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L'origine della Rivoluzione
di Controrivoluzionario
I secoli che vanno dal XVI al XXI sono caratterizzati da un fenomeno unico nella storia dell'umanità: la RIVOLUZIONE. È innanzi tutto un fenomeno storico e va quindi studiato e compreso nel suo evolversi temporale. La semplice descrizione del suo manifestarsi, tuttavia, non sarebbe sufficiente, se non se ne indicasse preliminarmente l'essenza meta-storica.
La Rivoluzione è, infatti, nella sua sostanza, un processo di allontanamento della società dalla verità naturale e soprannaturale, il tentativo di separare l'uomo dal Suo Creatore e Signore. Il termine 'Rivoluzione' appare, quindi, appropriato nella sua accezione di sovvertimento radicale usque ad alium a se . Presuppone un Ordine antecedente che si mira a capovolgere, sovvertire e distruggere. Ciò che il processo rivoluzionario tenta sovvertire e distruggere è la civiltà classico-cristiana del Medioevo, che fu il pallido riflesso terreno dell'Ordine metafisico del Paradiso. La Rivoluzione, quindi, è un atto di rivolta contro quell'Ordine immortale, e, in ultima analisi, una ribellione contro Dio.
Il processo rivoluzionario presenta molteplici aspetti: storico, filosofico, morale e teologico.
Dal punto di vista storico, è uno sviluppo temporale, in cui emergono alcuni momenti o tappe salienti, che permettono di coglierne con chiarezza l'essenza profonda.
Queste tappe sono:
(1) L'Umanesimo-Rinascimento (la fase culturale della Rivoluzione);
(2) Il Protestantesimo (fase religiosa della Rivoluzione, 1517);
(3) La Rivoluzione francese del 1789 (fase politica).
(4) La Rivoluzione d'Ottobre (1917) ossia il social-comunismo (fase sociale).
(5) In quest'ultima tappa si combinano, assommandosi, la Rivoluzione del '68 e la crisi interna alla Chiesa Cattolica, esplosa con il Concilio Vaticano II (1962-1965).
Dal punto di vista filosofico, la Rivoluzione è un progressivo allontanamento dalle verità naturali, intelligibili a lume di ragione, sia nell'ordine politico-sociale, che individuale.
Dal punto di vista morale, è lo sforzo di fondare la società umana sul disordine e sul peccato, ossia sulla trasgressione della legge divina (Dieci Comandamenti).
Dal punto di vista teologico, è l'aspirazione ad allontanare l'uomo dalla Verità rivelata in Gesù Cristo, ossia dal complesso di dottrine soprannaturali, a cui l'uomo decaduto, dopo il peccato originale, non è in grado di attingere con le sole sue forze, e senza di cui gli è preclusa una vita ordinata su questa terra e l'accesso al Paradiso.
Il fine ultimo della Rivoluzione è duplice: a) una società immorale e nemica di Dio e della Sua Chiesa su questa terra, e b) la dannazione del singolo nell'Inferno nell'altra vita.
La Rivoluzione nel suo archetipo
La Rivoluzione è un accadimento storico con precisi limiti temporali. Tuttavia per comprenderne l'essenza, occorre esaminare quello che ne fu l'archetipo.
Archetipo è anche sinonimo di modello. Qual è allora l'archetipo, ossia, il modello della Rivoluzione mondiale dei secoli XV e XXI?
Certamente non potremmo ricercarlo in Dio. Essendo il Sommo Bene, la Verità stessa e la pienezza dell'Essere, non v'é posto in Dio per qualcosa di malvagio. Il fenomeno rivoluzionario è però una delle tante manifestazioni del Male nella storia dell'uomo. Troveremo allora il suo archetipo all'inizio, quando il male comparve per la prima volta nel mondo o, meglio, quando le creature razionali (Angeli e uomo) fornite da Dio di ogni perfezione conveniente alla loro natura, scelsero deliberatamente di trasgredire la legge stabilita da Dio e da loro conosciuta, guastando così l'opera perfetta della Creazione.
La Rivoluzione primordiale: gli Angeli
"In principio Dio creò il cielo e la terra". Così inizia il libro della Genesi (I, 1), il primo dell'intera Bibbia. All'inizio del mondo vi è quindi il diretto intervento di Dio, che crea dal nulla degli esseri, partecipando loro le Sue perfezioni.
Primi ad essere creati furono gli Angeli, il "cielo" della Genesi, come interpreta fra gli altri S. Agostino .
Il Catechismo Tridentino, commentando le parole del Credo "Creatore del Cielo e della Terra", così si esprime riguardo alla creazione e alla caduta degli Angeli:
"Dio inoltre trasse dal nulla il mondo spirituale e gli angeli innumerevoli, perché gli fossero ministri assidui, arricchendoli poi con i doni della sua ineffabile grazia e del suo alto potere. Le parole infatti della Sacra Scrittura: 'Il diavolo non perseverò nel vero' (Giov., VIII, 44) dimostrano nettamente come esso e gli altri angeli apostati avevano dalla loro origine ricevuto la grazia. Dice in proposito S. Agostino: 'Dio creò gli angeli dotati di retta volontà, vale a dire animati da un casto amore, che a Lui li avvinceva, dando loro l'essere ed elargendo insieme la grazia. Possiamo perciò ritenere che gli angeli santi non furono mai sprovvisti di rettitudine nella volontà, cioè dell'amor di Dio' (De Civitate Dei, XII, 9). […] Purtroppo, sebbene tutti arricchiti di tali doni celesti, molti, avendo ripudiato Dio loro padre e creatore, furono espulsi dalle sublimi sedi e chiusi nel carcere oscurissimo della terra, dove pagano eternamente la pena della loro superbia. Di essi parla S. Pietro: 'Dio non ha risparmiato gli angeli peccatori, ma li ha precipitati nell'inferno, abbandonandoli agli abissi delle tenebre, dove li mantiene per il Giudizio' (II Pietro, II, 4)" .
Gli Angeli furono quindi da Dio creati dal nulla, integralmente buoni, puri spiriti, ed arricchiti della Grazia santificante e di altri doni d'ordine soprannaturale, non dovuti cioè alla natura angelica, ma dal Sommo Creatore loro gratuitamente elargiti. Essi quindi contemplavano Dio perfettamente, secondo la loro natura intellettuale, e godevano quindi di una beatitudine naturale. Non fruivano ancora però della beatitudine soprannaturale, ossia della visione beatifica dell'essenza divina.
Spiega S. Tommaso: "La stabilità ossia la conferma nel bene è propria della beatitudine [soprannaturale]. Ma gli Angeli non furono confermati nel bene subito dopo la loro creazione, il che è dimostrato dalla caduta di alcuni di loro. Quindi gli Angeli al momento della creazione non erano beati" . Il che è assai conveniente perché, essendo gli Angeli dotati di libero arbitrio, liberi di scegliere tra il bene e il male, dovevano essere sottoposti ad una prova, per meritare la conferma nel bene, cioè la visione beatifica dell'essenza divina.
A tutti gli Angeli quindi fu conferita la Grazia santificante, e tutti furono sottoposti ad una prova. Molti di loro rimasero fedeli a Dio e meritarono la visione beatifica. Altre nature angeliche invece scelsero il male, e per propria colpa peccarono e furono condannate da Dio agli eterni supplizi.
Dichiara, infatti, il Concilio IV del Laterano (1215): "Il Diavolo infatti e gli altri demoni furono creati da Dio buoni per natura, ma essi stessi sono diventati malvagi per propria colpa" .
I teologi si sono inoltre domandati quale fu il peccato degli Angeli, ed hanno comunemente risposto che questo fu un peccato di superbia. Come insegna la Scrittura, la superbia è l'inizio d'ogni peccato. Si legge, tra gli altri, nel libro di Tobia: "Non lasciare che la superbia prevalga mai nei tuoi pensieri o nelle tue parole; da essa infatti trasse origine ogni male" (IV, 14).
La ragione sta nel fatto che il peccato degli Angeli fu conforme alla loro natura immateriale, che non poteva essere attratta dai beni sensibili che sono propri del corpo, ma soltanto da quelli spirituali. Spiega l'Aquinate: gli Angeli peccarono considerando, amando e volendo la loro perfezione senza considerare, amare e volere la norma soprannaturale, secondo la quale, in base alla volontà di Dio, quella perfezione doveva essere perseguita . Il peccato angelico di superbia fu un disordinato desiderio di somigliare a Dio.
Alcuni teologi inoltre sostengono che la causa, per così dire, scatenante di tale disordinato desiderio di giungere alla beatitudine soprannaturale con le sole sue forze fu indotto nel Demonio dalla visione intellettuale del Mistero dell'Incarnazione, ossia dell'unione ipostatica della natura umana e divina nella Seconda Persona della SS. Trinità, N.S. Gesù Cristo.
Secondo Suarez "gli Angeli cattivi peccarono, perché quando fu loro rivelato il mistero dell'Incarnazione del Verbo, cui dovevano essere soggetti anche come Uomo, non si vollero sottomettere, e, capitanati da Lucifero, si ribellarono" . Lucifero non accettò quindi di sottomettersi ad un essere, l'Uomo-Dio, che, in quanto uomo, aveva una natura inferiore a quella angelica.
Gli Angeli peccatori non ottennero da Dio alcuna remissione di colpa, né fu loro concesso modo alcuno di pentirsi del loro primo ed unico peccato. Gli Angeli buoni, che avevano scelto il Sommo Bene che è Dio, sottomettendosi in spirito d'umiltà ai Suoi santi decreti, furono confermati nel bene, ottenendo il dono della Visione soprannaturale della divina essenza. Quelli malvagi, al contrario, rimasero fissi ed ostinati nel loro peccato di superbia e insubordinazione.
Dio allora creò un luogo di punizione per quei ribelli: "Allontanatevi da me maledetti nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli" (S. Matteo, XXV, 41). Così Lucifero nella sua caduta trasse con sé "la terza parte delle stelle del cielo" (Apocalisse, XII, 4), ovvero un terzo delle potenze angeliche, che indica il numero stragrande degli apostati
Gli Angeli buoni assistono gli uomini e li aiutano nel conseguimento del loro ultimo fine che è appunto la salvezza eterna. Quelli malvagi, invece, col permesso di Dio, li tentano, cioè li mettono alla prova, cercando di allontanarli dalla via della verità e della santità, anche se la prova ovvero la tentazione non è mai insuperabile, ma sempre alla portata dell'uomo.
La caduta di Lucifero
Torniamo, sempre sulla scorta del Magistero della Chiesa e della Sacra Scrittura, alla caduta degli spiriti apostati e alla loro cacciata dal cielo.
Scrive il Profeta Isaia (XIV, 12-15):
"Come sei caduto dal cielo, o Lucifero, che nascevi all'aurora! Sei stato abbattuto a terra, tu che straziavi le genti; tu che dicevi nel tuo cuore 'Salirò in cielo, al di sopra degli astri di Dio innalzerò il mio trono, sederò sul monte del convegno dei numi nei penetrali aquilonari, salirò sulla sommità delle nuvole, sarò simile all'Altissimo'. Sarai invece trascinato negli Inferi nel profondo della fossa".
Una tradizione esegetica, costante fin dai primi secoli della Chiesa, vide in questi versetti, che si riferiscono nel loro senso primo e letterale al re di Babilonia, una chiara allusione alla caduta del prototipo di tutti i superbi, ossia Lucifero, il Demonio, Satana, il dragone infernale .
Nell'Apocalisse (XII, 7-9) a sua volta si legge:
"E ci fu una gran guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli guerreggiarono col drago. E il drago guerreggiò, e i suoi angeli. E non ce la fecero, né si trovò più posto per loro nel cielo. E fu precipitato giù il gran drago, il serpente antico, ch'è chiamato diavolo e Satana, il seduttore di tutta la terra; fu precipitato sulla terra e i suoi angeli furon precipitati con lui".
Pare che questo passo si riferisca all'ultimo combattimento che si avrà sulla terra tra la Chiesa e le potenze demoniache, al finire dei tempi, durante il regno dell'Anticristo. Tuttavia comunemente gli esegeti vi vedono anche un richiamo al primo combattimento che si ebbe nei cieli, all'inizio della creazione, tra le schiere celesti guidate dall'Arcangelo S. Michele e il ribelle Lucifero.
La terza parte delle potenze angeliche, quindi, capitanate da Lucifero, ovvero il portatore di luce, il più splendido tra tutti gli angeli, non volendo adorare, nella loro superbia, il Verbo eterno incarnato, l'Uomo-Dio, lanciarono alla Divina Maestà il grido di sfida: "Non serviam!" , 'non servirò', non obbedirò ai decreti ed alla volontà dell'Altissimo.
Dio, però, che è infinitamente potente, e che preferisce agire sempre tramite le cause seconde, ossia per mezzo di intermediari, ordinò alle schiere angeliche rimasteGli fedeli di scacciare i ribelli dal suo cospetto.
Si levò allora S. Michele, "uno dei primissimi prìncipi", come dice Daniele (X, 13), raccolse la sfida di Lucifero e gli rinfacciò: "Quis ut Deus", Chi è come Dio? Chi sei tu, semplice creatura, per rifiutarti di sottometterti ai santissimi decreti del tuo Signore e Creatore?
Michele, infatti, era tra quelli rimasti fedeli a Dio, anzi più di ogni altro si era umiliato dinanzi al mistero della potenza e sapienza Divine, adorando dal profondo del cuore e con tutte le forze le deliberazioni e leggi dell'Onnipotente.
Fu il primo a reagire all'assalto del demonio, si mise alla testa degli altri angeli buoni e li guidò contro gli apostati, facendoli precipitare dalle altezze del Cielo. In premio della sua umile fedeltà, Dio gli concesse quella preminenza, che era già stata del ribelle spodestato.
Così alla superbia di Satana si contrappone l'umiltà di S. Michele; all'empio 'Non servirò!' luciferino l'umile motto 'Chi è come Dio?'.
Il mondo angelico fu quindi messo alla prova. Per un inesplicabile mysterium iniquitatis alcuni esseri decisero di allontanarsi dalla verità e dal retto Ordine dell'Onnipotente, s'insuperbirono nel loro cuore, stimandosi da più di Dio stesso, Sommo Bene e Supremo fine di tutte le cose. Altri invece si sottomisero, guidati da S. Michele, e umilmente riconobbero in Dio il loro Signore e supremo benefattore. Ciascuno usò della sua libertà, alcuni per il bene, altri invece eleggendo il male.
L'infallibile giustizia di Dio punì gli Angeli ribelli, condannandoli all'Inferno, senza che la Sua gloria fosse in nulla diminuita.
L'Ordine voluto da Dio, nell'opera della Creazione, fu sconvolto e la Rivoluzione entrò nel mondo.
La Rivoluzione primordiale: Adamo ed il peccato originale
Infine Dio concluse la Sua opera con la creazione dell'uomo, come è narrato nei primi capitoli della Genesi (I, 26-31, II-III).
Prima di considerare la ribellione e caduta di Adamo ed Eva, occorre succintamente descrivere la natura dell'essere umano prima del peccato originale .
1) I nostri progenitori sono stati creati da Dio anima e corpo. È di fede.
2) È certo che l'anima fu creata dal nulla, mentre riguardo al corpo la sentenza comune tra i cattolici è che anch'esso sia stato creato immediatamente da Dio.
La Genesi dice che Dio formò il corpo di Adamo "dal fango della terra" (Gen., II, 7) e gli ispirò l'anima. I teologi cattolici hanno sempre interpretato nel senso ovvio e letterale le parole "dal fango della terra", ossia che Dio trasse il corpo dell'uomo da una materia inorganica preesistente. Questa sentenza è definita, tra gli altri, dal celebre teologo Tanquerey come comune e vera .
Dio, invece, trasse Eva, la prima donna, da una costa di Adamo quanto al corpo, creando pure a Lei un'anima dal nulla.
"Ma per Adamo non si trovava un aiuto simile a lui. Mandò dunque il Signore Dio ad Adamo un sonno profondo; ed essendosi egli addormentato, gli tolse una delle coste, e ne riempì il luogo colla carne. E con la costa che aveva tolto ad Adamo, formò il Signore Dio una donna, e gliela presentò" (Gen. II, 20-22).
3) L'anima dell'uomo è spirituale e immortale ed è di per sé ed essenzialmente la forma del corpo umano.
Il libro della Genesi dice al cap. II, v. 7 già in parte citato: "Formò dunque il Signore Dio l'uomo dal fango della terra, e gli inspirò in faccia lo spirito della vita, e l'uomo divenne persona vivente". Questo "spirito della vita" non è altro che l'anima spirituale, grazie alla quale l'uomo diventa "persona vivente". È quest'anima spirituale dunque che informa il corpo e sostiene anche le facoltà sensitive e vegetative. Senza di essa il corpo cesserebbe di vivere, per cui, con termine filosofico, si dice che l'anima spirituale è la forma sostanziale del corpo, il suo principio vivificatore. La morte si ha quando l'anima si separa dal corpo.
Sempre nella Genesi si legge che l'uomo fu creato da Dio "a sua immagine " (I, 27). Dio è puro Spirito. Tale somiglianza quindi non si può intendere del corpo. Vi è quindi nell'uomo una parte, l'anima appunto, che è spirituale. Dio è inoltre la pienezza dell'Essere ed immortale; anche l'anima spirituale quindi lo sarà.
4) Tutto il genere umano ha origine da un solo primo uomo, Adamo.
Numerosi passi della Bibbia lo attestano:
"Non v'era l'uomo a lavorar la terra" (Gen. II, 5). Quando Adamo fu creato, "non si trovava un aiuto simile a lui" (Gen. II, 20). Dio trasse la donna da una sua costola. Egli è detto nel libro della Sapienza (X, 1): "Padre di tutta la terra…creato da solo" ed Eva è la "madre di tutti i viventi" (Gen. III, 20). E gli Atti degli Apostoli affermano espressamente: "Fece abitare sopra la terra tutto il genere umano nato da uno solo " (XVII, 26).
5) L'anima di ogni uomo è creata da Dio, quando viene infusa nel corpo.
La Chiesa cattolica, con Papa Vigilio (a. 543), ha condannato la dottrina di Origene che sosteneva la preesistenza delle anime, prima di essere unite al corpo . Papa Anastasio II ha pure condannato la sentenza che crede che l'anima sia trasmetta dai genitori ai figli con il seme (a. 498).
La tesi comune insegnata dalla Chiesa è espressa sinteticamente da queste parole di Pio XII nell'Enciclica Humanis generis: "La fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente da Dio" .
La condizione dei progenitori prima della ribellione
Dio ha arricchito l'uomo non solo dei doni naturali, ma anche di quelli preternaturali e soprannaturali.
Naturale è ciò che è dovuto ad una determinata natura; così alla natura umana sono dovuti l'anima e il corpo, dalla cui unione appunto è composto l'uomo. Un dono naturale nell'uomo è tale in quanto non supera l'essenza, le forze e le esigenze della sua natura.
Preternaturale (dal latino praeter= oltre) è ciò che supera e non è dovuto all'essenza, alle forze e alle esigenze di una determinata natura creata o creabile, ma può essere dovuto e quindi naturale ad un'altra. Così vi sono delle doti nella natura angelica, che le sono proprie, che superano quelle della natura umana. Ebbene queste doti, se fossero da Dio comunicate anche all'uomo, sarebbero un dono preternaturale. Soprannaturale invece, in senso proprio, è ciò che è al di sopra della natura, di ogni natura creata o creabile, sia della natura umana che di quella angelica, e che quindi non è loro dovuto. Così la grazia divina, che eleva l'anima ad una vita divina, è un dono soprannaturale.
Ora l'uomo, nello stato di natura innocente o di giustizia originale, prima della sua ribellione, era stato da Dio arricchito di doni naturali, cioè propri alla sua natura di uomo, preternaturali, che perfezionano la natura nel suo ordine (come per esempio l'immunità dalla morte, che, propria della natura angelica, perfeziona quella umana, senza che per questo l'uomo divenga un angelo) e soprannaturali, che innalzano la natura ad un ordine superiore cui la natura per sé non può giungere, e che non le è dovuto; così con la grazia santificante l'uomo viene innalzato all'ordine soprannaturale, divenendo figlio di Dio.
I doni soprannaturali
1) I nostri progenitori, per dono gratuito e veramente soprannaturale, furono costituiti nello stato di santità e di giustizia originale.
Con queste parole: "Stato di santità e di giustizia originale" s'indica il fatto che l'uomo fu elevato gratuitamente da Dio all'ordine soprannaturale. L'uomo, costituito in tale condizione, ricevette la grazia santificante, partecipazione della vita divina. Disponeva gratuitamente dei mezzi per conseguire il fine soprannaturale, ossia, dopo aver praticato le virtù soprannaturali durante l'esistenza terrena nella felicità del paradiso terrestre, avrebbe goduto in Cielo la visione beatifica di Dio, la contemplazione della divina essenza, il lume della gloria.
L'uomo con la grazia santificante fu arricchito delle virtù teologali della Fede, Speranza e Carità, conoscendo e amando Dio soprannaturalmente. Gli furono quindi rivelati i misteri della vita divina (Dogma della SS. Trinità) che poi egli perdette con il peccato.
I doni preternaturali
2) I nostri progenitori furono costituiti nello stato di natura integra, cioè furono costituiti immuni dalla concupiscenza, dalla ignoranza, dal dolore e dalla morte; e ciò per dono gratuito e preternaturale.
Il primo dono preternaturale che Dio concesse ai progenitori fu quello dell'integrità, ossia l'esenzione dalla concupiscenza. Per questo l'appetito sensibile, cioè la propensione per i beni sensibili o materiali, sia illeciti che leciti, era perfettamente assoggettato alla ragione. Adamo ed Eva infatti, non provando il disordine carnale, prima della caduta, erano privi di vestiti: "Ora, erano nudi ambedue, Adamo cioè e la sua moglie, e non ne arrossivano" (Gen. II, 25).
Il dono della scienza, ossia l'esenzione dall'ignoranza è il secondo dono d'ordine preternaturale. Grazie ad esso Adamo ed Eva avevano un'adeguata cognizione sia delle cose naturali e fisiche che di quelle soprannaturali riguardanti Dio.
Il dono dell'impassibilità, ovvero l'esenzione dal dolore è il terzo dono preternaturale. Il Concilio di Trento insegna infatti che "le sofferenze del corpo derivano dal peccato" originale. Dio, come si legge nella Genesi (II, 15) aveva infatti collocato Adamo in un "paradiso di delizia". La fatica e il dolore sono comminati all'uomo prevaricatore in punizione del suo peccato, non prima (Gen. III, 17-19).
Infine Dio arricchì la natura umana dell'immortalità, esentandola dalla morte, ossia dalla violenta separazione dell'anima dal corpo. Sempre il Concilio di Trento insegna che a causa del peccato i progenitori sono incorsi "nell'ira e nell'indignazione di Dio, e perciò nella morte, che Dio già prima aveva loro comminato" . Il Libro della Sapienza (II, 23, 24) infatti dice: "Dio invero creò l'uomo per l'immortalità... Ma per l'invidia del diavolo entrò la morte nel mondo…".
La ribellione di Adamo ed Eva
Dio collocò Adamo nel paradiso terrestre e gli diede una compagna simile a lui. I progenitori potevano cogliere e cibarsi di tutti i frutti degli alberi che vi si trovavano, eccetto uno.
Dio diede, infatti, ai due un solo ma preciso comando, cui corrispondeva una pena in caso di trasgressione: "Ma dell'albero della scienza del bene e del male non mangiare; perché in qualsiasi giorno tu ne avrai mangiato, di morte morrai" (Gen. II, 16).
Come era avvenuto per gli Angeli, Adamo ed Eva furono messi alla prova. Tutto avevano da Dio ricevuto gratuitamente, per pura Sua misericordia. Ora Dio voleva saggiarne la gratitudine, e, con quell'unico comando, ricordare alla coppia la sudditanza che dovevano al loro Signore e Creatore. Adamo ed Eva ubbidendo a quell'unico divieto, riconoscevano umilmente la loro dipendenza da Dio.
Il demonio li invidiava, poiché un giorno avrebbero goduto il Paradiso, mentr'egli l'aveva perduto per sempre. Dio allora permise che li tentasse.
Questi prese le sembianze di un serpente e, vista la donna appartata dal marito, le rivolse la parola. Il demonio s'indirizzò alla donna perché la sapeva più debole e la sedusse, cioè l'ingannò, istillandole il dubbio che il comando di Dio non fosse così categorico, come era in realtà.
"Ovviamente [il demonio] - scrive S. Agostino - si rivolse anzitutto alla parte più debole di quella coppia umana, per raggiungerla gradatamente nel suo complesso, pensando che l'uomo sarebbe stato piuttosto incredulo e che avrebbe potuto essere ingannato non direttamente, ma attraverso l'errore dell'altra" .
Le disse infatti: "Per qual motivo Iddio v'ha comandato di non gustare di qualsivoglia albero del paradiso?" (Gen. III, 1). Ora la donna, anziché troncare subito il discorso con il tentatore, tanto più che dovette meravigliarsi nell'udire un animale proferire parole, e quindi sospettare la presenza di un'intelligenza superiore, si fidò delle sue forze e accettò di rispondere, confermando di aver ben compreso la perentorietà del divieto divino. "…del frutto dell'albero che è in mezzo al paradiso, Iddio ci ha comandato di non mangiarne e di non toccarlo, che non abbiamo a morirne" (Gen. III, 3).
Il demonio allora replicò alle esatte parole di Eva, dicendo tutto l'opposto. "No davvero che non morirete" (Gen. III, 4) e, facendo leva sull'orgoglio di lei, dichiarò esplicitamente che Dio vietava loro quel frutto solo per invidia del loro benessere, ossia per impedire loro di divenire come Lui. "Dio però sa che in qualunque giorno ne mangerete, vi s'apriranno gli occhi, e sarete come dei, sapendo il bene ed il male" (Gen. III, 5).
La donna allora, insuperbitasi e accecata nel suo orgoglio, cominciò a guardare il frutto proibito con desiderio disordinato; infine lo colse, e ne mangiò consumando il suo peccato; poi lo porse ad Adamo, che fece lo stesso: "Vide dunque la donna che l'albero era buono a mangiarsi, bello agli occhi, e dilettoso all'aspetto; prese del suo frutto, ne mangiò, e ne dette al marito che ne mangiò" (Gen. III, 6).
Adamo peccò non perché credette alle parole del demonio, come invece accadde alla donna, ma perché "non volle rompere il vincolo dell'unione [matrimoniale], neppure nel peccato" . La colpevole compiacenza dell'uomo verso la moglie, segnò così il destino del genere umano. Adamo peccò, infatti, d'amore disordinato nei riguardi di Eva, che procedeva da superbia. Egli inoltre pensò che il peccato, perché commesso insieme alla donna, sarebbe stato giudicato da Dio con minor severità: "l'uomo finì con l'anteporre la volontà della sposa all'ordine di Dio, pensando di trasgredire in modo veniale quel precetto restando unito alla compagna della sua vita anche nel peccato" .
S. Agostino ha analizzato con mirabile finezza e ineguagliata profondità teologica, la gravità del peccato commesso dai due progenitori. "In quel precetto si raccomandava l'obbedienza, virtù che in un certo senso nella creatura razionale è la madre e la custode di tutte le altre; quella creatura infatti è stata fatta in modo che le torni utile essere sottomessa e dannoso non seguire la volontà del suo Creatore" e, sottolineando quanto sarebbe stato facile, nel paradiso terrestre, con tanta abbondanza di cibo e quando l'avidità smodata non si opponeva alla volontà di astenersene, essere fedeli a quell'unico comando, conclude: "Quell'ordine fu invece violato in modo tanto più ingiusto, quanto più facilmente poteva essere osservato" .
E ancora: "L'uomo non sarebbe caduto in potere del diavolo con il suo peccato evidente e manifesto […]se non avesse già cominciato ad amare se stesso. Si dilettò quindi di queste parole: 'Sarete come Dei'" (Gen. III, 5).
I progenitori si ribellarono a Dio loro creatore e Signore per la loro superbia, perché avevano amato e si erano compiaciuti più di se stessi che della gloria di Dio, il che è propriamente il peccato d'orgoglio. Anch'essi gridarono il loro "Non serviam" (Geremia, II, 20) 'non obbediremo', 'non ci sottometteremo alla legge di Dio'. Ed ecco, subito dopo la prevaricazione, "s'aprirono gli occhi ad ambedue. Ed avendo conosciuto d'esser nudi, intrecciarono delle foglie di fico, e se ne fecero delle cinture" (Gen. III, 7).
Orgoglio (amore disordinato di se stessi) e sensualità (amore disordinato dei piaceri sensibili e materiali) ecco le conseguenze del peccato originale, ecco i due propulsori della Rivoluzione.
Quest'amore è detto disordinato appunto perché cozza contro l'Ordine e la Legge di Dio, che prescrivono innanzi tutto che la creatura riconosca, onori ed ami il Suo Creatore e Signore.
L'orgoglio invece eleva fittiziamente la creatura al livello del Creatore; essa si fa legge a sé stessa, vorrebbe eguagliarsi, se fosse possibile, a Colui che solo è indipendente e superiore ad ogni altro. Dall'orgoglio deriva come logica conseguenza l'egualitarismo, un falso concetto di eguaglianza, in tutte le sue manifestazioni.
La falsa eguaglianza, infatti, che la mentalità rivoluzionaria intende introdurre ovunque, non è altro che la replica nella storia dell'uomo di quella falsa eguaglianza primordiale che gli Angeli ribelli prima, e i due progenitori poi, tentarono di stabilire con Dio violando la Sua Legge: 'non serviam', 'sarete come Dei'.
L'uomo, tuttavia, a differenza delle nature angeliche, è anche dotato di una parte sensibile e materiale, il corpo. La rivolta dell'anima, accecata dalla superbia, contro Dio, comportò la rivolta del corpo contro quella: la sensualità. Il desiderio dei piaceri illeciti allora si accompagnerà sempre alle manifestazioni dell'orgoglio, come suo inevitabile corollario, cercando di abbattere con la furia di passioni incontrollabili ogni freno posto dalla morale e dalle giuste leggi.
Il castigo dei progenitori
Dopo aver prevaricato, i due infelici si nascosero, pensando ingenuamente di poter sottrarsi alla vista e quindi al giudizio di Dio (Gen. III, 8).
Il Signore però li chiamò, non perché non sapesse dove si trovassero, ma per invitarli a confessare il loro peccato (Gen. III, 9). Adamo allora rispose: "Ho udito la Tua voce nel paradiso; ho avuto paura, essendo nudo, e mi sono nascosto" (Gen. III, 10).
Dio allora disse: "Chi ti ha fatto conoscere d'esser nudo, se non che hai mangiato dell'albero del quale t'avevo comandato di non mangiare?" (Gen. III, 11). Dio mostra come il desiderio carnale, per cui la coppia dei progenitori sente vergogna della nudità, sia conseguenza del peccato, ed invita Adamo, una seconda volta, a confessarlo.
Adamo però anziché ammettere l'evidenza, ancora accecato dalla presunzione, scarica la responsabilità della caduta sulla moglie, passando nel volgere di breve tempo, da un amore disordinato e carnale per lei all'accusa di essere essa sola la responsabile: "La donna che mi desti a compagna, m'ha dato di quel frutto, e ne ho mangiato" (Gen. III,12).
Dio si rivolse allora alla donna, sperando che almeno questa ammettesse la colpa. Ma quella rispose: "Il serpente mi ha sedotta ed io ho mangiato" (Gen.
A questo punto Dio emette il suo verdetto in base alla gravità della trasgressione: tocca per primo al serpente, poi ad Eva, infine al marito.
La condanna del serpente-demonio è senza attenuanti. Dio maledicendolo conferma il decreto con cui lo aveva cacciato dal cielo e confinato nell'inferno, ma ora trova modo, per accrescerne la pena, di umiliare ancor di più la sua superbia: "Tu camminerai sul tuo ventre e mangerai terra per tutti i giorni di tua vita" (Gen. III, 14).
Benché di natura angelica, per effetto della condanna divina diverrà come l'incarnazione stessa della corruzione e dell'impurità, per cui verrà chiamato lo 'spirito immondo' per antonomasia. Infatti i suoi consigli e le sue suggestioni non tenderanno ad altro che ai più sordidi e vili piaceri, ed egli non avrà altri seguaci se non coloro che si involgeranno nella terra e nel fango dell'impurità e del vizio.
Perché la punizione di Satana sia ancora più grave, Dio predice l'eterna inimicizia che opporrà il demonio e la Donna, i suoi discendenti e quelli di Lei. "Porrò inimicizia tra te e la donna, e tra il seme tuo e il seme di lei. Ella ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno" (Gen. III, 15).
È inutile quindi che il demonio si rallegri della sua vittoria, perché proprio da una discendente di Colei che egli così facilmente ha sedotto e dal suo seme, egli e i seguaci riceveranno la più grande sconfitta e la maggior umiliazione.
"Questa donna è Maria, come il seme di Lei è il Cristo, il Verbo di Dio fatto carne nel seno della Vergine. L'opposizione di questa Vergine e del figliolo di lei collo spirito immondo e superbo e coi figlioli di lui, cioè gli empi, non può esser più grande" .
Come da una donna ebbe inizio la rovina del genere umano e il regno di Satana, così da una Vergine avrà inizio la riparazione degli uomini e la distruzione del peccato. Ecco il cosiddetto Protovangelo, la prima promessa fatta da Dio agli uomini riguardo al futuro Messia, che un giorno verrà a liberarli dalla schiavitù del peccato e del Demonio e a riconciliarli con Dio, meritando per essi la salute eterna che Adamo per il peccato aveva perduto.
Quella lotta che aveva visto nel cielo scontrarsi i seguaci di Lucifero con le schiere guidate da S. Michele, si trasferisce ora sulla terra tra i servi di Satana e quelli della Vergine, in una lotta che con alterne vicende, il cui esito però a favore di Lei è già deciso da Dio fin dall'eternità, si protrarrà fino alla fine dei secoli: Ella schiaccerà la tua testa e tu tenderai insidie al calcagno di lei.
In queste poche parole si delinea lo scenario di uno scontro titanico, che durerà sino alla fine del mondo. Nessuno può sfuggire alla drammatica alternativa, sia esso uomo o donna, famiglia, popolo o Stato. L'umanità intera è chiamata alla battaglia: o dalla parte del demonio e dei suoi seguaci, o sotto i vessilli della Vergine.
I due eserciti schierati in questa guerra, che non conosce tregua e che si combatte ogni giorno, hanno due diverse ed opposte parole d'ordine. I malvagi e gli empi schiavi del demonio fanno risuonare la terra continuamente del loro orgoglioso Non serviam. Gli umili soldati della Vergine invece, come già l'Arcangelo San Michele, rispondono alle parole tentatrici e si gettano nella lotta mortale al grido di Quis ut Deus? Chi è come Dio? Superbia ed umiltà, impudicizia e purezza, caos e ordine, egualitarismo e gerarchia, si combattono incessantemente fino alla fine, cercando ciascuna di modellare il mondo, la società e lo Stato a propria immagine e somiglianza. Il premio per gli uni è in questa vita il momentaneo appagamento delle loro disordinate passioni, e nell'altra il fuoco eterno dell'inferno, dove è pianto e stridor di denti. Per gli altri invece, il sacrificio e l'imitazione della Croce è il viatico alla pacifica conquista del Paradiso.
Dio, continuando nel giudizio dei malfattori che aveva dinanzi, passa alla donna, che si era lasciata ingannare dal tentatore e aveva spinto il marito, fidando sull'ascendente che aveva su di lui, a peccare con lei.
La punizione che colpisce la donna ed in lei tutte le sue discendenti riguarda in particolar modo la funzione principale assegnata al suo sesso e per cui Dio l'aveva data all'uomo: la procreazione ed educazione della prole. D'ora in avanti fino alla fine del mondo la donna partorirà nel dolore. Tuttavia quel dolore le sarà anche mezzo d'espiazione per il peccato: Io moltiplicherò i tuoi affanni e le tue gravidanze; con dolore partorirai i figlioli, e sarai sotto la potestà del marito ed egli ti dominerà (Gen. III, 16). Inoltre la donna dovrà sottostare all'autorità del marito ed essergli subordinata.
Infine, a causa del peccato di Adamo, la terra, che egli avrebbe dovuto lavorare senza fatica nella felicità del paradiso terrestre, si tramuta per lui in fonte di sofferenza e dolore. Egli la coltiverà traendone il nutrimento con grandi fatiche (Gen. III, 17). Essa infatti produrrà spine e triboli (Gen. III, 18). Solo mediante una penosa applicazione, mediante il sudore della fronte (Gen. III, 19) gli uomini si guadagneranno il pane. E al termine di una così dura esistenza ecco la morte corporale ad attenderli: poiché tu sei polvere e in polvere ritornerai (Gen. III, 19).
Un cherubino dalla spada fiammeggiante scacciò poi i due sciagurati dal paradiso terrestre e questi cominciarono a vagare sulla terra desolata (Gen. III, 23-24).
Conseguenze del peccato originale
Con il peccato, Dio privò l'uomo innanzi tutto della santità e giustizia originale, ossia della grazia santificante che, rendendolo figlo adottivo di Dio, gli dava facoltà di conseguire il fine soprannaturale, ossia di meritare, dopo la morte, la visione beatifica della divina essenza nel Paradiso.
L'umanità meritò quindi una doppia morte. Quella spirituale la rese nemica di Dio, schiava del demonio e destinata all'inferno: massa damnata, per usare la celebre espressione di S. Agostino. Le porte del Paradiso le erano chiuse.
A questa gravissima perdita si aggiunse, come inevitabile corollario, la scomparsa dei beni preternaturali di cui Dio aveva dotato la coppia dei progenitori.
Così l'uomo perse il dono dell'integrità, ossia l'esenzione dalla concupiscenza, per cui la ragione dominava perfettamente la parte sensibile, cioè il corpo. Ora invece l'uomo sente dentro di sé, in misura più o meno veemente, ma sempre incontrollabile, una disordinata inclinazione per i piaceri sensibili, che l'anima non sa moderare se non aiutata dalla grazia santificante.
Venne spogliato anche del dono della scienza: la ragione cadde nell'ignoranza, perdendo ogni cognizione soprannaturale di Dio, e venne debilitata anche nel conseguimento delle verità naturali, con grande facilità d'essere ingannata da ciò che ha apparenza di vero.
La volontà fu corrotta dal peccato. Per la sua malizia infatti è ora docile più agli allettamenti del male che alla difficile pratica della virtù. Con grande difficoltà e, senza la Grazia, solo per poco, riesce a mettere in pratica le direttive morali suggerite dalla ragione.
Il corpo di Adamo, che prima del peccato, era impassibile, cioè esente dal dolore, ora diviene soggetto a tutte le infermità, in ogni età della vita, dalla culla alla tarda vecchiaia. Non vi è parte del corpo umano che non sia colpita dalle malattie. Il clima stesso e l'ambiente in cui l'uomo vive inoltre non sempre favorisce il suo benessere, e non vi è stagione dell'anno, per quanto temperata, che non produca qualche incomodo al genere umano.
Infine il corpo dell'uomo, che era stato creato immortale, cadde sotto il potere della morte, ossia della dolorosa separazione dell'anima dal corpo.
Insomma non vi è parte del composto umano che non abbia risentito di quel fatale infortunio. L'anima ha perduto la grazia di Dio. La ragione è ignorante; la volontà inclinata al vizio e all'orgoglio; il corpo soggetto al dolore e alle malattie, nell'attesa di una morte dolorosa.
Il peccato originale consiste essenzialmente nella privazione della giustizia originale; privazione causata dall'azione volontaria di Adamo che era fonte e principio di tutta la natura umana.
Da quanto detto si comprende come il peccato di Adamo, che in lui fu volontario, sia passato a tutti i suoi discendenti, eccettuata, per privilegio particolare, la Vergine Immacolata .
Se in Adamo il peccato fu volontario di persona, nei suoi discendenti lo fu volontario di natura. In Adamo peccò insomma tutta la natura umana che in lui era potenzialmente compresa.
S Tommaso spiega: "Tutti gli uomini che nascono da Adamo possono considerarsi come un sol uomo in quanto convengono nella natura che ricevono dal primo padre […] Molti uomini derivati da Adamo, sono come molte membra di uno stesso corpo. E gli atti di un membro del corpo, per es. una mano, non sono prodotti soltanto dalla volontà della mano, ma dalla volontà dell'anima che muove le membra […] così in quest'uomo generato da Adamo, il disordine non è volontario per la sua volontà, ma per la volontà del primo padre, come la volontà dell'anima muove tutte le membra all'azione" .
Nel considerare l'attuale debolezza dell'uomo dopo la caduta, non bisogna però superare il limite segnato dal buon senso e dalla sana teologia.
È vero infatti che, come dice il Concilio di Trento, "l'uomo è stato deteriorato nell'anima e nel corpo" , essendo privo, nello stato di natura decaduta, dei doni soprannaturali (la grazia santificante) e di quelli preternaturali. Tuttavia questo stato di debolezza congenita non è tale da impedire completamente all'uomo l'uso retto delle facoltà dell'anima. La ragione raggiungerà, pur con difficoltà, la cognizione di verità certe ed obiettive, anche se, senza la Rivelazione, tali conoscenze non sono bastanti a fargli conoscere Dio nel debito modo. La volontà, a sua volta, illuminata dalla ragione, giungerà a praticare il bene, ma senza la grazia, tale pratica non sarà perseverante. Di qui ancora la necessità della Rivelazione e della Grazia.
Non si può dire quindi, come sostengono gli eretici protestanti, che l'uomo, dopo il peccato, sia intrinsecamente e completamente malvagio. Venuta meno, tuttavia, l'armonia tra l'anima e il corpo, conseguenza del peccato, le forze naturali hanno perduto l'inclinazione alla virtù che Dio aveva loro concesso, e trovano ora maggiori ostacoli nell'esercizio delle loro facoltà. L'uomo per il peccato originale è stato spogliato delle cose gratuite e ferito in quelle naturali , dice S. Agostino.
L'uomo quindi, con le sole sue forze, può certo esercitare, seppure con difficoltà e non in maniera perseverante il bene. Tuttavia non ha la forza per conseguire il fine soprannaturale, cioè meritare il Paradiso. Di qui la necessità della Rivelazione e dei mezzi di grazia per praticare con merito le virtù.
Ne segue che, come recita il Concilio di Firenze: "Le anime di coloro che muoiono in peccato mortale attuale [commesso volontariamente e consapevolmente] o col solo peccato originale [come nel caso di bambini che muoiano prima di essere giunti all'età di ragione o dei pazzi o minorati] subito vanno all'inferno, ma puniti con pene differenti" .
Conseguenze sociali del peccato originale
Come insegna Aristotele, l'uomo è per natura un animale sociale. Il vivere in società non è per l'uomo viatore sulla terra una condizione accidentale, ma una legge iscritta nel suo cuore, che ha per Suo supremo autore Dio stesso.
Nel paradiso terrestre la condizione sociale dell'uomo è evidente con la creazione della donna, che, unita al marito, forma la prima famiglia della storia, ossia la società domestica.
Dalla prima famiglia, accresciuta di nuovi membri, i quali poi formarono nuove famiglie, sono sorte le tribù, specie di famiglie allargate, e da queste i popoli e le nazioni che nel corso di un lungo arco di tempo hanno abitato la terra.
Anche la vita in società ha subito gli effetti del peccato originale. All'interno della famiglia così l'inclinazione al male, frutto del peccato, porta la moglie a disubbidire al marito, rifiutandosi di sottostargli in ciò che è lecito, e il marito ad abusare della sua autorità comandando alla moglie cose illecite. I figli poi tendono a sottrarsi alla tutela dei genitori ecc.
Nella società civile, cioè nello Stato, ove convengono numerose famiglie per conseguire il bene comune temporale sotto una medesima autorità, non manca chi cerchi di sottrarsi ai giusti comandi di chi detiene l'autorità, come può accadere che l'autorità usi per un fine privato la sua supremazia sulla collettività.
Può accadere poi che Stati diversi, a seguito di torti reciproci presunti o reali, entrino in conflitto tra loro. Ecco allora sorgere quelle tipiche contese tra Stati che sono le guerre.
Tutti questi fatti or ora succintamente descritti sono conseguenze del peccato originale.
La natura poi, come si evince dai passi biblici sopra citati, si è a sua volta ribellata all'uomo. Secondo il piano di Dio, il dominio del genere umano sul mondo vegetale e animale avrebbe dovuto essere pacifico e facile. Anch'esso ha risentito, dopo il peccato, del turbamento inferto all'ordine di Dio dalla rivolta dei progenitori. Così tutti gli eventi naturali nocivi all'uomo, come carestie, cataclismi naturali, epidemie ecc., sono conseguenza del peccato originale.
L'uomo si ribellò contro Dio, la natura a sua volta si è rivoltata contro il suo signore.
La ribellione della creatura razionale (Angeli, uomo) contro il Creatore e Signore, è così il modello e l'archetipo d'ogni altra rivoluzione storicamente determinata.
Anche se il moto rivoluzionario sembrasse a tutta prima generato dalle più lodevoli intenzioni e senza un fine dichiaratamente cattivo, vicissitudine storica d'uomini contro altri uomini, ci si accorgerà tuttavia ad un'analisi attenta che esso altro non è che una replica di quell'archetipo primordiale, e che il fine ultimo anche di quella rivoluzione contingente non è altri che il rifiuto della legge divina, dell'ordine del mondo stabilito eternamente da Dio e quindi un rifiuto di Dio stesso.
La Rivoluzione nega per principio la dottrina sul peccato originale. Crede nell'immacolata concezione dell'uomo. Constatando poi la presenza corrosiva del male e del dolore nella vita dei singoli e degli Stati, ne addebita la causa alla società. L'uomo, buono 'per natura', è corrotto dalla vita associata fondata sulla gerarchia e la disuguaglianza delle condizioni.
La negazione del dogma del peccato originale non ha però conseguenze soltanto nell'ambito politico-sociale. Se l'uomo è buono 'per natura', infatti, non vi è bisogno alcuno di un Redentore, e quindi non v'è alcuna necessità della Religione Rivelata e della Chiesa. Il Sangue di Cristo sparso sulla Croce del Calvario, la Sua dottrina immortale, non ha senso alcuno. È soltanto un'immane menzogna. La Grazia santificante, che sola permette all'uomo la pratica delle virtù soprannaturali, è inutile. L'uomo si salva da se stesso, con le sole sue forze. Dall'accettazione o meno del dogma sul peccato originale, quindi, procedono due opposte concezioni dell'uomo, della società, dello Stato e delle loro relazioni con Dio.