Kosovo.....oggi

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00sabato 16 febbraio 2008 19:31
Gli Usa aggiungono una stella alla loro bandiera: il Kosovo

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C’è sempre spazio nella bandiera americana. Tra poco arriverà la stella n.51 e sarà quella del Kosovo. E’ chiaro, infatti, che l’obiettivo della Casa Bianca, del Pentagono e della Cia consiste nell’accelerare il processo di disgregazione della (ex) Yugoslavia per favorire la costituzione di un Kosovo “indipendente” e, in prospettiva, di una “Grande Albania”. Tutto questo per imporre una pratica politica ed economica capace di trasformare radicalmente i Balcani in un “territorio americano”. Ed ecco oggi - dopo il voto di Pristina del 17 novembre scorso - un nuovo appuntamento per il futuro del Kosovo. E’ quello del 10 dicembre quando nell’arena geopolitica si dovrà decidere lo status della provincia. Inizierà in quel momento il vero e pericoloso conto alla rovescia. Ma già si sa che il governo di Belgrado si muoverà per impedire l’indipendenza del suo territorio che i serbi definiscono come Kosovo-Metohija.

Scende in campo, in questo contesto di eventuale ristrutturazione geopolitica, il ministro degli Esteri serbo, Vuk Jeremic, il quale annuncia che la Serbia non farà guerra e non contribuirà alla destabilizzazione dei Balcani, ma farà “assolutamente tutto” nel senso politico, diplomatico, economico e giuridico per proteggere la sua sovranità e integrità territoriale. Il diplomatico di Belgrado, comunque, ricorda che sarà possibile il proseguimento del dialogo sullo status (sotto il patrocinio dell’Onu), anche dopo il 10 dicembre. E sottolinea poi che la Serbia crede nelle Nazioni Unite e nella neutralità dell’organizzazione mondiale. Proprio per questo ribadisce che le decisioni di importanza strategica - di rilievo geopolitico - dovranno essere adottate all’interno del Consiglio di sicurezza. Intanto da Bruxelles l’’International Crisis Group (Icg) annuncia che il Kosovo potrà divenire indipendente nel maggio 2008 se gli Usa e i principali paesi europei sosterranno questo processo e se ne faranno carico.

''Francia, Germania, Italia, Gran Bretagna e Usa, nonostante l'opposizione di Serbia e Russia, dovrebbero cominciare - scrive in un suo documento questo Gruppo che è dominato da esponenti americani - a implementare un piano per orchestrare la transizione pacifica che culminerà con un'indipendenza condizionata, nel maggio del 2008''. E sempre secondo l'Icg l'Occidente dovrà mantenere la pressione e gli incentivi sulla Serbia affinché accetti la realtà. Una tale posizione - stimano gli esperti americani - prenderà tempo, ma è necessaria per far fronte ai rischi di un aumento dei sentimenti nazionalisti in Serbia e di un affievolimento della volontà di integrazione europea. Nel piano di azione previsto poi dall’Icg, si precisa che dopo il fallimento dei negoziati tra Pristina e Belgrado - sotto l'egida della troika Usa-Ue-Russia - gli occidentali dovrebbero cominciare a dare attuazione al piano dell'inviato speciale dell'Onu Martti Athisaari, che prevede un'indipendenza sotto sorveglianza internazionale. Il Piano prevede, infatti, che la missione Onu-Unmick, sotto il cui protettorato il Kosovo si trova dalla fine della guerra del 1999, sia rimpiazzata da una missione dell'Unione europea di 1.800 uomini, di cui 1.400 poliziotti, con il compito di restaurare uno Stato di diritto.

Secondo il think tank, (di marca statunitense) la missione, che ha un costo stimato di 150 milioni di euro l'anno, potrebbe cominciare all'inizio del prossimo anno, dopo l'approvazione del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon entro il mese di dicembre. Il 10 dicembre intanto è prevista alle Nazioni Unite la presentazione dell'inviato Inschinger sul round negoziale della Troika, mentre il 19 dicembre si terrà il dibattito al Consiglio di sicurezza. E sempre l’Icg prevede che ''gli Usa, la Gran Bretagna e la Francia avranno un duro lavoro a New York e dovranno essere pronte ad accettare qualche danno nelle loro relazioni con Mosca, per assicurare che una chiara maggioranza del Consiglio di sicurezza possa dare sostegno a questo tipo di corso''. Dopo questo passaggio, il think tank prevede che in gennaio il nuovo governo del Kosovo possa dichiarare ''la propria intenzione di dichiarare l'indipendenza in maggio sulla base dei termini previsti dal Piano Ahtisaari''.

La decisione dei 27 Stati membri della Ue sullo status del Kosovo sarà assunta dai capi di Stato e di governo al Vertice europeo del 14 dicembre. ''La Ue - questa l’indicazione americana -dovrà dire ufficialmente che considera che i negoziati tra la Serbia e il Kosovo sono terminati e che è pronta a dispiegare la sua missione''. E comunque sia la realtà ci dice che il Kosovo e l’intero scacchiere balcanico sono ancora zone a rischio. Vediamone, in sintesi, alcuni dettagli geopolitica.

LA REGIONE KOSOVARA. Il territorio oggi è teoricamente amministrato dalla Comunità Internazionale ma in pratica è sottoposto al controllo della Nato. L’etnia albanese locale rivendica l’intera regione e ne chiede, con l’appoggio americano e del governo di Tirana, la completa indipendenza da Belgrado. Intanto nel paese, in base alle Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 1999, esiste un governo provvisorio che opera sotto il protettorato internazionale dell’UNMIK e della NATO. In tutti questi ultimi anni si sono svolti incontri bilaterali (Belgrado-Pristina) e conferenze internazionali allo scopo di trovare una soluzione politico-diplomatica.

C’è stata anche una trattativa a livello dell’Onu condotta dal mediatore Martti Ahtissari relativa ad un futuro status della provincia serba. Il piano finale non è stato però condiviso né dai serbi, che non vogliono perdere la sovranità sulla regione, né dai kosovari, che ambiscono alla piena indipendenza. La situazione è in sospeso, e in mancanza di avvicinamenti tra le parti si prospetterebbe l'imposizione alle stesse di una decisione definitiva del Consiglio di Sicurezza Onu. Le trattative attualmente in corso vedono comunque attivi, oltre che i leader di Kosovo e Serbia, anche quelli di Unione Europea, Russia e Stati Uniti.

Tuttavia, l'Unione Europea sta preparando una missione militare che dovrebbe insediarsi in Kosovo al momento della decisione definitiva sullo status. Parallelamente, esperti europei ed albanesi stanno lavorando sul progetto di una nuova Costituzione. Gli albanesi kosovari minacciano però di dichiarare unilateralmente l’indipendenza il 10 dicembre 2007. Tutto questo dopo che il 17 novembre scorso si sono tenute le elezioni per rinnovare sia l'assemblea parlamentare del Kosovo che i comuni. Non si è registrato però nessun passo avanti. Anche per il fatto che le profonde divisioni con la Serbia hanno portato al boicottaggio elettorale degli stessi serbi del Kosovo.

Ha prevalso comunque il Partito democratico (Pdk) del terrorista dell’Uck, Hashim Thaci, che ha superato per la prima volta la Lega democratica (Ldk) del defunto presidente Rugova. Thaci intende ora avviare (subito dopo il 10 dicembre) un governo albanofono di grande coalizione per gestire il processo verso la piena indipendenza del Kosovo. Il 10 dicembre, infatti, è la data prevista per la presentazione all’Onu del rapporto della cosiddetta "Troika" (Usa-Russia-UE) impegnata nella mediazione fra Pristina e Belgrado per risolvere lo status della regione.

PIANI E PROSPETTIVE.Sono al momento (dicembre 2007) possibili i seguenti scenari: ritorno alla Serbia, con lo statuto di autonomia molto più largo della Voivodina; oppure un processo di indipendenza, che è la soluzione preferita da parte della maggioranza albanese (ha come precedente il caso di Timor Est). Ed è questa una delle soluzioni prese in considerazione dalle Nazioni Unite e auspicata dagli Stati Uniti. Ma Spagna, Grecia, Cipro, Slovacchia e Romania mostrano serie perplessità dal momento che l’indipendenza del Kosovo potrebbe costituire un precedente a livello di dichiarazioni spontanee di indipendenza da parte di altre minoranze etniche presenti all'interno di questi stati.

Tuttavia, con il passare dei mesi tutti gli Stati dell'Unione (a parte Grecia e Cipro) sembrano alla fine convergere a favore dell'ipotesi di indipendenza. Tale ipotesi è naturalmente osteggiata dalla Serbia e dalla minoranza serba in Kosovo, per il rischio di perdere una parte non trascurabile del territorio. C’è poi l’eventualità di una unificazione con l’Albania, soluzione preferita da gran parte della maggioranza albanese e fortemente osteggiata dalla Serbia e dalla minoranza serba.

In questo caso si correrebbe tuttavia il rischio di provocare un risveglio irredentista degli albanesi in Macedonia e in Montenegro ed un generale risveglio nazionalista nei Balcani. In ogni caso, un mancato accordo internazionale renderebbe ancora valida la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza, che contempla la sovranità serba sul Kosovo. Il perdurare di una situazione instabile non conviene tuttavia neppure alla stessa Serbia, in quanto allontana negli anni le prospettive di integrazione del paese all'interno dell'Unione Europea. E sempre nel quadro della situazione generale dei Balcani c’è da rilevare che fonti russe sostengono che la Nato è già in stato d’allarme prevedendo disordini in Kosovo tra serbi ed albanesi. E i riferimenti in merito sono tratti da una serie di dichiarazioni del generale John Craddok, comandante in capo delle forze Nato in Europa.

UNIONE EUROPEA.L’Unione Europea ha già deciso di attivare al massimo i negoziati necessari per l’ingresso del Kosovo e della Serbia nella Unione stessa ed in tale contesto negoziale potranno essere chiariti e definiti gli elementi necessari a soddisfare ragionevolmente ogni esigenza che sarà rappresentata dai serbi, dai kosovari e da altre minoranze. Non vi è alcun dubbio che alla fine del percorso negoziale il Kosovo dovrebbe arrivare in Europa con uno Stato organizzato ed efficiente, in grado di gestire il paese che sarà anche formalmente indipendente, avendo regolato i rapporti con la Serbia e con le minoranze, tenendo attentamente conto dei loro interessi politici, economici, sociali e culturali, nonché salvaguardando i siti che ricordano il loro contributo alla storia del paese. L’Europa mostra in sintesi di volere un Kosovo sviluppato e civile e non un altro “fallimento balcanico”. Ma qui entreranno in gioco i diktat americani…

SCONVOLGIMENTI BALCANICI. Se ciò dovesse accadere, è quasi certo che una Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza sarebbe resa dalla metà serba della città di Mitrovica e probabilmente anche dalla regione serba della Bosnia, la Repubblica Srpska, come già annunciato da entrambe. Inizierebbero, quindi, una serie di dichiarazioni di indipendenza unilaterale che metterebbero a rischio la stabilità dei Balcani e che potrebbero anche destabilizzare la Moldavia (con il riconoscimento russo dell’indipendenza della Transnistria) e la Georgia, con il riconoscimento russo dell’Abkhazia e dell’Ossetia del sud. Quest’ultima crisi potrebbe vedere a confronto truppe georgiane e truppe russe.

YUGOSLAVIA: IL RUOLO DEL VATICANO. Va ricordato, in tutto questo contesto, il ruolo disintegratore messo in atto dalla Chiesa di Roma soprattutto in Croazia. Già nel 1918, infatti, Il Vaticano si pronunciò contro la formazione unitaria del Paese (decisa a Versailles da Francia e Inghilterra) ritenendo che le popolazioni cattoliche sarebbero finite nell'orbita ortodossa dei serbi, popolo egemone del nuovo Stato. Successivamente, fra il 1918 e il 1941, si registrò lo sviluppo di una fortissima opposizione della Chiesa ortodossa (diventata nel frattempo indipendente da Costantinopoli) a un accordo fra Belgrado e il Vaticano relativo ai rapporti tra lo Stato e i cattolici.

La mancata firma del concordato provocò poi un’ulteriore tensione tra Belgrado e la Chiesa slovena e croata. Fra il 1941-1945 a Zagabria, l'arcivescovo Alojzije Stepinac salutò il nuovo stato indipendente croato di Ante Pavelic. E fu allora Stepinac - chiamato l' “arcivescovo del genocidio" - a dare vigore al clero cattolico croato, bloccando e ostacolando il processo di riconciliazione tra gli slavi ortodossi e i cattolici.

Successivamente, tra il 1987 e il ‘91 le Chiese di Lubiana e Zagabria attaccarono il "centralismo belgradese" e i tentativi egemonici di Milosevic. Intanto il Vaticano, mise in atto una sua campagna diplomatica e politica tesa a favorire l'indipendenza delle due repubbliche di Slovenia e Croazia. Nel 1992 lo Stato Vaticano riconobbe poi l'indipendenza di Slovenia e Croazia mettendo in luce il suo atteggiamento antiserbo. E fu il Papa che, nel 1994, a premere per un intervento in favore dei musulmani e contro gli "aggressori di Sarajevo", cioè i serbi.

La Storia passata, quindi, macina ancora i territori dell’ex Yugoslavia. E il Kosovo di oggi è sì una “stella” americana, ma è anche una mina vagante che potrebbe tornare ad esplodere.

Carlo Benedetti
tratto da www.altrenotizie.org

09 Dicembre 2007
ugualmente
00sabato 16 febbraio 2008 19:33
vergogna...
La tratta delle donne in Kossovo

Amnesty International Questo articolo è stato letto 1455 volte.

Amnesty International chiede all’Unione europea un maggiore impegno per contrastare la tratta delle donne in Kosovo.



Bruxelles/Roma, 06.05.2004. Amnesty International ha diffuso oggi un nuovo rapporto che denuncia la sofferenza delle donne che sono vittime della tratta e vengono costrette a prostituirsi in Kosovo. L’organizzazione per i diritti umani chiede all’Unione europea di aumentare il proprio sostegno finanziario e legale alla lotta per contrastare il fenomeno.

Nel rapporto di Amnesty si sottolinea come il personale della comunità internazionale presente in Kosovo costituisca il 20% di coloro che si servono delle prestazioni delle donne e delle adolescenti vittime della tratta.

Dal 1999, col dispiegamento della forza internazionale di peacekeeping (Kfor) e l’istituzione della missione delle Nazioni Unite per l’amministrazione ad interim del Kosovo (Unmik), il territorio è diventato uno dei principali luoghi di destinazione delle donne e delle adolescenti vittime della tratta e della prostituzione forzata.

Il rapporto precisa che la maggior parte delle vittime provengono, passando spesso attraverso la Serbia, da Moldova, Romania, Bulgaria e Ucraina. Allo stesso tempo, aumenta il numero delle donne e delle adolescenti kosovare vittime della “tratta interna” e poi trasferite all’estero.

“Data l’importanza strategica della presenza dell’Unione europea in Kosovo, con oltre 36.000 soldati in servizio nella Kfor, chiediamo che sia fatto di più, sia sul piano finanziario che su quello legale, per contribuire a combattere una pratica ripugnante che si svolge proprio di fronte alla nostra porta di casa” – ha dichiarato Dick Oosting, direttore dell’ufficio di Amnesty International presso l’Unione europea. “Le donne e le adolescenti vengono trasferite dal Kosovo verso svariati paesi dell’Unione europea, tra cui Italia, Olanda e Gran Bretagna. Occorre agire più efficacemente per prevenire la tratta e proteggere le vittime, i cui diritti vengono spesso lasciati privi di tutela legale”.

Alla luce del rapporto odierno, Amnesty International chiede all’Unione europea e agli Stati membri di adottare le misure necessarie per:

- prevenire il fenomeno della tratta, agendo nell’ambito delle relazioni e degli accordi di partenariato esistenti tra l’Unione europea e i paesi di provenienza delle vittime e aiutando i governi di questi ultimi ad affrontare le cause di fondo del fenomeno;

- sviluppare una legislazione relativa alla tratta, applicando nel frattempo tutti gli strumenti a disposizione per proteggere i diritti delle donne e delle adolescenti vittime della tratta, come previsto dalla “Dichiarazione di Bruxelles” del settembre 2002;

- tutelare le vittime, garantendo che le leggi nazionali e gli apparati amministrativi diano la massima protezione ai diritti delle donne e delle adolescenti vittime della tratta, nel rispetto degli standard legali internazionali e in particolare delle norme sui diritti umani e sui rifugiati.

Ulteriori informazioni

Le donne e le adolescenti vittime della tratta in Kosovo provengono da alcuni dei paesi più poveri dell’Europa (Bulgaria, Moldova, Romania e Ucraina) e hanno un passato tanto di discriminazione nell’accesso ai diritti economici e sociali quanto di violenza tra le mura domestiche o in ulteriori contesti. Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), alla maggior parte delle donne e adolescenti provenienti dalla Moldova è stato promesso un lavoro in Italia. Inoltre, un crescente numero di donne kosovare – per lo più adolescenti – sono vittime di una “tratta interna” alla stesso territorio. In molti casi, esse vengono vendute più volte, a un prezzo che secondo l’Oim oscilla tra i 50 e i 3500 euro.

Le donne e le adolescenti “trafficate” e destinate all’estero vengono trasferite nei paesi dell’Europa Occidentale, tra cui Gran Bretagna, Italia e Olanda.

Nel 2002, al 36% delle donne e adolescenti vittime di tratta in Kosovo è stato negato qualunque tipo di assistenza medica e solo il 10% ha ricevuto cure adeguate. La maggior parte di esse è stata costretta ad avere rapporti sessuali non protetti. Ad oggi, nessuna donna o adolescente vittima di tratta ha ottenuto un risarcimento per i danni fisici, emotivi e psicologici subiti.

Il personale della Missione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo (Unmik) e della Forza militare internazionale in Kosovo a guida Nato (Kfor) gode di un’immunità generale, salvo i casi in cui le inchieste vengano esplicitamente sollecitate dal Segretario generale dell’Onu o, nel caso della Nato, dai rispettivi comandanti nazionali. Inchieste del genere sono state aperte in due occasioni, rispettivamente nel 2002 e nel 2003, e hanno consentito un procedimento nei confronti di altrettanti agenti di polizia.

Nessun soldato della Kfor sospettato di tratta o di essersi servito delle prestazioni di donne e adolescenti vittime di tratta può essere posto sotto inchiesta in Kosovo. Amnesty International non ha neppure informazioni su eventuali procedimenti avviati contro soldati della Kfor nei rispettivi paesi di origine. Secondo l’Unità traffico e prostituzione della Unmik (Tipu), nel periodo compreso tra gennaio 2002 e luglio 2003, da 22 a 27 soldati della Kfor sono stati coinvolti in crimini connessi alla tratta. Sollecitata da Amnesty International, la Tipu non ha saputo specificare se nei confronti di questi soldati siano stati adottati provvedimenti disciplinari.

All’indomani dell’arrivo della comunità internazionale in Kosovo, nel 1999, è stato registrato uno sviluppo senza precedenti della cosiddetta “industria del sesso”, basata su donne e adolescenti vittime di tratta. Si ritiene che nel periodo 1999-2000 il personale internazionale abbia costituito l’80% dei loro clienti. Nel 2002 il dato sarebbe sceso al 30%, ma il personale internazionale ha comunque generato l’80% dei proventi dell’ “industria del sesso”. Ad oggi, si stima che i clienti delle vittime di tratta siano costituiti per il 20% da personale internazionale, la cui presenza in Kosovo non supera il 2% della popolazione locale.

Nel gennaio 2001 la Unmik ha adottato il Regolamento 2001/4 sulla proibizione del traffico di esseri umani in Kosovo, che criminalizza sia i trafficanti che le persone che consapevolmente si servono delle prestazioni delle vittime della tratta. Il Regolamento comprende alcune misure per proteggere i diritti delle donne e delle adolescenti.

Per ulteriori informazioni, approfondimenti ed interviste:

Amnesty International Italia – Ufficio stampa, tel. 06 4490224 - 348 6974361, e-mail: press@amnesty.it

Amnesty International EU Office – Ufficio Stampa: tel: 0032-2-5021499, e-mail: amnesty-eu@aieu.be

ugualmente
00sabato 16 febbraio 2008 19:37
oltrtutto
Kosovo underground
02.01.2008 Da Pristina, scrive Alma Lama

La ricchezza del sottosuolo del Kosovo è stata confermata da uno studio della Commissione Indipendente per le Miniere ed i Minerali (CIMM). Le zone più ricche, i metalli presenti e le metodologie adottate per la rilevazione: intervista con Naser Peci
Forse parlare di “Eldorado” è davvero un'esagerazione, ma le ultime analisi geofisiche, effettuate dall'alto, hanno ribadito la grande ricchezza del sottosuolo in Kosovo. Lo studio, effettuato dalla Commissione Indipendente per le Miniere ed i Minerali (CIMM), rappresenta il tentativo più approfondito fatto finora per creare una mappatura completa delle risorse minerarie della regione. Per realizzarlo, sono state utilizzate le tecniche più moderne del rilevamento aereo, un'operazione completa finora fatta soltanto sul territorio dell'Irlanda del Nord. Osservatorio ne ha parlato con Naser Peci, vicedirettore del CIMM.

Qual è lo scopo della ricerca da voi promossa sulla ricchezza mineraria del Kosovo?

Quella realizzata è una ricerca geofisica aerea. Lo scopo del nostro progetto, era quello di creare una buona base dati complessiva, che possa fare da punto di partenza per ricerche in aree più specifiche, e per dare la possibilità di sfruttare al meglio quelle che sono le risorse minerarie del Kosovo. A quanto ne sappiamo, questo tipo di ricerca globale fino ad oggi è stato realizzato soltanto in Irlanda del Nord, ed è quindi un metodo scientifico di assoluta attualità.

E quali sono i risultati ottenuti?

Innanzitutto vorrei spendere due parole sulle metodologie applicate nella ricerca, che è stata realizzata sul campo da esperti britannici e finlandesi. Sono stati applicati tre metodi ricerca, tra cui quello magnetico, per permette di evidenziare la presenza di metalli radioattivi, come il callio, il torio e l'uranio. Per questo tipo di risorse minerarie, sono state messe in evidenza alcune zone di potenziale sfruttamento economico. Lo studio ha poi riguardato la presenza di cromo, oro, nichel, rame, e la presenza di minerali del piombo e dello zinco.

Come possono essere letti in termini generali questi risultati? Si può dire che il Kosovo è un paese ricco di minerali sfruttabili economicamente?

Senza dubbio questa ricerca ha riconfermato il fatto che il Kosovo sia una regione ricca di minerali. Non dobbiamo però perdere di vista la parola chiave che emerge dall'intero studio, e cioè “potenziale”. Questo vuol dire che sono state evidenziate zone che presentano, appunto, un forte potenziale di sfruttamento, ma nella ricerca non si parla né di siti concreti né di quantità o qualità dei minerali relativi a località particolari. In altre parole, i risultati dello studio ci indicano quelle che sono le zone in cui cercare i metalli in questione, come appunto nichel, piombo, zinco ecc.

Quali sono, più in dettaglio, le zone che risultano essere più promettenti?

Innanzitutto alcune zone legate al bacino minerario di Trepca, che è sicuramente molto ricco. Potrebbe essere ricco anche di oro, ma specifico che esiste la possibilità di trovare veri e propri nuovi filoni. Fino ad oggi l'oro estratto in Kosovo è quello legato a riserve già note, oppure quello estratto durante le lavorazione dei minerali di piombo e zinco. Ci sono poi altre zone di particolare interesse. Molte delle miniere già sfruttate, ad un'analisi più approfondita, hanno mostrato anomalie geofisiche, il che può significare che in queste potenzialmente si nascondono minerali ancora non sfruttati. Altre zone probabilmente ricche di minerali sono il Kosovo centrale, dove si pensa ci siano buone riserve di nichel. Interessante è anche tutta la zona geografica che rappresenta una continuazione ideali del complesso orografico di Mirdita, in Albania, che include appunto parte del Kosovo centrale e le montagne ultrabasiche di Rahovec/Orahovac.

Ci sono altri tipi di metalli di cui la ricerca ha rilevato un potenziale sfruttamento economico?

Buona parte di questi metalli ci erano già noti, come il piombo-zinco, il nichel, appunto, il cromo e il rame. Oltre ai minerali metallici,ci sono poi quelli energetici, di cui fa parte la lignite, di cui siamo particolarmente ricchi o la magnesite. Ripeto però, che il nostro studio non individua con certezza, località, quantità e qualità dei bacini minerari, ma rappresenta un primo passo fondamentale per ricerche più approfondite.

E' vero che non siete riusciti a monitorare le zone di confine con la Serbia e con il Montenegro?

Sì, non è stato possibile effettuare le nostre ricerche aeree in una fascia di cinque chilometri dal confine con questi due stati. La compagnia che ha realizzato lo studio, infatti, non è riuscita ad ottenere i necessari permessi dalle autorità di Podgorica e Belgrado. Questa fascia è considerata una zona di sicurezza, e per questo al suo interno vengono proibite riprese dall'alto. Anche queste zone, però, sono interessanti dal punto di vista mineralogico, visto che rappresentano spesso un proseguimento di zone ad alto potenziale di sfruttamento. Credo, comunque, che la decisione di non permettere le ricerche sia stata presa soprattutto a livello politico.

I risultati del vostro studio ci permettono di affermare che il Kosovo è una regione attraente per investitori stranieri interessati all'attività estrattiva?

Mi sembra evidente che questo studio abbia evidenziato il fatto che il Kosovo ha un interessante potenziale nel settore, senza contare le miniere già conosciute e attive. Questo rende il Kosovo una regione attraente nella ricerca di alcune categorie di metalli. Con la ricerca da noi portata avanti, abbiamo voluto costruire una base dati di conoscenze geologiche con standard internazionali, per avere a disposizione le informazioni necessarie a studi più approfonditi, e per fornire ai potenziali investitori idee guida per quelli che possono essere i minerali più attraenti dal punto di vista dello sfruttamento economico. Sempre con questo obiettivo, abbiamo completato le mappe e geomappe del Kosovo, includendo, oltre alla mappa geologica, quella tettonica, quella mineralogica, quella idrogeologica, e costruendo dal nulla la mappa delle pietre e quella dei materiali da costruzione. Abbiamo poi fatto, in parte del Kosovo, misurazioni geochimiche delle acque fluviali e dell'aria.

Possiamo definire il Kosovo un “nuovo Eldorado”?

Sicuramente si tratta di una definizione esagerata. Più realisticamente, il Kosovo ha risorse minerarie e zone potenzialmente molto interessanti per lo sfruttamento di specifici minerali.
ugualmente
00sabato 16 febbraio 2008 19:38
ci va bene pure a noi
Kosovo e Nord-est
12.02.2008

Edilizia, legno, energia rinnovabile e vino. Gli investimenti per lo sviluppo del Kosovo sono protagonisti della strategia di cooperazione economica del Friuli Venezia Giulia
di Anita Clara


Le significative opportunità di relazioni economiche tra il Friuli Venezia Giulia e il Kosovo, preannunciate da Informest nel 2006 in occasione di uno studio sulle possibilità di cooperazione tra le due regioni, sono diventate realtà. Una positiva conferma ha segnato il 31 gennaio la chiusura a Udine del quarto dei tavoli tecnici dedicati ai Balcani, organizzati dalle Camere di Commercio di Udine, Trieste, Gorizia e Pordenone e sostenuti dalla Regione Friuli Venezia Giulia all’interno del progetto “International desk Italy/South East Europe”, sotto il coordinamento di Eurispes.

Sul tema dell'utilizzo delle risorse naturali del Kosovo (acqua, biomasse e legno) - ma anche nell’ambito dell’agricoltura, delle costruzioni e delle infrastrutture - gli operatori friulani sono intervenuti in questi ultimi due anni con workshops dimostrativi, iniziative di interscambio e investimenti privati in Kosovo, perseguendo la finalità di costruire una rete di rapporti stabili con la regione balcanica, mentre le istituzioni pubbliche stringono legami sempre più all’insegna di una visione europea. «Il rafforzamento della conoscenza delle procedure comunitarie sarà una garanzia in questo percorso» ha affermato l’Assessore Regionale per le Relazioni Internazionali del Friuli Venezia Giulia Franco Iacop, che ha sottolineato «l’interesse reciproco nel continuare con gli scambi di know how industriale e di lavoratori immigrati» tra la regione italiana più orientale ed i Balcani occidentali.

Stando ai dati forniti da Informest, sono già più di 100 le imprese della provincia di Udine che hanno intrapreso o consolidato relazioni commerciali con il Kosovo. Nel 2006 il FVG ha esportato in Kosovo per un totale di 2 milioni di euro, con un incremento del 10% rispetto all’anno precedente. I prodotti principali sono stati: materiali edili, metalli, autoveicoli, alimentari. «Ma nell’interessante attività di interscambio con il Kosovo, possono esserci ulteriori margini di crescita», ha rimarcato il presidente della Camera di Commercio di Udine, Giovanni Da Pozzo.

All’interno delle Giornate dell’Economia, la Camera di Commercio di Udine organizzerà per la prima volta quest’anno, in collaborazione con la Regione FVG, l’Università degli Studi di Udine e le associazioni di categoria, dei “focus strutturati” centrati sui rapporti tra l’economia del Friuli Venezia Giulia e l’economia dei paesi dell’area balcanica e dell’Europa dell’Est. «È giusto che scegliamo di lavorare con questi paesi che rappresentano i mercati più favorevoli per le nostre imprese - ha affermato Giovanni Da Pozzo. Inoltre, il nostro intento sarà propositivo: il nostro approccio ai loro mercati a partire da adesso sarà più ampio e includerà gli aspetti della fiscalità, del costo del lavoro, e delle tecniche operative per inserirsi sul posto come impresa. Inizieremo con il 2008 come anno di prova».

Presente all’incontro di Udine Besim Bequaj, presidente della Camera di Commercio del Kosovo, che ha riconosciuto l’importanza che la presenza delle imprese italiane sul territorio kosovaro riveste nella situazione attuale: «In questo momento, così delicato per noi perché ci stiamo preparando all’annuncio sullo status del Kosovo, stiamo cercando di recuperare il tempo perduto. Stiamo preparandoci per le nuove attività economiche che vedranno il Kosovo coinvolto in collaborazioni con il resto del mondo. Credo che la stabilità economica possa e debba essere uno strumento fondamentale anche per la stabilità politica.

La cooperazione che negli ultimi anni abbiamo avviato con la regione autonoma Friuli Venezia Giulia sarà senz’altro un punto di riferimento da tenere presente anche nei nostri rapporti con altri paesi. Da parte nostra, grazie a queste collaborazioni abbiamo potuto presentare ciò che il Kosovo può offrire: sono sicuro che i rapporti che abbiamo instaurato con le imprese di questa regione possano essere un modello di sviluppo anche per noi. Stiamo infatti cercando di costruire la nostra rete di piccole e medie imprese, e le nostre aziende continueranno a ricevere tutto quel sostegno e guida che le renderanno in grado sia di importare che di esportare».

Negli ultimi mesi, il Kosovo ha ricevuto come ospiti vari esponenti del mondo imprenditoriale friulano, soprattutto nei settori delle energie rinnovabili, della lavorazione del legno e delle risorse idriche, particolarmente abbondanti nella parte occidentale della regione. Di speciale rilievo è stata la visita della Secab, la cooperativa che, sorta in Carnia nel 1911 per sostenere lo sviluppo sociale, in quasi un secolo di attività ha impiantato nella regione montagnosa del Friuli un sistema di produzione e distribuzione dell’energia idroelettrica definito dall’attuale presidente della pioniera azienda friulana, Luigi Cortolezzis, come «idealmente esportabile» in Kosovo, dove le istituzioni sono propense ad accettare l’esempio della partnership tra pubblico e privato.

Nel corso del tavolo tecnico udinese, si è accennato anche ad un altro intervento definito “ad alta integrazione”, che sta prendendo forma nel campo dell’agricoltura: quello del Gruppo vinicolo Fantinel, che a fine 2006 aveva partecipato con successo all’assegnazione di una gara d’appalto per la privatizzazione di una tenuta agricola a Suva Reka, a 60 kilometri da Pristina. Assieme ad altri partner del Nord-est italiano, il gruppo Fantinel ha costituito una società che con un investimento iniziale di 4 milioni e mezzo di euro ha acquisito 1.280 ettari di terreno nella cittadina rurale. L’obiettivo è il recupero dell’area agricola, per la ricostruzione della principale cantina del Kosovo, con una produzione di oltre 100.000 ettolitri di vino all’anno, mediante una tecnologia aggiornatissima (quella che è di corrente uso oggi nelle cantine italiane e internazionali) e «la creazione nel prossimo futuro di 10-15.000 posti di lavoro», secondo le previsioni del presidente del Gruppo Fantinel, Marco Fantinel.

Il progetto è stato presentato ufficialmente nei giorni scorsi alle istituzioni di Pristina, che avevano comunque accompagnato i lavori durante il primo anno. Includerà la realizzazione di un’area industriale, un’area residenziale e un’area commerciale (con la creazione di poli multifunzionali per il tempo libero e il benessere), per una spesa prevista di 8 milioni di euro nel 2008. Si punterà sullo sviluppo dei vigneti esistenti e la diffusione della cultura agroalimentare moderna: l’impresa friulana si muoverà interagendo assieme all’Università di Udine e alla Legacoop Fvg, con l’intento di esportare in Kosovo il concetto di filiera dei vini. La finalità è il miglioramento dello stile di vita della cittadina di Suva Reka e dell’area circostante: la totalità del progetto costerà 35 milioni di euro e conterà sul sostegno della finanziaria regionale Finest SpA che, oltre ad avere una partecipazione del 25% farà anche da collante tra gli imprenditori che parteciperanno e le istituzioni coinvolte in Kosovo.
ugualmente
00sabato 16 febbraio 2008 19:39
e gli tocca pure questo..
Profumo di Kosovo. Oltre l’indipendenza, la crisi ambientale
A cura di AMISnet • 13 Febbraio 2008
La regione separatista delle Serbia tra i numerosi problemi da affrontare ha anche quello dell’inquinamento. Un viaggio tra la luce che non c’è e le fabbriche dismesse dal fascino post-socialista. Di Lorenzo Galeazzi.

Pristina. Se come pensa la maggioranza della popolazione albanese del Kosovo, l’indipendenza sarà la panacea di tutti i mali che affliggono la provincia amministrata dall’ONU, così non si può dire per le politiche ambientali. Con l’indipendenza andrà peggio, l’eventuale guerra con Belgrado sarà combattuta sul controllo delle risorse naturali e già oggi in Kosovo la situazione non è più sostenibile.

La regione è piccola (10mila Km quadrati), ricca di minerali e metalli, densamente popolata (200 abitanti per Km2) e, come molti paesi ex socialisti, paga il prezzo di un passato caratterizzato da uno sviluppo industriale che non ha tenuto conto dell’ambiente e della salute dei propri cittadini. In prossimità dei principali centri urbani infatti sorgono fabbriche, industrie petrolchimiche e centrali elettriche di ogni tipo. Come nella futura capitale Pristina dove a pochi chilometri di distanza, nella municipalità di Obelic, svettano minacciose le ciminiere delle due principali centrali elettriche del paese: Kosovo A (800MW) e B (678 MW).

Il paesaggio è spettrale: oltre alle ciminiere, montagne intere di residui di lavorazione e immensi crateri a cielo aperto da dove si estrae la materia prima. In mezzo e intorno alle due centrali ci sono più di 520mila abitanti.

Bruciano lignite, un carbonfossile relativamente recente, caratterizzato da un’elevata percentuale di umidità il che la rende un combustibile di limitato pregio ma di grande impatto ambientale e paesaggistico. I fumi delle due centrali rendono letteralmente irrespirabile l’aria della città, già congestionata dal traffico e sommersa dai rifiuti.

“Profumo di Kosovo” dicono sarcasticamente gli abitanti di Pristina, un profumo che secondo i parametri fissati dall’Unione Europea è di 40 volte superiore ai limiti consentiti per Kosovo A e di “solo” 4 volte per la più recente Kosovo B. Non è difficile immaginare gli effetti sulla salute della popolazione: malattie respiratorie, cancro, problemi cardiovascolari e abbassamento della vita media. E secondo uno studio recente gli stessi disagi sono stati riscontrati sia nel personale impiegato nelle centrali e nell’indotto, sia nella popolazione che vive nelle aree limitrofe. Ciò vuol dire che si respira la stessa aria in città di quella che si respira in fabbrica.

Nonostante questo stato di cose in Kosovo la luce manca, manca sempre. L’azienda energetica statale KEK ha suddiviso il paese in tre aree, A, B e C, secondo quanta gente paga la bolletta. Si passa dalla categoria A dove nominalmente la luce è garantita 24 ore (in realtà ci sono almeno 3-4 ore quotidiane di black out), fino ad arrivare alla categoria C, in cui si alternano 3 ore di luce e altrettante di buio. Fra i tanti insolventi figurano anche degli insospettabili: secondo una recente inchiesta del quotidiano locale Gazeta Express, non paga l’OSCE, non paga il Grand Hotel Pristina e il contingente russo si è ritirato senza versare nemmeno un euro nelle già malandate casse dell’azienda energetica kosovara. Inutile dire che per le strade di Pristina e di tutto il Kosovo è un proliferare di generatori elettrici e gruppi elettrogeni.

Per combattere l’inquinamento e per migliorare l’approvvigionamento energetico le autorità di Pristina hanno deciso la costruzione di una nuova centrale, sempre a lignite, che dovrebbe sorgere nella stessa area (la più densamente popolata della regione) delle altre due: Kosovo C, 2100 Megawatt di potenza, più del doppio di quanto deliberato dal Parlamento nell’Ottobre 2005. Su questo progetto s’intrecciano degli interessi che, secondo molti esperti indipendenti, andrebbero a favore soprattutto degli investitori stranieri, oltre ad avere un impatto ambientale devastante sul territorio. Lo stesso ex numero due di UNMIK Steven Schook è stato indagato dall’ufficio di sorveglianza delle Nazioni Unite per “comportamento non professionale” nell’affaire Kosovo C.

“Come si fa a combattere l’inquinamento con l’inquinamento?” si chiede Luan Shllaku, presidente della KFOS, costola locale della Soros Foundation, impegnato nella battaglia contro il megaimpianto denunciandone le speculazioni. Secondo gli studi condotti dalla sua organizzazione in Kosovo non ci sarebbero nemmeno le riserve idriche sufficienti per provvedere al raffreddamento della centrale. Il bacino idrico principale del Kosovo è il lago di Gazivoda le cui acque, vicine al minimo biologico, sono quasi totalmente impiegate dalle due centrali, dalle fabbriche Ferronickel e Trepca, nell’irrigazione dei campi e nei consumi domestici.

Gazivoda è poi situato nell’area di Mitrovica, nel Nord della regione, l’unica enclave serba in continuità territoriale con Belgrado, quella che, secondo tutti gli osservatori internazionali, il giorno dopo l’indipendenza di Pristina dichiarerà a sua volta l’indipendenza e la propria annessione con la Serbia. E Belgrado ha già annunciato che chiuderà i rubinetti di Gazivoda una volta annesso il territorio di Mitrovica.

Quando i tanti esperti di Balcani scrivono, forse in maniera poco responsabile, che la prossima guerra in Kosovo si combatterà a Mitrovica, dimenticano di dire che sarà la prima guerra in Europa combattuta per la più importante delle risorse naturali. L’acqua.

Lorenzo Galeazzi. Questo articolo è stato pubblicato il 9 febbraio 2007 dal quotidiano Europa



ugualmente
00sabato 16 febbraio 2008 19:40
dal lato russo....
ESTERI - 11/12/2007, ore 12.36.00

Kosovo: Russia chiede a Onu annullamento di indipendenza
Situazione tesa al Consiglio di sicurezza anche per istanze russe su intimidazioni dei testimoni per il processo di Haradinaj contro i crimini di guerra


Mosca () - Richieste pressanti da parte della Russia all’Onu sull’indipendenza del Kosovo. “La Russia chiederà una riunione del Consiglio di sicurezza per annullare ogni dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo”, ha dichiarato oggi il rappresentante russo nell’ambito della troika (Usa, Ue e Russia) incaricata per i negoziati del Kosovo, Alexandre Botsan Khartshenko. “La nostra richiesta che avanzeremo per una riunione del Consiglio di sicurezza, è tesa nella misura in cui la risoluzione del Consiglio n. 1244 sul Kosovo è violata”, ha aggiunto il negoziatore russo. Mosca, alleata tradizionale della Serbia, si oppone all’indipendenza del Kosovo e raccomanda la prosecuzione dei negoziati tra Pristina e Belgrado. Intanto al Consiglio di sicurezza, l’ambasciatore russo all’Onu, Ilia Rogatchev, nel corso di una riunione, ha chiesto di mettere un termine all’intimidazione dei testimoni destinati a depositare al processo impegnato dal tribunale internazionale per l’ex Iugoslavia (Tpiy) contro un ex leader di guerra kosovaro. “I testimoni sono vittime di intimidazioni esercitate con il beneplacito della missione Onu nel Kosovo nel quadro del processo intentato dal Tpiy contro l’ex premier kosovaro, Ramush Haradinaj, uno dei capi dell'esercito di liberazione del Kosovo (Uck), accusato di crimini di guerra. Invitiamo nuovamente il Consiglio a considerare con la più grande serietà la nostra proposta e a rimediare a questa situazione scandalosa”, ha dichiarato l’ambasciatore. “Ancora una volta – ha proseguito – la responsabilità è rivolta al Consiglio di sicurezza affinché la missione dell’Onu aiuti a proteggere i testimoni. Nonostante sappiamo bene che il signor Haradinaj beneficia dell’amicizia del Minuk”, organismo incaricato a proteggere i testimoni del processo.
Ieri il Tpiy aveva consegnato una nuova relazione con la quale citava che alcuni testimoni che si trovano nel Kosovo hanno rifiutato di depositare contro Haradinaj per timore di rappresaglie o dopo essere stati intimiditi.
Haradinaj, ex capo dei separatisti è accusato di crimini di guerra contro la popolazione serba tra il 1 marzo ed il 30 settembre 1998.
ugualmente
00sabato 16 febbraio 2008 19:41
l´eredita...
Kosovo, l’Onu abbandona e l’UE diventa protagonista

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Giovanni Punzo, 30 luglio 2007

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Dopo il progressivo innalzamento della tensione a partire dai primi di luglio, dalla data cioè del fallimento dell’accordo bilaterale Bush-Putin al vertice svoltosi negli Usa a Kennebunkeport e dopo le dichiarazioni del premier kosovaro Agim Ceku sulla possibile proclamazione dell’indipendenza il 28 novembre di quest’anno (anniversario tra l’altro dell’indipendenza albanese), le ultime notizie sugli sviluppi più recenti della questione del futuro status del Kosovo sembrano ora presentare un quadro caratterizzato da minore tensione, ma sempre e comunque da notevole incertezza, soprattutto sullo svolgimento del processo di distacco e sulle modalità finali concrete del possibile accordo. Ciò non significa affatto però che la situazione interna nella ex provincia jugoslava sia per questo diventata in generale più stabile: in particolare a tale proposito sono da ricordare le pubbliche dichiarazioni sulla indipendenza rilasciate con frequenza sempre maggiore da parte di ex appartenenti all’Uck o di aderenti al movimento di autodeterminazione guidato da Albin Kurti.
La recente dichiarazione di Ceku sulla proclamazione dell’indipendenza aveva infatti portato la tensione al suo punto massimo, mentre il pericolo che la gestione di una ennesima crisi balcanica sfuggisse ancora una volta di mano ai negoziatori occidentali si profilava nettamente all’orizzonte (v. Come applicare il brinkmanship alla polveriera Kosovo). La notizia dell’intervento diplomatico Usa, volto a far riflettere i leader kosovari sulla gravità di tale scelta in questo momento, ha sortito ora un doppio effetto; i kosovari hanno accettato la proposta moderatrice avanzata dagli Usa e dall’Ue, ma – al tempo stesso – anche il voto del parlamento serbo del 25 luglio, che a stragrande maggioranza si è dichiarato contrario a qualsiasi forma di indipendenza della ex provincia, è stato in un certo senso ‘disinnescato’ e ha assunto in tal modo un significato meno minaccioso e foriero di possibili conseguenze, quanto piuttosto un valore di dichiarazione di principio contrapposta.

Per chiarire tutta la situazione diventa opportuno riassumere brevemente alcuni fatti di questa settimana. A conclusione del vertice tra i ministri degli esteri dei 27 svoltosi a Bruxelles il 23 luglio scorso sono state rilasciate varie dichiarazioni. Tra queste molto significativa sul piano della chiarezza anche quella del ministro degli Esteri italiano: “Spetta proprio all’Ue sostenere il peso finanziario di una operazione internazionale che è stata stimata in tre miliardi di euro l’anno”, aggiungendo che senza questo apporto “il Kosovo non va da nessuna parte” e ribadendo parere contrario alla scelta spregiudicata della proclamazione dell’indipendenza unilaterale (fonte Ansa). L’eventuale riconoscimento che ne deriverebbe solo da parte di alcuni paesi sarebbe troppo fragile politicamente, oltre che non perfettamente corretto dal punto di vista giuridico. In effetti, sempre all’interno di una prospettiva giuridica – benché si sia portati spesso erroneamente a ritenere il contrario – tra ‘autodeterminazione’ e ‘secessione’ tout court esiste una differenza. La comunità internazionale tende infatti ad accettare normalmente la prima, ma non sempre la seconda, soprattutto per le conseguenze che produce nei successivi rapporti tra gli stati.

Sulla valutazione della questione Kosovo da parte dell’Unione Europea resta evidentemente ancora valido quanto fu stabilito dalla Commissione Badinter all’epoca della dissoluzione jugoslava nel 1992: non si parlò all’epoca di ‘secessione’ delle repubbliche in quanto lo stato stesso era già considerato in dissoluzione. Questo semplice concetto è stato la chiave dei successivi riconoscimenti europei dei nuovi stati (ad eccezione però di Slovenia e Croazia che proclamarono la propria indipendenza prima del certificato di morte ufficiale della Jugoslavia), ma fu anche l’origine delle ambiguità successive, quando la Serbia – grazie al riconoscimento del carattere internazionale dei conflitti con le altre repubbliche – potè dichiararsi ad esempio del tutto estranea al comportamento della Republika Srpska di Bosnia con le note conseguenze giunte fino alla controversa sentenza per la responsabilità di Srebrenica. L’altro aspetto importante del lavoro della Commissione toccava anche la questione dei confini riconoscendo, sulla base del principio dell’uti possidetis, solo i confini amministrativi già esistenti prima della dissoluzione e consolidando in tal modo una prassi che si era già affermata ai tempi della decolonizzazione. Lo spazio per l’autodeterminazione del Kosovo attraverso una proclamazione unilaterale dell’indipendenza sarebbe a questo punto molto ridotto o quasi inesistente.

In tutta la vicenda il ruolo delle Nazioni Unite sembra essersi ormai esaurito per sfinimento e, nonostante gli sforzi comunque positivi effettuati dal mediatore Ahtisaari (encomiabili data l’estrema difficoltà del caso), resta tuttavia da rilevare il sostanziale insuccesso dell’organizzazione internazionale, un fatto che probabilmente va ricercato anche nella modalità della gestione del Kosovo condotta da Unmik dal 1999 ad oggi. Nonostante le critiche mosse al piano Ahtisaari – che indubbiamente presenta come limite principale una notevole fragilità strutturale, almeno per quanto riguarda la organizzazione che prevede, o, secondo alcuni, il fatto di sconfinare quasi nell’utopia – il piano però resta anche in questa fase un punto di riferimento e di partenza che si basa su punti irrinunciabili quali la non piena espressione della sovranità per un periodo iniziale e le garanzie rivolte alle minoranze etniche. Questo infatti è stato anche il pensiero espresso da Olli Rehn a margine dell’incontro europeo del 23 luglio.

Non si tratta della sede per esprimere un giudizio sul ruolo svolto sin qui dalle Nazioni Unite, tuttavia, nella vicenda del Kosovo – considerato l’ultimo anello della dissoluzione jugoslava e un lembo di terra da stabilizzare comunque a tutti i costi – sembra confermarsi l’immagine di indecisione continua e lentezza burocratica dell’organizzazione internazionale che si era manifestata già nel decennio balcanico. Al contrario, se il ruolo europeo all’inizio della crisi degli anni Novanta fu tutt’altro che forte e monolitico (anche in relazione alla fase politica interna di consolidamento che stava attraversando l’Europa), l’Unione sembra ora più determinata in senso unitario dopo aver appreso le lesson learned del decennio balcanico, o almeno tale sembra voler apparire.

Il rappresentante europeo nella troika Ue-Usa-Russia che condurrà i negoziati sul futuro status del Kosovo all'interno del Gruppo di contatto, sarà nominato all'inizio di questa settimana, almeno secondo quanto riportato da fonti europee. Si tratterà di un rappresentante unico che parlerà a nome dei 27 paesi della Ue e molto probabilmente la scelta sarà effettuata tra i quattro Paesi europei che fanno parte del Gruppo di contatto (Francia, Germania, Gran Bretagna, e Italia), che oltretutto sono anche i Paesi tuttora maggiormente impegnati con uomini e risorse in Kosovo dal 1999. Voci dalla Germania (fonte Der Spiegel) parlano già del tedesco Wolfgang Ischinger. Javier Solana, in stretta consultazione con la presidenza di turno portoghese e i paesi interessati, comunicherà il nome del designato. Nel frattempo si è già tenuta a Vienna (27 luglio) la prima riunione del Gruppo di contatto per mettere a punto lo schema dei nuovi negoziati che saranno condotti tra Pristina e Belgrado. All’interno del Gruppo, che dovrebbe trovare una soluzione in 120 giorni, almeno non esiste il diritto di veto. Putin comunque, con straordinario tempismo, subito dopo la riunione ha tuttavia ribadito nuovamente da Mosca la contrarietà russa a qualsiasi indipendenza ritenuta destabilizzante e pericoloso precedente in altre situazioni.

Il prossimo mese di novembre, non solo per la prevista possibile indipendenza – sia pure condizionata – a conclusione di questa ultima tornata di trattative, sarà quindi molto importante per il Kosovo anche perché si terranno le elezioni rinviate in precedenza. Il giudizio sulla opportunità di tale scelta non è unanime e si teme una sovrapposizione di interessi diversi presso l’opinion pubblica kosovara. Vari settori della società kosovara sembrano ora attenderle però con maggiore impazienza e interesse della stessa indipendenza per esprimere il loro giudizio sulla leadership in carica mentre l’attuale classe politica kosovara, per assicurarsi un successo che al momento non sembra affatto certo, potrebbe schiacciare l’acceleratore dell’indipendenza in funzione proprio di un consenso elettorale ora vacillante.
ugualmente
00sabato 16 febbraio 2008 19:42
perche "bonificare" la zona....
31 gennaio 2008 - 22.00
Kosovo: i vantaggi dell'indipendenza

Didascalia: Scena di vita quotidiana a Prizren, una delle più affascinanti città del Kosovo. Cosa cambierebbe dopo un'eventuale indipendenza? (vario-press)

Altri sviluppiUn nuovo volto per il Kosovo
Un diplomatico tenace per la missione OSCE in Kosovo
Dopo le elezioni in Serbia, vi è la concreta possibilità che il Kosovo ottenga la propria indipendenza. Ciò potrebbe avere ripercussioni anche per la Svizzera, dove vivono numerosi kosovari.
Il dipartimento svizzero degli affari esteri ritiene comunque poco probabile che questo scenario possa realmente causare gravi tumulti nella regione e flussi migratori.


Nel 2005, la ministra svizzera degli esteri Micheline Calmy-Rey aveva suscitato accese discussioni in patria e all'estero, quando – nel quadro di una visita a Belgrado e Pristina – aveva caldeggiato una rapida soluzione della questione relativa allo statuto del Kosovo, auspicandone l'indipendenza.



Oggi, la Svizzera riconoscerebbe il Kosovo come Stato sovrano? In merito a questa domanda, il portavoce del Dipartimento federale degli affari esteri (Dfae) Lars Knuchel preferisce non prendere posizione: «Il governo discuterà la questione al momento opportuno».


«Condizione fondamentale»

Knuchel sottolinea comunque che la Svizzera sostiene la necessità di chiarire lo statuto della provincia: «Si tratta di condizione fondamentale per la stabilità e la sicurezza nella regione, e ciò vale per tutti le popolazioni».



Inoltre, aggiunge Knuchel, «una collaborazione a livello di polizia o l'assistenza giuridica sarebbero più efficaci se il Kosovo fosse uno Stato indipendente e autonomo».



A suo parere, comunque, l'aumento del livello di stabilità e sicurezza nell'attuale provincia serba gioverebbe a tutti gli Stati vicini.


Dispositivo di sicurezza

«Sulla base delle analisi in nostro possesso, il verificarsi di situazioni come quelle degli anni Novanta appare poco verosimile», afferma Lars Knuchel.



In primo luogo, la Serbia stessa ha assicurato che non intende fare ricorso alla violenza. Secondariamente, i contingenti di truppe internazionali presenti sul territorio sono pronti a reagire in maniera rapida ed efficace a eventuali provocazioni provenienti dai due schieramenti.


Ritorno in massa improbabile

Se il Kosovo diventasse indipendente, afferma il portavoce, anche la collaborazione con la Svizzera per quanto concerne le questioni migratorie risulterebbe migliore.



Secondo Knuchel, un rientro in massa di kosovari verso il territorio d'origine appare comunque poco verosimile. Nella Confederazione vivono effettivamente molti cittadini kosovari, ma il numero di quanti devono ancora chiarire la propria posizione o sono in attesa di rimpatrio è esiguo. La maggior parte dei kosovari, afferma Knuchel, è infatti integrata da anni in Svizzera.


«Afflusso maggiore in caso di scontri»

«Per la Svizzera, il Kosovo indipendente costituirebbe un elemento indubbiamente positivo», spiega Cyrill Stieger, esperto di questioni relative all'Europa orientale presso il quotidiano «Neuen Zürcher Zeitung». Infatti, afferma, «in caso di nuove tensioni vi sarebbe nuovamente un flusso di persone in fuga verso la Confederazione».



Secondo Stieger, disordini analoghi a quelli avvenuti nel 2004 potrebbero verificarsi se l'indipendenza della provincia fosse rinviata, aumentando così nuovamente la frustrazione dei residenti.


La povertà resta un problema

In ogni caso, puntualizza Stieger, l'indipendenza non costituirebbe la panacea: il Kosovo non diventerebbe automaticamente una fiorente democrazia. Per questo motivo, la zona dovrebbe continuare a essere sorvegliata dalle forze internazionali, perlomeno fintanto che la situazione economica resta problematica.



«Il Kosovo possiede delle risorse naturali», spiega Cyrill Stieger, «ma non esistono più le vecchie aziende minerarie». Nella regione vi sono infatti troppo pochi posti di lavoro, e le prospettive per i giovani sono assai modeste.



In conclusione, commenta il giornalista, attualmente il Kosovo non è certo un paradiso per gli investitori. Ma senza l'indipendenza, potrebbe non diventarlo mai.



swissinfo, Alexander Künzle

ugualmente
00sabato 16 febbraio 2008 19:43
pero....
Economia kosovara, e se l'UNMIK se ne va?
02.08.2006 Da Pristina, scrive Saša Stefanović

Per la sua sola esistenza l'amministrazione internazionale del Kosovo, UNMIK, ha speso in questi 7 anni 2.6 miliardi di euro. Ora si pensa ad un suo ridimensionamento. Ma quanto influirà sull'ancor fragile economia del Kosovo?
A volte il Kosovo assomiglia ad un grosso buco nero, che digerisce e fa sparire i soldi che ci vengono buttati dentro. Questo “buco” progredisce relativamente poco rispetto a tutte le risorse che vi sono state investite.

In superfice il Kosovo di oggi sembra molto meglio di quello che 7 anni fa usciva dai bombardamenti NATO e da una guerra che ebbe come risultato migliaia di case saccheggiate e distrutte, infrastrutture devastate. Non solo strade e ponti ma anche uffici postali ed edifici pubblici.

Ora l'UNMIK, amministrazione internazionale a guida ONU di stanza in Kosovo, ha voluto ricordare al Kosovo ed ai kosovari quanti soldi, direttamente o indirettamente, sono stati investiti nella Provincia.

Secondo uno studio pubblicato di recente dalla sua creazione l'UNMIK ha speso 2.6 miliardi di euro per il proprio personale, per beni e per servizi. Di questo totale tra i 75 milioni e i 120 sono finiti ogni anno direttamente nel circuito economico kosovaro.

Negli ultimi anni inoltre negli uffici UNMIK lavoravano circa 3250 kosovari e altri 2600 posti di lavoro sono stati garantiti dall'indotto della presenza UNMIK: per la fornitura di beni e servizi.

Lo staff locale di UNMIK in media in questi anni è stato pagato quasi 6 volte di più del salario di un impiegato nella pubblica amministrazione kosovara. Iniezioni di risorse in un'economia fragile che forse non hanno contribuito allo sviluppo ma in questi anni hanno sicuramente funto da “antidolorifici”.

Certamente l'impatto della presenza internazionale e dell'UNMIK in particolare sull'economia locale kosovara è stata rilevante. Soldi sono stati spesi negli affitti, nei ristoranti, nei negozi, per servizi, nei bar ... Secondo lo studio “L'impatto dell'UNMIK sull'economia del Kosovo: gli effetti della spesa tra il 1999 ed il 2006 e le potenziali conseguenze di una riduzione della sua presenza”, promosso dalla stessa amministrazione ONU, si potrebbe quantificare questa spesa in ulteriori 20-45 milioni di euro iniettati annualmente nell'economia del Kosovo.

Le cifre riportate nel rapporto non sono certo sovrastimate. In più occorre considerare che l'UNMIK non è stata in questi ultimi 7 anni la sola presenza internazionale in Kosovo. Tutt'altro. Erano e sono in parte tutt'ora presenti numerose altre organizzazioni internazionali, NGO, associazioni, per non parlare del contingente militare internazionale KFOR.

Vi sono poi altre risorse che provengono dall'estero. Sono le rimesse della diaspora albanese, risorse grazie alle quali molte famiglie sono state in grado di ricostruire le proprie case distrutte o aprire piccole attività economiche. Non di rado poi si scorgono case lussuose, hotel privati con piscine, mastodontici distributori di benzina, campi da tennis .... a soli 7 anni dalla guerra risorse ve ne sono.

Ma non occorre stupirsi nemmeno se si nota che vi sono grandi differenze economiche in seno alla società kosovara. Vi sono persone molto ricche e nuclei famigliari che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese e non di rado si scorgono mendicanti per strada o a fare i giro dei ristoranti frequentati da internazionali e dai colleghi locali per raccogliere qualche spicciolo.

Questi ultimi 7 anni hanno portato forte inequità nella suddivisione della ricchezza. Prima del 1999 non era così, anche nel periodo in cui la comunità albanese del Kosovo era fortemente discriminata e molti kosovari albanesi erano senza lavoro.

Ma perché allora questa sensazione di buco nero? Perché l'impressione che notevoli risorse sono state investite senza però che l'economia kosovara abbia fatto grandi passi avanti?

La massiccia presenza internazionale ha causato un radicale inalzamento dei prezzi degli affitti, nei ristoranti, nei negozi. Nei primi anni del 1999, caratterizzati da una densissima presenza internazionale, si assisteva al paradosso che affittare un appartamento a Pristina non costava molto di meno (se non di più) che affittarlo a Parigi o New York. Le risorse iniettate in Kosovo sono servite per creare un'infrastruttura di servizi a “dimensione” degli internazionali piuttosto che per rilanciare in modo sostenibile l'economia della Provincia. La ruota ha iniziato a girare vorticosamente e non è facile fermarla.

Ora, nella speranza che venga al più presto definito lo status del Kosovo, l'UNMIK sta iniziando a pensare ad un ridimensionamento della propria struttura sul campo. Meno personale internazionale, meno personale locale ... meno ristoranti, meno bar, affitti più bassi ...

Che conseguenze vi saranno sull'economia del Kosovo? E' proprio questo che ci si chiede nello studio sopra citato.

Vengono individuati alcuni scenari alternativi per questa nuova fase che sta per aprirsi. Quello più ottimista prevede che rimanga solo 1/3 dell'attuale staff ONU e questo influirà, secondo gli economisti che hanno realizzato lo studio, del 3% sulla crescita annuale dell'economia del Kosovo. Ma questo è lo scenario appunto più ottimista. In realtà si teme che le conseguenze possano essere ben più gravi.

Oltre a questo il governo del Kosovo è stato recentemente invitato dal Fondo Monetario Internazionale a diminuire nel 2007 del 5% i dipendenti statali e poi fare lo stesso nel 2008. Attualmente nell'amministrazione pubblica kosovara sono impiegate circa 70.000 persone. Questo implica altre 7.000 persone senza lavoro. In un paese dove il tasso di disoccupazione ufficiale era nel 2003 del 57% (seppur occorra considerare che l'economia informale sia molto diffusa) e poco meno nel 2005, le prospettive sembrano drammatiche.


ugualmente
00sabato 16 febbraio 2008 19:44
pero ce anche questo...
LO ZIO SAM E IL KOSOVO 2/11/06
L'americanizzazione commerciale e culturale del Kosovo dopo il '99 è sotto gli occhi di tutti. Ma in tempi cruciali per la decisione sullo status finale della piccola provincia serba, Washington mira a un bottino molto più grosso: il controllo delle risorse energetiche che passano per i Balcani. Via Bondsteel


Lucia Sgueglia

Giovedi' 2 Novembre 2006

Che il destino del Kosovo non si decida a Belgrado né a Pristina, è ormai cosa risaputa. Un po' meno note sono le relazioni interne al Gruppo di Contatto (composto da Usa, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia e Russia), che ha il compito di portare al tavolo dei negoziati Serbia e Pristina nei 'colloqui di Vienna', rivelatisi finora un fallimento. Belgrado continua ad appellarsi alla risoluzione Onu 1244, che mise fine alla guerra del 1999 e definisce il Kosovo come parte della Serbia. A Pristina, dove sotto la tutela Onu (con la missione UNmiK)sono state create in questi anni strutture parallele di governo locale, si guarda all'indipendenza come unica soluzione accettabile.
L'impasse quest'anno sembrava giunta a un giro di volta: per dicembre è atteso il rapporto del mediatore speciale Onu, il finlandese Martti Ahtisaari, sulla questione. Ma indiscrezioni trapelate in questi giorni sul documento hanno rivelato le difficoltà internazionali in merito al Kosovo. L'indipendenza in tempi brevi, data per scontata ultimamente nelle sfere diplomatiche, nel rapporto non sarebbe menzionata: il piano ipotizza per la piccola provincia ancora formalmente serba (ma de facto autonoma) una sovranità limitata per 12-18 mesi, cui seguirebbero elezioni politiche e una nuova costituzione. Scompiglio a Pristina, ma non solo. Scontenta è Belgrado, che ha appena voluto ribadire la propria sovranità sulla regione con il referendum costituzionale. Scompiglio anche a Mosca: la Russia è il principale avversario dell'alienazione del Kosovo dalla “sorella” Serbia (che costituirebbe un precedente per le regioni separatiste filorusse in Moldavia e Georgia), e nel Consiglio di Sicurezza Onu, cui spetta l'ultima parola sullo status, potrebbe porre il proprio veto (insieme alla Cina) congelando ad libitum la decisione.
La posizione del mediatore Onu, del resto, rispecchia quella dell'Europa, in particolare Francia e Germania, favorevoli a una soluzione più morbida e graduale, che sfocerebbe comunque in una forma d'indipendenza per Pristina, non più in discussione a ovest dei Balcani. Nel cammino che porta lontano da Belgrado sarebbe la Ue ad assumere un ruolo centrale, sostituendo l'Onu in modo simile a quanto avviene in Bosnia. Bruxelles si gioca moltissimo in questo processo: nei Balcani l'Europa non può permettersi più errori.
Ma a spingere per una soluzione radicale c'è Washington, da sempre per un'indipendenza rapida e senza condizioni. Di recente l'inviato statunitense in Kosovo Wiesner ha dichiarato che gli Usa mirano a una determinazione dello status finale addirittura entro il 2006. Una fretta che ha robuste motivazioni. Se sarà l'Europa a doversi accollarsi la transizione della piccola regione verso il suo status finale, infatti, gli affari (e la cultura) in Kosovo dal '99 parlano americano. Passeggiando per Pristina l'effige del 'liberatore' Bill Clinton troneggia nel Boulevard a lui dedicato, mentre ogni anno la provincia a maggioranza albanese e musulmana commemora con commozione l'11 settembre, e il 4 luglio festeggia l'Independence Day come auspicio per il futuro. I negozi del centro sfoggiano bandiere a stelle a strisce e ostentano insegne come Kosova Fried Chicken, Uncle Sam Fast Food. Sunny Hill è la collina dove ha sede “Film City, quartiere generale Nato-Kfor. Al di là della sudditanza politica, un sintomo della dipendenza totale dell'economia locale dalla presenza internazionale (11mila persone).
Per capire meglio bisogna guardare a sud est della capitale, nei pressi di Urosevac/Ferizaj. Dove dissimulata tra lievi colline sorge Camp Bondsteel, la più grande base Usa dai tempi del Vietnam. Una cittadina in miniatura, ipertecnologica e con tutti i comfort della vita made in usa, tra cui un Burger king e un ospedale da manuale. Eretta in tempo record nel 1999 (a bombardamenti non ancora terminati) senza alcuna autorizzazione internazionale, si dice abbia licenza di restare in loco per 99 anni. Ufficialmente dipende dal comando generale della K-for, ma obbedisce direttamente al Governo americano. Passando di qui fuggirono all'estero membri dell'Uck macchiatisi di crimini. Durante la guerra in Iraq era base per i Black Hawk, e a giugno è finita nell'occhio del ciclone per la partecipazione al sistema delle extraordinary renditions. Ma oltre a fare da testa di ponte per il Medioriente, Bondsteel si trova anche su una altra rotta: quella dell'energia. Da qui dovrebbe passare la Transbalkan Oil Pipeline, oleodotto sponsorizzato dagli Usa destinato a portare il petrolio dell'Asia in Europa, bypassando Mosca (e Berlino). Il condotto nei Balcani tocca prima Burgas in Bulgaria (dove sta per sorgere una base Usa), poi attraversa la Macedonia (il cui confine col Kosovo passa a poche miglia da Bondsteel), fino a sfociare sulle coste albanesi, nel porto adriatico di Vlore.
Ma oggi a Bondsteel vivono solo 1700 soldati. Accanto a loro però ci sono 1200 lavoratori di aziende private che assicurano i servizi essenziali, logistica e rifornimenti, ma anche la sicurezza. Il loro datore di lavoro si chiama Brown & Root e dipende da Halliburton, un nome noto. La stessa costruzione di Bondsteel è opera di B&R, che nel 1999 ottenne (senza gara) l'appalto per la fornitura di servizi al campo. Un affare da 2, 5 miliardi di dollari. Oggi la compagnia impiega migliaia di civili (albanesi), ed è il maggiore datore di lavoro in Kosovo.

ugualmente
00sabato 16 febbraio 2008 19:49
sara vero?....
QUELLO CHE NON VI HANNO MAI DETTO SULLA GUERRA DEL KOSOVO...


Le 15 bugie di Jamie Shea e della NATO


Il portavoce della NATO, Jamie Shea, tiene conferenze un po' dappertutto per entare di giustificare i bombardamenti sulla Yugoslavia. Michel Collon, autore di Monopoly - La NATO alla conquista del mondo, smaschera le 15 menzogne maediatiche della NATO e sfida Jamie Shea ad accettare un confronto pubblico.


Prima della guerra:


"Il fine della NATO: riportare la pace in Kossovo"


Falso! Da più di un anno, i servizi segreti tedeschi del Bnd armano i separatisti albanesi, secondo quanto rivelato dalla televisione tedesca ARD. La Cia ha fatto similmente. Così, lo stesso Uck che l'inviato speciale degli USA, Robert Gelbard, qualificò pubblicamente come "terrorista" alla fine del febbraio 1998, è stato segretamente incoraggiato ad assassinare poliziotti e civili serbi fedeli alla Yugoslavia.


"I Serbi intransigenti hanno rifiutato le nostre proposte di pace."


Falso! Alla "negoziazione" di Rambouillet (inizio 99), la NATO ha voluto imporre l'occupazione militare di tutta la Yugoslavia e la colonizzazione del Kossovo da parte delle multinazionali. Essa ha anche impedito Serbi ed Albanesi di confrontarsi. Il fine di queste provocazioni? Dare l'inizio alla guerra al fine di installare le proprie basi nei Balcani.


"La colpa è di Milosevic. Noi vogliamo liberare gli Yugoslavi."


Falso! Numerosi Yugoslavi criticano Milosevic. Ma questo popolo è unanime nel rifiutare la separazione della Yugoslavia ed una occupazione da parte della NATO. Ecco perché l'opposizione finanziata con milioni di dollari da parte degli Stati Uniti non serve a niente. Né lo chantage di un embargo crudele, che blocca medicine, mazout et viveri.


"La polizia yugoslava ha massacrato dei civili a Racak nel gennaio 1999."


Falso! Erano le vittime di uno scontro tra due eserciti. Questa manipolazione è stata orchestrata da un agente americano, William Walker, che fu complice degli squadroni della morte del Salvador e del Nicaragua (anni '80). Ogni guerra comincia con una grande menzogna mediatica: delle immagini truccate per manipolare l'opinione.


"I Serbi praticano la pulizia etnica."


Falso! Crimini sono stati commessi da ENTRAMBI i campi (cfr. rapporti dell'OSCE), ma non si può parlare di ipulizia etnica sistematica. Ancora quindici giorni prima della guerra, un rapporto ufficiale del ministero tedesco degli Affari Esteri (diretto dal verde Joshka Fisher) dichiara: "Non ci sono persecuzioni etniche contro gli Albanesi come gruppo. Solamente degli scontri tra i due eserciti."


Durante la guerra


"I nostri bombardamenti risparmiano i civili."


Falso! Il capo di stato maggiore belga Herteleer l'ha riconosciuto:"Facciamo del male alla stessa popolazione serba. Ifliggiamo loro delle> perdite." (Standaard, 17.4.99). Risultato: 2.000 civili uccisi, 5.000 feriti, una generazione di bambini traumatizzati, 147 ospedali colpiti, economia distrutta. Il fine: mettere in ginocchio lo stesso popolo. Ed eliminare tutto favorisce l'invasione delle multinazionali.


Portiamo avanti una guerra "propria"."


Falso! La NATO ha impiegato delle armi proibite dalla Convenzione di Ginevra: 1. Bombe a frammentazione lanciate in particolare sul mercato e sull'ospedale di Nis, uccidendo o mutilando numerosi civili. 2. Bombe alla grafite per paralizzare le condutture elettriche (e quindi gli ospedali). 3. Armi a uranio impoverito provocanti cancri e mutazioni genetiche, ivi comprese quelle dei soldati USA.


"E' stato per errore che la NATO ha bombardato un convoglio di rifugiati albanesi (73 morti)."


Falso! Voi avete all'inizio preteso che erano stati bombardati dai Serbi. Poi che i vostri piloti l'avevano scambiato per un convoglio militare. Ora, questi piloti sono ritornati a bombardarlo per otto volte! In realtà, questi rifugiati rientravano in Kossovo, ma vo volevate svuotarlo e "provare" che sarebbe stato impossibile per gli Albanesi di viverci.


"E' per errore che la NATO ha bombardato un treno che arrivava su di un ponte."


Falso! Per tentare di dimostrare che il pilota aveva visto troppo tardi questo treno che arrivava molto velocemente, avete truccato i video registrati dai vostri aerei, facendoli passare tre volte più veloce; il treno, però, sarebbe dovuto andare a 300 km/h. In realtà, anche qui, il pilota è ritornato a bombardare di nuovo una carrozza. La NATO non rispetta i civili.


"E' per errore che la NATO ha bombaradto l'Ambasciata cinese."


Falso! Voi avete all'inizio raccontato che i servizi USA non avevano una mappa recente di Belgrado indicante il nuovo sito di questa Ambasciata. Prendete la gente per imbecilli? In realtà, questo bombardiere, venuto apposta dagli USA, ha lanciato un avvertimento per la Cina, che si dimostrava solidale con la Yugoslavia.


Dopo la guerra


"Abbiamo scoperto dei charniers provanti il genocidio."


Falso! Dopo lunghe ricerche, avete esumato 2108 corpi. Di tutte le nazionalità. Molti sono stati vittime dei vostri bombardamenti, altri dell'Uck. Il capo dei legali spagnoli è ripartito velocemente con la sua squadra, dicendo che erano stati manipolati. Il genocidio ("100000 uomini uccisi", dicevate) è stata un'invenzione dei vostri servizi di propaganda.


"La NATO è qui per proteggere la popolazione albanese."


Falso! Gli Stati Uniti hanno installato nel Kossovo una gigantesca base militare permanente, chiamata Campo Bondsteel. Questo era il loro scopo sin dal principio. Al fine di avvicinarsi al Caucaso ed al suo petrolio, che essi vogliono controllare. Strategia a lungo termine: accerchiare ed indebolire la Russia. Ecco perché Washington arma in segreto le milizie islamiche cecene.


"La NATO persegue delle finalità umanitarie."


Falso! Le potenze occidentali hanno ripartito le zone d'occupazione secondo le ricchezze interessanti le loro rispettive multinazionali. Gli USA hanno preso le miniere strategiche di Novo Brdo e l'industria di batterie di Gnjilane, British Power l'elettricità, i Francesi hanno ricevuto le miniere di Trepca come prezzo della loro obbedienza, i Tedeschi i vigneti e l'industria di pneumatici…


"La NATO interviene per formare un Kossovo multietnico."


Falso! L'Uck e voi avete "purificato" il Kossovo. 350.000 Serbi, Zigani, Musulmani, Turchi ed altre minoranze perseguite hanno dovuto fuggire. Non avete ritrovato nessuna delle 700 persone rapite dall'Uck. Ed i vostri 50.000 soldati "non possono proteggere", dite voi, gli ultimi Serbi - quattrocento - sepolti per mesi nei loro appartamenti a Pristina?


"Tentiamo con imparzialità di calmare le passioni."


Falso! La NATO stessa ha licenziato ventimila lavoratori serbi. Bernard Kouchner, amministratore civile, ha preso (?) un arrestato che legittima dopo 24 ore le occupazioni illegali di case ed appartamenti da cui i Serbi sono stati cacciati. Infine, disarmando i soli Serbi, voi li lasciate alla violenza sistematica organizzata dall'Uck, che uccide un Serbo al giorno
ugualmente
00sabato 16 febbraio 2008 19:49
sta di fatto...
che la questione kosovo si fara presto "risentire"....
viadelcosmo
00lunedì 18 febbraio 2008 15:29
Brutta storia tra poveri.
berro92
00lunedì 18 febbraio 2008 19:14
STI AMERICANI del cazzo io li odio bravo " ugualmente" bella notizia
_Azzurra_
00martedì 19 febbraio 2008 14:59
fintanto che ci sarà odio tra i popoli nn potremo auspicare
la salvezza del genere umano.

niente pace niente salvezza

ma chi sono poi sti amiricani?
nn è che x caso l'abbiamo colonizzata noi europei l'america?
[SM=x268968]
_Azzurra_
00martedì 19 febbraio 2008 15:49



ma nn è che ci stiamo facendo karakiri ?

no, xchè prima si va laal conquista dell america
uccidendo,anzi trucidando e sodomizzando i popoli della ns discendenza

poi nn contenti della banbiera, ripuntiamo l'occhio su l'altro pezzo di mondo che xrò..mica male!
e x fare qst doBBiamo anche riusare le stesse armi?

quello che voglio dire è che se continueremo a combattere con noi

stessi è xchè nn ci piacciamo x le atrocità commesse e x nn vederle

agiamo all'impazzata tanto x nn stare fermi a riflettere un attimo e comprendere che

SIAMO UN UNICO GRANDE ORGANISMO CON UN CUORE PULSANTE ALIMENTATO DA
TANTE PICCOLE ENERGIE SINCRONICHE CHE VIAGGIANO ALLA VELOCITA' DEL TEMPO
GMU
00giovedì 13 marzo 2008 20:32

Il Kosovo “Indipendente” e il Progetto per un “Nuovo Medio Oriente”


Trentinoweb - Trentino,Italy

L’obiettivo è di instaurare un Nuovo Ordine Mondiale e di
stabilire il controllo egemonico sopra l’economia globale. In questo
senso, il Kosovo fornisce lo ...
ugualmente
00domenica 16 marzo 2008 11:06
bell´articolo....
molte delle cose che dice fanno parte di un progetto reale che si sta portando in atto da tempo....

IL COLONIALISMO NON E MAI MORTO....

e la verita...e un motore economico troppo importante che i potenti conoscono e di cui fanno uso non appena possono...

l´unica differenza che oggi si colpiscono paesi "deboli" creando uno scacchiere di piccole conquiste globali a differenza del passato storico fatto di grandi invasioni...

si tasta il terreno ci si muove con cautela per non fare troppo rumore e entrare in conflitti tra grosse potenze che sappiamo tutti porterebbero alla guerra atomica.....

Ognuno fa il suo passo con un gioco di rimbalzi se tu occupi questo io occupo quello e oramai il mondo e un grosso risiko che va avanti da secoli....

Cosi si sta facendo in sudamerica con le schermaglie tra Venezuela e Colombia (paese pro USA mentre il Venezuela non lo e) con la Turchia (vedi provocazioni italiane nel caso Occalan) e ovunque ci siano possibilita di sfruttamento e conquista per rafforzare il proprio dominio.....

In piu con la scusa del terrorismo si e voluto creare qul falso concetto che gli "altri ci odiano ingiustamente" quando hanno il diritto di farlo visto che dimostriamo di essere menzogneri ipocriti avidi e sadici come i peggiori esempi del passato vedi i Fascisti e i Nazisti....

che poi sono frutto di strategie di destabilizzazione pure loro.....

Brindate signori alla potenze occidentali e orientali il mondo e loro poi chi lo ha deciso non si sa.....forse chi impugna le armi migliori e ha piu denaro....
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