Germania, il boom degli anti euro spaventa la Merkel

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wheaton80
00martedì 16 settembre 2014 11:08

Il partito anti-euro Alternative fur Deutschland (Afd) ha sbancato alle regionali oggi in Turingia e Brandeburgo facendo l'ingresso trionfale nei rispettivi parlamenti con oltre il 10%, da zero da cui partiva non essendosi presentata alle precedenti elezioni. Avendo sempre escluso alleanze con la Alternative fur Deutschland ed essendo sempre stata la politica della Cdu quella di non tollerare partiti alla propria destra, per la cancelliera lo scenario politico si fa critico. Alle politiche del settembre del 2013 l'Alternative fur Deutschland aveva mancato per un soffio l’ingresso al Bundestag rimanendo di poco sotto lo sbarramento del 5%. Oggi la svolta. In Turingia la Alternative fur Deutschland del leader Bernd Lucke, un economista anti-euro che predica l’uscita dalla moneta unica dei paesi in crisi, ovvero quelli sudeuropei, arriva a oltre il 10% e in Brandeburgo quasi al 12%. Anche alle regionali due settimane fa in Sassonia, pure a Est, l'Alternative fur Deutschland aveva raggiunto un risultato a due cifre. Dopo l’affermazione a Ovest alle europee, l'Afd conquista ora anche l’Est: una sfida scomoda per la cancelliera venuta dall’Est, che fa presagire un vero pericolo alle legislative che si terranno fra tre anni. I partiti al governo nei due Laender dell’Est (Spd in Brandeburgo e Cdu in Turingia) si confermano al primo posto ma in Turingia non si esclude un cambio di maggioranza con la Linke (Sinistra) che potrebbe passare alla guida del governo. Il capolista Bodo Ramelow diventerebbe il primo premier in un Land in Germania del partito erede di quello post-comunista della ex Ddr. In Turingia la Cdu, con la governatrice Christine Lieberknecht, era al governo con la Spd. Oggi è arrivata al 34%, mentre la Linke si è fermata al 27,9% e la Spd al 12,6%. In Brandeburgo, la Spd, alleata della Linke in una coalizione guidata da Dietmar Woidke, è arrivata al 32,8%, mentre la Cdu ha ottenuto il 22,9% e la Linke il 19%. I liberali della Fdp non raggiungono in nessuno dei due Laeder la soglia del 5%. Non sarà, quindi, rappresentata nei rispettivi parlamenti regionali. Oramai i liberali, già banditi dal Bundestag federale alle legislative dello scorso anno, sono rappresentati in uno solo dei 16 Laender. I Verdi invece restano dentro con circa il 5-6% in entrambi i parlamenti.

Sergio Rame
15/09/2014
www.ilgiornale.it/news/mondo/germania-boom-degli-anti-euro-spaventa-merkel-1051...
wheaton80
00mercoledì 24 settembre 2014 02:57
La Germania si sta sbriciolando, altro che "modello"

FRANCOFORTE (WSI) - A dispetto della sua luccicante facciata, l'economia tedesca si sta sbriciolando al proprio interno. Così, quantomeno, la pensa Marcel Fratzscher. Con le infrastrutture del paese che diventano obsolete e le aziende che preferiscono investire all'estero, il consulente del governo sostiene che la prosperità della Germania sta vacillando. Quando Fratzscher, capo del German Institute for Economic Research, tiene una conferenza, gli piace porre una domanda al pubblico:"Di che paese stiamo parlando?" Dopodiché inizia a descrivere un paese che ha avuto meno crescita rispetto alla media dei paesi dell'eurozona fin dall'inizio del nuovo millennio, dove la produttività è cresciuta solo di poco, e dove due lavoratori su tre guadagnano oggi meno di quanto guadagnavano nel 2000. Di solito Fratzscher non deve attendere molto prima che le persone inizino ad alzare la mano. "Portogallo" afferma qualcuno. "Italia" dice un altro. "Francia" esclama un terzo. L'economista lascia che il pubblico continui a cercare la risposta giusta finché, con sorriso trionfante, annuncia la risposta. Il paese che stiamo cercando, quello con dei risultati economici così deboli, è la Germania. Forse ci vuole qualcuno che abbia la preparazione di Fratzscher per essere così aspramente critico verso il proprio paese. L'economista di Bonn ha lavorato come consigliere del governo a Jakarta nella metà degli anni '90, durante la crisi finanziaria asiatica. Ha condotto ricerche presso il rinomato Peterson Institute a Washington quando esplose la bolla di internet, e ha scritto analisi per la Banca Centrale Europea nel periodo più cupo della crisi dell'euro. Ha sempre osservato gli sviluppi della Germania "con un certo distacco", dice lui stesso. Fratzscher guida il German Institute for Economic Research (DIW) da oltre un anno, ed è evidente che questa ritrovata vicinanza gli ha aguzzato la vista sulle contraddizioni della quarta maggiore potenza economica del mondo. L'industria tedesca vende automobili di alta qualità e macchinari in tutto il mondo, ma quando l'intonaco comincia a scrostarsi dai muri di una scuola elementare sono i genitori a dover raccogliere il denaro per pagare l'imbianchino. Le aziende e le famiglie posseggono attività e beni per migliaia di miliardi, ma metà dei ponti autostradali hanno urgente bisogno di riparazioni. La Germania ottiene più benefici dall'Europa rispetto alla maggior parte degli altri paesi, eppure i suoi cittadini hanno l'impressione che Bruxelles si approfitti di loro.

La Grande Illusione
Fratzscher la chiama "Die Deutschland Illusion" ("L'Illusione Tedesca"), che è il titolo del suo nuovo libro che sarà presentato venerdì dal ministro tedesco all'economia, Sigmar Gabriel. Lo scorso anno Fratzscher ha chiesto al suo staff del DIW, uno dei più importanti think tank del paese, di occuparsi delle fondamenta dell'economia tedesca. Fratzscher ha condensato i risultati in un crudo resoconto sulle grandi illusioni dell'economia del paese. I tedeschi vedono il proprio paese come un motore di occupazione e un modello per le riforme per tutta l'Europa, dice Fratzscher, e tuttavia la Germania si è a malapena risollevata dalla recessione causata dalla crisi finanziaria. La Germania secondo Fratzscher sembra un gigante quando è vista da lontano, ma diventa sempre più piccola quanto più ci si avvicina. Il paese sta percorrendo "un sentiero in discesa", scrive il presidente del DIW, e sta vivendo "delle proprie riserve". Gli stessi buoni dati sul mercato del lavoro nascondono in realtà la più pericolosa debolezza della Germania. Difficilmente un qualsiasi altro paese industrializzato potrebbe essere così negligente e avaro rispetto al proprio futuro. Mentre all'inizio degli anni '90 il governo e l'economia investivano il 25 percento del prodotto totale per costruire nuove strade, linee telefoniche, edifici universitari e fabbriche, nel 2013 questo numero è sceso ad appena il 19,7%, secondo i recenti dati forniti dall'Ufficio Statistico Federale. Questa non è una banalità statistica. Il futuro del paese e la vita quotidiana dei suoi cittadini dipendono da come ciascun euro viene usato oggi. Se un euro viene speso subito non sarà utile per il futuro. Può anche essere risparmiato per dei consumi futuri. O può essere investito in aziende, istruzione o infrastrutture, in modo da diventare la base per la prosperità futura, il progresso tecnico e altri posti di lavoro. Il problema della Germania è che il denaro viene ora utilizzato essenzialmente per i primi due scopi. Secondo i calcoli del DIW, la caduta degli investimenti tra il 1999 e il 2012 ammonta a circa il 3% del PIL, ed è il più grande "divario degli investimenti" di tutta l'Europa. Se uno guarda solo agli anni tra il 2010 e il 2012 il divario è del 3,7%, ancora più grande. Solo per mantenere un livello accettabile di crescita, il governo e le imprese dovrebbero spendere 103 miliardi di euro in più ogni anno rispetto a quanto stanno facendo oggi.

Preoccupazioni crescenti
Questo è il punto chiave della diagnosi di Fratzscher — e adesso l'onere di trovare la terapia ricade su di lui. Da quando il ministro all'economia Gabriel lo ha nominato commissario agli investimenti alla fine dello scorso mese, si è trovato al centro del dibatto sulla riforma della spesa, dibattito potenzialmente tanto importante quanto lo fu quello sull'Agenda 2010 di riforme del mercato del lavoro e del sistema di welfare. La recente flessione dell'economia rende il problema ancora più urgente. Ora che l'industria ha visto un declino nel volume degli ordini e ha ridimensionato la produzione, il governo deve decidere se contrastare tale declino con un programma di investimenti. Ciò che recentemente non era altro che una possibilità teorica potrebbe presto diventare un punto critico fondamentale per la coalizione di governo della cancelliera Angela Merkel. Mentre la Merkel e il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble restano determinati nell'aderire al proprio progetto di presentare un bilancio federale in pareggio per il prossimo anno, Fratzschern sostiene che bisogna prepararsi per lo scenario peggiore. "Se la crisi si aggrava ancora," ha detto in una conversazione con lo SPIEGEL, "sarà necessaria una maggiore spesa per stimolare l'economia". Se ciò avverrà, il libro di Fratzscher potrebbe offrire un modello su come procedere. Nel suo studio, il presidente del DIW elenca meticolosamente i maggiori problemi di investimento per la Germania, dalle aziende alle reti di trasporti, dall'istruzione al piano di transizione energetica — il passaggio del governo federale dall'energia nucleare verso l'energia rinnovabile. Dati a sostegno delle sue teorie vengono da ogni angolo del paese.

Svanisce la lealtà verso la Germania
Rainer Hundsdörfer sta per compiere quella che è forse la decisione più difficile della sua vita professionale. La sua azienda ha in programma di investire 50 milioni di euro a breve, ma egli è incerto se valga ancora la pena di spendere questi soldi nella propria patria. Hundsdörfer è l'amministratore delegato dell'impresa Ebm-Pabst. I ventilatori industriali prodotti dalla sua azienda a Mulfingen, una città nel sud della Germania, sono installati nei sistemi di refrigerazione dei supermercati, nei condizionatori d'aria degli alberghi e nei server informatici di tutto il mondo. I mercati esteri contano già per oltre il 70 percento delle vendite della sua azienda. Ebm-Pabst fabbrica già da tempo alcuni dei suoi prodotti in India e in Cina, ma fino ad ora il suo obiettivo quando investiva in paesi stranieri era semplicemente quello di trovarsi più vicino ai suoi clienti. L'azienda era rimasta fieramente leale alla Franconia, la sua regione d'origine in Germania. Ma questa lealtà potrebbe svanire alla prossima decisione sugli investimenti. "Sarebbe la prima volta che scegliamo contro il sito di produzione in Germania," dice Hundsdörfer. L'azienda vuole espandere l'impianto di Mulfingen e costruire un nuovo centro logistico. Questo creerebbe centinaia di posti di lavoro, ma ciò che manca è "un' infrastruttura stradale decente per rendere proficuo il nostro investimento," dice Hundsdörfer. I suoi camion sono costretti a usare la Hollenbacher Steige, una strada che si sta sbriciolando e che ha urgente necessità di essere riasfaltata. Spesso i camion che arrivano dalla direzione opposta non riescono a passare trovandosi uno di fronte all'altro su una strada così stretta. Il progetto di costruzione stradale costerebbe 3,48 milioni di euro, ma lo Stato e il governo locale esitano da anni a mandare avanti la cosa, per via dei costi. Secondo Hundsdörfer i conti semplicemente non tornano. "Paghiamo più tasse noi in un solo anno di quello che costerebbe rifare la strada." Ora Hundsdörfer sta prendendo in considerazione l'impensabile: perché non costruire il centro logistico all'estero. Hundsdörfer non si troverebbe da solo, nel fare questa scelta.

La diminuzione degli investimenti industriali
L'economia tedesca evita da anni gli investimenti. Le aziende hanno quasi 500 miliardi di euro messi da parte in risparmi, secondo le stime del presidente del DIW, e tuttavia la proporzione di investimenti nell'economia privata della Germania è caduta da poco meno del 21 percento nel 2000 a poco più del 17 percento nel 2013. Molti economisti concludono che le aziende sono preoccupate non solo per le strade che si sbriciolano, ma anche per la mancanza di lavoratori qualificati, le condizioni dell'eurozona, e i crescenti costi dell'energia. E questa paura, a sua volta, sta ostacolando i progetti per il futuro della Germania. Le conseguenze sono drammatiche. Quando si calcola l'aggiustamento per l'inflazione, si trova che molte aziende hanno effettivamente ridotto le loro spese per macchinari e computer nel corso degli ultimi decenni, secondo i dati dell'Ufficio Statistico Federale. Questo è vero specialmente per l'industria chimica, ma anche le infrastrutture industriali stanno crollando, per esempio, nei settori dell'ingegneria meccanica e dell'elettronica. Ma le aziende non hanno smesso del tutto di investire, semplicemente non stanno più investendo in Germania. La BMW, casa automobilistica bavarese, sta attualmente spendendo un miliardo di dollari per trasformare il suo impianto a Spartanburg, nella Carolina del Sud, nel suo più grande stabilimento a livello globale. La Daimler ora assembla la nuova classe C per il mercato americano nella città di Tuscaloosa, in Alabama. Dürr, il produttore di attrezzature per la verniciatura, ha ampliato i suoi edifici industriali a Shangai lo scorso anno, in modo che essi ora hanno raggiunto le stesse dimensioni di quelli della sua sede centrale a Bietigheim-Bissingen, vicino a Stoccarda. Da quando il boom del fracking ha ridotto i costi dell'energia, gli Stati Uniti sono diventati in modo particolare il sito preferito per le aziende tedesche. In maggio, BASF CEO Kurt Bock ha annunciato un nuovo piano di investimenti da un miliardo di euro, il più grande nella storia dell'azienda, nella Costa del Golfo americano. Nello spiegare la decisione, la dirigenza ha fatto notare che il gas naturale negli Stati Uniti costa solo un terzo di ciò che costa in Germania. Il gigante tecnologico Siemens è andato anche oltre, annunciando che in futuro gestirà il suo intero business dagli uffici negli Stati Uniti.

Fonte: www.spiegel.de
23 settembre 2014

www.wallstreetitalia.com/article/1738965/la-germania-si-sta-sbriciolando-altro-che-mode...
wheaton80
00venerdì 26 settembre 2014 00:55
Standard & Poor's: gli Euroscettici tedeschi decretano la fine della falsa calma che regna in Europa

Standard & Poor's ha emesso uno straordinario credit alert sull'eurozona, che merita una particolare attenzione. Avverte che la crescita del partito anti-euro tedesco AFD mette in discussione il meccanismo di salvataggio dell'euro e mette sotto esame qualsiasi forma di QE, stimolo che è già stato scontato in anticipo dai mercati. Questo costringerà Angela Merkel ad adottare una linea più dura nei confronti dell'Europa, e complicherà ulteriormente la gestione della (già disfunzionale) unione monetaria. L'agenzia di rating ha detto che d'ora in poi monitorerà qualsiasi segnale di rigidità della Germania sulle questioni della UEM volta a scongiurare questa crescente minaccia politica. Il report è stato scritto da Moritz Kraemer, responsabile dei rating sovrani in Europa. Un tedesco. Non è una analisi anglosassone. Alternative für Deutschland sta imperversando in tutta la Germania come un tornado. Una settimana fa il partito ha ottenuto il 12.6pc dei voti nel Brandeburgo e il 10.6pc in Turingia, dopo il successo in Sassonia. E ha fatto irruzione in tre parlamenti regionali. Il FDP è stato sistematicamente distrutto. E ora l'AFD sta anche lacerando la base di sinistra del Partito Die Linke. Hanno conquistato sette seggi al Parlamento europeo. Ieri ne abbiamo visto i potenti effetti quando il capo del partito Bernd Lucke ha messo sotto pressione il governatore della BCE Mario Draghi durante la sessione della commissione sugli affari economici e monetari. Lucke ha attaccato in particolare i piani della BCE per gli acquisti di asset, insistendo sul fatto che nel sistema finanziario vi è già una liquidità più che sufficiente a scongiurare la deflazione. Egli ha dichiarato che il QE-lite è semplicemente un modo per spostare il rischio di credito dagli stati ad alto debito verso il centro dei creditori (una politica quasi fiscale che aggira le prerogative sovrane del Bundestag), e comunque non funzionerà:"Lei sta sellando il cavallo sbagliato perché non ne ha un altro nella stalla". Mr. Lucke è professore di economia all'Università di Amburgo, specialista del real business cycle model. Il suo braccio destro è Hans-Olaf Henkel, ex capo della Federazione dell'industria tedesca e giornalista finanziario di Handelsblatt. Sono persone serie. I tentativi di etichettarli come romantici estremisti, e ultimamente come agitatori di estrema destra, è improbabile che possano funzionare. AFD per la prima volta ha dato ai tedeschi scontenti un modo per protestare senza correre il rischio di venire stigmatizzati. Ecco alcuni stralci del rapporto di S&P:

"Come più grande governo dell'area dell'euro e sicuro punto di riferimento per gli investitori, il ruolo della Germania nella gestione della crisi è stato fondamentale. La posizione relativamente forte in politica interna del governo federale tedesco ha facilitato il necessario compromesso. Fino a poco tempo fa, nessun partito dichiaratamente euroscettico in Germania era in grado di galvanizzare gli oppositori dei "salvataggi" europei e della assunzione di potenziali rischi finanziari da parte dei contribuenti tedeschi. Ma questa comoda situazione ora sembra essere arrivata alla fine. AFD ha presentato un programma, sembra godere di una leadership disciplinata, ed è un partito ben finanziato che fa appello in generale ai conservatori, anche oltre le sue fondamentali radici eurofobiche. La maggior parte degli analisti politici concordano sul fatto che l'ascesa di AFD è improbabile che sia un fenomeno di breve durata. E potrebbe anche avere ripercussioni al di là della politica tedesca. Questo cambiamento nel panorama dei partiti potrebbe avere implicazioni sulle politiche dell'area dell'euro, limitando lo spazio di manovra del governo tedesco. Il cancelliere Angela Merkel e il suo partito conservatore CDU hanno a lungo beneficiato della mancanza di una valida opposizione di destra. Cosa che ha permesso loro di spostarsi verso il centro dello spettro politico. Se la popolarità di AFD nei sondaggi dovesse persistere, ci si può aspettare che il CDU tenterà di rioccupare lo spazio politico precedentemente abbandonato. Di conseguenza, dovremmo considerare la forte probabilità che l'orientamento politico del CDU (e quindi della Germania) sarà di un irrigidimento verso i compromessi nell'area dell'euro. Questo potrebbe comportare una minore flessibilità nel ritmo di risanamento dei conti pubblici degli altri paesi europei, o una certa resistenza verso il piano coordinato pan-europeo di investimenti verso il quale stanno puntando alcuni governi. Potrebbe anche portare ad una retorica più apertamente critica contro le politiche della BCE, che complicherebbe ulteriormente la politica monetaria non convenzionale. Niente di tutto questo avrebbe importanza se potessimo considerare che la crisi dell'euro è ormai dietro le spalle. Tuttavia, è improbabile che sia così. La produzione in Eurozona è ancora a livelli inferiori al 2007 e nel 2014 la debole ripresa ha subìto una battuta d'arresto in gran parte della zona euro. La disoccupazione rimane pericolosamente alta e le pressioni di disinflazione sono in crescita. Gli oneri del debito pubblico continuano a crescere in tutti i grandi Paesi dell'area dell'euro tranne la Germania. Terremo sotto monitoraggio ogni eventuale segno di irrigidimento della Germania. Un tale cambiamento potrebbe ridurre la fiducia degli investitori nella solidità del sostegno multilaterale nei confronti di qualsiasi paese sovrano dell'eurozona in caso di necessità. Un tale cambiamento nel “sentiment” potrebbe contribuire a delle condizioni di finanziamento meno favorevoli per i paesi a basso rating dell'area dell'euro, rispetto ai tassi di interesse storicamente bassi sui titoli sovrani che oggi osserviamo. S&P ha anche avvertito che anche la prossima sentenza della Corte europea sul piano di sostegno della BCE per l'Italia e la Spagna (OMT) potrebbe mandare all'aria il progetto. La Corte Costituzionale federale tedesca ha già dichiarato che l'OMT "vìola manifestamente" i trattati UE ed è probabilmente "Ultra Vires", il che significa che la Bundesbank non può legalmente prendervi parte. La Corte europea non può ignorarlo, se tiene alla propria sopravvivenza. (Giusto per chiarire, la corte tedesca non rinvia alla Corte di giustizia come a un tribunale superiore. Si riserva il diritto sovrano di respingere qualsiasi cosa le istituzioni europee facciano, e i suoi zelanti funzionari acutamente ricordano che i Paesi membri sono i "Maestri dei trattati" e non il contrario). David Marsh dal forum monetario OMFIF - e autore di un libro sulla sulla Bundesbank e l'euro - dice che non ci può essere alcun serio QE in queste circostanze. "Il QE non è sul tavolo. Si tratta di una falsa pista" ha detto"".

Sono interamente d'accordo con l'analisi di S & P, e noto anche una forte divergenza nella percezione del mercato tra gli esperti tedeschi (o quelli che leggono tedesco e seguono da vicino la Germania) e la confraternita globale anglo-sassone. Gli americani, in particolare, sembrano considerare la BCE come la controparte della Federal Reserve, che risponde ai normali segnali dell'economia. Non è nulla del genere. La BCE è un animale politico. Non può discostarsi molto dal consenso politico tedesco, o almeno non può farlo in modo sicuro. E' già chiaro che la Germania la tirerà per le lunghe per mesi sul piano della BCE di acquisti di obbligazioni private (ABS, RMBS, covered bond). L'asse Berlino/Francoforte cercherà di garantire che non si arrivi a molto - almeno fino a quando non sarà la Germania stessa ad averne bisogno. Questa settimana il governatore della Bundesbank Jens Weidmann ha detto che il piano di acquisto titoli della BCE sposta il rischio dalle banche ai contribuenti. In ogni caso, ha detto, è "dubbio" se ci siano degli asset di alta qualità disponibili a sufficienza per fare la differenza. Sì, Weidmann era stato messo in minoranza sull'OMT nell'agosto 2012, ma quello era un episodio completamente diverso. Non era stata messa in minoranza la Germania. Il ministro delle finanze tedesco aveva contribuito a creare l'OMT, come male minore in un momento in cui l'Italia e la Spagna stavano andando fuori controllo. Questa volta Berlino è più vicina alla Bundesbank. Il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble ha respinto ogni proposta di reflazione, lanciando l'allarme al G20 sul fatto che si stanno già formando delle bolle nei mercati azionari e immobiliari. Siamo tornati al problema centrale che ha tormentato la zona euro nelle sue tre esperienze pre-morte – a Maggio 2012, novembre 2011 e luglio 2012 - che è fino a che punto il corpo politico tedesco è disposto a spingersi per sostenere l'unione monetaria quando si arriva al dunque. Questo problema non è mai stato risolto. In ogni fase la Germania ha accettato di fare solo quel tanto che bastava per mantenere in vita l'UEM, sempre all'ultimo minuto, senza mai andare abbastanza lontano da mettere l'unione monetaria su un sentiero sostenibile (molto difficile a mio avviso, anche se questo non impedirà ai leader UE di continuare così fino a che le vittime non prenderanno in mano la situazione). Qualunque spazio esistesse quando Angela Merkel non doveva fronteggiare nessuna opposizione euroscettica coerente, ormai è passato in maniera irreversibile. Se e quando la prossima crisi colpirà, Prof. Lucke dell'AFD le sbarrerà la strada con le baionette, non con i forconi.

Ambrose Evans Pritchard
23 Settembre 2014
Fonte: blogs.telegraph.co.uk/finance/ambroseevans-pritchard/100028199/germanys-eurosceptic-afd-spells-end-to-europes-false-calm-w...

vocidallestero.blogspot.it/2014/09/standard-poors-gli-euroscett...
wheaton80
00martedì 7 ottobre 2014 17:26
Merkel impone austerity in Eurozona. Ed è boomerang, Germania verso la recessione

ROMA (WSI) - Una carrellata di dati negativi continua a caratterizzare il fronte economico tedesco. All'indomani della pubblicazione degli ordini all'industria, un altro record negativo è stato segnato dalla produzione industriale della Germania. La flessione, considerando gli aggiustamenti stagionali, è stata ad agosto -4% rispetto a luglio, quando era cresciuta dell'1,6%. E' il calo più forte dal gennaio del 2009, ben peggiore delle stime degli analisti, che avevano previsto -1,5%. Su base annua, ribasso -2,8% rispetto all'agosto 2013, contro il -0,5% previsto. Il motore dell'economia europea continua a perdere colpi. Le misure di austerity imposte da Berlino a tutti i paesi membri dell'Eurozona hanno colpito e stanno colpendo tuttora anche la congiuntura tedesca. Pesa proprio la debolezza dell'economia dei paesi membri che rappresentano il primo mercato dell'export tedesco e incide anche la perdita di fiducia, causa le tensioni tra Russia e Ucraina. "L'economia tedesca riporterà un trend piuttosto debole nel secondo semestre di quest'anno", ha commentato in una intervista a Bloomberg Ralph Solveen, responsabile della divisione di ricerca economica presso Commerzbank AG a Frankfurt, che prevede che il Pil del terzo trimestre sarà quasi invariato. Per gli analisti, il dato odierno, che segue quello altrettanto negativo degli ordini (-5,7% in agosto) conferma che ancora una volta l’Europa è finita in recessione. Si tratta della terza volta dal fallimento della Lehman. Ma questa volta a guidare in basso l’economia di Eurolandia sono i mercati più forti, Germania in testa. Non solo. Secondo gli esperti del sito americano ZeroHedge, la contrazione economica del Vecchio Continente trascinerà in basso anche Stati Uniti e Cina. Scomponendo il dato sulla produzione industriale, la produzione dei beni di investimento è crollata -8,8%, mentre quella dei beni intermedi è scesa dell'1,9%. L'output dei beni di consumo è calato -0,4% e quello delle costruzioni ha fatto -2%. Solo la produzione energetica è cresciuta, con +0,3%.

7 ottobre 2014
www.wallstreetitalia.com/article/1746951/merkel-impone-austerity-in-eurozona-ed-e-boomerang-crolla-produzione-industria-tede...
wheaton80
00martedì 21 ottobre 2014 23:04
New York Times, la Germania voleva far fallire Cipro, Spagna, Irlanda e Grecia

La Germania voleva far fallire mezza Europa. Secondo alcuni documenti segreti che avrebbero dovuto restare tali per circa 30 anni Berlino durante la crisi della banche tra il 2012 e il 2013 avrebbe fatto pressioni per far fallire alcuni Paesi come Cipro, Spagna, Irlanda e Grecia. A pubblicare le carte riservate, dopo una fuga di notizie è stato il New York Times. I documenti riguardano alcuni dei verbali delle riunioni del board della Bce.

I verbali segreti
Secondo il materiale pubblicato dal New York Times, nei consulti tra il 2012 e il 2013 è esploso uno scontro sul salvataggio di Cipro con Germania, Francia e Olanda contrarie all'ipotesi di soccorrere la Laika, la banca popolare dell'isola in crisi. Dopo la pubblicazione dei documenti la Bce ha provato a smentire il contenuto dei verbali. L'istituto ha precisato:"In quel caso specifico ci fu pieno consenso in consiglio sulla necessità di chiedere alla Central Bank of Cyprus (CbC) assicurazioni sul fatto che la banca fosse solvente, ciò che ci fu esplicitamente confermato dopo un intenso dialogo. La Bce non fu supervisore e si fidò del giudizio della Cbc; è dunque tendenzioso dedurre dalla vicenda conclusioni sulla futura supervisione bancaria da parte della Bce stessa". I retroscena su quei vertici infuocati però non finiscono qui.

Berlino contro mezza Europa
Nel materiale del Nyt emerge comunque uno scontro pesante tra il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, i suoi omologhi francesi e olandesi e gli altri componenti del board. A quanto pare la chiusura sugli aiuti da parte della Germania ai paesi in difficoltà non era rivolta solo a Cipro. Infatti, come si legge sul Nyt, "le minute vedono Weidmann opporsi duramente ai salvataggi della Bce della franco-belga Dexia e di banche irlandesi, greche e spagnole”. Un precedente allarmante che fa luce sulle manovre di Berlino alle spalle dei Paesi Europei. La Merkel è pronta a far fuori chiunque pur di mantenere il trono d'Europa.

18 ottobre 2014
www.liberoquotidiano.it/news/home/11709521/New-York-Times--la-Germa...
wheaton80
00giovedì 13 novembre 2014 01:04
La Germania va male, scrive la BCE e i trattati UE vanno ''riscritti'', aggiungono i centri studi tedeschi (UE al capolinea)

BERLINO - Secondo le valutazioni della Banca Centrale Europea, l'economia tedesca "non è ancora riuscita a riprendersi dalla fase di debolezza dell' inizio dell' estate". Nel secondo trimestre dell' anno il Pil di Berlino è calato dello 0,2 per cento rispetto al trimestre precedente. "Una situazione che non sembra essere cambiata significativamente nel terzo trimestre", ha dichiarato il direttore della BCE, Yves Mersch, ieri, durante una conferenza di Volksbank a Herrenberg. "La Germania non è più un' eccezione", ha aggiunto Mersch. E se la Germania sconta una preoccupante debolezza, la situazione generale dell' intera Eurozona appare critica. Il tasso di inflazione eè estremamente basso, e per questo la BCE ha deciso di tagliare il tasso guida e di acquistare titoli bancari per sostenere il credito, ma non esclude di adottare misure più drastiche, già richieste con insistenza dagli investitori. Intanto il direttore dell' Istituto di Macroeconomia e Ricerca Economica (IMK) vicino ai sindacati, Gustav Horn, si è detto a favore dell' abolizione del tetto al debito pari al 60 per cento del Pil, stabilito dal Trattato di Maastricht. Horn si spinge così oltre le posizioni espresse dal presidente del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, la quale aveva chiesto di innalzare il tetto massimo di questo valore all' effettivo stato debitorio che attualmente nell' eurozona è al 94 per cento. D' altra parte, l'attendibilità dell' FMI è prossima allo zero, cosa che lo stesso Fondo riconosce, avendo ammesso recentemente di "avere sbagliato tutte le previsioni del 2014". "La situazione attuale rivela l' eccessiva rigidità dei regolamenti che dettano la politica economica" dell' area euro, ha dichiarato Horn al quotidiano economico tedesco "Handelsblatt". La determinazione di valori percentuali imposti in via arbitraria rischia di non tenere conto della realtà e di togliere credibilità alle decisioni economiche, sostiene il direttore dell' Istituto tedesco. Resta il fatto che se nel 2015 dovesse continuare questo trend negativo in Germania, l' intera Zona euro cadrebbe nettamente in recessione. Infatti, la cosiddetta "locomotiva tedesca" vale da sola tra un quinto e un quarto dell' intera Europa dell' euro. E' solo la Germania a bilanciare il disastro economico in atto in Francia, Italia, Grecia, Portogallo, Austria, perfino Finlandia, senza scordare Olanda e Belgio. E' sotto gli occhi di tutti il fallimento dell' euro come valuta unica d' Europa e il contemporaneo fallimento delle politiche economiche della UE, incapaci di risollevare le sorti del Vecchio Continente. Politiche economiche affidate a eurocrati espressione dell' oligarchia finanziaria che domina l' Europa.

Max Parisi
11 novembre 2014
www.ilnord.it/c3755_LA_GERMANIA_VA_MALE_SCRIVE_LA_BCE_E_I_TRATTATI_UE_VANNO_RISCRITTI_AGGIUNGONO_I_CENTRI_STUDI_TEDESCHI_UE_AL_C...
wheaton80
00giovedì 15 febbraio 2018 03:00
Martin Schulz si è dimesso dall’SPD. In Germania la sinistra è ai minimi storici

Martin Schulz si dimette dalla guida del SPD (Partito Socialdemocratico Tedesco). L’aria di rinnovamento all’interno del partito era sicuramente nell’aria, ma non ci si aspettava di certo le dimissioni dell’ex Presidente dell’europarlamento, giunte abbastanza improvvisamente. La crisi, del tutto interna al partito, è scaturita da un accordo tra Schulz e la Merkel per un governo di grande coalizione tra i due partiti di massa, l’SPD e la CDU (Unione Cristiano-Democratica). L’ala più intransigente, nonché giovanile, ha fortemente criticato la coalizione e il leader del partito, che in campagna elettorale aveva solennemente promesso che non si sarebbe mai giunti ad un accordo con i cristianodemocratici della Merkel. Tuttavia la situazione parlamentare, soprattutto dopo il prepotente ingresso di Alternative für Deutschland, ha reso necessaria una coalizione dei vecchi partiti tradizionalmente rivali, che tuttavia non è giunta a termine. Schulz aveva già rinunciato al Ministero degli Esteri, carica di per sé rilevante, ma di certo non sufficiente per governare il Paese ed accontentare i suoi elettori. “L'SPD ha bisogno di un rinnovamento organizzativo, personale e programmatico”, ha dichiarato al momento delle sue dimissioni.

Poco tempo fa, il congresso straordinario del partito, per decidere se bisognasse intraprendere la strada per la coalizione o meno, aveva raggiunto di poco la maggioranza con 362 voti su 642, una vittoria di Pirro per Schulz. Dunque non può di certo stupire se si è giunti ad una spaccatura profonda, nonostante quelle che furono le dichiarazioni dell’ex leader del partito, parlando di “una Germania consapevole delle sue responsabilità in termini di libertà, democrazia, coesione e solidarietà in Europa” e aggiungendo che un ritorno alle elezioni e un mancato accordo di governo sarebbe stato “una catastrofe politica”. Chissà se le sue parole si rileveranno azzeccate. Ritornando al presente, il 22 aprile l’SPD si riunirà in un altro Congresso a Wiesbaden, che dovrebbe confermare la nomina di Presidente del partito ad Andrea Nahles, ex leader del movimento giovanile del partito Junos e Ministro del Lavoro e degli Affari Sociali fino allo scorso settembre. Se ciò dovesse accadere, sarebbe la prima volta in 150 anni che una donna ottiene la carica di Presidente all’interno del partito socialdemocratico tedesco. Per quanto riguarda il povero Schulz… temiamo proprio che resti nella memoria dei più unicamente per la famosa battuta di Berlusconi.

Davide D’Anselmi
14 febbraio 2018
www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/79861-79861/
wheaton80
00mercoledì 26 settembre 2018 16:47
Ammutinamento, Merkel in bilico: spodestato suo fedelissimo

Ancora guai per il governo di Angela Merkel, che deve subire un nuovo duro contraccolpo. Ieri uno dei suoi più stretti e fidati collaboratori,, da 13 anni capogruppo parlamentare CDU-CSU, è stato sconfitto da Ralph Brinkaus, ottenendo 125 voti contro i 112 in una votazione a scrutino segreto. Kauder, 69 anni, non era ben visto da molto tempo nel gruppo parlamentare dei conservatori tedeschi. Un vero e proprio ammutinamento, che a Berlino interpretano come il segno evidente della disfatta politica della cancelliera. “Questo è un momento democratico in cui ci sono anche le sconfitte”. Così la Merkel, parlando subito dopo la votazione ai giornalisti, come riporta oggi Bloomberg. Brinkhaus, il nuovo capogruppo esperto di bilancio e finanza, aveva lanciato appelli per frenare la riforma della zona euro. Come sottolinea Carsten Nickel, analista di Teneo Intelligence:“La sua elezione riflette il desiderio di un profilo di centro destra più distinguibile e di un ruolo più importante per i parlamentari dopo anni di dominio diretto e ultra pragmatico sul CDU della cancelliera”. Una elezione che ha visto l’esultanza del partito di estrema destra, l’AFD, che per la prima volta lo scorso anno ha conquistato seggi nel Bundestag. Come ha affermato Alice Weidel, co-leader del partito insieme ad Alexander Gauland:“E’ iniziata la fine di Angela Merkel. Speriamo ora che ne esca più rapidamente possibile”. I prossimi appuntamenti elettorali decideranno quando e nella forma con cui la cancelliera lascerà il passo. Già il prossimo mese si voterà in Baviera e poi successivamente in Assia e poi nel 2019 l’appuntamento clou con le elezioni europee.

Alessandra Caparello
26 settembre 2018
www.wallstreetitalia.com/ammutinamento-merkel-in-bilico-spodestato-suo-fede...
wheaton80
00martedì 16 ottobre 2018 14:01
Exit poll in Baviera: tonfo della Merkel. Entra in Parlamento l’estrema destra di AFD

Confermate le previsioni della vigilia. In Baviera le elezioni vedono un massiccio crollo della CSU di Angela Merkel, che resta il primo partito ma perde il 12 per cento di consensi rispetto al 2013. I Verdi diventano secondo partito e la SPD tracolla. Secondo gli exit poll diffusi dalla TV ZDF, l’Unione cristiano sociale raccoglie un magrissimo 35,5%, contro quasi il 48% di cinque anni fa, mentre i Socialdemocratici non vanno oltre il 9,5%, i Verdi balzano al 19%, l’AFD è all’11%, l’FDP al 5%, la Linke al 3,5%. Per il partito della Cancelliera si tratta del peggior risultato dal 1950 a oggi, così come di una sconfitta storica si può parlare per la SPD. Entra per la prima volta nel Parlamento regionale della Baviera, invece, Alternativa per la Germania, il partito di estrema destra presente adesso in 15 dei 16 Parlamenti regionali.

Baviera: crollo della CSU della Merkel

«Un risultato amaro, ma abbiamo un chiaro mandato a governare». Lo ha detto il Segretario Generale della CSU commentando gli exit poll. «Non è un giorno facile e questo è un risultato doloroso. Lo accettiamo e ci confrontiamo. Lo analizzeremo. Ma una cosa è chiara: non solo siamo il partito più forte, ma abbiamo anche un chiaro mandato a governare», ha aggiunto il candidato Presidente della CSU Markus Soeder. Esulta invece Joerg Meuthen, di AFD (Alternativa per la Germania), commentando gli exit poll che vedono il partito di ultradestra entrare nel Parlamento regionale con un lusinghiero 11%. «Con questo risultato abbiamo l’aumento più significativo di tutti». Meuthen ha anche aggiunto che «non è realistico trattare per una coalizione con la CSU». Le elezioni regionali in Baviera, decisive anche per il futuro del governo di Angela Merkel, hanno fatto registrare un’affluenza molto alta: alle urne il 72% dei 9,5 milioni di elettori bavaresi. Nel 2013 il dato era del 63,6%.

Eugenio Battisti
14 ottobre 2018
www.secoloditalia.it/2018/10/exit-poll-in-baviera-tonfo-della-merkel-entra-in-parlamento-lestrema-destra...
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00lunedì 29 ottobre 2018 14:54
Merkel, svolta storica: dopo 18 anni lascerà la guida della CDU

È la fine di un’era. Dopo 18 anni alla guida della CDU Angela Merkel getta la spugna e contrariamente a quanto annunciato ancora poche settimane fa non si ricandiderà più alla Presidenza dei cristiano-democratici. Con questa clamorosa decisione, annunciata questa mattina nel corso di una riunione del direttivo del suo partito nella Konrad Adenauer Haus di Berlino, Angela Merkel trae le conseguenze personali dalle drammatiche sconfitte elettorali subite dalla CDU alle amministrative in Baviera e in Assia e apre la strada ad un ricambio generazionale ai vertici del centro-destra. Ancora non è chiaro se il suo ritiro dalla Presidenza della CDU preceda o meno anche una sua eventuale rinuncia all’incarico di cancelliera. In passato Angela Merkel aveva sottolineato in più occasioni l’inseparabilità dei due incarichi. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa DPA però, Angela Merkel sarebbe intenzionata a restare ancora cancelliera. Il - o la - nuova Presidente dell’Unione Cristiano-Democratica verrà eletto nel corso del prossimo congresso generale del partito in programma ad Amburgo ai primi di dicembre. Ancora non è chiaro però chi potrebbe assumere in futuro la Presidenza del partito guidato da Angela Merkel fin dal lontano aprile del 2010. Sotto la sua presidenza la CDU si è trasformata in una forza politica di centro d’ispirazione moderata e liberale, secondo alcuni anche fin troppo riformista e troppo poco conservatrice. Soprattutto la sua decisione di aprire nell’estate del 2015 le frontiere tedesche a quasi un milione di profughi provenienti prevalentemente dalla Siria, dall’Afghanistan e dall’Iraq, ma anche altri provvedimenti come la fuoriuscita del Paese dall’energia nucleare, l’abolizione del servizio militare obbligatorio o il suo via libera ai matrimoni tra coppie dello stesso sesso, avrebbero favorito l’ascesa di un nuovo partito di destra come l’Alternative für Deutschland. La formazione populista di destra è presente nel frattempo in tutti e 16 i parlamenti regionali tedeschi e alle politiche dell’anno scorso è entrato per la prima volta nel parlamento federale (Bundestag) col 12,6% delle preferenze.

29/10/2018
www.lastampa.it/2018/10/29/esteri/merkel-svolta-storica-non-mi-ricandido-alla-presidenza-della-cdu-6fhdwnc24EgeZ3vfZDja7K/pag...
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00martedì 30 ottobre 2018 13:34
Angela Merkel lascerà la politica nel 2021:“Ho perso, finisco la legislatura e mi ritiro”

Angela Merkel lascerà la politica. Ha deciso che, allo scadere del suo mandato (previsto nel 2021), non rinnoverà la sua candidatura a cancelliere della Germania. Un annuncio che rappresenta un vero e proprio spartiacque nella storia tedesca, segnata nell'ultimo decennio dalla prima donna al timone del Paese teutonico. Angela Merkel ha inteso sottolineare come sia il momento di aprire un nuovo capitolo, palesando l'intenzione di mettersi da parte alla luce di quello che è stato il responso elettorale. Sono arrivati risultati che ha definito "amari e deludenti". Il suo partito, la CDU, ha subito delle sconfitte piuttosto sonanti in Assia e non appena si era venuti a conoscenza dei numeri si era iniziata a diffondere la voce che qualcosa di clamoroso potesse accadere. Tuttavia la cancelliera ha intenzione di proseguire la sua legislatura, come detto, fino alla sua naturale scadenza.

L'era Merkel si conclude dopo diciotto anni
La Merkel ha segnato un periodo politico piuttosto lungo in Germania. Da ben diciotto anni è stata, infatti, al timone di quella che è l'Unione Cristiano Democratica. La sua ascesa, infatti, è partita nel 2000, e da allora nessuno è mai riuscito ad insidiare la sua leadership all'interno di un movimento politico in cui, da ora in avanti, partirà la caccia ad un'eredità sicuramente pesante. C'era chi, per lei, prefigurava un ruolo importante all'interno dell'Unione Europea, ma a quanto pare la sua scelta sembra andare in un'altra direzione. E' stata lei stessa, infatti, ad annunciare che non si candiderà più come cancelliera, non lo farà neanche al Bundestag ed allo stesso modo ha rivelato l'intenzione a non avere più alcun tipo di ruolo politico.

Dopo l'addio della Merkel è caccia ai candidati che potrebbero sostituirla in seno all'Unione Cristiano Democratica tedesca

Angela Merkel, classe 1954, dunque si appresta a vivere gli ultimi tre anni al timone di una Germania che cerca di capire cosa potrà accadere dopo il suo addio, a partire dalle dinamiche intestine al partito, che lascia in una difficoltà certificata dai risultati elettorali. Esisterebbero già due nomi che avrebbero spessore e consensi sufficienti per contendersi la poltrona in seno al partito. Uno si chiama Friedrich Merz, la cui candidatura è stata anticipata dalla DPA, che ha citato fonti vicine al movimento. In corsa ci sarebbe colei che invece è attualmente alla Segreteria Generale della CDU, Annegret Kramp-Karerenbauer.

Pasquale De Marte
29/10/2018
it.blastingpop.com/politica/2018/10/angela-merkel-lasceralapoliticanel2021hopersofiniscolalegislatura-e-mi-ritiro-002759...
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00martedì 4 giugno 2019 23:19
Tracollo dell'SPD alle Europee: Nahles lascia. Governo in bilico



Andrea Nahles ha lasciato la guida del Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD). A fine aprile 2018, quando il congresso di Wiesbaden l'aveva eletta alla testa della più antica formazione politica in Germania, l'ex Ministra del Lavoro sapeva di avere davanti a sé una sfida impossibile: riportare la SPD a sinistra restando allo stesso tempo al governo con i moderati della cancelliera Angela Merkel. «Un partito si può riformare anche mentre è al governo», dichiarò Nahles. Il voto di due domeniche fa ha dimostrato che la quadratura del cerchio non le è riuscita: alle europee la SPD ha raccolto il 15,8% dei voti, il risultato più basso di sempre; lo stesso giorno il partito ha anche perso il controllo di Brema per la prima volta da 73 anni. Un disastro al quale Nahles ha reagito con coerenza, dimettendosi dalla guida della SPD e offrendosi anche di rimettere il seggio da deputata. La sua scelta ha scosso la politica tedesca: il passo indietro dell'ex ministra potrebbe convincere i socialdemocratici che è giunta l'ora di tornare sui banchi dell'opposizione. «Rispetto la decisione di Nahles, con la quale ho lavorato a lungo insieme: fra di noi esiste un rapporto di fiducia». Così Merkel, presente a un convegno della CDU, ha commentato la notizia. «Da parte del governo continueremo la nostra azione consapevoli delle responsabilità che abbiamo verso il Paese, l'Europa e il mondo», ha concluso la cancelliera. Il patto di coalizione fra i due (ex) primi partiti tedeschi durerà fino a ottobre 2021 ma ormai quasi nessuno crede che Merkel possa guidare il Paese fino a quella scadenza. Il dramma della SPD è che, se lascerà il governo, la Germania potrebbe andare a elezioni anticipate. E secondo l'ultimo sondaggio FORSA, i socialdemocratici potrebbero scivolare ancora più giù, attorno a quota 12%, appena sopra all'11% attribuito al partito xenofobo AfD. Se Sparta piange, Atene non ride: la stessa rilevazione vede i Verdi primo partito con il 27%, davanti alla stessa CDU, in ulteriore calo al 26%. Bruciato Martin Schulz a fine 2017 e bruciata ieri anche Andrea Nahles, la politica tedesca è appesa alle scelte di chi sarà scelto a guidare la SPD da domani.

Daniel Mosseri
03/06/2019
www.ilgiornale.it/news/politica/tracollodellspdeuropeenahleslasciagovernobilico1705...
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00mercoledì 12 giugno 2019 19:38
Merkel, le ombre sul passato: era una spia della STASI?

Angela Merkel era al servizio della STASI, la principale organizzazione di sicurezza e spionaggio della Repubblica Democratica Tedesca? Come sottolinea il Corriere della Sera, chi scrive il nome della cancelliera su Google, inciampa quasi subito sulla sigla IM Erika, dove IM sta per Inoffizielle Mitarbeiterin, collaboratrice non ufficiale, la sigla con cui la STASI indicava gli informatori che non erano suoi agenti. Tra teorie "complottiste" e mezze verità, nessuno però ha mai smentito ufficialmente l’indiscrezione che riguarda il passato di Angela Merkel, sebbene non vi siano carte che dimostrino che la Cancelleria fosse un’informatrice o collaboratrice dei Servizi Segreti della DDR. “Il che però non significa che non ci siano mai state”, spiega lo storico Hubertus Knabe, in un saggio dedicato al tema e pubblicato ieri sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Knabe non è certo l’ultimo arrivato, dato che dal 2000 al 2018 ha diretto la Fondazione del Memoriale di Hohenschönhausen, l' ex prigione della STASI trasformata in centro di documentazione e di ricerca. Ed è per questo motivo che l’articolo pubblicato dal Frankfurter Allgemeine Zeitung appare molto interessante. Innanzitutto, che Angela Merkel fu avvicinata dalla STASI è un fatto. Successe al Politecnico di Ilmenau, ricorda il Corriere della Sera, in margine a un convegno di studi. Angela Merkel rifiutò ma, osserva Knabe, "queste proposte non venivano fatte a caso", poiché la precondizione, fra l'altro, erano provate "qualità personali e politico-ideologiche". La STASI era convinta di potersi fidare della futura Cancelliera ma a quanto pare lei rifiutò. Ma andò davvero così? Nel 1989, alla fine della Guerra Fredda, gli ufficiali STASI distrussero enormi quantità di carte prima che la folla occupasse le sedi della principale organizzazione di sicurezza e spionaggio della DDR. Il reclutamento rappresentava una fase importantissima per l’organizzazione. Come scrive Gianluca Falanga sulla Rivista Italiana di Intelligence, una delle verità più agghiaccianti emerse dalle analisi degli ultimi anni conferma che meno del 3% degli informatori fosse costretto a collaborare col ricatto (http://gnosis.aisi.gov.it/gnosis/Rivista48.nsf/ServNavig/48-33.pdf/$File/48-33.pdf?OpenElement).

Certamente, in almeno un caso su due, la paura che incuteva l’avere a che fare con l’onnipotente Moloch spionistico del regime assumeva una discreta valenza nei comportamenti dei confidenti e così anche l’offerta di vantaggi materiali, ma la STASI si preoccupò soprattutto di studiare un modus operandi che consentisse d’individuare i profili umani più utili e idonei, quelli dei soggetti disposti a lasciarsi ‘condurre’ senza eccessive pressioni o traumatiche costrizioni, vale a dire per ‘coltivarli’. La STASI, piuttosto che reclutare uomini, scriveva biografie, indirizzava vite, accompagnando e influenzando i processi di maturazione del singolo, contribuendo a forgiare personalità e caratteri. Un lavoro paziente e di lunghissimo respiro. E Angela era stata scelta con cura, non certo casualmente. Come osserva Repubblica, il problema di una ricostruzione della biografia della Cancelliera prima della caduta del Muro è che la sua scheda, quella in cui la STASI registrò quel tentativo di reclutamento, così come il suo rifiuto, può essere vista solo ed esclusivamente dalla Cancelliera. La regola prevede infatti che solo il diretto interessato possa accedere agli archivi e visionare la propria scheda. Nessun altro ha l’autorizzazione per farlo. I dubbi però rimangono. Merkel, infatti, lavorava fianco a fianco con numerosi IM: almeno tre dei suoi colleghi (nome in codice Einstein, Bachmann e Manfred Weih) erano infatti informatori, anche se questo elemento non rappresenta una prova. Poco chiare sono le circostanze dei suoi due viaggi nella Repubblica Federale, nel 1986 e nel 1989, un grande privilegio nella DDR. In definitiva, non esiste al momento alcun atto o documento che provi il sospetto che Angela Merkel abbia lavorato per la STASI, ma alla Cancelliera "si può rimproverare il fatto di non parlare in modo aperto del suo passato nella DDR". La verità? Probabilmente non la sapremo mai, del tutto. A meno che la Cancelliera non voglia chiarire ogni dubbio.

Roberto Vivaldelli
12/06/2019
www.ilgiornale.it/news/mondo/merkel-ombre-sul-passato-era-spia-stasi-1710...
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00mercoledì 4 settembre 2019 20:40
AFD pialla partito liberale

La politica di netta presa di distanze da Alternativa per la Germania (AFD), partito della nuova destra tedesca, "ha fallito", come dimostra il successo della formazione attestatasi seconda forza alle elezioni statali tenute in Brandeburgo e Sassonia il primo settembre scorso. E' quanto afferma Wolfgang Kubicki, vicepresidente del Partito Liberaldemocratico (FDP) e del Bundestag. Come riferisce oggi il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, la FDP non entrerà nei parlamenti di Brandeburgo e Sassonia poiché non ha superato la soglia di sbarramento del 5 per cento prevista dalla legge elettorale dei due Länder. A tale assoluta disfatta e alla parallela ascesa di AFD per Kubicki ha contribuito soprattutto la presa di distanze delle formazioni tradizionali dal partito, accusato di estremismo di destra, quando nei fatti invece raccoglie ampi consensi in buona parte dell'elettorato moderato che votava, appunto, il Partito Liberaldemocratico. "La nostra politica di demarcazione radicale non ha aiutato, al contrario. Ha fatto piuttosto male", ha affermato il vicepresidente del Bundestag. Kubicki ha aggiunto:"Dobbiamo trattare con AFD e i suoi elettori in modo più aperto e più comunicativo, non marchiare sempre tutto e tutti automaticamente come radicali di destra che non ci piacciono". Per il vicepresidente della FDP, nel rapporto con AFD ènecessario "più ragionamento e più dibattito costruttivo". Ma se ne parlerà fra quattro anni, durante i quali i liberaldemocratici rimarranno fuori dai parlamenti regionali di Sassonia e Brandeburgo.

3 settembre 2019
www.ilnord.it/i-8993_AFD_PIALLA_PARTITO_LIBERALE
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00martedì 19 novembre 2019 02:10
Germania torna al marco tedesco? È boom di utilizzo al posto dell’euro

No, la Germania non ha mai veramente abbandonato il marco tedesco. Negli ultimi anni molti europei si sono ritrovati a pensare con nostalgia alle care vecchie valute nazionali precedenti all’euro. Il possibile ritorno alla lira in Italia ancora oggi è un argomento fortemente discusso. Ma la Germania è ad un livello superiore: molti tedeschi amano così tanto il marco che, addirittura, lo utilizzano ancora. È sotto gli occhi di tutti che il marco tedesco è tutt’altro che morto.

Il marco tedesco? Tutt’altro che morto
La Germania è passata ufficialmente all’euro il 1° gennaio 2002 e il marco tedesco ha cessato immediatamente di avere corso legale, proprio come accaduto in Italia e alla lira. Tuttavia, a differenza dell’Italia e di altri Paesi che usano l’euro, la Germania non ha mai fissato un termine ultimo entro il quale i cittadini avrebbero dovuto cambiare i propri marchi con la moneta unica. Tale termine, in Italia, è scaduto nel dicembre 2011. I cittadini e le imprese tedesche possono ancora cambiare le proprie banconote e monete del vecchio conio presso le banche governative ad un tasso di 1,96 marchi per euro, un cambio a favore della valuta tedesca, dunque conveniente per i commercianti. La stessa scelta della Germania, quella di non far mai scadere la possibilità di cambio delle vecchie valute nazionali in euro, è stata adottata da Irlanda, Belgio, Lussemburgo, Austria, Slovenia, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania.

Perché i tedeschi amano tanto il marco
In fondo, il marco non è mai stato semplicemente una valuta. Nel tempo è diventato un simbolo del miracolo economico del dopoguerra di un Paese che è risorto dalle ceneri della seconda Guerra Mondiale, ed è uno dei pochi simboli in cui i tedeschi si sentivano tranquilli di esprimere il proprio orgoglio nazionale, visti i legami persistenti con gli strascichi nazisti. Molti tedeschi lodano l’estetica e il sentimentalismo del marco; le monete e le banconote raffigurano figure tedesche legate alla Storia, come i fratelli Grimm, con le quali le immagini pan-nazionali dell’euro non riescono a reggere il confronto.

Il marco tedesco è ancora ampiamente utilizzato
Secondo gli ultimi dati disponibili sono presenti 13,2 miliardi di marchi tedeschi, pari a 6,75 miliardi di euro, in circolazione in Germania. Il valore delle lire italiane mai cambiate in euro, secondo la Banca d’Italia, corrisponde a 1,4 miliardi di euro. La catena di abbigliamento C&A accetta una media di 150.000 marchi al mese, e il 90% delle cabine telefoniche gestite da Deutsche Telekom accetta le monete dei marchi tedeschi, note come “pfennigs”. Accettando i marchi, le imprese si aprono ad un flusso di denaro in entrata di cui altrimenti non potrebbero godere, dal momento che sono molti i tedeschi che desiderano spendere i propri marchi ritrovati in vecchie scatole di scarpe, tasche di cappotti e materassi.

Germania verso il ritorno del marco tedesco?
In molti ricorderanno le voci di qualche tempo fa secondo cui la Germania starebbe stampando marchi tedeschi. Un sondaggio condotto lo scorso anno ha dimostrato che più della metà dei tedeschi vorrebbe tornare al marco tedesco, per quanto poco saggio. La Germania ha beneficiato enormemente dell’euro, che ha reso le esportazioni della Germania verso altri Paesi dell’Eurozona molto più convenienti. Quando il marco tedesco volava alto a metà degli anni '90, l’economia tedesca delle esportazioni ha subito delle dure conseguenze per anni.

Flavia Provenzani
26 giugno 2019
www.money.it/Germania-torna-al-marco-tedesco-E
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00mercoledì 27 novembre 2019 03:11
La CDU sfiducia Angela Merkel sulla Cina

Uno schiaffo in pieno volto. Angela Merkel incassa un durissimo colpo in un momento complicato, sia per la sua carriera politica che per il suo partito, la CDU, scissa da laceranti tensioni interne. La Cancelliera sperava di uscire dall’angolo giocando il jolly Cina, ma questa volta non le è bastato affidarsi al Dragone per evitare la sconfitta. Nei mesi scorsi Merkel aveva deciso di consentire a Huawei di partecipare alle aste tedesche per la costruzione delle infrastrutture adibite alla tecnologia della nuova rete 5G, provocando l’ira degli Stati Uniti e i commenti straniti di una buona parte dell’Unione Europea. Quando prese questa decisione, la “donna più potente del mondo” era ancora sulla cresta dell’onda, e qualsiasi cosa usciva dalla sua bocca era da tutti considerata oro colato. Oggi la situazione è cambiata: Merkel ha perso l’aura carismatica e smarrito la bussola. E quello che riteneva essere un jolly si è rivelato un pericoloso boomerang.

Una scommessa pericolosa

Nell’ultimo congresso della CDU, l’Unione Cristiano Democratica, Merkel è stata sfiduciata e detronizzata. Già, perché mentre la Cancelliera si sfregava le mani pensando di risalire la china sfruttando a suo favore il tema 5G, i suoi detrattori le stavano preparando una trappola micidiale. Nel dibattito svoltosi nell’ultimo congresso di partito ha prevalso l’ala del partito contraria all’ingresso di un’azienda controllata da Pechino in un settore così sensibile della Germania. La fronda dei dissidenti, guidata da Norbert Roettgen, è riuscita a far approvare una mozione che obbliga la CDU a escludere dalla gara per il 5G tutte le società che subiscono l’influenza dei rispettivi governi. E Huawei non può che essere considerata una di queste, vista la presunta vicinanza tra il fondatore del colosso di Shenzen, Ren Zhengfei, e i vertici del Partito Comunista cinese. Dall’azienda sono più volte arrivate secche smentite, ma in Europa (e non solo) c’è chi continua a non fidarsi. All’orizzonte si prospetta l’annientamento del piano Merkel, perché i ribelli CDU contrari a Huawei e l’SPD, i socialdemocratici tedeschi con i quali il partito della Cancelliera ha formato una Grande Coalizione di governo, stanno convergendo in un pericoloso blocco unico. Se così fosse, il Bundestag potrebbe davvero scrivere la parola fine sotto i sogni di gloria della Cina in Germania votando per l’esclusione di Huawei dal 5G tedesco.

Il declino di Angela Merkel

Si prospettano dunque giorni complicati per Angela Merkel, la cui figura sta evaporando come neve al sole. Il suo mandato scadrà nel 2021, e il rischio è che da qui a quella data l’attuale Cancelliera non possa gettare le radici per una valida successione. Annegret Kramp-Karrenbauer, leader CDU e considerata a tutti gli effetti erede di Merkel, non ha scaldato i cuori degli elettori ma soprattutto non ha convinto gli esperti. La Cina era uno degli ultimi appigli sul quale Frau Merkel sperava di appigliarsi per evitare di cadere nel vuoto, ma un “colpo di mano” interno alla stessa CDU ha spinto nel baratro l’ormai ex “donna più potente del mondo”. Lo scorso settembre, con l’economia della Germania barcollante, Merkel volò addirittura a Pechino per chiedere alla Cina di consentire maggiori investimenti tedeschi oltre la Muraglia, così da scuotere il Paese. A distanza di qualche mese lo scenario economico non è cambiato.

Federico Giuliani
26 novembre 2019
it.insideover.com/politica/la-cdu-sfiducia-angela-merkel-sulla-cina.html?fbclid=IwAR0HkmtMsnkzuVb_xNpSKjrHfOYvXBC1XTlL9QWB2rAjVQh_DTJ...
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00martedì 11 febbraio 2020 02:08
Il passo indietro di Annegret Kramp-Karrenbauer manda a gambe all’aria i moderati in Germania



Come hanno scritto tutti gli osservatori, il caos dell’elezione del Ministerpräsident in Turingia ha segnato un momento cruciale della storia politica tedesca, le cui conseguenze, ancora tutte da considerare, sicuramente saranno estremamente rilevanti. E lunedì mattina è deflagrata quella che con ogni probabilità è la più rilevante di tutte: Annegret Kramp-Karrenbauer, AKK, la leader della CDU eletta al vertice del partito poco più di un anno fa, nel dicembre 2018, rinuncia alla candidatura alla Cancelleria, e annuncia che in estate lascerà la guida dei conservatori. Un terremoto con epicentro esattamente nel cuore del sistema politico tedesco. La decisione di AKK è sorprendente, soprattutto se consideriamo il piglio aggressivo e bellicoso con cui aveva provato a blindare la sua investitura nel congresso di fine novembre: in quell’occasione aveva tenuto un discorso tutto impostato all’attacco, in qualche modo sfidando i suoi avversari interni a sfiduciarla subito e cogliendoli in contropiede, data la loro impreparazione ad agire così in fretta.

Da quel Parteitag AKK era riuscita a trarre, se non più autorevolezza, almeno un pù più di tempo: sembrava essersi garantita un pò di tranquillità, e probabilmente sperava di mantenere le cose sotto controllo fino al momento in cui si sarebbe dovuto scegliere il Kanzlerkandidat, il candidato alla Cancelleria, in modo da arrivarci in posizione di forza. Solo che poi è successo qualcosa: è successa la Turingia. I principali responsabili del terremoto turingiano sono sicuramente la sezioni locali della CDU e della FDP, sfruttate con furbizia da AfD (che, ricordiamolo, nel Land è guidata da Björn Höcke, praticamente un neonazista), ma le cose sono più complesse di così. In questi giorni si sono rincorse voci di contatti fra Höcke e Thomas Kemmerich, l’esponente FDP eletto Ministerpräsident del Land con i voti degli estremisti di destra, in corso già da inizio novembre, cioè una settimana dopo le elezioni regionali, e numerosi articoli hanno ripercorso il quasi-corteggiamento della CDU locale nei confronti degli alternativi. Il contraccolpo per FDP e CDU a livello nazionale è stato tremendo, ed è rappresentato plasticamente nei sondaggi, in particolare quelli relativi alla Turingia: meno dieci punti per i cristiano-democratici, addirittura doppiati da AfD, e liberali sotto la soglia del 5% e dunque fuori dal Landtag.

Christian Lindner, capo della FDP, è riuscito in qualche modo a metterci una pezza spingendo Kemmerich alle dimissioni (arrivate sabato), anche se certo anche per lui la botta è stata forte; il braccio di ferro nella CDU, invece, fra Erfurt, capoluogo della Turingia, e Berlino, è durato più a lungo, ed è stato molto più sanguinoso. Fin da subito, AKK ha spinto per una risoluzione del pasticcio del 5 febbraio che passasse da un ritorno alle urne, ma la sezione locale, guidata da Mike Mohring, ha contrapposto un fiero diniego: e lo scontro, protrattosi per diversi giorni, non ha fatto altro che evidenziare una volta di più le difficoltà di AKK nel tenere in mano le redini del suo partito. Per rendere l’idea, la Bild ha definito la vicenda una DebAKKle (secondo me non c’è bisogno di traduzione); e probabilmente non è un caso che il vero punto di svolta, fra le file dei conservatori, non sia stato l’intervento di Kramp-Karrenbauer, ma il Machtwort da Pretoria di Angela Merkel, il suo potente discorso dal Sud Africa. Un segnale piuttosto chiaro che sì, forse dal dicembre del 2018 la CDU non è più il partito della Cancelliera, ma certo, come hanno sostenuto i vertici della Linke, non è mai stato quello di AKK.

Ed è probabilmente in questi interstizi, lasciati vuoti da una leadership mai davvero fuori discussione, che gli avversari interni di AKK hanno trovato spazio di manovra per sfruttare a proprio vantaggio il caos turingiano. È infatti difficile pensare che una federazione locale possa rivoltarsi così a lungo e in maniera così plateale contro i vertici nazionali, a meno che tra quegli stessi vertici non si nasconda qualcuno che magari ufficialmente si allinea alla posizione autorizzata, ma ufficiosamente fa il tifo per i ribelli, e cerca di aiutarli come può. Sia chiaro, queste sono speculazioni selvagge: ma visto com’è andata a finire, non è detto che si stia mancando di molto il bersaglio. La decisione di AKK, infatti, sembra davvero il gesto di chi ha capito di essere stato incastrato, e invece di farsi rosolare a fuoco lento preferisce togliersi di mezzo. Nella conferenza stampa seguita all’annuncio, ha spiegato di non aver preso la decisione d’impulso, di pensarci anzi da tempo: probabilmente la Turingia c’entra, ma un pò come un pretesto, un cogliere la palla al balzo per sottrarsi a uno stillicidio letale.

Come abbiamo spesso raccontato su Kater, la sua leadership è stata fin da subito fonte di pesanti dubbi tra i conservatori, che fra pessime figure, dichiarazioni discutibili e situazioni imbarazzanti si sono chiesti più volte se AKK fosse davvero l’opzione più adatta per la Cancelleria. Fra nutrire dubbi e avere pronto un piano B, però, ce ne corre: e la CDU si trova ora costretta a trovarlo in fretta, quel piano B. Da tempo si parlava di possibili candidature alternative a quella di Kramp-Karrenbauer, ma nessuno finora si è esposto esplicitamente, anche perché era opinione comune che ci fosse ancora tempo: l’improvviso passo indietro della leader, però, obbliga i pretendenti a rifare tutti i calcoli. Friedrich Merz, il capofila degli avversari interni di AKK e suo sfidante del dicembre 2018, qualche giorno fa ha dichiarato di volersi impegnare ancora di più per il Paese, nelle settimane e nei mesi a venire: parole che, oggi, suonano sibilline, e lasciano intravedere la chiara intenzione di scendere in campo.

Un altro nome risuonato spesso, in questo periodo, è quello di Armin Laschet, governatore della Renania Settentrionale eletto a sorpresa nel maggio 2017, in un Land che tradizionalmente è un feudo SPD: deciderà che è giunto il suo momento? E Jens Spahn, il terzo sfidante al congresso del dicembre 2018 che ora sta svolgendo un discreto lavoro al Ministero della Salute, nonostante il colpo ricevuto sul tema delle donazioni di organi? Che farà Markus Söder, il leader della CSU protagonista di un acclamatissimo discorso al congresso di novembre? Ma soprattutto: che ripercussioni avrà tutto questo sulla tenuta della Grosse Koalition? AKK ha dichiarato che rimarrà al Ministero della Difesa e che guiderà la transizione fino alla nomina del nuovo leader, in estate: è quindi prevedibile che nei prossimi giorni inizieranno ad arrivare le prime candidature. Ma è davvero difficile, in questo momento, farsi un’idea chiara di chi farà parte della schiera dei pretendenti. Certo è che, quando ripenseremo a questo febbraio 2020, ci renderemo conto che, come scrive il Welt, la Turingia non è stato un incidente: la Turingia è stata l’inizio.

10 febbraio 2020
www.linkiesta.it/it/article/2020/02/10/annegret-kramp-karrenbauer-germania-cdu...
wheaton80
00sabato 14 marzo 2020 16:39
Arnaldo Vitangeli - La Germania dichiara la fine dell'Unione Europea e torna al sovranismo

www.youtube.com/watch?v=DxbOv1nnITs&feature=youtu.be&fbclid=IwAR261T9_UzRiQKLGF9Ck-jE0uwlepmQjBVO-9KoDr9PtKyCdH2q...
wheaton80
00mercoledì 6 maggio 2020 16:54
Karlsruhe, il conflitto è insanabile. Ma l'Italia ha un Piano B?

La sentenza della Corte Costituzionale tedesca è una ulteriore tappa di quello che ormai appare come un conflitto insanabile tra la Germania e le istituzioni europee, in particolare la Banca Centrale Europea e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Nulla di nuovo per chi avesse letto il mio articolo “Crisi, MES e l’incredibile verità sull’entrata in scena di Draghi: spiegato facile”, in cui risulta chiaro come il problema emerso ieri con la sentenza della Consulta tedesca si intersechi con quello del MES. Siccome c’è molta confusione su cosa sia stato effettivamente detto, proverò a sintetizzare la reale portata della decisione sul futuro dell’UE, sempre più in bilico. La Corte di Karlsruhe aveva rimandato alla Corte di Giustizia Europea per un giudizio sull’operato della Banca Centrale Europea con il cosiddetto Quantitative Easing, in particolare con una serie di strumenti di acquisto dei titoli pubblici sul mercato secondario definito PSPP (Public Sector Purchase Programme). Già in sede di rinvio pregiudiziale i giudici tedeschi avevano sollevato parecchi dubbi sulla legittimità delle azioni poste in essere dalla BCE. Bene, nella esplosiva sentenza di ieri, i giudici della Consulta tedesca inviano messaggi forti e non certo concilianti a 5 istituzioni:

- Al governo e al parlamento tedesco, per la verifica del loro mandato costituzionale, in particolare sulla loro mancata vigilanza rispetto all’operato della BCE
- Alla BCE, chiedendo ulteriori spiegazioni sul programma PSPP, al fine di consentire una indagine sulla effettiva violazione dei trattati
- Alla Corte di Giustizia Europea, sostenendo a gran voce che la sovranità appartiene agli Stati, e che spetta alla Corte Costituzionale valutare se ai sensi della legge fondamentale tedesca le istituzioni europee abbiano agito nel rispetto del mandato conferitogli dagli Stati mediante i trattati. Su questi presupposti, ha dichiarato che alcune parti della sentenza della CGUE dell’11 dicembre 2018, con cui i giudici europei hanno sancito la legittimità delle decisioni della BCE, fuoriescono dal mandato conferito dai trattati ai giudici europei, in particolare in merito all’applicazione del principio di proporzionalità nel giudizio fornito sulla BCE. Il principio di proporzionalità implica che le istituzioni europee debbano agire mantenendo una proporzionalità tra gli obiettivi che si sono conferiti e le azioni poste in essere. In particolare, i giudici tedeschi hanno ritenuto che nel valutare il programma di acquisto della BCE, la Corte Europea non abbia indagato correttamente sul fatto se vi sia proporzionalità tra gli obiettivi di politica monetaria in capo alla BCE e gli strumenti dalla stessa posti in essere
- Alla banca tedesca, Bundesbank, che non può per tali motivi partecipare all’attuazione del programma della BCE, a meno che il Consiglio Direttivo della BCE non adotti una nuova decisione che dimostri in modo comprensibile e giustificato che le azioni messe in campo non siano sproporzionate rispetto agli obiettivi di politica monetaria

Le cose stanno quindi così:

- La Consulta ha rimandato il proprio giudizio sulla BCE, e per derivazione quello sul governo e sul parlamento tedesco
- La Consulta ha delegittimato la Corte di Giustizia Europea, trasferendo a se stessa il potere giudiziario di decidere sull’interpretazione dei trattati in questa specifica circostanza. Fatto mai accaduto nella storia d’Europa

Tutti quanti siamo in grado di renderci conto che ormai il conflitto tra le Corti è insanabile, e che quindi il declino dell’UE è un evento quasi certo da consumarsi in tempi incerti. Nel frattempo, la BCE non le manda a dire, con un messaggio invero un pò criptico ma chiaro a chi ha seguito la vicenda sin dall’inizio. La BCE dichiara che prende atto della sentenza dei giudici costituzionali tedeschi, e che proseguirà nel suo impegno a garantire l’obiettivo della stabilità dei prezzi, e aggiunge però che le azioni intraprese verranno trasmesse a tutte le giurisdizioni dell’area euro, specificando che già comunque la Corte di Giustizia Europea ha stabilito il rispetto del suo mandato. In pratica, anche se sembra che ci sia un’apertura della BCE alle disposizioni della Corte tedesca, appare ferma la sua posizione in linea con quanto già deciso dalla Corte europea. Resta da capire se il complicato compromesso possa essere mantenuto, oppure se a breve dovremo aspettarci una crisi europea senza precedenti. L’Italia ha eventualmente un piano B? Sembra proprio di no.

Lidia Undiemi
6 maggio 2020
www.lantidiplomatico.it/dettnews-karlsruhe_il_conflitto__insanabile_ma_litalia_ha_un_piano_b/11_34746/?fbclid=IwAR2Wl50A0QIMNeiGG01ZB_sV-J0Y7rU2O2J11yIzQQe0eRmQGvk...
wheaton80
00mercoledì 6 maggio 2020 16:55
Wolfgang Munchau (Financial Times):"È la versione tedesca della Brexit"

“Un altro vero proiettile l'accusa esplicita del tribunale tedesco secondo cui la Corte di Giustizia Europea ha trasgredito le sue competenze e deve quindi essere ignorata. Aprirà voragini. Questa è la versione tedesca di Brexit”. Lo scrive Wolfgang Munchau, editorialista finanziario di riferimento del Financial Times, che rilancia l’approfondimento del suo think tank Eurointelligence, dove si evidenzia come l’accusa della Corte Costituzionale tedesca a BCE e CGUE di aver agito ultra vires, dimostra come il tribunale tedesco si considera “vincolato dalle sentenze della CGUE, ma solo quelle che si verificano nell'ambito delle competenze concordate dall'UE”. E spetta al tribunale tedesco decidere quando questo avviene o meno. “Questa è la più grave sfida per il quadro giuridico dell'UE che abbiamo finora incontrato”. “L'interpretazione del tribunale tedesco avrà conseguenze enormi se altri tribunali nazionali ne seguiranno l'esempio. Il che lo riteniamo molto probabile. Il vice Ministro della Giustizia polacco ha già dichiarato che gli Stati membri hanno riguadagnato la loro posizione di padroni dei trattati dell'UE. Ci aspettiamo che la sentenza rafforzi la determinazione da parte del governo polacco di proseguire con la riforma giudiziaria e di resistere alle interferenze dell'UE in ciò che considerano affari legali interni”, prosegue nella nota Eurointelligence.

06/05/2020
www.lantidiplomatico.it/dettnews-wolfgang_munchau_financial_times__la_versione_tedesca_della_brexit/11_34749/?fbclid=IwAR34ItN7_wXluVZ442W9HjkfeJ6Q3pQDrslCd8ETpgMWTmZNViC...
wheaton80
00martedì 30 giugno 2020 23:47
Wirecard: scappano anche gli obbligazionisti, ex CEO arrestato


Markus Braun

La crisi Wirecard sta continuando a far discutere l’intero settore finanziario. Qualche giorno fa, le azioni sono letteralmente crollate in Borsa nel momento in cui la società di revisione Ernst & Young si è rifiutata di certificare il bilancio della tedesca, lamentando un buco di 1,9 miliardi di euro. Come era ovvio che fosse, la crisi Wirecard è finita sulle prime pagine dei giornali mondiali e la Germania è stata travolta dallo scandalo, che ha portato qualche ora fa la stessa azienda ad ammettere la possibile inesistenza di quel denaro mancante. Alla fuga degli azionisti, ormai terrorizzati dall’idea del default, ha fatto seguito quella degli obbligazionisti. Il tutto mentre l’ex CEO Markus Braun, che ha rassegnato le dimissioni venerdì, è stato arrestato con l’accusa di aver gonfiato i bilanci.

Crisi Wirecard: obbligazioni collassano, rendimenti decollano
Nelle ultime due sedute della scorsa settimana le azioni societarie hanno lasciato sul campo più di 80 punti percentuali, mentre soltanto ieri il titolo ha bruciato un altro pessimo 11 % sul DAX di Francoforte. Una vera e propria fuga degli azionisti, spaventati da una crisi improvvisa e inaspettata. Non è andata tanto meglio alle obbligazioni che, in virtù dello scandalo, sono letteralmente affondate, per una conseguente impennata dei relativi rendimenti. Si pensi a quanto accaduto al bond in scadenza l’11 settembre del 2024 con cedola 0,50 % e valore nominale di 500 milioni di euro. Fino alla giornata di mercoledì 17 giugno, poco prima dell’esplosione della crisi Wirecard, questa obbligazione ha continuato a scambiare sopra gli 80 centesimi. Poi, il giorno dopo, il tracollo. Il prezzo del bond è affondato intorno ai € 36 a Berlino e ai $ 26 in Lussemburgo, mentre il relativo rendimento di quest’ultimo è decollato oltre il 60 %.

Situazione orribile

La crisi Wirecard ha travolto anche l’autorità di vigilanza, accusata di non aver svolto in modo corretto il proprio lavoro. “Non siamo stati abbastanza efficaci da impedire che succedesse una cosa del genere”, ha ammesso lo stesso Presidente della BAFIN (una sorta di CONSOB tedesca), definendo la situazione come la più orribile nella storia del DAX, che a molti ha ricordato quella della nostrana Parmalat. Non è chiaro in che modo verrà risolta la crisi di Wirecard. Fondamentale adesso sarà ottenere la fiducia delle banche creditrici per evitare l’interruzione delle linee di credito all’azienda.

Cristiana Gagliarducci
23 giugno 2020
www.money.it/crisi-Wirecard-obbligazioni-crollano-rendiment...
wheaton80
00venerdì 3 luglio 2020 16:35
L'attacco alla Germania continua e non più in silenzio... Ma pochi se ne sono accorti

Molti ci dicono che non sta succedendo niente, tante chiacchiere e pochi fatti, ma in realtà bisogna capire come unire i punti, perché questa è anche una guerra di informazioni. Q ci annunciava a maggio che l'Europa, intesa come prigione a cui gli Stati avevano ceduto le loro singole sovranità, stava crollando. Nonostante i soliti vili politici come Prodi, Monti, Napolitano, Mattarella, Renzi e Conte continuassero a fare le solite filippiche sull'importanza di chinarsi al dominio europeo e sul continuare a cedere pezzi della nostra libertà e sovranità ad un organismo crudele e sanguinario (vedi caso Grecia e ora Italia), analizziamo invece quali sono le cannonate che stanno arrivando inesorabili da oltre oceano. Sorvolando il discorso Brexit, in cui il Regno Unito si è sganciato dalla morsa mortale europea, i colpi più feroci arrivano alla Germania da tutte le parti, come Stato membro egemonico all'interno di un Impero con tanti feudi:

1) Partiamo dalla storica sentenza della Corte Costituzionale tedesca contro il sogno di un’Europa federale del 5 maggio 2020. Per la prima volta nei suoi 70 anni di vita, l’Unione Europea deve registrare l’esistenza di un conflitto giurisdizionale tra la Corte di Giustizia Europea (unica istituzione comune degli Stati membri legittimata a giudicare norme di interesse comune) e la Corte Costituzionale di uno Stato membro, seppur fondamentale come quello tedesco. Questa sentenza apre scenari importanti, dalla produzione di moneta sovrana alla delegittimazione dell'Europa stessa. Q lo aveva anticipato giorni prima con le solite frasi sibilline e profetiche e questo ci fa capire molto a riguardo

2) Due settimane fa circa, Trump attaccava frontalmente la Germania e i tedeschi, chiamandoli "delinquenti" 4 volte in un discorso di 3 minuti, con la scusa di non pagare le spese come Stato appartenente alla NATO e ritirava circa 25.000 militari americani dalle basi in Germania, ma ovviamente abbiamo capito che i motivi sono ben altri

3) In questi giorni su tutti i giornali esce la notizia devastante sulla Bibbiano tedesca e della presenza di una rete immensa di pedofili in Germania di circa 30.000 persone. "L'unità di criminalità informatica nello Stato del Nord Reno Westfalia:"Vogliamo trascinare gli autori e i sostenitori degli abusi sui minori fuori dall'anonimato di Internet"

4) Cinque giorni fa, la Bayer patteggiava con 10,5 miliardi di dollari per chiudere 95mila azioni legali contro il diserbante accusato di causare il cancro (il Roundup della Monsanto, da poco acquisita). Ma non è una pietra tombale sulla vicenda, perché restano in piedi circa 25mila richieste di risarcimento da parte di individui che non hanno accettato la transazione

5) Il 25 maggio c'era già stata la sentenza sul Dieselgate: Volkswagen deve risarcire i clienti danneggiati

6) Ieri esce la notizia del crollo di SisalPay: carte bloccate e conti congelati. SisalPay nel caos dopo il disastro Wirecard, società tedesca leader mondiale nei servizi finanziari e tecnologici finita su tutti i giornali, nelle scorse ore, per il colossale buco da 2 miliardi di dollari emerso nei suoi conti. Oltre al drammatico crollo in borsa dei suoi titoli, pari al 70%, il suo fondatore, Markus Braun, si è dimesso, per essere subito arrestato su richiesta della Procura di Monaco di Baviera e rilasciato dopo il pagamento di una cauzione di 5 milioni di euro

7) Alla luce di questi fatti e, crediamo noi, per scongiurare lo scoppio della bomba Deutsche Bank, (piena zeppa di migliaia di miliardi di titoli tossici pronti a scoppiare), la Merkel gela gli europeisti dichiarando in sintesi:

- Scordatevi che cambio la Costituzione per andare verso un’unione fiscale
- L’Europa federale potete solo sognarla

In mezzo a questo scenario, abbiamo ancora Giuseppi che vorrebbe continuare a sussurrare alla Merkel, reduce dall'ennesimo tradimento su suolo italiano a Villa Pamphili, in cui aveva invitato il nemico europeo nei panni del suo Presidente (Sassoli) e la Troika al completo!! Ma molto presto, come vi abbiamo già anticipato, il Governo PD a 5 Stelle sarà solo un brutto, anzi orribile ricordo!!

The Q Italian Patriot
www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=150323139995728&id=115679506793425&__...
wheaton80
00domenica 26 luglio 2020 21:03
Wirecard voleva comprare Deutsche Bank

Dopo lo scandalo collegato alla mancata esistenza di 1,9 miliardi di euro nei suoi conti correnti, la finanziaria tedesca Wirecard AG si è completamente dissolta nell’arco di pochissime giornate, dimostrando un’instabilità di base davvero senza precedenti. Tuttavia, sino al 2019 le sue fondamenta e soprattutto la sua reputazione sul mercato erano considerate decisamente solide, al punto da renderla potenzialmente senza eguali tra i titoli quotati al Dax30 di Francoforte. I fitti legami di conoscenze messi in campo dall’ex Amministratore Delegato Markus Braun e soprattutto dall’azionista Jan Marsalek avevano permesso di raggiungere un successo inatteso alla vigilia della sua fondazione. E in questo scenario, l’alta dirigenza societaria si era trovata nella posizione di poter agire liberamente sui mercati, mettendo nel suo mirino anche lo stesso sistema bancario della Germania, nella figura della più grande banca tedesca: Deutsche Bank.

Lo scopo dell’Operazione Pantera

Aveva preso il nome di “Operazione Pantera” il tentativo di scalata al colosso bancario tedesco da parte di Wirecard AG, avvenuta, secondo le fonti e come riportato dalla testata finanziaria Bloomberg, nella scorsa primavera. Alla base del progetto, infatti, ci sarebbe stato il tentativo di acquistare una quota di rilevanza dell’istituto bancario Deutsche Bank grazie al suo relativamente piccolo valore di mercato rispetto alle attività della banca, all’epoca inferiore rispetto al valore della finanziaria basata ad Asscheim. Benché il piano alla fine non sia andato in porto, i dialoghi tra i dirigenti di Wirecard AG e di Deutsche Bank sarebbero andati avanti per giorni, con l’obiettivo di trovare una soluzione che accomunasse le parti. Lo scopo dell’operazione, infatti, sarebbe stato quello di dare i natali ad una collaborazione che unisse l’immenso portafoglio clienti delle due aziende, allargando al business delle carte prepagate tutti i servizi che possono normativamente essere forniti soltanto dagli istituti bancari. E in questo scenario, l’accomunamento di una società bancaria e di un’azienda tecnologica avrebbe segnato una svolta epocale per il settore, garantendo prospettive di utili in grado di accrescere anche le potenzialità di manovra sui mercati.

Il fallimento delle speranze di Braun

Nonostante il tentativo messo in campo e nonostante i molti punti di forza che effettivamente avrebbero potuto giocare a favore di Wirecard AG, il discorso fatto con i vertici di Deutsche Bank si è molto presto arenato. Sebbene non sia stato possibile ottenere il punto di vista di nessuna delle parti in causa, l’arco temporale in questione coinciderebbe comunque con il periodo in cui i primi sospetti riguardo all’emittente di carte prepagate sono venuti alla luce. E in questo scenario, dunque, risulta plausibile come proprio la sfiducia nei confronti dei bilanci e soprattutto dell’operato della società potrebbe aver convinto i dirigenti di Deutsche Bank, ben consci inoltre del modus operandi dell’istituto di vigilanza tedesco, a rifiutare la trattativa. Questa mancata opportunità ha però segnato una gravissima battuta d’arresto per la società guidata da Braun, che dalla riuscita di un accordo avrebbe ottenuto dei vantaggi importanti.

Primi tra tutti, una possibilità per il ripianamento dei conti ed una maggiore liquidità che avrebbero scongiurato lo stesso fallimento avvenuto nel giugno del 2020, forse reale obiettivo dell’Operazione Pantera. E in secondo luogo, soprattutto, ha messo per la prima volta in rilievo la fallibilità di Wirecard AG e della sua dirigenza, sino a quel momento pensati capaci di compiere continui miracoli economici e finanziari. Ad una analisi più approfondita, infine, appare evidente come la curva di discesa della società sia incominciata proprio in quel periodo, a seguito della prima vera battuta d’arresto delle mire aziendali. Una serie di circostanze che aveva portato la stessa Deutsche Bank a “cartolarizzare” i propri finanziamenti concessi all’Amministratore Delegato Braun; ipotesi questa che sembra avvalorare la tesi secondo la quale a Monaco di Baviera si siano accorti che qualcosa nei bilanci di Wirecard non tornasse. E forse, proprio la diffusa sfiducia all’interno del mondo bancario potrebbe aver aperto il vaso di Pandora che ha portato, gradualmente, all’implosione del più grande emittente europeo di carte prepagate.

Andrea Massardo
26 luglio 2020
it.insideover.com/economia/wirecard-voleva-comprare-deutsche-bank.html?fbclid=IwAR3ToYhC4GYVv3nv7oOY-4psP00M7aVQqG8sNRbwaFd7bq7m2Fs...
wheaton80
00domenica 26 luglio 2020 21:05
Wirecard Papers

Era considerata una delle società finanziarie più promettenti dell’Unione Europea la Wirecard AG, l’emittente di carte prepagate con sede nella città di Asscheim, in Baviera, che nell’arco di meno di 20 anni era riuscita a gestire un portafoglio di gran lunga superiore a quello di molte banche europee. Considerata uno dei primi e riusciti “unicorni” della Germania, la società guidata dal 2010 dall’Amministratore Delegato Markus Braun aveva creato un impero operativo non soltanto nel vecchio continente ma anche in Asia (Cina compresa, dal 2019). Tuttavia, la situazione si è bruscamente invertita in questo 2020 e non a causa della pandemia di coronavirus come si potrebbe pensare. Bensì, a causa di un ammanco di 1,9 miliardi di euro dichiarati in conti fiduciari inesistenti nelle Filippine. Da quel momento in avanti, per Wirecard AG, la Dax di Francoforte, l’istituto di vigilanza finanziaria tedesco (la Bafin) e per lo stesso governo di Berlino è iniziato un inferno destinato a cambiare per sempre il volto della finanza della Germania. E con loro, forse, anche lo stesso modo in cui viene gestita l’operatività degli attori finanziari a livello comunitario.

"Quei soldi, probabilmente, non esisteranno"
“Il Consiglio di Amministrazione della Wirecard AG, in base ai dati in possesso, ha valutato che gli 1,9 miliardi di euro precedentemente dichiarati come saldi in conti fiduciari molto probabilmente non esisteranno”. Era il 22 giugno 2020 quando, con questa frase, il nuovo Consiglio di Amministrazione della società e il nuovo Amministratore Delegato nominato in sostituzione di Braun si sono arresi all’evidenza di uno scandalo troppo grande per essere coperto. D’altro canto, non c’erano le possibilità economiche e neppure il tempo per poter coprire un ammanco da oltre due miliardi di dollari, dopo la smentita da parte delle stesse banche filippine dell’esistenza dei conti fiduciari dichiarati presso i loro istituti. Ma com’è stato possibile che in dei bilanci per anni revisionati dalla stessa società di revisione, la Ernest&Young, di punto in bianco siano stati considerati così falsi da non poter essere approvati? E soprattutto, come hanno fatto per anni la stessa E&Y, la società di revisione incaricata dal Dax (la KPMG) e soprattutto l’istituto di vigilanza tedesco della Bafin a non accorgersi che le cose non stessero andando nel verso giusto? Erano passati infatti appena quattro giorni dal 18 giugno, quando il bilancio approvato dal Consiglio di Amministrazione guidato ancora da Braun e comprendendo un altro importante attore della vicenda, Jan Marsalek, era stato respinto dalla E&Y. Quattro giorni che, però, sono bastati ai due personaggi per dimettersi dai rispettivi incarichi e, nel caso di Marsalek, per far perdere le proprie tracce (disperso, secondo le fonti, tra le Filippine, la Cina, la Corea del Sud e la Bielorussia). E soprattutto, quattro giorni che hanno tenuto il mondo politico e finanziario tedesco col fiato sospeso, conscio che a seguito dello scandalo nulla sarebbe mai più stato come prima.

L'arresto di Braun e la fuga di Marsalek

Era la notte tra il 22 e il 23 giugno quando l’ex Amministratore Delegato della società Markus Braun si era costituito alla Procura di Monaco di Baviera, a seguito del mandato d’arresto per lo scandalo del colosso finanziario Wirecard AG. Interrogato per tutta la notte, è stato liberato nella giornata successiva, a seguito del pagamento di una cauzione di 5 milioni di euro. Tuttavia, dal suo interrogatorio non sono emerse quelle certezze che la procura stava cercando ed era chiaro che l’uomo che si stavano trovando di fronte non poteva essere la mente dietro alla peggiore frode finanziaria che la Germania abbia mai affrontato. Il vero autore, identificato in quel momento nella persona di Jan Marsalek, era ancora in libertà ed aveva fatto perdere le sue tracce. E a differenza di Braun, non è stato sufficiente emettere un mandato d’arresto per farlo uscire allo scoperto. Nonostante ciò, il suo interrogatorio e l’analisi degli ultimi andamenti del titolo azionario (che nell’arco di pochi giorni aveva perso oltre il 90% del proprio valore) erano bastati per capire come l’operatività di Wirecard, in realtà, fosse semplicemente una copertura per il vero business di Braun e Marsalek: la speculazione finanziaria. Una pratica fraudolenta, soprattutto perché attuata sulla loro stessa società e con l’unico obiettivo di pomparne gli utili per aumentare il suo valore di borsa, anche a costo di dichiarare attività di bilancio inesistenti, come nel caso dei conti fiduciari delle Filippine. E soprattutto, protrattasi per anni, in grado di innescare una bomba ad orologeria pronta ad esplodere da un momento all’altro: esattamente come accaduto lo scorso 18 giugno, a seguito della bocciatura del bilancio da parte di E&Y.

Com'è possibile che la Bafin non si sia mai accorta di nulla?
A sconvolgere l’intero panorama politico e finanziario sono state le grandissime omissioni dei controlli sulla Wirecard AG, imputabili esclusivamente all’istituzione che dovrebbe teoricamente garantire la qualità delle aziende attive sul territorio tedesco: la Bafin. Nonostante le accuse siano state inizialmente respinte da parte dello stesso capo dell’istituto di vigilanza, è chiaro ed evidente come uno sguardo più attento ai bilanci societari avrebbe potuto evitare alla situazione di gonfiarsi sino al punto in cui è arrivata a cavallo tra il 2019 e il 2020. Soprattutto, poiché nel corso degli anni erano state molteplici le segnalazioni di operazioni fraudolente e di supporto all’evasione fiscale messe in atto dalla società e soprattutto effettuate da più voci indipendenti tra di loro. Tra queste, un noto fondo d’investimenti americano che aveva avanzato perplessità riguardo agli utili della compagnia e in modo analogo anche una denuncia da parte degli economisti del Financial Times. Tutte segnalazioni che, però, sono cadute nel dimenticatoio: in parte per gli interessi, possibili, delle parti in causa e in parte per l’estrema fiducia che anche l’istituto di vigilanza tedesco riponeva in Braun, conosciuto da tutti con il nome di "Mr. Wirecard". Tuttavia, a seguito di queste gravi mancanze, non è stato soltanto il governo federale a chiedere spiegazioni alla Bafin: la stessa Unione Europea è scesa in prima linea per avere maggiori dettagli riguardo all’accaduto. Dopo aver seguito l’evoluzione dei fatti, infatti, ESMA (European Securities and Markets Authority), per la prima volta nella sua storia, è arrivata a mettere sotto inquisizione un organo di vigilanza nazionale, assestando un duro colpo d’immagine a Francoforte.

Vendite allo scoperto e supporto all'evasione: il vero business di Braun e Marsalek
Come messo in luce dal proseguimento delle indagini, è diventato evidente come, in realtà, l’emissione e la gestione delle carte prepagate fosse in realtà soltanto una parte (e nemmeno la più redditizia) del business portato avanti dalla società finanziaria con sede ad Asscheim. Secondo quanto già evidenziato negli anni passati dalla stampa, infatti, gli interessi della società spaziavano dal mercato del porno, al supporto all’evasione fiscale per le agenzie clandestine del gioco d’azzardo alla “semplice” messa a punto di strumentazioni volte a favorire l’elusione fiscale. Una macchina da soldi, in sostanza, che per buona parte fondava però il proprio piano d’azione su operazioni al limite, se non al di fuori, della legalità. Ma se questa prima parte rientrava all’interno dell’operatività dell’azienda, un altro aspetto è quello che ha invece reso guadagni da capogiro a Marsalek e Braun: la contrattazione delle azioni della Wirecard AG. Secondo infatti quanto messo in luce dal Der Spiegel, la coppia avrebbe per anni perpetrato la compravendita nel breve delle azioni dell’azienda tramite società di comodo per guadagnare dall’incremento del valore delle azioni. Spesso tramite lo stesso indebitamento degli attori (come nel caso del mutuo di Deutsche Bank, che non diventerà una sofferenza soltanto grazie alla sua cartolarizzazione già negli scorsi mesi, prima dello scoppio della bolla) e spesso tramite la vendita allo scoperto del titolo azionario. Ultimo dei quali, secondo gli inquirenti, proprio poco prima della dichiarazione circa l’ammanco di oltre 2 miliardi di dollari dai bilanci societari: una vendita allo scoperto parsa come una sorta di spettacolo pirotecnico finale, prima che il circo chiudesse i battenti.

Il governo tedesco, la Bafin e la Dax probabilmente sapevano
Sempre secondo quanto riportato dal Der Spiegel, c’è un'alta possibilità che la politica e la vigilanza finanziaria della Germania sapessero esattamente quello che stava succedendo all’interno dei palazzi di Asscheim. In modo particolare, a causa del filo rosso che legava Markus Braun all’ex Ministro dell’Economia e della Tecnologia della Germania Karl-Theodor zu Guttenbergs e il segretario odierno del Ministero della Finanza Joerg Kukies. In modo particolare, la presenza di documentazione resa segreta su incontri avvenuti tra Braun e Kukies all’interno del Ministero avrebbe scandalizzato il parlamento tedesco, che ha richiesto chiarimenti e indagini sull’accaduto; generando un terremoto potenzialmente in grado di arrivare sino alla cancelliera Angela Merkel. La Cancelliera, infatti, nel 2019 si sarebbe recata in Cina assieme a importanti imprenditori tedeschi e con lo stesso Guttenbergs col fine di promuovere la collaborazione tra i due Paesi. Quest’ultimo, su mandato della Wirecard AG, avrebbe concluso delle trattative volte a fare entrare la finanziaria tedesca in operatività anche dentro al mercato della valuta digitale cinese: quasi esclusivamente di competenza di Pechino fino a quel momento.E in questa situazione, la sensazione che la stessa Cancelliera Merkel fosse all’oscuro delle operatività del gruppo è alquanto improbabile, soprattutto se si considera l’importanza strategica di Wirecard all’interno del piano di espansione commerciale di Berlino in Cina. Scenario che, a ragion veduta, avrebbe potuto garantire lo sguardo rivolto da un’altra parte su delicate questioni che avrebbero potuto incriminare la società.

Marsalek, il vero cartaio di Wirecard
Come già sottolineato, il proseguire delle indagini ha messo sempre più in evidenza la figura di Jan Marsalek, azionista ed ex CFO di Wirecard AG, all’interno delle logiche criminali della società. In modo particolare, come riportato per la prima volta dalla testata giornalistica britannica Financial Times, egli avrebbe perpetrato per anni tentativi, spesso andati a buon fine, di manipolazione del mercato per convincere potenziali acquirenti ad investire sulla sua società. E per fare questo, egli avrebbe sempre cercato di mostrare la sua figura come quella di un uomo potente con agganci presso le più alte élite mondiali; in possesso, come riscontrato, della documentazione sul velenosissimo novichok e di file importanti appartenenti al Ministero degli Interni austriaco. In questo modo, egli per anni avrebbe ostentato una solidità della propria società basata anche sull’appoggio del ceto politico asiatico ed europeo, fornendo così garanzie (mendaci) aggiuntive riguardo la stabilità del titolo azionario. Tuttavia, anche in questo caso si è trattato principalmente di frodi finanziarie nei confronti di fondi d’investimento e di privati, messi in atto da una mente che appare sempre più il vero cartaio dietro alle mosse della società di Asscheim.

Andrea Massardo
26 luglio 2020
it.insideover.com/schede/economia/wirecard-papers.html?fbclid=IwAR0QfSr_hPX3PST_D1-XUdL7irgTsd9NNkZrINhlqMg2ipJYvHu...
wheaton80
00giovedì 30 luglio 2020 18:22
Arnaldo Vitangeli - La verità sul Recovery Fund e la Germanexit: Europa è più forte o in procinto di crollare?

www.youtube.com/watch?v=KmbWEooRzFE&t=6s&fbclid=IwAR0fRsdWOl74neTMkU4FMblr_oZjSGD8rrYU2fVaLH2ZQbx-njp...

Con l'accordo sul recovery fund le forze europeiste festeggiano e cantano vittoria. I media ci assicurano che, grazie all'Europa, l'Italia avrà i soldi necessari per rilanciare l'economia, ma è falso. Questi fondi sono insufficienti, arriveranno tardi e prevedono condizionalità, ossia limitano ulteriormente la sovranità nazionale e impongono le tristemente note misure di austerità. Eppure, mentre si festeggia la resurrezione dell'UE dopo una lunga trattativa, all'orizzonte si vedono nubi nere. La sentenza della Corte Costituzionale tedesca ha imposto alla Banca Centrale della Germania di uscire dal programma di acquisti di titoli pubblici della BCE ed ha ribadito che la Costituzione viene prima dei trattati UE, una bomba che, se non disinnescata, potrebbe fare esplodere l'intera struttura dell'Unione Europea.

Ne parliamo in questa intervista con Beatrice Silenzi su Radio Linea 1.
wheaton80
00sabato 15 agosto 2020 16:53
Wirecard, quella morte misteriosa legata a Marsalek

Dopo la dichiarazione di insolvenza da parte della società Wirecard AG, quotata al Dax30 di Francoforte, sono emersi particolari che hanno fatto tremare la totalità del comparto finanziario tedesco. Ma non solo: perché assieme alla credibilità dei settori tecnologici e finanziari di Berlino la società di Asscheim ha generato un buco bancario del valore stimato di oltre un miliardo e mezzo di euro e ripartito su quindici massimi istituti europei. Tra questi, ci sarebbero la francese Crédit Agricol, la tedesca Commerzbank e l’olandese ING, che con gli oltre 100 milioni di euro prestati cadauna alla società tedesca si sono di fatti “bruciati” una cifra superiore agli utili trimestrali. E proprio mentre questi particolari relativi all’esposizione di Wirecard stanno venendo alla luce, dalle Filippine, dove tutto era cominciato lo scorso giugno, è stato reso noto un fatto allarmante: un ex gestore della società a Manila di 44 anni, molto vicino all’ex Direttore delle vendite Jan Marsalek, sarebbe stato trovato morto.

Una morte dai mille sospetti

Secondo quanto messo in luce dagli inquirenti, la figura in questione sarebbe stato uno degli uomini di fiducia di Marsalek e suo diretto referente per quanto riguardava i rapporti tra l’ex numero due di Wirecard e le Filippine. Considerando come, tra le varie ipotesi al vaglio degli investigatori, proprio le Filippine sarebbero state una delle destinazioni durante la fuga dalla Germania, la vittima potrebbe essere stata l’unica persona informata della reale posizione di Marsalek. E forse proprio per questo, la sua morte potrebbe essere stata un omicidio collegato allo scandalo di Wirecard AG, che adesso lascia l’ambito prettamente finanziario per assumere anche una tinteggiatura di rosso.

Marsalek avrebbe prelevato contanti a Manila

Quando venne alla luce l’ammanco di 1,9 miliardi di euro dai conti bancari di Wirecard AG, essi erano stati imputati a conti fiduciari inesistenti e collocati proprio nell’arcipelago asiatico dove è avvenuto l’omicidio. Mentre però gli inquirenti tedeschi si sono “distratti” concentrandosi sull’unico uomo della dirigenza che erano riusciti ad arrestare, Markus Braun, il vero cartaio delle truffe dell’emittente di carte prepagate era riuscito a far perdere le proprie tracce. E come dice un detto del mondo investigativo, “l’assassino torna sempre sulla scena del delitto”. Secondo quanto riportato da Businessinsider, sarebbero state proprio le Filippine la prima destinazione di Marsalek, con lo scopo di prelevare un alto quantitativo di contanti per proseguire la sua fuga (alla volta della Cina, della Corea del Sud o forse della Bielorussia, sulla quale gli investigatori si sono concentrati negli ultimi giorni). Tuttavia, la sua latitanza al momento ha avuto esito positivo, rendendolo irreperibile e lasciando almeno al momento in mano agli inquirenti tedeschi un puzzle con troppi tasselli ancora mancanti. Ma l’omicidio avvenuto nelle Filippine adesso potrebbe cambiare le carte in tavola.

Adesso si può seguire una traccia
Mentre prima erano sconosciuti tutti i movimenti di Marsalek, adesso appare chiaro come la prima tappa fu proprio Manila, da dove ebbe inizio il tracollo di Wirecard AG. Potendo concentrarsi su questa pista, e nonostante forse l’unica persona informata dei fatti sia stata trovata morta, adesso è possibile cercare di tracciare gli spostamenti dell’uomo dopo il suo prelievo nell’arcipelago asiatico. E grazie a questa informazione ed aiutati dal basso numero di voli di quel periodo a causa degli ancora elevati stop agli spostamenti aerei, forse Marsalek potrebbe essere finalmente rintracciato.

Andrea Massardo
14 agosto 2020
it.insideover.com/economia/wirecard-quella-morte-misteriosa-legata-a-marsalek.html?fbclid=IwAR0Ro31FxL89OlMz5HVWxS-DDYhD1cS7FIala4cbFuG56yLh_yg...
wheaton80
00venerdì 20 ottobre 2023 19:32
Una disfatta dopo l’altra: Scholz è in difficoltà e la Germania fa tremare l’Europa

Olaf Scholz ha affrontato in Germania una sconfitta dopo l’altra in un processo di disaffezione del Paese dalla “Coalizione semaforo” tra i suoi socialdemocratici (SPD), i Verdi e il Partito Liberale (FDP). I voti di inizio ottobre in Baviera e Assia hanno segnato l’ennesimo arretramento della SPD e della quota di voti totali dei tre partiti di governo. In particolare, dall’inizio del mandato di Scholz, a fine 2021, a oggi, la SPD ha perso nettamente in Bassa Sassonia, Schleswig-Holstein, nella capitale Berlino, nei due più importanti Länder tedeschi, la citata Baviera e il Nord-Reno Vestfalia, e appunto in Assia, avanzando solo nella città-stato di Brema e nella Saarland. I Verdi sono “rimbalzati” in Vestfalia e non sono affondati in Baviera e a Berlino, riducendosi nettamente altrove. I Liberali, tornati in doppia cifra alle elezioni 2021, sono sprofondati quasi ovunque: sotto la soglia del 5%, sono rimasti senza seggi in Baviera, a Berlino, in Bassa Sassonia, Saarland e non hanno superato altrove il 5,9% toccato a Brema e in Vestfalia. Scala posizioni la CDU di Friedrich Merz, che rilancia rigorismo, visioni conservatrici, critiche alle politiche di spesa e alle posizioni di politica estera del governo relativamente al Patto di Stabilità, la riforma dell’Unione Europea, il ritorno al rigore che divide l’esecutivo, la posizione sulla guerra in Ucraina. E vola anche l’ultradestra di Alternative für Detuschland. In Assia la CDU ha vinto col 34,6%, crescendo dal 27% di cinque anni prima, e AFD è arrivata seconda col 18,4%, relegando la SPD al terzo posto.

In Baviera la CSU, partito gemello della CDU nella regione cattolica, si è mantenuta al 37% davanti agli Elettori Liberi, partito populista e conservatore, e proprio all’AFD, attorno al 15,5 e al 14,5% dei consensi rispettivamente. Solo quarti e quinti Verdi e SPD rispettivamente. Tutto questo può produrre dinamiche politiche cinetiche capaci di ripercuotersi sull’intera Europa. Una fase di consensi calanti per un esecutivo può mettere il cancelliere tedesco di fronte alla necessità di andare incontro alle richieste di un elettorato che ha vissuto con apprensione gli effetti della crisi energetica e della caduta in recessione del Paese. E il cui “fallo di reazione” può essere quello di un irrigidimento sulla madre di tutte le partite europee, ovvero la riforma dei trattati e del Patto di Stabilità. Christian Lindner, Ministro delle Finanze e segretario dei Liberali, “falco” per eccellenza nel governo, si è sempre rapportato con attenzione alle linee della maggioranza che nel suo complesso spinge per una versione più lasca del Patto di Stabilità e dell’austerità. Ma nelle ultime settimane Lindner e il governo tedesco hanno promosso una maggiore attenzione ai temi del rigore di ritorno e dell’austerità.

Di fronte a una proposta della Commissione Europea di riforma del Patto di Stabilità che guarda maggiormente all’espansione fiscale e meno alla censura di bilancio, Lindner, nota il Financial Times, “ha affermato che la sua posizione critica sulle proposte della Commissione ha avuto il sostegno di altre capitali dell’UE falche e ha avvertito che la riforma deve in ultima analisi riflettere l’importanza di finanze pubbliche stabili”. Anche Scholz ha di fatto sostenuto la linea più dura del suo ministro: ora Berlino “vuole una regola che stabilisca che il rapporto debito/PIL dei Paesi fortemente indebitati scenda di 1 punto percentuale ogni anno, una richiesta che alcuni Stati membri hanno respinto come troppo dura. La Germania prevede inoltre che i Paesi meno indebitati riducano i loro rapporti di 0,5 punti percentuali all’anno” nella sua bozza. L’approccio della Germania è chiaro: uno stallo farà comunque tornare le regole europee pre-Covid, che fanno gioco a Berlino, capitale capace di avere tutto l’interesse nell’intransigenza per correggere la riforma. Le sconfitte elettorali dei membri della coalizione hanno segnalato, tra le altre cose, che CDU e AFD spingono fortemente sul tema del contrasto al lassismo fiscale e fanno del rigore, in modo diverso, un cavallo di battaglia. Se Scholz e i suoi faranno partire la gara a chi è più rigorista e austero, ovviamente, l’Europa tremerà. E potrà farlo duramente visti i tempi duri che ci attendono in termini di sfide legate a inflazione, carovita, tassi e future politiche industriali ed energetiche. Il sussulto rigorista rischia di produrre un disastro comunitario. E il governo di Berlino di accelerarlo, pensando, così, di recuperare terreno sui temi degli avversari.

Andrea Muratore
13 ottobre 2023
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