Fu davvero BlackRock a ispirare il "cambio di scena" del 2011 in Italia?

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wheaton80
00martedì 14 luglio 2015 18:02

Il nuovo Limes (http://www.limesonline.com/) su “Chi ha paura del Califfo?” è in edicola, puntualissimo e subito ripreso da TV e social media. Meno attenzione è stata data al numero precedente dedicato a “Moneta e Impero” (l’impero del dollaro, naturalmente: www.limesonline.com/edicola/moneta-e-impero-il-sommario), che proponeva, fra gli altri, un pregevole pezzo su “BlackRock, il Moloch della finanza globale”: un “fondo di fondi” americano con 30mila portafogli e $ 4.100 miliardi di asset ($ 4.652 secondo l’ultimo dato SEC, dicembre 2014) che non solo non ha rivali al mondo, ma è una delle 4-5 ‘istituzioni’ che ricorrono tra i maggiori azionisti delle principali megabanche americane, come vedremo. E non solo di queste: era anche il maggior azionista di Deutsche Bank - la banca tedesca che nel 2011 ritirò per prima i suoi capitali investiti in titoli italiani, spingendo il nostro Paese sull’orlo del ‘baratro’ e nelle braccia del governo Monti - rivela Limes – nonché grande azionista delle prime banche italiane e di altre imprese. Sull’influenza politica della RocciaNera, non solo a Wall Street, ma nella stessa politica di Washington, insiste del resto l’articolo (di Germano Dottori, cultore di studi strategici alla Luiss). Ma chi è, cos’è BlackRock, a cui l'Economist ha dedicato una copertina? Come si colloca nel paesaggio finanziario globale?

Il contesto è quello della finanziarizzazione e globalizzazione dell’economia. Il valore complessivo delle attività finanziarie internazionali primarie è passato dal 50% al 350% del PIL globale dal 1970 al 2010, raggiungendo i $280mila miliardi – solo il 25% del quale legato agli scambi di merci. Mentre il valore nozionale dei ‘derivati’ negoziati fuori dalle Borse (Over The Counter) a fine giugno 2013 aveva raggiunto i 693mila miliardi di dollari. Una gran parte sono legati al mercato delle valute. E al Foreign Exchange Market, o Forex, si scambiano mediamente 1.900 miliardi di dollari al giorno. Fin qui Limes. La deregolamentazione galoppa, cominciata con Margaret Thatcher e Ronald Reagan, spinta dalle megabanche che inventano nuovi prodotti finanziari e puntano a eliminare ogni barriera così da rafforzare il loro primato e dilatare il loro dominio sul mondo, dove nuovi Paesi stanno velocemente emergendo. Nascono e prosperano gli hedge fund, i fondi a rischio speculativi, società di investimento, spesso collegati alle banche, innanzitutto anglosassoni. Nel 1986 la City londinese è del tutto deregolamentata. Due gli atti fondamentali, entrambi sotto la presidenza del Democratico Bill Clinton alla fine degli anni ’90 che portano a compimento la deregolamentazione neoliberista della finanza. Il secondo meno noto del primo:

A. L’abolizione del Glass-Steagall Act che dagli anni ’30 separava le banche commerciali dalle banche d’affari, voluto dal presidente F. D. Roosevelt per ridimensionare lo strapotere di Wall Street all’origine della Grande Crisi del 1929. La sua abolizione “fu come sostituire i forzieri delle banche con delle roulettes”, ironizza il giornalista investigativo Greg Palast.

B. La cancellazione simultanea da parte del WTO delle norme che in ogni Paese potevano ostacolare il trading dei derivati, il nuovo gioco ad alto rischio a cui le megabanche volevano assolutamente giocare, la gallina dalle uova d’oro. L’abolizione di ogni controllo sui derivati che aprì i mercati a quei prodotti contrattati ‘fuori Borsa’, compresi gli asset tossici, la decise per tutti il World Tradig Organization – egemonizzata dagli USA, che di solito si occupa di scambi di merci – su impulso dell’allora segretario al Tesoro Larry Summers e delle principali megabanche, che vennero persino invitate a fare lobby in vista del voto decisivo (qui Palast con l’appunto dell’assistente di Summers, il futuro segretario al Tesoro Tim Geithner: www.vice.com/en_uk/read/larry-summers-and-the-secret-end-gam...

Blackrock nasce e cresce in questo clima (torniamo a Limes). Basata a New York, comincia a operare nel 1988, autonoma nel 1992, subito protagonista nella finanza internazionale. Passo dopo passo. Con “una sapiente strategia di dilatazione delle attività che l’ha portata ad acquisire posizioni ovunque le interessasse, comprando piccoli quantitativi di azioni in banche e imprese”. Piccoli ma crescenti. “Entrando nel mercato sia dei venditori di assets sia degli acquirenti di attività, fino a gestire $4.100 miliardi – $ 4.652 è l’ultima cifra ufficiale – di azioni, obbligazioni, titoli pubblici, proprietà: pari al PIL di Francia + Spagna”. Più del doppio del PIL italiano. E ‘fa politica’:

A. Entra nel capitale di due delle maggiori agenzie di rating, Standard & Poor’s (5,44%) e Moody’s (6,6%), ottenendo la possibilità di influire sulla determinazione di titoli sovrani, azioni e obbligazioni private e di poter incidere su prezzo e valore delle attività che essa stessa acquista o vende.

B. Comincia a operare nell’analisi del rischio e nella vendita di ‘soluzioni informatiche’ per la gestione di dati economici e finanziari e diventa il comparto n. 1 del suo business, elaborando dati che - a differenza di quelli delle agenzie di rating - “incorporano anche pesanti elementi politici”, scrive Limes.

C. Sfrutta la crisi del 2007-2008 sia per rafforzarsi sia per accreditarsi presso il potere politico americano. Nel 2009 il Segretario al Tesoro Geithner prima consulta la Roccia Nera, poi le chiede di valutare e prezzare gli asset tossici di una serie di istituti come Bear Stearns, AIG, Morgan Stanley. Compiti che BlackRock esegue, “agendo alla stregua di una sorta di IRI privato”. Nel 2009 fa anche un colpo grosso, acquistando Barclays Investment Group, col suo carico immenso di partecipazioni azionarie nelle principali multinazionali.

D. “Sviluppa la capacità di informare, formare e se nel caso manipolare i propri clienti, utilizzando tecniche e software non diversi da quelli impiegati da Google (di cui ha il 5,8%) o dalla NSA per sondare gli umori della gente”. Si serve della piattaforma Aladdin, almeno 6.000 computer in 12 siti più o meno segreti, 4 dei quali di nuova concezione, ai quali si rapportano 20.000 investitori sparsi per il mondo”.

E. Crea un centro studi d’eccellenza, il BlackRock Investment Institute, che elabora analisi qualitative che tengono in considerazione anche variabili politico-strategiche (esempi). Sempre più “grande fondo di investimento interessato al profitto ma anche alla stabilità, sicurezza e prosperità degli Stati Uniti”, sottolinea Limes. Spende in lobbying 1 milione di dollari l’anno, aggiungiamo.

Il fondatore e leader Larry Fink “non fa mistero di essere un fervente democratico” e in buoni rapporti col presidente Obama, scrive il post ma, secondo altre fonti, in realtà Fink frequenterebbe circoli prediletti da repubblicani neoconservatori. E’ ‘Il più importante personaggio della finanza mondiale’ ma, nonostante questo, ‘virtualmente uno sconosciuto a Manhattan’ (Vanity Fair, citato da Europa quotidiano).

Blakrock e gli eventi italiani del 2011
Il super-fondo “svolse probabilmente un ruolo molto importante nel precipitare la crisi del debito sovrano italiano che travolse nel 2011 il governo presieduto dal governo Berlusconi. Lo spread fra Bund tedeschi e i nostri BTP iniziò infatti a dilatarsi non appena il Financial Times rese noto che nei primi sei mesi di quell’anno Deutsche Bank aveva venduto l’88% dei titoli che possedeva per 7 miliardi di euro”. Così Limes:“Molti videro un attacco al nostro paese ispirato da Berlino e dai poteri forti di Francoforte, aggiunge”, citando articoli di allora. Probabilmente non era così.

L’articolo rivela infatti che il potente istituto di credito tedesco aveva allora un azionariato diffuso, e il 48% del capitale sociale era detenuto fuori dalla Repubblica Federale, e il suo azionista più importante era proprio BlackRock con il 5,1% (peraltro oggi la Roccia Nera detiene in Deutsche Bank una quota ancor maggiore, il 6,62% - è il maggior azionista seguito da Paramount Service Holdings, basato alle Isole Vergini Britanniche, al 5,8%, dati ufficiali del dicembre 2014, www.db.com/ir/en/content/shareholder_structure.htm - alla pari con una fondazione di Panama e l’ex Primo Ministro del Qatar, riferiva la SEC americana a giugno - www.sec.gov/Archives/edgar/data/1159508/000114036114025259/formsc... Qui un quadro più aggiornato e articolato ma che sembra coincidere solo in parte - investors.morningstar.com/ownership/shareholders-overview.htm...

“Si può escludere che il fondo non abbia avuto alcuna parte in una decisione tanto strategica come quella di dismettere in pochi mesi quasi tutti i titoli del debito sovrano di un paese dell’UE? Se attacco c’è stato non è detto che sia stato perpetrato dalle autorità politiche ed economiche della Germania”, sostiene il post, sottolineando l’opacità dei mercati finanziari.

“E’ un fatto – continua - che a picchiare più duramente contro i nostri titoli a partire dall’autunno 2011 siano proprio Standard & Poor’s e Moody’s, piuttosto che Fitch (la terza agenzia di rating)”. Un’ipotesi interessante, quella di Limes. Che getta una luce nuova su tanta parte della narrazione di questi anni sulla Germania, l'Europa e i PIIGS, a partire dalle polemiche di quell'agosto bollente, con Merkel e Sarkozy fustigati da Giuliano Amato sul Sole 24 Ore (http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-08-21/rompuy-batti-colpo-144400_PRN.shtml) - Amato che in quel 2011 era fra l'altro senior advisor proprio di Deutsche Bank (e chissà che senza la decisione di Deutsche Bank di vendere i titoli di Stato di Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna, la tempesta finanziaria non sarebbe iniziata). Un'ipotesi realistica, che apre altri interrogativi, sugli intrecci fra potere finanziario e politico, sul “potere sovrano” degli Stati, anche della potente Germania. E sulla composizione azionaria di questi istituti - banche varie, fondi, superfondi: di chi sono? Chi decide che cosa, al di là dei luoghi comuni ripetuti dalle narrative ufficiali? Proviamo solo ad aprire qualche spiraglio qua e là. Cominciando dalla banca tedesca. L’anglo-americanizzazione di Deutsche Bank e la trasformazione dell' istituto, nato nel 1870, da banca che storicamente ha per missione il finanziamento dell’industria a banca che genera metà dei suoi profitti dal trading di derivati, valute, titoli, cartolarizzazioni, è storia non troppo lontana. Risale a quando, col crollo dell’URSS, l’attenzione della finanza angloamericana si concentra sull’Europa. E avviene a seguito di misteriosi omicidi. Alfred Herrhausen, Presidente della banca e consigliere fidato del Cancelliere Kohl, aveva in mente uno sviluppo della mission tradizionale e stilò addirittura un progetto di rinascita delle industrie ex comuniste, in Germania, Polonia e Russia.

Andò persino a parlarne a Wall Street. Venne improvvisamente freddato fuori dalla sua villa, a fine 1989. Si disse dalla RAF, magari invece dalla Stasi, come qualcuno scrisse, o da altri. Stessa sorte tocca al suo successore, un altro economista che si era opposto alla svendita delle imprese ex comuniste elaborando piani industriali alternativi alla privatizzazione. Ucciso nel 1991 da un tiratore scelto. Dopo di lui, alla Deutsche Bank - alla sua sede londinese - arriva uno squadrone di ex Merril Lynch, compreso il capo, che ne diventa Presidente, riorganizzando tutto in senso ‘moderno’; anche troppo? La banca deve portare sfortuna, perché anch’egli muore, a soli 47 anni, in uno strano incidente del suo aereo privato. Va meglio al suo giovane braccio destro, Anshu Jain, un indiano, jainista, passaporto britannico, cresciuto professionalmente a New York, tutt’oggi Presidente della banca, diventata prima al mondo per quantità di derivati, spodestando JP Morgan: è esposta per 55.000 miliardi, 20 volte il PIL tedesco, a fronte di depositi per 522 miliardi.

Lo scontro col potere politico
“Quanto è pericoloso il potere di mercato delle maggiori banche di investimento?”. Se lo chiedeva due anni fa lo Spiegel (http://www.spiegel.de/international/business/megabanks-like-deutsche-bank-gaining-power-despite-cartel-fines-a-937880.html), riportando un durissimo scontro fra Deutsche Bank e il Ministro tedesco dell’Economia Wolfgang Schäuble. Scriveva il settimanale:“Un pugno di società finanziarie domina il trading di valute, le risorse naturali e i prodotti a interesse. Migliaia di investitori comprano, vendono, scommettono. Ma le transazioni sono in mano a un club di istituti globali come Deutsche Bank, JP Morgan, Goldman Sachs. Quattro banche maneggiano la metà delle transazioni di valute: Deutsche Bank, Citigroup, Barclays e UBS.

Blackrock compra in Italia (o l’Italia?)
“Un’altra ragione che dovrebbe farci prestare attenzione alla Roccia Nera è che ha messo radici in molte realtà imprenditoriali nel nostro Paese”, scrive Limes. “Si sta comprando l’Italia”, titolava più spiccio Europa Quotidiano (http://www.europaquotidiano.it/2014/03/19/chi-ce-dietro-blackrock-il-fondo-usa-che-si-sta-comprando-litalia/), quando un certo allarme si spargeva nel Bel Paese (http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2014/06/12/news/blackrock-il-piu-grande-fondo-al-mondo-cosi-funziona-il-colosso-da-4mila-miliardi-1.169113). A fine 2011 la Roccia aveva il 5,7% di Mediaset, il 3,9% di Unicredit, il 3,5% di Enel e del Banco Popolare, il 2,7% di Fiat e Telecom Italia, il 2,5% di Eni e Generali, il 2,2% di Finmeccanica, il 2,1% di Atlantia (che controlla autostrade) e Terna, il 2% della Banca Popolare di Milano, Fonsai, Intesa San Paolo, Mediobanca e UBI. E oggi? Molte di queste quote sono cresciute e BlackRock è ormai il primo azionista di Unicredit col 5,2%, il secondo azionista di Intesa-SanPaolo col 5%. Al 5% anche la partecipazione di Atlantia, al 9,4% sarebbe quella di Telecom. “Presidi strategici che permetteranno a BlackRock di posizionarsi al meglio in vista delle privatizzazioni prossime venture invocate da molti ‘per far scendere il debito’”, scrive Limes. La nuova ondata, dopo quella del 1992-93 a prezzi di saldo, seguita alla brutale speculazione sulla lira che ne aveva tagliato il valore del 30%? La Grecia c’è già dentro, ma resiste. La crisi dei PIIGS a che altro serve se no? Non è il solo. Aggiungiamo che State Street Corporations, un altro colosso americano, non un fondo di investimenti ma una storica ‘banca di custodia’ basata a Boston, che nel 2003 aveva acquistato la divisione Securities di Deutsche Bank, nel 2010 ha comprato l’attività di “banca depositaria” di Intesa SanPaolo (custodia globale, controllo di regolarità delle operazioni, calcoli, amministrazione delle quote dei fondi e di servizi ausiliari come gestione dei cambi e del prestito di titoli - www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2010-05-20/state-street-italia-scelta-085500_PRN...

Blackrock e gli intrecci con le megabanche
La Roccia Nera di chi è, chi sono i suoi azionisti principali? Cercando nel web ci si ritrova in un labirinto di scatole cinesi, un terreno opaco e cangiante. Azionista n. 1 di BlackRock, nel prospetto di Yahoo Finanza (https://finance.yahoo.com/q/mh?s=BLK+Major+Holders, il più chiaro, dicembre 2014) col 21,7% è PNC Financial Services Group Inc., antica banca di Pittsburg, la quinta per grandezza negli USA, pur meno nota. PNC era proprietaria della Roccia Nera fino al 1999, racconta Bloomberg (parla di PNC e Bank of America che ne vendono quote, novembre 2010). Azionisti n. 2 e 3 sono Norges Bank, la Banca Centrale di Norvegia, e Wellington Management Co., altro fondo di investimenti, di Boston (2.100 investitori istituzionali in 50 paesi, $ 869 miliardi di asset, investimento minimo $ 5 milioni, per dire). Poi però tra gli azionisti ‘istituzionali’ - i più rilevanti - troviamo State Street Corporation, FMR-Fidelity e Vanguard Group (ancora una società di investimenti, gestisce $ 3000 miliardi di assets), fondata nel 1977 dal Presidente di quella Wellington a cui appare legata in varie combinazioni. Le stesse quattro società Vanguard, BlackRock, State Street e FMR-Fidelity, con Wellington, sono gli unici azionisti istituzionali di PNC! Non solo.

I magnifici quattro

Queste quattro società si ritrovano con varie quote fra gli azionisti delle principali megabanche. I “Big Four” li chiamava un post in cui ci siamo imbattuti tempo fa, riproposto negli ultimi anni da vari blog. Un titolo di sapore complottista (“Le grandi famiglie che governano il mondo”) e la scoperta che era apparso nel 2011 anche su Pravda.ru (http://english.pravda.ru/business/finance/18102011/119355The_Large_Families_that_rule_the_world-0/), induceva ai peggiori sospetti. Scansando i pregiudizi abbiamo fatto delle verifiche. Ebbene, i Big Four effettivamente costituiscono un nucleo sempre presente nelle maggiori banche ‘sistemiche’. Non solo nelle prime quattro – JP Morgan, Bank of America, Citigroup, Wells Fargo - ma anche in banche d’affari come Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank of NY Mellon. Le stesse State Street, Vanguard, BlackRock e FMR-Fidelity, che non sono propriamente banche, tranne la prima, sembrano possedersi a vicenda. A ricorrere all’azionariato istituzionale di questi istituti ci sono anche altre società e banche, ma i magnifici quattro non mancano mai. Neppure nella compagine azionaria di Moody’s e di Standard & Poor’s (del gruppo Mc GrawHill che la controlla, dove tra i 4 spicca FMR-Fidelity - investors.morningstar.com/ownership/shareholders-major.html?... In America e anche in Europa, a quanto pare.

Barclays, per esempio. Prendiamo Barclays, la megabanca britannica che risale al 1690 (tra i suoi azionisti, accanto ai soliti BlackRock, Vanguard, e a Capital Research & Management, ce n’è uno speciale, col 6,18%: Qatar Holding LLC, sussidiaria del fondo sovrano qatariano, specializzata in investimenti strategici. La stessa holding qatariana è anche maggior azionista di Credit Suisse, seguita dall’Olayan Group dell'Arabia Saudita, che ha partecipazioni in una caterva di società di ogni genere, mentre nell’altra megabanca elvetica, UBS, si ritrova BlackRock, una sussidiaria di JP Morgan, una di Singapore e la Banca di Norvegia di cui sopra, ma non divaghiamo troppo).

Ebbene, Barclays Investment Group compariva tra i grandi azionisti di BlackRock, e viceversa, ma prima della crisi del 2008. Dopo, non più, almeno in apparenza. Così racconta un post di Global Research di Matthias Chang (http://www.globalresearch.ca/who-controls-big-money-the-barclay-s-octopus/21392), che propone tabelle interessanti che mostrano come nel 2006 ‘Barclays Octopus' - come la chiamava il post - fosse davvero la piovra che allarga i suoi tentacoli ovunque. Insieme alla sua alleata State Street. Barclays IG era tra i maggiori azionisti di 10 grandi banche (n.1 di Bank of America, n.2 di Wells Fargo, n.3 di Wachovia, e poi JP Morgan, Bank of New York Mellon, ecc…, mentre State Street era in buona posizione in 7 di queste). Presente poi nell’azionariato di banche d’affari (da Goldman Sachs a Merril Lynch, Morgan Stanley, più Lehman e Bear Sterns, poi stritolate dalla crisi). Nonché presente in un lungo elenco di multinazionali di ogni genere americane ed europee, compresi i grandi contractors della Difesa, senza dimenticare le miniere, di ogni genere. Dopo la crisi, che ha parecchio rimescolato le carte dell’élite finanziaria dell’1%, concentrandola ulteriormente, il paesaggio muta. Barclays Global Investors, comprata nel 2009 da BlackRock (questo post indica la Roccia Nera come salvatore di un fondo in fallimento – SIV - dietro il quale allude ci fosse BGI) sparisce dalle tabelle. Ricorrono invece i “Magnifici Quattro”, come abbiamo verificato anche noi. In ascesa in particolare State Street – segnala il post - che ha scalzato l’alleato con $ 19.000 miliardi di assets in custodia e amministrati, e $ 1,9 in gestione. BlackRock, che nel 2006 aveva appena svoltato il trilione di $ di assets, dal 2010 al 2014 cresce ancora fino a $ 4.600 miliardi. In ascesa anche Vanguard Group (anche in Deutsche Bank). E’ solo un pezzetto del mosaico, la punta dell’iceberg, avvisa il post. E invita a riflettere sugli spostamenti, a “seguire i soldi”, come si dice in gergo poliziesco, e a “esaminare i giocatori”. Chi c’è dietro? “Scopritelo voi, se lo scrivessi io passerei per un cospirazionista”.

Privatizzare/acquisire i beni degli indebitati

Senza dilungarci ulteriormente, segnaliamo che, attraverso il crescente indebitamento degli Stati, queste megabanche e/o superfondi, collegati già ad azionisti di multinazionali, stanno entrando nel capitale di controllo di un numero crescente di banche, imprese strategiche, porti, aeroporti, centrali e reti energetiche. Solo per bilanciare l’espansione dei Cinesi? Un processo che va avanti da anni, accelerato molto dalla “crisi” del 2007-2008 e dalle politiche controproducenti come l’austerità, che sempre più si rivela una scelta politica. Evidentissimo nei Paesi del Sud Europa, Grecia in testa, ma presente anche altrove e negli stessi Stati Uniti, come segnalato a varie riprese dal blogger Matt Taibbi (http://www.rollingstone.com/politics/news/the-vampire-squid-strikes-again-the-mega-banks-most-devious-scam-yet-20140212) e dall’economista americano (‘di sinistra’) Michael Hudson - titolo di un post/intervista del 2011, "Greece now, US soon", mentre l’ultimo s’intitola Greece: Austerity for the bankers” (http://michael-hudson.com/2015/02/greece-austerity-for-the-bankers/), un'intervista ("Non è la Germania contro la Grecia. E’ la guerra delle banche nei confronti del lavoro. La continuazione del thatcherismo e del neoliberismo"). Del resto nel 2011 la rivista scientifica New Scientist (https://www.newscientist.com/article/mg21228354.500-revealed--the-capitalist-network-that-runs-the-world/#.VQhqHGZ7k6U), traendo spunto da un vasto e serissimo studio svizzero sulla concentrazione dell’economia globale (con dati del 2007 però) raccontava che 147 corporations controllano il 40% dell’economia globale ed elencava le prime 50, la maggioranza delle 20 al top erano banche.

Maria Grazia Bruzzone
13/04/2015
www.lastampa.it/2015/04/13/blogs/underblog/fu-davvero-blackrock-a-ispirare-il-cambio-di-scena-del-in-italia-ej5SJuX0LL9ZyFoWYPOmbL/pag...
wheaton80
00lunedì 7 maggio 2018 22:42
Cos’è davvero Blackrock: la roccia invisibile che governa il mondo

Tutti hanno sentito parlare almeno una volta di Goldman Sachs, la potente banca d’investimento americana, da decenni dentro agli affari europei. Ma pochi conoscono Blackrock, oggi la più grande società d’investimento al mondo, con un patrimonio gestito di 6.3 trilioni di dollari, il PIL di Francia e Spagna messi insieme, quasi tre volte il nostro debito pubblico. La roccia nera deve la sua fortuna alla gestione patrimoniale: fondi pensione, banche, Stati, risparmiatori come noi, sono i suoi clienti. E siccome gestisce i soldi degli altri, è discreta, non si vede, dice che non bisogna regolamentarla come una banca. Eppure è il primo investitore straniero in Europa (e in Italia), azionista di peso in banche come la Deutsche Bank, Intesa San Paolo, BNP, ING, azionista rilevante anche nei settori di energia, chimica, trasporti, agroalimentare, aeronautica, immobiliare, dove vota regolarmente nelle assemblee generali, con una quota importante di voti. E detiene anche un grosso volume di bond di debito pubblico. Blackrock è come il wifi, invisibile, eppure presente. Il suo fondatore e Amministratore Delegato, Larry Fink, è uno degli uomini più influenti al mondo: la rivista americana Fortune lo mette quest’anno all’ottavo posto dei più «grandi leader», dopo Bill Gates e prima di Emmanuel Macron. Quando viene in Europa, questo ex trader californiano, viene ricevuto come un capo di Stato, che vada a Roma a incontrare Renzi (nel 2014), a Parigi da Emmanuel Macron, all’AIA da Marc Rutte. In America Fink è ben conosciuto, ospite fisso dei programmi finanziari di Fox, CNN, CNBC. Da noi non è ancora una star del grande pubblico, anche se una scelta di mercato di Blackrock o un suo commento politico possono cambiare l’andamento dei mercati e degli spread. La grande fortuna della roccia nera, nata solo trent’anni fa (1988), viene dai fondi passivi, gli ETF, o exchanged traded funds, 72% del suo portafoglio. I fondi passivi non sono nuovi, ma nell’ultimo decennio sono letteralmente esplosi, occupando oggi il 40% del totale delle azioni nel mondo, con Blackrock leader assoluto di questo settore. La ragione principale del loro boom è che costano poco, 0.2% del valore investito, un decimo circa rispetto ai costi di un fondo attivo. Ma mentre un fondo attivo è gestito da manager che cercano di migliorarne il risultato, un ETF va in automatico e copia come un clone il valore di un indice di borsa (MIB a Milano, CAS 40 a Parigi, DAX 30 a Francoforte o FTSE 100 a Londra). Se le azioni dell’indice vanno su, sale anche il valore dei fondi Blackrock, se l’indice perde valore, scendono anche i fondi passivi. Questo spiega il successo di Blackrock, soprattutto negli anni della crisi, dal 2008-2009 in poi.

I rendimenti dei fondi attivi cominciavano a diminuire e la gente aveva sempre meno soldi da investire. Blackrock è diventato l’Uber della finanza: poco caro e a portata di tutti. Ma c’è di più. Oltre ai fondi, Blackrock cresce anche grazie al successo del suo software per la gestione del rischio, Aladdin (Asset, Liability, Debt and Derivative Investment Network). Sviluppato da Larry Fink per proteggere la società da cattivi investimenti, Aladdin è ormai venduto in 50 Paesi, analizza 30mila portafogli, anche concorrenti di Blackrock, come la francese BNP Paribas, il fondo britannico Schroders e tante grosse banche e assicurazioni. Gli utilizzatori parlano di un piccolo genio, proprio come quello della lampada di Aladino, che riceve i dati sensibili di una banca (la sua contabilità, i collocamenti nel mercato) e calcola in tempo reale il rischio di ogni operazione. Secondo il Financial Times Aladdin gestisce 250.000 operazioni ogni giorno per un capitale di 20mila miliardi di dollari, una montagna di dati che i server di Blackrock accumulano sui cloud della società. Larry Fink ha promesso di portare il fatturato di Aladdin dal 7% del totale di Blackrock oggi, al 30% nei prossimi cinque anni. E non finisce qui. Blackrock indossa tanti cappelli. In Europa si è fatta conoscere nei giorni bui della crisi economica quando la Troika (Fondo Monetario Internazionale, Commissione e Banca Centrale Eguropea) pretese che la società americana studiasse i conti delle banche a rischio fallimento. In Irlanda e Grecia, ma poi anche a Cipro e in Spagna e più recentemente in Olanda, la società americana è stata chiamata a studiare i portafogli delle banche e in particolare la qualità dei crediti deteriorati o a effettuare stress test sulle stesse banche e a proporre una ristrutturazione di alcuni istituti di credito. Nonostante Blackrock sia anche la maggiore azionista di molte di queste banche. In Irlanda, solo otto mesi dopo aver consigliato il governo su come ristrutturare quattro banche, la roccia nera ha comprato il 3% della Bank of Ireland, una di quelle salvate. Blackrock è molto benvoluta anche dalla Banca Centrale Europea, che per due volte l’ha chiamata come advisor, l’ultimo contratto nel 2016 per preparare gli stress test di 39 grosse banche europee. Banche dove, ancora una volta, Blackrock è azionista di primo piano.

Conflitto d’interessi, vantaggi sul mercato, quando si è così vicini alle istituzioni? No, dichiara con fermezza la roccia nera: all’interno delle filiali di Blackrock esistono delle vere e proprie muraglie cinesi, che impediscono ai dipendenti di parlarsi e scambiarsi informazioni confidenziali. Anche se molti esperti dicono che a un certo livello molto alto di management, la parte advising si riunisce con quella di investitore e di controllore, intorno a uno stesso tavolo. Ma chi controlla Blackrock? Questo non è un tema nell’agenda dei governi europei. E’ piuttosto il contrario: il colosso americano viene assunto dai governi per controllare altre società. Come nel caso recente dell’Irlanda, che nel marzo del 2018 ha chiamato Blackrock per gestire un fondo di 14 miliardi di euro, illegalmente ricevuti, secondo la Commissione Europea, dalla Apple, come aiuti di Stato. E così la società di Larry Fink, che possiede 52 miliardi di azioni Apple (Blackrock è il secondo maggiore azionista in Apple dopo l’altro asset manager Vanguard), sta analizzando la sua stessa pancia per consigliare al meglio il governo di Leo Varadkar, in attesa che la disputa con la Corte di Giustizia Europea (tra Stato irlandese e Commissione) termini. Il board di Blackrock è ben cosciente del peso e dell’influenza che la società, per quanto gestisca i soldi degli altri, esercita a livello planetario. Il 16 gennaio scorso Larry Fink ha scritto una lettera ai CEO delle società dove Blackrock è azionista, chiedendo loro di avere uno “scopo sociale”, “non concentrarsi solo sulle performance finanziarie”. “Molti governi sono impreparati ad affrontare il futuro”, dice Fink nella sua lettera, e quindi “la società si rivolge sempre di più al settore privato”. Poi la missione per ogni società:“Ogni azienda deve dimostrare di aver fornito un contributo positivo alla società, a beneficio di tutti, azionisti, dipendenti, clienti..”. Che succede, il volto della finanza sta cambiando? Un insieme di fondi passivi vuole ora salvare il mondo? Intanto, dal gennaio del 2017, il titolo Blackrock è aumentato del 40%.

Nota
Blackrock non ha voluto rispondere alle domande di Investigate-Europe, né con interviste né con risposte scritte.

Maria Maggiore (Investigate-Europe - Corriere TV)
7 maggio 2018
www.corriere.it/videoarticoli/2018/05/07/cosdavveroblackrockrocciainvisibilechegovernamondo/2a7fb442-51d8-11e8-b9b9-f5c6ed5dbf...
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