Il Messia di Scholem

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LiviaGloria
00venerdì 29 dicembre 2006 19:53
www.nostreradici.it

Marco Morselli
Università di Modena e Reggio Emilia
Il Messia di Scholem

Secondo il Rebbe di Berditchev, quando il Signore vide che l’anima d’Israele era malata, l’avvolse nel lino bruciante dell’esilio. Fece poi scendere un sonno letargico per aiutarla a sopportarne le sofferenze. Ma perché questo sonno non la distrugga, di tanto in tanto la risveglia con una falsa speranza messianica. E così Israele riesce a superare la notte, fino alla venuta del Messia.

1. Nel suo libro di memorie Da Berlino a Gerusalemme Scholem ricorda l’emozione provata nella primavera del 1913 (aveva allora 16 anni) quando lesse per la prima volta una pagina del Talmud e ascoltò la spiegazione che Rashi elabora dei primi versetti del Genesi. Fu, egli scrive, il primo incontro con la sostanza ebraica della Tradizione: «Ciò che mi affascinò allora, la forza di una tradizione plurimillenaria, era abbastanza forte da determinare la mia vita, e da indurmi a passare da una dedizione nel modo dello studio e dell’apprendimento a un’attività di ricerca e riflessione nella quale sprofondarmi».[1]. Il contatto con la profondità della Tradizione creò una trasformazione: «Ciò che allora credevo di poter cogliere e afferrare, e su cui ho riempito alcuni quaderni della mia giovinezza, si trasformò in quest’atto di prensione, e il concetto cui tendevo divenne qualcosa che riluttava tanto più energicamente ai concetti, man mano che passavano gli anni, in quanto liberava una vita misteriosa della quale dovevo riconoscere l’impossibilità di essere tradotta in concetti, e appariva tale da poter essere soltanto rappresentata sotto forma di simboli».[2].

Per molti anni Scholem cercò di avvicinarsi alle forme dalla vita ortodossa, e tuttavia alla fine non si decise a farle proprie. Scelse invece di orientarsi verso il sionismo: «Se esisteva una qualche prospettiva di un rinnovamento essenziale in cui l’ebraismo avrebbe potuto realizzare pienamente il suo potenziale intrinseco, ciò sarebbe potuto accadere solo dove l’ebreo avesse incontrato se stesso, il suo popolo e le sue radici». Egli non era tanto interessato all’aspetto politico del sionismo, quanto al suo aspetto spirituale, culturale, anche sociale «Mi ero proposto di legare la mia esistenza alla costruzione di una nuova esistenza ebraica in Eretz Israel. Sion era per me il simbolo che collegava la nostra origine e il nostro scopo utopico, in un senso piuttosto religioso che geografico».[3].

Poi, dapprima con esitazione, intorno al 1915 incominciò a leggere scritti sulla Qabbalah. Provò a cimentarsi con i testi originali, il che comportava non poche difficoltà, perché vi erano allora in Germania talmudisti, ma non cabbalisti: «Ben presto si destò il mio interesse per la Qabbalah, probabilmente attivato dall’unione di motivi molto diversi. Forse – come avrebbero detto i cabbalisti – nella “radice della mia anima” avevo un’affinità con questa sfera; forse concorse il mio bisogno di comprendere il mistero della storia ebraica – e l’esistenza degli ebrei attraverso i millenni è un mistero, checché ne dicano le “spiegazioni” offerte con dovizia».[4].

Così dovette cercare di imparare da solo a leggere tali fonti. Si comprò un’edizione dello Zohar, l’opera di Molitor, e alcuni testi del chassidismo. Tra il 1915 e il 1918 riempì molti quaderni di estratti, riassunti, traduzioni e riflessioni. Nella primavera del 1919 prese la decisione di abbandonare gli studi naturalistici per dedicarsi a uno studio scientifico della Qabbalah.

Nel 1923 compì la sua alyiah, insieme ai duemila volumi della sua biblioteca, e andò ad abitare a Gerusalemme. Dopo essersi sposato, andò ad abitare in via Abissinia, non lontano dal quartiere ortodosso di Meah Shearim, a pochi minuti dalla Biblioteca Nazionale: «La Gerusalemme nella quale arrivai mi era stata destinata dal cielo, per così dire […] Dopo gli anni della Prima guerra mondiale era impregnata di vecchi libri ebraici come una spugna di acqua. Già allora venivano di continuo a Gerusalemme molti ebrei da tutte le parti del mondo, per lo più con i loro libri, per pregare, studiare e morire».[5].

2. Le circa novecento pagine che Scholem dedica a Shabbatai Tzewi, definito nel sottotitolo dell’opera il Mesia mistico, intendono non solo offrire un contributo per far meglio conoscere un movimento che ha scosso la Casa d’Israele fino alle sue fondamenta, ma anche rivelare la natura profonda, pericolosa e distruttiva dell’ideale prematuramente messianico.[6].

Il sabbatianesimo, ossia l’eresia messianica scaturita da Shabbatai Tzewi (1626-1676), è stato il più vasto, significativo, importante movimento messianico nella storia ebraica dopo la distruzione del Secondo Tempio e la rivolta di Bar Kokhba. Si diffuse dalla Terra d’Israele allo Yemen, alla Persia, all’Inghilterra, all’Olanda, alla Polonia, alla Russia.

La terribile catastrofe che aveva colpito l’ebraismo polacco nel 1648-49 non era, secondo Scholem, sufficiente a spiegare l’esplosione sabbatiana. Sullo sfondo si stagliava la Qabbalah lurianica, che a sua volta era strettamente connessa al trauma della fine dell’ebraismo spagnolo.

La Qabbalah era l’eredità spirituale comune a tutte le Comunità ebraiche e aveva fornito un’interpretazione della storia e un insieme di idee e di pratiche rituali senza le quali il sabbatianesimo sarebbe stato impossibile. Nel mondo chiuso nel quale era confinata la vita ebraica, l’utopia messianica rappresentava la possibilità di qualcosa di meraviglioso e di radicalmente differente. Latente era la radicale contrapposizione tra autorità rabbinica e autorità messianica. La stessa contemplazione cabbalistica si presentava come un’anticipazione individuale di un messianismo escatologico. Il messianismo era entrato nel cuore della Qabbalah.

A una generazione per la quale le realtà dell’esilio e della precarietà dell’esistenza diventavano sempre più opprimenti e crudeli, la Qabbalah, con la profondità e la larghezza delle sue visioni, offriva risposte di incomparabile valore, che illuminavano il senso dell’esilio. Già di per sé la diffusione dello studio della Qabbalah diveniva un fattore che affrettava l’avvento della Redenzione.

Viveva a Gaza un giovane di intelligenza profonda e vivace, che aveva la vocazione di rivelare ai penitenti che lo desiderassero quale fosse la radice della loro anima. Egli poi indicava a ciascuno le istruzioni per il suo tiqqun, per la sua guarigione e il suo ristabilimento nello stato originario. Fu dall’incontro tra Shabbatai e Natan, nella primavera del 1665, che nacque il movimento sabbatiano.

Shabbatai era nato a Smirne nell’agosto del 1626, forse il 9 di Av, il che si accorderebbe con la tradizione rabbinica secondo la quale la data della distruzione del Tempio coincide con la data di nascita del Messia. Negli anni di formazione alternava gli studi rabbinici a periodi di solitudine. Le sue letture preferite erano i cinque volumi dello Zohar e i due volumi del Qana, un libro sul significato mistico delle mitzwot, dei seicentotredici comandamenti.

A Smirne acquistò la reputazione di uomo ispirato e un gruppo di giovani si raccolse intorno a lui. Si bagnavano ritualmente nelle acque del mare e si spingevano nei campi per consacrarsi ai misteri della Torah. Viveva periodi di esaltazione che si alternavano a periodi di tristezza, e Scholem non esita a diagnosticare una nevrosi maniaco-depressiva.

Nel 1662 Shabbatai arriva in Israele, vive per un anno a Yerushalayim, soggiorna forse a Tzfat, prega a Hebron sulle tombe dei Patriarchi, poi scende in Egitto, dove sposa Sara. Avuta notizia delle attività di Natan, si reca a Gaza alla ricerca del tiqqun e della pace della sua anima. Quando Natan lo vede, si getta ai suoi piedi e riconosce in lui il Messia.

Nei giorni seguenti Natan ascoltava Shabbatai raccontargli la sua vita, la sua malattia, le sue sofferenze, i suoi sogni, e Natan inseriva tutti i dettagli nello schema cosmico e divino che aveva elaborato in seguito alle visioni che aveva ricevuto. Si recarono insieme nei luoghi santi di Yerushalayim e di Hebron, pregarono insieme sulle tombe dei santi rabbini e nel deserto.

Un grande risveglio messianico ha inizio e si diffonde in Israele e nella Diaspora. I più entusiasti dei suoi sostenitori si trovavano nelle Comunità di Istanbul, Salonicco, Livorno, Amsterdam e Amburgo.

Shabbatai ritorna a Smirne, circondato dal fervore di centinaia di seguaci, e inizia a compiere azioni proibite. Viene proclamato Re d’Israele, Messia del D. di Yaakov. Si festeggia il I anno del rinnovamento dalla Profezia e del Regno. Tra visioni, profezie e perplessità rabbiniche viene fissata la data della rivelazione della Redenzione per il 15 siwan 5426 (18 giugno 1666).

Le voci su Shabbatai giungono fino alle autorità turche, le quali lo arrestano e lo conducono a Istanbul. Viene poi trasferito a Gallipoli, vicino ai Dardanelli, in una sorta di onorevole confino. Lettere e opuscoli sabbatiani continuano a tenere alta la tensione messianica, condivisa anche dai millenaristi cristiani. Teshuvah e manifestazioni di gioia si alternano, si diffondono devozioni notturne, digiuni, bagni rituali. Molti mettono in vendita le loro proprietà per essere pronti a raggiungere la Terra Santa. L’entusiasmo si diffonde tra sefarditi e askenaziti, tra orientali e occidentali. Anche la prigionia di Shabbatai riceve una spiegazione mistica: il Messia è prigioniero delle qelippot, delle forze del male.

Nel settembre 1666 Shabbatai viene condotto alla presenza del Sultano. Gli viene offerta la scelta tra la conversione all’Islam e la morte. Shabbatai sceglie l’apostasia.

Lo scandalo, lo smarrimento, la delusione furono enormi. Per più di un anno i credenti avevano vissuto l’esperienza del rinnovamento messianico e le loro vite erano entrate in una nuova dimensione spirituale. Dovevano ora riconoscere di essersi sbagliati, il Redentore era in effetti un impostore?

Una nuova spiegazione dell’accaduto venne formulata. Natan difese l’apostasia del Messia: egli stava raccogliendo le scintille divine disperse nell’Islam. Erano scintille che solo il Messia poteva redimere, e per far questo doveva immergersi nel Regno delle qelippot. Apparentemente si sottometteva al loro dominio, ma in realtà portava avanti la parte più delicata e importante della sua missione riparatrice, del tiqqun. Il Messia prendeva su di sé la vergogna di essere chiamato traditore del suo popolo, prima di rivelarsi in tutta la sua gloria sulla scena della storia. Natan aveva così posto le basi di una teologia sabbatiana che ebbe seguaci per un secolo e mezzo, oltre la morte (l’occultamento, o l’ascensione) di Shabbatai (1676) e dello stesso Natan (1780).

Credere in un Messia apostata significava costruire la propria speranza su un’asse di paradossi e di assurdità. Le diverse dottrine sabbatiane permisero ai credenti di continuare a vivere nella tensione esistente tra la verità interiore e la realtà esteriore: la storia non era ancora redenta, ma nella loro anima i credenti vivevano già la realtà della Redenzione.

Scholem osserva che la crisi causata dall’apostasia del Messia fu un momento tragico della storia d’Israele, ma la tragedia portava con sé i germi di una nuova coscienza ebraica. Quel sentimento di autentica liberazione che i «credenti» avevano provato, cercò altre vie per esprimersi. Poiché era fallito il tentativo di rivoluzionare la vita degli ebrei sul piano storico e politico, ci si ripiegò all’interno, preparando quella disposizione intellettuale da cui sarebbero scaturite l’Haskalah, l’emancipazione, la Riforma.

Nelle novecento pagine del suo libro, neppure una volta Scholem definisce Shabbatai come falso Messia. La sua chiave interpretativa è presente già nel sottotitolo: il Messia mistico.

3. Se si esamina la struttura de Le grandi correnti della mistica ebraica [7] si rimane colpiti dalla straordinaria importanza accordata al sabbatianesimo. Il libro contiene un capitolo introduttivo sui caratteri fondamentali della mistica ebraica, tre capitoli sulla Qabbalah medievale (la Merkavah, il chassidismo renano, Abraham Abulafia), due capitoli sullo Zohar, mentre tutta la parte moderna è incentrata sul sabbatianesimo, di cui la Qabbalah luriana costituisce una premessa e il chassidismo polacco una sorta di conseguenza. Dopo aver saltato a piè pari l’Ottocento, così Scuole conclude l’opera: «Questa è la situazione nella quale oggi ci troviamo di fronte alla mistica ebraica. Ma le storie non sono ancora morte, non sono divenute ancora “storia”. La loro vita segreta può ancora risorgere, oggi o domani, in me o in voi. Sotto quali aspetti questa invisibile corrente sotterranea della mistica ebraica possa di nuovo rispuntare alla superficie, non ci è dato prevedere. […] Parlare del cammino mistico che – nella grande catastrofe che in questa generazione ha colpito il popolo ebraico, così profondamente come mai prima nella sua lunga storia – può ancora esserci tenuto in serbo dal destino, è compito del profeta, e non da professori: anche se io personalmente credo che un tale cammino sia ancora aperto davanti a noi».[8].

Ogni esperienza religiosa successiva alla Rivelazione non può che essere mediata dalla Tradizione. Scholem non ha ricevuto la Tradizione, né in Germania né in Israele. Ha dunque scelto di trasformarsi in uno storico della Qabbalah. In questo modo ha riscoperto una parte pressoché dimenticata della storia ebraica, disprezzata e rinnegata come oscurantista dalla Wissenschaft des Judentums. Ma la tensione presente nella sua opera è spia di un interesse diverso da quello dello studioso.[9] Avvicinandosi la fine dei tempi, la rivelazione dei segreti della Qabbalah progredisce. E Scholem, a suo modo, è stato un rivelatore dei segreti della Qabbalah.

Il suo interesse crescente per il sabbatianesimo, negli anni Trenta, negli anni in cui andava preparandosi la Shoah, e in cui lui viveva la sua alyiah, nascondono e rivelano il suo timore che il sionismo potesse essere una sorta di sabbatianesimo, ossia un’anticipazione messianica destinata al fallimento. Egli temeva ad esempio che la rinascita della lingua ebraica comportasse in qualche modo il rischio di una “magia pratica” incontrollata, dagli effetti devastanti.

L’interesse per il messianismo è costante. Questo tema, come è stato osservato, attraversa l’insieme della sua opera. Scholem oscilla tra anarchismo religioso e sionismo religioso. Löwy sostiene che l’anarchismo religioso sarebbe la fonte del suo interesse per i movimenti messianici eretici del XVII e XVIII secolo (Shabbatai Tzewi e Jakob Frank).[10] Secondo Biale «è difficile evitare la conclusione che Scholem abbia tentato di trovare un precursore per la sua teologia anarchica nell’antinomia sabbatiana».[11]

Tuttavia, con il trascorrere dei decenni, l’«anarchismo religioso» di Scholem si trasforma in qualcosa di diverso. I due grandi avvenimenti della metà del XX secolo hanno radicalmente trasformato la situazione: «Ci troviamo in una situazione di incipit quale non si conosceva dalla distruzione del Tempio».[12] «Sono persuaso che il sionismo, dietro una facciata profana e secolare, celi contenuti potenzialmente religiosi, e che questo potenziale sia molto più forte di quei contenuti attuali che trovano espressione nel “sionismo religioso” dei partiti politici».[13] «Lo choc subito in epoca hitleriana da ogni ebreo conscio della propria identità e da moltissimi non altrettanto consci, ha colpito tutti i centri della vita ebraica. Con quale profondità, oggi è difficile valutare, anche se è lecito supporre che le onde lunghe e i riflessi di quell’avvenimento stiano dietro a tutto ciò che ora accade, o perlomeno lo influenzino».[14] Questi passi, contenuti in una conferenza del 1970, mostrano accenti ben diversi da quelli dell’anarchismo o del nichilismo religiosi. L’ebraismo viene definito «una realtà vivente che è andata trasformandosi nei vari stadi della sua storia, ha operato scelte concrete e ha scartato parecchi fenomeni, molto vivi in un certo periodo entro il mondo ebraico. Avendo scartato questi fenomeni, l’ebraismo ha delegato a noi la questione se quanto è stato scartato storicamente debba essere scartato dagli ebrei odierni o dall’ebreo futuro che desideri identificarsi con il passato, il presente e il futuro del suo popolo».[15]

Scholem, con timore e tremore, sembra quasi farsi araldo di un nuovo livello religioso, di una nuova ispirazione: «Con il ritorno del popolo ebraico alla sua storia e alla sua terra, per quasi tutti l’ebraismo è diventato un organismo aperto, vivente e non ben definito, un fenomeno che cambia e si trasforma».[16] Egli consiglia di tenere aperti i cuori, le menti, le orecchie alle nuove forze che cercano di esprimersi e ascoltare con attenzione «la Voce che forse sta assumendo forma e espressione, quella Voce in cui – se si crede in Dio come ci credo io – possiamo riconoscere la continuazione di ciò che chiamiamo: la Voce proveniente dal Sinai».[17]



[1] G. Scholem, Da Berlino a Gerusalemme, tr. di A. M. Marietti, Einaudi, Torino 1988, p. 46. Una nuova traduzione, a partire dall’edizione ebraica, è stata curata da G. Busi e S. Campanini (Einaudi 2004).

[2] op. cit., pp. 46-7.

[3] op. cit., p. 66.

[4] op. cit., p. 105.

[5] op. cit., p. 156.

[6] G. Scholem, Sabbetay Sevi. Il Messia mistico, Introduzione di M. Ranchetti, tr. di C. Ranchetti, Einaudi, Torino 2001.

[7] G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Introduzione di G. Busi, tr. di G. Russo, Einaudi, Torino 1993.

[8] op. cit., pp. 353-4.

[9] M. Löwy, Redenzione e utopia, tr. di D. Bidussa, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 74: «Basta leggere i suoi lavori per percepire la simpatia (nel senso dell’etimologia greca del termine) del ricercatore rispetto al suo oggetto». S. Mosès, La storia e il suo angelo, tr. di M. Berteggia, Anabasi, Milano 1993: «Ciò che colpisce è la passione con la quale Scholem, storico della mistica ebraica, riassume su di sé i temi che studia, identificandosi con essi».

[10] M. Löwy, op. cit., p. 76.

[11] D. Biale,Gershom Scholem. Kabbalah and Counter-History, Harvard, Cambridge, Mass. 1979, p. 174.

[12] G. Scholem, Tre discorsi sull’ebraismo,tr. di P. Buscagliene Candela, Giuntina, Firenze 2005, p. 31.

[13] op. cit., p. 76.

[14] op. cit., p. 77.

[15] op. cit., p. 22.

[16] op. cit., p. 9.

[17] op. cit., p. 18.

LiviaGloria
00venerdì 29 dicembre 2006 20:37
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Prof. Marco Morselli



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I cabbalisti indicano alcuni momenti privilegiati nella storia della Kabbalah. Uno di questi si ebbe nel XIII secolo, ossia all'inizio del VI millennio del calendario ebraico; il che non è casuale.

Secondo un nipote del Baal Shem Tov, che si chiamava Moshè Chaim Ephraim, l'era messianica avrà inizio quando le fonti dell'insegnamento del Baal Shem Tov "sgorgheranno al di fuori, nel mondo", quindi sgorgheranno perfino al di fuori dell'ebraismo, non soltanto trattenute all'interno di cerchie esoteriche ebraiche.

Tra le cose nascoste e le cose rivelate esiste un legame che l'uomo deve manifestare attraverso il "laasot" = "fare". Attraverso il fare, e questo mondo è chiamato "olam ha Assyah" = il mondo dell'azione, l'ebreo rivela al mondo che le cose nascoste e le cose rivelate non appartengono a due ordini diversi, a due mondi separati, ma a un unico mondo.

Certo la terra è "piena della Sua gloria" e non vi è luogo nel quale Egli non sia presente. Ma nell'olam hazeh, in questo mondo, la Sua gloria è nascosta. È questo un mondo che nasconde la gloria di Colui che è neelam (nascosto). Il cabbalista è colui che rivela la presenza di Dio nel mondo, che prepara la dimora della Shekhinah, e cerca di attirare la Shekhinah in basso.

Questo mondo è incompleto, e la sua incompletezza rende in qualche modo incompleti anche i mondi superiori. La rivelazione totale avrà luogo nei tempi messianici: Reshit, l'inizio del mondo riapparirà nella sua purezza in Shekherit, nel resto del mondo che vivrà l'era messianica, Reshit e Sherit si ricongiungeranno e si avrà la riunificazione del passato e del futuro.

Il mondo di quaggiù sarà di nuovo luminoso, spirituale, come nelle prime ore dell'universo, e il corpo umano, purificato, diventato trasparente, sarà di nuovo rivestito di luce. "Ed ecco la gloria del Signore si rivelerà, e ogni cosa la vedrà", "Essi vedranno con i loro occhi il Signore che rientra a Sion", "Non sarà più il sole che ti illuminerà durante il giorno, non sarà più la luna che ti offrirà il riflesso della sua luce, Il Signore sarà per te luce permanente, e il tuo Dio sarà splendore glorioso". Come è "Re nei cieli", il Signore sarà "Re sulla terra".

Nel XII secolo, nello stesso periodo in cui fiorì il pietismo in Germania, assistiamo a un fiorire della Kabbalah in Provenza.

Il Sefer Ha Bahir (Libro del Chiarore) è una specie di chiarificazione dell'esistenza che permette di fare, naturalmente a chi decifra il simbolismo, perché noi abbiamo avuto alcuni esempi di lettura per cui si poteva dire "Sì, mi piace, perché è pieno di simboli, perché è pieno di immagini, perché è pieno di colori", ma non avrà delle chiavi per interpretare, Allora su questi brevi testi, poi, ci sono fiumi di commentari; ed è a partire dai commentari che poi le cose acquistano senso.

Il Sefer Ha Bahir è il primo documento di Kabbalah teosofica che possediamo. Venne redatto in Provenza tra il 1150 e il1200. Si presenta come un Midrash di versetti del Tanakh, che offre l'interpretazione esoterica sia di interi versetti che di singole lettere dell'alfabeto.

È quindi una mistica della Torah, cioè un'interpretazione della Bibbia. E ci sono interpretazioni di lettere, ci sono interpretazioni di parole, ci sono interpretazioni di piccoli segni sopra le lettere, ci sono motivazioni di precetti. Questa è un'altra caratteristica della mistica ebraica, cioè trovare dei significati segreti in tutte quelle che sono le piccole azioni quotidiane della vita ebraica, e ci sono anche esegesi del Sefer Yezirah. Ogni parola, frase della Scrittura, o sentenza rabbinica diventa simbolo di una realtà celeste.

Una delle idee della Qabbalah è che tutto è uno, tutto è unitario, e quindi c'è una corrispondenza tra quello che c'è in basso e quello che c'è in alto. Ogni nostro piccolo gesto qui, ha delle ripercussioni in alto, nel bene e nel Male. Anche le cose piccole sono importanti come le cose grandi. Generalmente noi prestiamo attenzione alle cose grandi , le cose centrali, le cose più importanti, mentre invece tipico atteggiamento del cabbalista è guardare le cose più piccole. E le cose più piccole, il dettaglio, quello che è marginale, diventa la cosa principale.

Il Dio di cui ci parla il Sefer Ha Bahir è rappresentato per mezzo di forze cosmiche in relazione fra loro, le Sefirot ma anche in rapporto con la storia di Israele.

Le 10 Sefirot




Ein Sof
(Infinito /Dio/Unico)



Le Sefirot centrali sono importanti perché sono la sintesi di quelle laterali. A volte, invece di Tiferet (Bellezza) si trova Rachamim (Misericordia) che allora diventa la sintesi tra il lato dell'amore e quello della giustizia e del rigore di Dio.

Ve ne sono altre due: Yesod che è il fondamento, e poi Malkhut che è il Regno. Naturalmente poi sopra c'è Ein Sof cioè l'Infinito, il Senza fine. E queste sono le forze, le sfere della Divinità che in qualche modo entrano in relazione con l'uomo. All'interno di ciascuna Sefirah è possibile riscrivere tutto l'albero sefirotico, cioè tutte le 10 Sefirot possono essere all'interno di ciascuna Sefirah, e ci sono anche altri modi di rappresentarle. Questo è uno dei più tipici; ma per esempio c'è un altro modo di rappresentare le Sefirot, che raffigura un Adam Kadmon, cioè un essere umano con una corrispondenza tra ciascuna Sefirah e ciascun organo del corpo umano, come la testa, le braccia, il tronco, con un simbolismo sessuale anche molto spinto, santo, ma comunque audace, e c'è tutta una femminilità e tutta una mascolinità di Dio che si devono unire e si uniscono per l'appunto nel troncone centrale.

Importanti sono Keter, Binah e Chokhmah e in qualche modo all'interno di queste dieci, quella è la prima triade che segua più vicina l'aspetto della divinità, mentre le altre sette riguardano piuttosto in basso.

Il Sefer Ha Bahir ha fornito ai cabbalisti successivi un insieme di simboli che costituiscono il fondamento di tutte le speculazioni ulteriori. È un libro di grande importanza, ma non è stato tradotto in italiano. C'è però una traduzione francese, la Verdier. È interessante anche notare che la penultima parola del Sefer Ha Bahir è Zohar, cioè come se ci fosse un rimando allo Zohar, all'opera cioè che sarà divulgata di lì a poco.

I più importanti cabbalisti della Linguadoca sono Abraham Ben Itzhaq, Abraham Ben David, e Yaacov Ben Shaul. La loro maggiore innovazione rispetto alla mistica del Sefer Ha Bahir è l'attenzione alla Kavannah, all'intenzione con la quale compio le mizwot. L0rante durante i diversi momenti della preghiera deve concentrare la sua attenzione su una o più middot (misure o qualità) divine. Ad esempio, nella preghiera delle 18 Benedizioni, durante la recitazione delle benedizioni intermedie, che corrispondono alle domande dell'uomo, è necessario rivolgersi alle Sefirot effettivamente attive nell'ordine della creazione (queste7 ultime), mentre durante la recitazione delle prime tre benedizioni e delle ultime tre, quelle che sono più propriamente rivolte alla lode a al ringraziamento a Dio, l'intenzione deve essere ricolta verso le prime Sefirot, e addirittura a Ein Sof, cioè a Dio nella sua assoluta trascendenza.

Altro importante cabbalista di questa cerchia è Isacco il Cieco, vissuto tra il XII e il XIII secolo, del quale ci è pervenuto un commento al Sefer Yezirah. È con questo autore che per la prima volta troviamo il termine Ein Sof per indicare la Divinità nel suo aspetto di assoluta trascendenza ed inconoscibilità. Ancora più miracoloso in questa prospettiva appare il potere della preghiera poiché in essa, per mezzo di parole limitate l'uomo si avvicina, e per mezzo del pensiero si eleva fino a Dio. L'uomo è quasi nulla, è finito, è mortale; Dio è assolutamente infinito. Che cosa può esserci mai che permetta la comunicazione tra l'uno e l'altro quando sono soltanto delle parole nella preghiera?

Allora c'è un potere quasi miracoloso, in questo senso magico anche nella parole della preghiera ed è sufficiente pronunciare certe parole, anche senza avere intenzione di pregare, perché queste parole abbiano effetto.

Il mistico perviene dunque alla adesione, alla comunicazione con Dio: devekut è proprio l'adesione, un termine che venne indicato nel versetto 13.5 del Deuteronomio: "A Lui dovete aderire".

Dalla Provenza alla Linguadoca la Qabbalah si diffuse rapidamente in Spagna. Il centro della cultura cabbalistica della penisola iberica all'inizio del XIII secolo fu Gerona, città situata tra Barcellona e i Pirenei. I cabbalisti di Gerona erano riuniti in una sorta di confraternita chavurah qadishah guidata da Mosè Ben Nachman (il Nachmanide, Ramban).

L'importanza di tale circolo consiste nel fatto che esso ha tentato di ottenere una sintesi tra Qabbalah e filosofia ebraica. Cioè loro conoscevano anche la filosofia ebraica, quindi conoscevano Maimonide e reinterpretavano tutta una serie di concetti cabbalistici alla luce della filosofia.

Un altro circolo importante è il circolo Iyun che vuol dire contemplazione che affianca ad una mistica del linguaggio, ispirata al Sefer Yezirah, una mistica delle luci di ispirazione neoplatonica. Abbiamo così una mistica della parola e una mistica delle luci.

La più grande figura della Qabbalah estatica del XIII secolo è senz'altro quella di Abraham Abulafia (1240-1292). Nato a Saragozza, visse anche in Italia e in Grecia, e probabilmente entrò in contatto con il Sufismo ossia con la mistica islamica. Nel 1271, aveva 30 anni, ebbe una importante esperienza mistica e dichiarò di essere stato pervaso da spirito profetico.

Nel 1280, a 40 anni, è a Roma e vuole incontrare il Papa Nicolò III. Potremmo quindi considerarlo precursore del dialogo ebraico-cristiano. Però il Papa non è affatto disposto ad incontrarlo e Abulafia rischia addirittura di essere condannato al rogo. Viene salvato solo dalla morte improvvisa del Papa.

Per Abulafia l'esperienza profetica è una adesione dell'intelletto umano all'intelletto agente. Anche qui stiamo parlando in termini aristotelici. La creazione è un atto di scrittura divina nel corso del quale Dio incorpora il Suo linguaggio nelle cose (crea parlando, quindi il suo linguaggio è nelle cose), sotto forma di segni. Lo scopo della mistica per Abulafia è quello di reinserire l'uomo nel flusso divino, perché tutto in fondo quello che ci circonda è pervaso da questi segni della Divinità, "togliendo il sigillo dell'anima, sciogliendo i nodi che la legano".

Per ritornare dalla molteplicità all'unità originaria, l'uomo deve esercitarsi nella meditazione, una meditazione che ha per oggetto il Tetragramma, le 4 lettere del Nome impronunciabile, attraverso la Chochmat ha Tzeruf, la scienza della combinazioni delle lettere. Attraverso tali pratiche l'uomo può raggiungere l'estasi, e durante l'esperienza estatica egli diventa il "Messia di se stesso".

Per meglio capire di cosa si tratta, riportiamo la descrizione di un'esperienza mistica
(tratta da Scholem).



" O israelita, preparati per il tuo Dio. Accingiti a rivolgere solo a Dio il tuo cuore. Purifica il tuo corpo e scegliti un luogo solitario dove nessuno ascolta la tua voce. Siediti ivi nella tua cameretta, e non svelare il tuo segreto a nessun uomo. Se puoi fallo di giorno in casa, ma meglio se tu lo compi durante la notte. Bada a distogliere tutti i tuoi pensieri dalle vanità di questo mondo nell'ora nella quale ti apparecchi a parlare con il tuo Creatore, e nella quale vuoi che Egli ti renda nota la Sua potenza. Avvolgiti nel tuo mantello delle preghiere e metti i tefillim sul tuo capo e sulle tue mani, sicché ti possa avvicinare e con timore reverenziale alla Shekhinah che è presso di te. Netta le tue vesti, e se possibile siano esse bianche, perché tutto questo è molto utile a suscitare nel cuore il timore e l'amore di Dio. Se è notte accendi molte luci perché sia chiaro, e poi prendi inchiostro e penna e tavola in mano, e pensa che sei in procinto di sentire Iddio nella gioia del cuore. Poi comincia a comporre insieme poche o molte lettere, a presentarle, a muoverle tra loro sinché il tuo cuore si riscaldi, e presta attenzione ai loro movimenti e a tutto ciò che può risultarne per te. E quando senti che il tuo cuore è già fatto caldo e vedi che per mezzo della composizione delle lettere comprendi più cose che non potresti conoscere da tradizione umana o da te stesso, e sei già preparato ad accogliere in te l'influsso della potenza divina, allora rivolgi tutti i tuoi veri pensieri a rappresentarti nel tuo cuore il Nome di Dio e i Suoi angeli più alti, come se fossero uomini che stessero o sedessero accanto a te. E tu stesso sentiti come un messaggero che il Re e i suoi ministri vogliono mandare in missione, ed egli è pronto ad ascoltare qualcosa della sua missione dalla loro bocca, sia del Re stesso, sia dei Suoi servi. E dopo che ti sei raffigurato vivacemente tutto questo, rivolgi il tuo animo a capire con il tuo pensiero le molte cose che verranno nel tuo cuore per mezzo delle lettere immaginate, e rifletti su di esse nell'insieme ed in tutte le loro particolarità come uno al quale si racconta un sogno o una parabola, o che medita su un profondo problema in un libro scientifico e cerca di interpretare ciò che sentirai così che vada d'accordo tutto quanto è possibile con la tua ragione.

E tutto ciò che accadrà dopo che avrai buttato via la tavola e la penna, o che esse ti saranno cadute da sé a causa dell'ansietà del tuo pensiero, e sappi che quanto più forte sarà su di te l'influsso intellettuale dall'alto, tanto più deboli saranno nelle tue membra interne ed esterne. Tutto il tuo corpo sarà preso da un forte tremito, perché la tua anima a causa della sovrabbondanza della gioia per la sua conoscenza, si separerà dal tuo corpo. E sii in questo momento pronto a scegliere coscientemente la morte, e allora saprai che se andato tanto lontano da poter ricevere l'influsso.

E se poi vuoi conoscere il glorioso Nome, e servirlo con la vita dell'anima e del corpo, copri il tuo volto e abbi timore di guardare verso Dio. Ritorna poi alle sollecitazioni del tuo corpo: alzati, e mangia e bevi un poco; rinfrescati con qualche profumo, e trattieni il tuo spirito che vuole sfuggire nel suo involucro, fino a un'altra volta. E rallegrati della tua sorte, e sappi che Dio ti ama!"





A Guadalajara in Castiglia visse tra il 1240 e il 1305 Moshè de Leòn. Tra il 1293 e il 1302 vengono messe in circolazione copie della parte centrale dello Zohar, il testo fondamentale della Mistica Ebraica.

Il Sefer Ha Zohar, il Libro dello Splendore, si presenta come un'opera di Shimon Bar Yochay, vissuto tra il I e il II secolo, raccolta dai suoi discepoli.

Yitzhak Shmuel di Acco si recò in Spagna nel 1305 e incontrò Moshè de Leòn, il quale gli promise di mostrargli l'originale dello Zohar. Ma nel frattempo Moshè de Leòn morì e la vedova e la figlia negarono di possedere questo originale. Dichiararono anzi che la Zohar era stato scritto dal loro marito e padre, e da lui attribuito a Shimon Bar Yochay, per far sì che l'opera avesse quella diffusione che non avrebbe potuto avere se fosse stata firmata da lui stesso.Il libro è costituito da una ventina di testi, apparentemente diversi, scritti in ebraico e aramaico. Una attenta analisi rivela però che ogni scritto rimanda all'altro, e tutti sono accomunati dalla omogeneità del contenuto. Eccone un brano:

" Rabbi Eliezer prese a dire: "sopra il mio letto, durante la notte, cercai Colui che l'anima mia ama: Lo cercai e non Lo trovai". Sopra il mio letto? Avrebbe invece dire "Nel mio letto" Allora "sopra il mio letto" che cosa vuol dire? Invero la comunità di Israele ne parlò dinanzi al Santo, Benedetto Egli sia, chiedendogli dall'esilio, perché essa se ne stava con i suoi figli presso altri popoli e giaceva nella polvere. Proprio perché giaceva in terra straniera e impura così disse "sopra il mio letto" io cerco, perché io giaccio in esilio. Perciò cercai Colui che l'anima mia ama, affinché mi traesse dall'esilio. Lo cercai e non lo trovai, perché egli non è solito unirsi a me se non nel Suo Santuario. Lo chiamai ma non mi rispose, perché io me ne sto in mezzo ad altri popoli, mentre la sua voce non si fa udire se non ai Suoi figli, come è scritto: "Ha mai sentito un popolo la voce di Dio che parlava in mezzo al fuoco, come l'hai sentita tu?"

Rabbi Itzchak disse: "Sopra il mio letto, durante la notte". Disse la comunità di Israele: "Sul mio letto gemevo dinanzi a Lui affinché si unisse a me per farmi gioire e benedirmi, con completa allegrezza. . Infatti abbiamo appreso che quando il Re si unisce alla comunità di Israele, i giusti ricevono in eredità il santo retaggio, e le benedizioni si realizzano nel mondo."

Rabbi Eheziah prese a dire: "Profezia sulla valle della visione (quella di Ezechiele) "considera dunque, hanno interpretato questo verso riferendolo al tempo in cui fu distrutto il Tempio di Gerusalemme, e venne arso nel fuoco. Allora tutti i sacerdoti salirono sui tetti del Santuario, con le chiavi del Tempio nelle loro mani, e dissero: "Fino a questo momento noi siamo stati tuoi tesorieri, ma d'ora in poi prendi ciò che è tuo." Considera dunque: la valle della visione è la Presenza Divina, la Shekhinah, che si trovava nel Tempio di Gerusalemme. e dalla quale tutta la gente del mondo suggeva il succo della profezia. E infatti, nonostante che tutti i profeti profetizzassero da un altro luogo, era all'interno di essa che suggevano la loro profezia. Perciò la Shekhinah è chiamata Valle della Visione" (Visione delle immagini superiori)

"Che cosa hai dunque che sei salita tutta sui tetti?" Infatti quando fu distrutto il Tempio, la Shekhinah risalì a quei luoghi dove aveva soggiornato all'inizio, piangendo sulla sua dimora, sul popolo di Israele che se ne andava in esilio, e su tutti quei giusti e quei pii che si erano trovati laggiù e che erano periti. Da dove lo sappiamo?

Dal verso che dice: "Così disse il Signore: "S'ode una voce da Ramà, un lamento, un pianto amaro. Rachele piange i suoi figli." Allora il Santo, Benedetto sia, chiese alla Shekhinah: "Che cosa ha dunque che sei salita tutta sui tetti?" Ma cosa significa tutta? Una volta che ha detto che sei salita, che senso ha il termine tutta? Per accomunare ad essa tutte le schiere celesti e gli altri carri divini, che piansero insieme per la distruzione del Tempio di Gerusalemme.

Perciò: " Che cosa hai dunque?" La Shekhinah disse al Signore: "I miei figli sono andati in esilio ed il Santuario è stato incendiato, ed io, che rimango a fare qui? Infatti Tu hai detto: "O piana di grida, città allegra, i tuoi caduti non sono caduti per la spada, né morti per la guerra " Perciò io ho detto: "Distogliete lo sguardo da me, mi amareggerò nel pianto, non insistete a consolarmi per la cattura della figlia del mio popolo."

E allora il Santo, Benedetto sia, così le rispose, così le rispose: "Così dice il Signore: Trattieni la tua voce dal pianto e i tuoi occhi dal versar lacrime, poiché le mie pene saranno ricompensate - dice il Signore - essi ritorneranno dalla terra del nemico."

Considera dunque: dal giorno in cui fu distrutto il Tempio di Gerusalemme, non vi fu giorno senza che si verificassero delle maledizioni. Infatti, quando il Tempio di Gerusalemme era in piedi e i figli vi prestavano il loro culto, sacrificavano olocausti ed altri sacrifici, la Shekhinah aleggiava su di loro nel Tempio, come una madre coricata presso i suoi figli. Tutti i volti erano illuminati, sì che la Benedizione di trovava in alto e in basso e non passava giorno senza che in esso non si verificassero benedizioni e gioie. Le figlie di Israele risiedevano in pace sulla loro terra, e tutto il mondo riceveva alimento grazie a loro.

Ora invece che il Tempio è stato distrutto e la Shekhinah è andata in esilio insieme ai figli di Israele, non c'è giorno in cui non si verifichi una maledizione, il mondo viene maledetto, e la gioia non si trova in alto e in basso. (Infatti l'albero sefirotico ha le sue radici nelle benedizioni)

Ma in futuro il Santo, Benedetto sia, risolleverà dalla polvere la comunità di Israele e rallegrerà il mondo di ogni bene, come ha detto: "Io li farò tornare dalla terra del nemico!".

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