo né acqua. Soprattutto senza acqua. Ho detto!”. Gli rispondo con forza: “Come sarebbe a dire, ho detto?”. Inarcando le sopracciglia, il Segretario afferma: “Quello che ho detto ho detto!”.
Di lì a poco mi ritrovo nel deserto su un mezzo di trasporto, scortato da due pompieri. A un certo punto ci fermiamo ed uno di loro mi fa: “Scenda!”. Io scendo. Il mezzo gira e ritorna da dove era venuto. Lo vedo rimpicciolirsi sempre di più, a mano a mano che si allontana tra le dune.
Il sole sta tramontando, ma è sempre forte. Comincio ad avere una gran sete. Mi levo la camicia e me la metto sulla testa. Mi guardo attorno. Vedo nelle vicinanze un avvallamento accanto a delle dune. Mi dirigo da quella parte e mi metto a sedere nell’angusto spazio d’ombra proiettato dal pendio. L’aria è presa da un moto impetuoso e solleva una nube di sabbia che oscura il sole. Esco dall’avvallamento nel timore di venire seppellito se il fenomeno si accentuasse. I granelli di sabbia mi colpiscono la schiena nuda come raffiche vetrose di mitraglia. In breve tempo la violenza del vento mi butta a terra.
La tempesta è passata, il sole è tramontato. Nel crepuscolo scorgo davanti a me un emisfero biancastro, grande come un edificio di vari piani. Pur pensando che possa trattarsi di un miraggio, mi alzo e mi dirigo da quella parte. A brevissima distanza mi accorgo che la struttura è fatta di materiale chiaro, come una plastica rilucente, forse piena di aria compressa.
Mi riceve un tale vestito secondo l’usanza beduina. Entriamo in un tubo rivestito di tappeti. Scorre un pannello metallico ed allo stesso tempo mi investe un’aria fresca. Siamo all’interno della struttura. Vedo che tutto è alla rovescia. Si direbbe che il soffitto sia un pavimento piano, dal quale pendono diversi oggetti: tavoli rotondi con le zampe all’aria, acqua che cadendo in zampilli si incurva e risale e forme umane sedute in alto. Accorgendosi del mio stupore il beduino mi porge un paio di occhiali e mi dice: “Se li metta!”. Obbedisco e si ristabilisce la normalità. Di fronte a me vedo una grande fontana che emette getti d’acqua verticali. Ci sono dei tavoli e vari oggetti, squisitamente combinati tra loro nei colori e nelle forme.
Il Segretario mi si accosta camminando a quattro zampe. Dice di sentirsi orribilmente male di stomaco. Gli spiego che sta vedendo la realtà alla rovescia e che deve togliersi gli occhiali. Se li toglie, si alza in piedi sospirando e dice: “Effettivamente ora è tutto a posto, solo che ho la vista corta”. Poi aggiunge che mi stava cercando per spiegarmi che non sono la persona che doveva essere giudicata, che c’è stata una deplorevole confusione. Quindi, tutto a un tratto, esce da una porta laterale.
Faccio alcuni passi e trovo un gruppo di persone sedute in cerchio su grossi cuscini. Sono anziani di ambo i sessi, con caratteristiche razziali ed indumenti diversi. Hanno tutti dei bei visi. Ogni volta che uno di loro apre la bocca, ne escono suoni che sembrano di ingranaggi lontani, di macchine gigantesche, di immensi orologi. Ma posso anche sentire il rombo di tuoni intermittenti, lo scricchiolio dei massi, il distacco dei blocchi di ghiaccio, il ritmico ruggito dei vulcani, il breve impatto della pioggia gentile, il sordo agitarsi dei cuori; il motore, il muscolo, la vita... ma tutto questo armonico e perfetto, come se lo suonasse una orchestra di magistrale talento.
Il beduino mi porge degli auricolari dicendo: “Se li metta. C’è la traduzione”. Io me li metto e sento con chiarezza una voce umana. Mi rendo conto che si tratta della stessa sinfonia di uno di quei vecchi, tradotta per il mio maldestro udito. Adesso, mentre lui apre la bocca, io posso ascoltare: “Siamo le ore, siamo i minuti, siamo i secondi, siamo le diverse forme del tempo. Poiché con te è stato commesso un errore, ti daremo l’opportunità di ricominciare di nuovo la tua vita. Da dove vuoi ricominciarla? Forse dal momento della nascita... forse da un istante prima del tuo primo fallimento. Pensaci su”.(*)
Ho cercato di ricordare il momento in cui ho perduto il controllo della mia vita. Lo spiego al vecchio. (*)
“Benissimo,”- mi dice -“e come farai, se ritorni indietro a quel momento, a prendere una direzione differente? Pensa che non ricorderai quello che viene dopo”. “Ma esiste un’altra alternativa,”- soggiunge -“puoi tornare al momento del più grande errore della tua vita e, senza cambiare i fatti, puoi cambiarne i significati. In questo modo puoi rifarti una vita”.
Nel momento stesso in cui il vecchio tace, vedo che tutt’intorno a me si invertono luci e colori, come se si trattasse del negativo di una pellicola... finché tutto ritorna normale. Ma mi trovo nel momento del grande errore della mia vita. (*)
Sono lì, spinto a commettere l’errore. E perché sono costretto a farlo? (*)
Non ci saranno altri fattori che influiscono e che io non voglio vedere? A che cosa si deve l’errore fondamentale? Cosa dovrei fare, invece? Se non commetto quell’errore, cambierà l’impianto della mia vita e questa sarà migliore o peggiore? (*)
Cerco di convincermi che le circostanze che agiscono non possono essere modificate ed accetto tutto come un evento naturale: come un terremoto od un fiume che, straripando dal suo letto, distrugga il lavoro e le case degli abitanti. (*)
Mi sforzo di accettare il fatto che nelle calamità non ci sono colpevoli. Né la mia debolezza né i miei eccessi né le intenzioni altrui possono essere modificati in questo caso. (*)
So che se adesso non arrivo a una riconciliazione, la frustrazione continuerà a trascinarsi nella mia vita futura. Allora, con tutto il mio essere, perdono e mi perdono. Ammetto che quello che è successo sfugge al controllo mio e di chiunque altro. (*)
La scena comincia a deformarsi, mentre si invertono i chiaroscuri come in un negativo fotografico. Nello stesso tempo sento la voce che mi dice: “Se puoi riconciliarti con il tuo più grande errore, la tua frustrazione morirà ed avrai cambiato il tuo destino”.
Sono in piedi in mezzo al deserto. Vedo avvicinarsi un’auto. Grido: “Taxi!”. Subito dopo sono comodamente seduto sul sedile posteriore. Guardo l’autista che è vestito da pompiere e gli dico: “Mi porti a casa... senza fretta, così avrò il tempo di cambiarmi d’abito”. Penso: “Chi non ha subito qualche incidente nella vita?”.


III. Il grande errore
La scena dei pompieri come agenti ed esecutori della giustizia si ispira a Fahrenheit 451 di Bradbury. In questo caso, l’immagine è usata per creare un contrasto con la pena di morte per sete nel deserto. La stessa idea permette di sviluppare la situazione assurda di un giudizio in cui l’imputato, anziché scaricare la sua presunta colpa, “carica” la propria bocca con un sorso d’acqua.
Quando il Segretario conclude: “Quello che ho detto ho detto!”, altro non fa che adeguarsi alle parole di Pilato, richiamando quell’altro giudizio surreale.
I vecchi che personificano le ore si ispirano all’Apocalisse di Lawrence.
Il tema degli occhiali invertitori è molto noto nella psicologia sperimentale ed è stato citato, fra gli altri, da Merleau-Ponty ne La struttura del comportamento.
Salidum
00venerdì 10 agosto 2007 23:22
IV. LA NOSTALGIA
IV. LA NOSTALGIA

Le luci colorate scintillano al ritmo della musica. Ho davanti a me la persona che è stata il mio grande amore. Balliamo lentamente ed ogni flash mi rivela un dettaglio del suo viso o del suo corpo. (*)
Che cosa non ha funzionato tra noi? Forse il denaro. (*)
Forse quelle altre relazioni. (*)
Forse aspirazioni diverse. (*)
Forse il destino, o qualcosa di troppo difficile da definire allora. (*)
Ballo lentamente, ma adesso con la persona che è stata un altro mio grande amore.
Ogni flash mi rivela un dettaglio del suo viso o del suo corpo. (*)
Che cosa non ha funzionato tra noi? Forse il denaro. (*)
Forse quelle altre relazioni. (*)
Forse aspirazioni diverse. (*)
Forse il destino, o qualcosa di troppo difficile da definire allora. (*)
Io ti perdono e mi perdono, perché se il mondo balla intorno a noi e noi balliamo, che possiamo fare per le ferree promesse che erano farfalle dai colori cangianti?
Riscatto il buono ed il bello dello ieri con te. (*)
Ed anche con te. (*)
E con tutti coloro con i quali mi abbagliai gli occhi. (*)
Ah, certo! Il dolore, il sospetto, l’abbandono, l’infinita tristezza e le ferite dell’orgoglio sono il pretesto. Come sono piccoli vicino ad un fragile sguardo! Perché i grandi mali che ricordo sono errori di danza e non la danza stessa. Di te ringrazio il lieve sorriso. Di te il sussurro. E di tutti ringrazio la speranza di un amore eterno. Rimango in pace con il passato presente in me. Il mio cuore è aperto ai ricordi dei bei momenti. (*)
GMU
00sabato 11 agosto 2007 20:38
cosa dice Silo sulla cristianità? e su Gesù Cristo?
ringrazierò per la risposta.

[SM=g27823] Ciao.
Salidum
00domenica 12 agosto 2007 18:15
mi pare non si sia mai espresso esplicitamente...
Salidum
00mercoledì 15 agosto 2007 15:24
V. LA COPPIA IDEALE


Camminando in uno spazio aperto, destinato a esposizioni industriali, vedo capannoni e macchinari. Ci sono molti bambini ai quali sono destinati giocattoli meccanici di alta tecnologia.
Mi avvicino a un gigante fatto di materiale solido. Sta in piedi. Ha una grossa testa dipinta a colori vivaci. Una scala arriva fino alla sua bocca. Sulla scala si arrampicano i piccoli fino all’enorme cavità e, quando uno entra, questa si chiude dolcemente. Di lì a poco il bambino viene espulso dalla parte posteriore del gigante e scivola lungo un ottovolante che termina sulla sabbia. A uno a uno entrano ed escono, accompagnati dalla musica che sgorga dal gigante:
“Gargantua inghiotte i bambini con molta cautela, senza fargli male, oplà, oplà, con molta cautela, senza fargli male!”.
Mi decido a salire per la scala ed entrando nell’enorme bocca trovo un portiere che mi dice: “I bambini scendono con l’ottovolante ed i grandi con l’ascensore”.
L’uomo continua a dare spiegazioni mentre scendiamo lungo un tubo trasparente. Ad un certo punto gli dico che dovremmo già essere a livello del suolo. Lui risponde che siamo appena nell’esofago, perché il resto del corpo si trova sottoterra, a differenza del gigante infantile che è tutto in superficie. “Proprio così, ci sono due Gargantua in uno”, mi informa. “Quello dei bambini e quello dei grandi. Siamo a molti metri sotto il suolo... Abbiamo già passato il diaframma, presto arriveremo in un luogo molto simpatico. Guardi, ora si apre la porta del nostro ascensore, ci si presenta lo stomaco... vuole scendere qui? Come vede, è un ristorante moderno, dove vengono serviti piatti di ogni parte del mondo”.
Dico al portiere che mi incuriosisce il resto del corpo. Allora continuiamo a scendere. “Siamo già nel basso ventre” - annuncia il mio interlocutore aprendo la porta - “Ha una decorazione molto originale. Le pareti a colori cangianti sono delle caverne delicatamente tappezzate. Il fuoco centrale, nel mezzo del salone, è il generatore che fornisce energia a tutto il gigante. I sedili sono lì per dare riposo al visitatore. Le colonne, disseminate in punti diversi, consentono di giocare a nascondino... si può comparire e scomparire dietro di esse. E’ più bello se i visitatori che partecipano sono molti. Bene, la lascio qui se così desidera. Basterà che si accosti all’ascensore perché la porta si apra e possa ritornare alla superficie. Tutto è automatico... una meraviglia, non le pare?”
Si chiude la porta e rimango solo in quel luogo.
Ho l’impressione di trovarmi nel mare. Un grosso pesce passa attraverso di me per cui comprendo che i coralli, le alghe e le varie specie vive sono proiezioni tridimensionali che producono un incredibile effetto realistico. Mi siedo e resto a guardare senza fretta questo spettacolo rilassante. All’improvviso, vedo che dal fuoco centrale esce una figura umana con il viso coperto. Mi si avvicina lentamente. Fermandosi a breve distanza, dice: “Buongiorno, sono un ologramma. Gli uomini e le donne cercano di trovare in me la loro coppia ideale. Sono programmato per assumere l’aspetto che lei cerca, ma qual è questo aspetto? Io non posso fare niente senza un piccolo sforzo da parte sua. Ma se ci prova, le sue onde encefaliche saranno decodificate, amplificate, trasmesse e ricodificate di nuovo nel computer centrale, il quale le ricomporrà permettendomi così di tracciare la mia identità”.
“Allora, che devo fare?” - domando.
“Le raccomando - spiega - di procedere nel seguente ordine. Pensi a quali tratti comuni hanno le persone con le quali si è legato affettivamente. Non faccia riferimento soltanto al corpo ed alla faccia, ma anche al carattere. Per esempio: erano del tipo protettivo o, al contrario, ispiravano in lei il bisogno di dare loro protezione?” (*)
“Erano ardite, timide, ambiziose, menzognere, sognatrici o magari crudeli?” (*)
“E adesso qual è la cosa ugualmente sgradevole o riprovevole o negativa che avevano in comune?” (*)
“Quali erano i loro tratti positivi?” (*)
“In che cosa sono stati simili gli inizi di tutte queste relazioni?” (*)
“In che cosa è stata simile la loro fine?” (*)
“Cerchi di ricordare con quali persone ha desiderato avere rapporti, senza che però le cose andassero a buon fine e perché non hanno funzionato”. (*)
“Ora, attenzione, comincerò ad assumere le forme che lei vuole. Mi dia delle indicazioni ed io le eseguirò alla perfezione. Siamo pronti, dunque pensi: come devo camminare? Che vestiti indosso? Che cosa faccio esattamente? Come parlo? Dove siamo e che cosa facciamo?”
“Guarda il mio volto, così com’è!” (*)
“Guarda nella profondità dei miei occhi, perché ormai non sono più una proiezione, ma sono qualcosa di reale... Guarda in fondo agli occhi e dimmi dolcemente che cosa vedi in essi”. (*)
Mi alzo per toccare la figura ma essa mi evita, scomparendo dietro una colonna. Quando ci arrivo, mi rendo conto che si è dileguata. Però sento una mano che si appoggia dolcemente sulla spalla, mentre qualcuno dice: “Non guardare indietro. Ti deve bastare sapere che siamo molto vicini, tu ed io e che, grazie a ciò, le tue ricerche si chiariranno”.
Appena la frase termina mi volto per vedere chi mi sta accanto, ma riesco a scorgere soltanto un’ombra che fugge. In quell’istante il fuoco centrale crepita ed aumenta il suo fulgore fino ad abbagliarmi.
Mi rendo conto che la scenografia e la proiezione hanno creato l’ambiente propizio perché sorgesse l’immagine ideale. Questa immagine che è in me e che è arrivata a sfiorarmi, ma che per un moto incomprensibile di impazienza mi è scivolata tra le dita. So che mi è stata accanto e questo mi basta. So anche che il computer centrale non ha potuto proiettare un’immagine tattile come quella che ho sentito sulla spalla...
Raggiungo l’ascensore. La porta si apre ed in quel momento sento un canto infantile: “Gargantua inghiotte i grandi con molta cautela, senza fargli male, oplà, oplà, con molta cautela, senza fargli male!”.

V. La coppia ideale
L’immagine del gigante si ispira a Gargantua e Pantagruele di Rabelais. Il canto ricorda le feste dei Paesi Baschi e le canzoni che intonavano in corteo “giganti e nani dalle grosse teste”.
L’immagine olografica ricorda le proiezioni de La fine dell’infanzia di Clarke.
Il tema della ricerca e l’allusione al “non guardare indietro” rimandano alla vicenda di Orfeo ed Euridice nell’Ade.
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