L'Islanda vince sull’UE: non dovrà risarcire le banche straniere

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wheaton80
00domenica 3 febbraio 2013 17:37

La piccola isola tra i ghiacci ha vinto oggi una importante battaglia legale nei confronti dell’Unione Europea in materia di compensazioni per le perdite causate agli investitori stranieri a causa de fallimento di alcune banche islandesi avvenuto cinque anni fa.

Il Tribunale dell’EFTA (Associazione Europea del Libero Commercio, alla quale aderiscono oltre ai paesi dell’UE anche Islanda, Liechtenstein e Norvegia), con sede a Lussemburgo, ha stabilito oggi che il governo dell’Islanda non ha violato la legislazione europea quando ha deciso di non risarcire gli investitori stranieri della banca on-line Icesave, dipendente da una delle principali entità finanziarie fallite nel 2008.

Nella sentenza l’Efta spiega che l’Islanda non ha contravvenuto le normative europee vigenti al momento dei fatti quando decise di non risarcire gli azionisti stranieri, decisione tra l’altro avallata da un referendum appositamente convocato, attraverso il quale la maggioranza dei cittadini del paese valutarono di non investire denaro pubblico per ripianare i debiti con le banche private fallite. Il Tribunale dell’Efta ha anche stabilito che il governo islandese non ha compiuto un atto discriminatorio decidendo invece di risarcire gli azionisti del paese.

Immediatamente dopo la sentenza, il Governo di Reykiavik si è detto molto soddisfatto per la decisione del tribunale dell’organismo internazionale che ha dato ragione all’Islanda, rimarcando che il giudizio é "definitivo e non può essere oggetto di ricorso".

Giudizio opposto naturalmente da parte di vari governi europei secondo i quali c’è bisogno di una normativa più stringente per i casi simili a quelli che squassarono l’economia islandese nel 2008-2009. Piccata la Commissione Europea, secondo la quale “i rimborsi dei depositi bancari devono sempre essere garantiti, anche nel caso di una crisi sistemica”.

A investire il Tribunale dell’Efta del caso era stato un ricorso dell’Autorità di Vigilanza degli Accordi Efta contro il rifiuto dell’Islanda di pagare 3,9 miliardi di euro alla Gran Bretagna e all’Olanda. I governi di Londra e l’Aja avevano scelto di coprire le perdite dei propri cittadini, e successivamente avevano chiesto un indennizzo alle autorità di Reykjavik, richiesta impugnata dall'Islanda.

La Corte di Giustizia di Lussemburgo doveva stabilire se il governo islandese avesse l'obbligo di compensare con un risarcimento di 20 mila euro (26.000 dollari) i titolari dei conti aperti presso la Icesave, fililale online del colosso Landsbanki. Ma con la sentenza di oggi il tribunale ha respinto il ricorso ed ha dato ragione a Reykiavik, stabilendo un importante precedente. In realtà il governo dell'Islanda si è impegnato a risarcire per quanto possibile gli investitori stranieri, ma in maniera graduale e senza attingere ai fondi pubblici.

di Marco Santopadre
28 Gennaio 2013
www.contropiano.org/it/esteri/item/14150
wheaton80
00martedì 21 maggio 2013 02:01
Europa, elezioni: l'Islanda vira a destra, voto anti-euro

Le urne hanno punito la coalizione di centrosinistra, le cui ricette economiche ispirate all'austerita' e al rigore hanno sfiancato la popolazione. Affermazione del Partito dell'Indipendenza

28 aprile 2013

REIKJAVIK (WSI) - Uno schiaffo al Vecchio Continente. E' il messaggio che l'Islanda invia all'Europa dopo la netta vittoria alle recenti elezioni legislative dell'opposizione di centrodestra euroscettica. Un voto che ha punito la coalizione di centrosinistra, le cui ricette economiche ispirate all'austerita' e al rigore - che hanno permesso all'isola di uscire dalla recessione, con un pil in salita e una disoccupazione in calo - non sono piaciute agli elettori. Altra grande novita' e' il successo elettorale del 'partito' dei Pirati, una sorta di movimento che propugna la liberta' del web e che entra per la prima volta in un Parlamento nazionale. Alta l'affluenza con l'83% degli aventi diritto che si e' recato alle urne. A brindare oggi sono i conservatori del Partito dell'Indipendenza (di destra) che hanno ottenuto il 26,7% dei consensi, guadagnando 19 seggi al Parlamento.

Il suo leader, Bjarni Benediktsson, 43 anni, intende formare una coalizione di governo con i centristi del Partito del Progresso che hanno raccolto il 24,4% e che possono contare ugualmente su 19 deputati. Insieme arrivano a 38 seggi su un totale di 63. Ma le sinistre frenano su questa ipotesi e attende che si pronunci in merito il presidente. Saliti al potere nel 2009 dopo il fallimento delle grandi banche, e dopo avere lanciato nel 2009 la campagna di adesione all'Ue, l'Alleanza dei socialdemocratici e il Movimento di Sinistra-Verde si sono visti dimezzare i parlamentari: il primo partito e' sceso al 12,9% e ha preso 9 seggi, mentre il suo alleato si e' fermato al 10,9%, con 7 seggi.

Le vere e proprie novita' sono rappresentate da 'Avvenire radioso', movimento filo europeista che potra' contare su sei parlamentari avendo preso l'8,2%, ma in particolare il Partito dei Pirati che entra per la prima volta in un Parlamento nazionale con 3 deputati dopo avere ricevuto il consenso del 5,1% degli islandesi. La galassia dei movimenti dei Pirati nata in Svezia ha raccolto nelle elezioni del 2009 il 7,1% dei voti ed e' riuscito ad ottenere un seggio nell'Europarlamento.

La campagna elettorale e' stata dominata dal malcontento degli islandesi, in particolare sulla questione del loro indebitamento: statistiche ufficiali parlano di una famiglia su dieci in ritardo nei pagamenti dei mutui per la casa o nei rimborsi di prestiti immobiliari.

In quest'isola nell'estremo nord dell'Atlantico, fatta di ghiacciai, geyser, vulcani e banche, la maggioranza della popolazione e' convinta che il Parlamento di Reykjavik debba continuare a mantenere il controllo totale sulle sue politiche - in particolare quelle legate alla pesca - piuttosto che negoziare con Bruxelles e con Paesi come il Regno Unito e la Spagna che hanno interesse ad abbassare le quote islandesi in questo settore.

www.wallstreetitalia.com/article/1555916/crisi-sistemica/europa-elezioni-l-islanda-vira-a-destra-voto-anti-e...
wheaton80
00venerdì 14 febbraio 2014 04:00
L’Islanda come modello rivoluzionario

Dal 2008 è in corso una vera rivoluzione in Europa, ma sono in pochi a parlarne, eppure è l’unica nazione finora che è riuscita a superare quasi del tutto la crisi economica, evitare il fallimento e a far pagare i danni ai colpevoli e non ai cittadini. È accaduto in un paese con la democrazia probabilmente più antica del mondo, le cui origini vanno indietro all’anno 930 e che ha occupato il primo posto nel rapporto del ONU sull’indice dello sviluppo umano nel 2007/2008. Indovinate di quale paese si tratta? Sicuramente la stragrande maggioranza non ne ha idea. Si tratta dell’Islanda, dove si è fatto dapprima dimettere il governo in carica al completo, poi si è passati alla nazionalizzazione delle principali banche per la loro condotta fortemente speculatrice, infine si è deciso di non pagare i debiti che queste avevano contratto con la Gran Bretagna e l’Olanda (a causa della loro ignobile politica finanziaria); infine si è passati alla costituzione di un’assemblea popolare per riscrivere la propria costituzione. Un esplosione democratica che terrorizza i poteri economici e le banche di tutto il mondo, che porta con sé messaggi rivoluzionari di democrazia diretta, autodeterminazione finanziaria e annullamento del debito. Che cosa accadrebbe se il resto dei cittadini europei seguissero l’esempio islandese?

Brevemente, la cronologia dei fatti:

- 2008 – A Settembre, dopo quindici anni di sviluppo economico, basato sul modello del neoliberismo puro, il paese è al collasso e gli effetti della crisi nell’economia del paese sono devastanti. Viene nazionalizzata la più importante banca dell’Islanda, la Glitnir Bank. La moneta crolla e la Borsa sospende tutte le attività: il paese viene dichiarato in bancarotta. L’insieme dei debiti per le attività bancarie dell’Islanda è equivalente a varie volte il suo PIL.

- 2009 – Il governo chiede ufficialmente aiuto al Fondo Monetario Internazionale, che approva un prestito di 2.100 milioni dollari, accompagnati da altri 2.500 milioni di dollari da parte di alcuni paesi nordici.

- Le proteste dei cittadini davanti al Parlamento a Reykjavik aumentano. A Gennaio le proteste di migliaia di cittadini di fronte al Parlamento provocano le dimissioni del Primo Ministro Geir H. Haarden e di tutto il Governo, costringendo il Paese alle elezioni anticipate. La situazione economica resta precaria.

- Il nuovo Parlamento propone una legge che prevede il risanamento del debito nei confronti di Gran Bretagna e Olanda, attraverso il pagamento dei debiti a Gran Bretagna e Olanda attraverso 3.500 milioni di euro che tutte le famiglie islandesi avrebbero dovuto pagare attraverso una tassazione chiedendo loro poco più di 100 euro al mese per quindici anni. In poche parole si privatizzano gli utili delle banche mentre si nazionalizzano le perdite. La situazione economica resta devastata con il crollo del PIL del 7%…

- Nel 2010 gli islandesi capiscono che non si può sacrificare una nazione per gli errori di un manipolo di banchieri e finanzieri e tornano ad occupare le piazze, chiedendo di sottoporre a referendum popolare la legge sopracitata.

- Nel gennaio 2010, sotto pressione popolare, il presidente, Ólafur Ragnar Grímsson, rifiuta di ratificare la legge e indice la consultazione popolare a marzo: vincono, con il 93%, i NO al pagamento dell’ingente debito.

- La rivoluzione islandese vince. Il F.M.I. tenta di intimorire gli islandesi congelando l’aiuto economico al paese, nella speranza di imporre in questo modo il pagamento dei debiti.

- Nel 2011 il governo dispone le inchieste per determinare giuridicamente le responsabilità civili e penali della crisi. Vengono emessi i primi mandati di arresto per diversi banchieri e membri dell’esecutivo e top manager. L’Interpol si incarica di ricercare e catturare i condannati: tutti i banchieri implicati abbandonano l’Islanda. In piena crisi, viene eletta un’Assemblea per redigere una Nuova Costituzione che possa incorporare le lezioni apprese durante la crisi.

- Nel 2012 la grande protesta del popolo islandese si concretizza nella redazione in forma «partecipativa» – anche attraverso consultazioni online – di una nuova Costituzione nella quale vengono rafforzati lo strumento referendario e le leggi di iniziativa popolare.

Questa è in breve la storia della rivoluzione islandese: dimissioni in blocco del governo, nazionalizzazione delle banche, referendum e consultazione popolare, arresto e persecuzione dei responsabili della crisi, riscrittura della costituzione, esaltazione della libertà di informazione e di espressione. Da un Pil che nel 2009 perdeva più del 6,5 per cento e con una disoccupazione che superava l’8 per cento, si passa nel 2011 a una crescita che sfiora il 3 per cento e a un tasso di disoccupazione che nel 2013 è arrivato sotto il 5, mentre il debito pubblico ha iniziato a ridursi nel 2013. È il riscatto indubbiamente sorprendente di un paese che, arrivato sull’orlo del baratro e a fronte di abnormi squilibri tra economia reale e dimensione del dissesto finanziario, aveva tutti i presupposti per implodere. Economisti e commentatori si sono soffermati a studiare con sempre più interesse questa “ricetta miracolosa”, ovvero della possibilità di far fallire le banche e la possibilità di far assolvere alla svalutazione della moneta un’importante funzione in termini di ristabilimento degli equilibri macroeconomici (in questo senso sottolineando il ruolo della sovranità monetaria, della quale l’Islanda è in possesso, diversamente dai paesi appartenenti all’area euro).

Tuttavia non è facile trarre conclusioni semplicistiche dalla lezione islandese. Nel nostro paese, come in tanti altri paesi occidentali, si cerca di superare la crisi attraverso un processo di socializzazione delle perdite con i tagli sociali e la precarizzazione dilagante. Tali politiche sono sempre destinate a fallire, in quanto non è possibile ripagare i debiti se diminuiscono i redditi. La lezione islandese ci dice però che le crisi finanziarie richiedono una gestione globale e regionale in cui i creditori si accollino parte dell’onere del risanamento. L’Islanda vi è riuscita per «via giudiziaria», ma questo deve diventare un punto fermo per le istituzioni internazionali e i singoli paesi… Un altro importantissimo punto riguarda le dimensioni geografiche/economiche dei paesi coinvolti. Infatti, l’Islanda come anche Cipro e la Grecia sono piccoli paesi i cui problemi sono sempre facilmente risolvibili, se vi è volontà politica internazionale, e quindi vanno distinti da quelli di grandi e medi paesi fortemente indebitati con l’estero. Questo però non fa che rafforzare ulteriormente la critica verso la strategia suicida sinora perseguita nell’Eurozona. I casi greco, cipriota e irlandese sarebbero stati facilmente gestibili e un’accurata manovra «federale» avrebbe evitato il panico sui mercati evitando i drammatici riflessi avuti su Spagna e Italia. Infine, rimane il problema di regolamentare i movimenti di capitale e merci a livello globale. Qui tornerebbe utile la proposta di Keynes a Bretton Woods in cui si stabiliva la legittimità di dazi e controlli sui movimenti di capitale. Questo, insieme alle leggi bancarie nate dopo la crisi del 1929, assicurò al mondo trent’anni di stabilità e crescita. [...]

Dunque Il periodo «keynesiano», che va dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni Settanta, rappresenta l’unico periodo nell’intera storia in cui abbiamo avuto una stabilità significativa. Sebbene l’Islanda non costituisca il modello perfetto da poter applicare ovunque, alcune lezioni sono utili. Ma sarebbe ancor più utile una presa di coscienza che faccia tornare il mondo «indietro» alle regole abbandonate negli ultimi quattro decenni perché il capitalismo nato dalla rivoluzione liberista non è solo ingiusto: è insostenibile. Il neoliberismo sostiene la liberazione dell’economia dallo Stato, la deregulation, il libero mercato, l’abbattimento delle barriere doganali, tasse, il taglio della spesa pubblica, la vendita del patrimonio dello Stato, la privatizzazione dei servizi pubblici, e, soprattutto, la demolizione dello stato sociale, cioè, quell’insieme di servizi-diritti (scuola pubblica, sanità pubblica, previdenza, servizi sociali) mediante i quali uno Stato civile garantisce l’esistenza in vita alle categorie sociali più deboli e il ricambio generazionale di cui tanto avrebbe bisogno l’Europa. Ancora una volta, confondono la cura con la malattia.

Antonio Marinotti
10 febbraio 2014
www.lintellettualedissidente.it/lislanda-come-modello-rivoluz...
wheaton80
00venerdì 27 giugno 2014 23:30
L'Islanda cancella i mutui alle famiglie, pagheranno le banche

L’Islanda risponde alla crisi in modo inedito: cancellare i mutui ai contribuenti che hanno pagato troppo le conseguenze del default, facendo pagare il conto alle banche, che quel default l’hanno causato. E' stato infatti introdotto un piano per la riduzione dei mutui legati all'inflazione di 150 miliardi di corone, pari a circa 900 milioni di euro, per accelerare la ripresa della nazione, collassata nel 2008. Una promessa che il Progressive Party, capofila della coalizione di centro-destra, aveva fatto in campagna elettorale e che ora si appresta a mantenere. Un rimborso interpretato come un risarcimento dopo che la svalutazione della corona aveva fatto schizzare i prezzi e le rate dei mutui. I soldi saranno pagati dalla finanza e dagli hedge fund: il Governo di Reykjavik ha infatti annunciato una stretta sulle banche e un alleggerimento del portafoglio di molti fondi speculativi, con il taglio di vecchi debiti all'estero ereditati dalla crisi. Una mossa che se da un lato ha fatto gioire i cittadini dell'isola vicina al Circolo Polare artico, dall'altro ha provocato il forte dissenso sia del Fondo Monetario Internazionale che di Standard & Poor's. Per l'istituto di Washington la ripresa economica in Islanda è ancora debole e non è possibile regalare nulla ai contribuenti, mentre l'agenzia di rating ha minacciato di abbassare il giudizio del Paese. Nonostante ciò il Primo Ministro Sigmind Gunnlaugsson ha affermato che è iniziato il vero rinascimento economico dell'isola, dopo la caduta del 2008. Per Gunnlaugsson l'impatto sui conti nel prossimo triennio sarà minimo. Oltre ad alleggerire i mutui, l'Esecutivo ha anche varato un piano che prevede agevolazioni fiscali per incoraggiare gli islandesi ad utilizzare i loro fondi pensionistici per azzerare il debito.

Maria Di Napoli
02/12/2013
www.firstonline.info/a/2013/12/02/lislandacancellaimutuiallefamigliepagheranno/918e8e4b996d4fb9a1bdd5c0f72de813?fb_action_ids=10201024168506375&fb_action_types=...
wheaton80
00mercoledì 12 novembre 2014 02:07
L' Islanda risorge dalla crisi punendo banchieri e politici

Da tre anni, c'è un nuovo sceriffo in città. Non ha lo Stetson in testa, nè stivali con speroni. E nemmeno il cinturone con la Colt regolamentare. Olafur Hauksson dà la caccia a una tipologia peculiare di banditi: i banchieri. Lo fa in quel di Reykjavik, capitale di quell'Islanda fino al 2008 nota soltanto per i geyser e per l'estate più breve di uno starnuto. Poi, d'improvviso, il virus dei mutui subprime e il crollo di Lehman Brothers arrivarono anche tra i ghiacci. E un Paese con 325mila abitanti, poco più del quartiere milanese di Quarto Oggiaro, scoprì di dover fare i conti col fallimento di tre banche il cui valore equivaleva - fino al crac - a quasi il 1.000% del Pil. Un disastro nazionale, servito in diretta tv dal primo ministro dell'epoca, Geir Haarde, con un «Dio salvi l'Islanda». In effetti, a oltre quattro anni da quello che sembrava un crac ineluttabile, l'isola a metà strada tra Groenlandia e Gran Bretagna è quasi salva. Quasi, perchè la crisi non è ancora al capolinea. Se i due miliardi di dollari messi a disposizione nel novembre del 2008 dal Fmi avevano garantito l'immediata sopravvivenza, per risalire la china gli islandesi hanno adottato una ricetta autoctona priva di quegli ingredienti tossici somministrati a più riprese alla Grecia, ma anche a Italia, Spagna e Portogallo, dai cuochi dell'austerity. Loro, invece, hanno subito nazionalizzato i tre maggiori istituti di credito, Kaupthing, Glitnir e Landsbanki, mettendo alla porta i top manager con bonus incorporato; poi, la cosiddetta «rivoluzione delle pentole» ha mandato a casa il governo e l'intero Parlamento. Ottenendo un altro, invidiabile, risultato: oggi l'Islanda è guidata da sole donne. Quote rosa al cubo. Sul Paese, tuttavia, pesa da qualche anno la peggiore delle accuse: quella di «non aver onorato i debiti». Di aver cioè fatto default senza pagarne dazio. In effetti, i creditori esteri delle banche finite sotto l'ala statale non hanno ancora rivisto un centesimo. «In futuro risarciremo tutto», ha garantito il ministro Steingrímur Sigfússon. Che, qualche giorno fa, ha però incassato dalla corte dell'Efta (European free trade agreement) la decisione benevola secondo cui l'isola non deve risarcire i risparmiatori britannici e olandesi che avevano investito nei conti Icesave, una controllata di Landsbanki. È una sentenza che vale, per le casse islandesi, 2,6 miliardi. Ossigeno puro. Non tutto è però stato risolto. Al Paese servono ancora misure di stimolo economico. E poi c'è una popolazione irritata per gli scarsi successi ottenuti nella caccia ai colpevoli del disastro finanziario. Per ora, poche le condanne inflitte: quattro anni e mezzo a due ex dirigenti della banca Byr; due anni all'allora direttore del ministero delle Finanze; un risarcimento di 3,2 milioni di euro pagato dall'ex presidente di Kaupthing. L'ex premier Geir Haarde se l'è cavata: niente carcere nè sanzioni pecuniarie pur essendo stato ritenuto colpevole di non aver informato i ministri sulle difficoltà finanziarie. Catapultato da un paesino di pescatori alla capitale, dove guida un team con più di 100 collaboratori, il Marshall in salsa islandese Olafur Hauksson ammette di essere frustrato per i risultati raggiunti. Ma il problema, aggiunge, è che «perseguire i banchieri non è facile perchè spesso la legge non è chiara su ciò che è reato nell'alta finanza. E trovare le prove di una frode non è facile». Ma Olafur deve guardarsi anche le spalle: due suoi ex collaboratori sono indagati per aver intascato circa 200mila euro in cambio di informazioni riservate offerte all'amministratore di una società in bancarotta. È proprio vero: il denaro non dorme mai.

Rodolfo Parietti
02/02/2013
www.ilgiornale.it/news/esteri/lislanda-risorge-crisi-punendo-banchieri-e-politici-881...
wheaton80
00mercoledì 19 novembre 2014 23:27
Ministro delle Finanze dell' Islanda:''Non abbiamo alcun interesse a far parte della UE. Quindi non ne parliamo più”

LONDRA - Quando gli islandesi hanno deciso di votare contro l' ingresso del loro paese nella UE molti a Bruxelles hanno reagito male e sperato che gli elettori del paese scandinavo tornassero di nuovo alle urne per votare in modo corretto. Purtroppo per i parassiti di Bruxelles questo giochetto non ha funzionato e a gelare gli entusiasmi c'è stata una dichiarazione fatta dal Ministro delle Finanze Bjarni Benediktsson il quale ha dichiarato che l' Islanda non ha "nessun interesse a far parte della UE e per tale motivo non ci saranno più discussioni su questo tema". Benediktsson ha fatto notare come i due principali partiti islandesi, il Progressive Party e l' Independence Party, sono contro l' ingresso nell' Unione Europea e tali posizioni riflettono la volontà dell' opinione pubblica islandese che disapprova il modo di operare della UE e per tale motivo gli interessi dell' Islanda sono serviti meglio al di fuori della UE. Ovviamente gli islandesi sanno benissimo che una volta entrati nella UE perderanno la loro libertà e saranno impoveriti dalle politiche di austerità decise dai parassiti di Bruxelles e chiaramente vogliono evitare tutto ciò. Effettivamente gli islandesi hanno ancora nel loro sangue lo spirito combattivo dei loro antenati vichinghi e a tale proposito occorre ricordare che, quando il loro paese è stato colpito dalla crisi finanziaria, non solo hanno mandato a quel paese i rappresentanti del Fondo Monetario, ma hanno anche messo sotto processo i banchieri che hanno fatto fallire le tre principali banche del loro paese. Non c'è che dire, gli islandesi hanno coraggio da vendere e sarebbe opportuno che gli italiani prendano esempio da loro e mandino a quel paese la UE e la classe politica che ha portato questo paese al disastro.

Giuseppe de Santis – Londra
19 novembre 2014
www.ilnord.it/c3795_MINISTRO_DELLE_FINANZE_DELLISLANDA_NON_ABBIAMO_ALCUN_INTERESSE_A_FAR_PARTE_DELLA_UE_QUINDI_NON_NE_PARL...
wheaton80
00mercoledì 3 dicembre 2014 23:00
L' Islanda fuori da euro e UE va a gonfie vele: PIL 2014 +2,7% (+3,3% nel 2015) e tagliati interessi su mutui e debiti

LONDRA - A sentire i parassiti di Bruxelles, la decisione dell' Islanda di rimanere fuori dall' Unione Europea sarebbe un errore colossale visto che tale rifiuto condannerebbe i cittadini islandesi a decenni di povertà, declino e bassissima crescita economica, ma per loro sfortuna la matematica non è un' opinione e i dati recentemente rilasciati dall' istituto di statistica islandese danno un quadro completamente diverso. E così, mentre i paesi dell' area euro sono ancora impantanati in una recessione senza fine, per quest' anno l' economia islandese è destinata a crescere del 2,7%, nel 2015 del 3,3% e tra il 2016 e 2018 la crescita annua dovrebbe oscillare tra il 2,5 e il 2,9%. A trascinare tale crescita è l' aumento dei consumi privati, che quest' anno dovrebbe salire del 3,9% e del 4% nel 2015, per poi mantenersi al 3% annuo fino al 2018. Quindi, mentre gli italiani sono costretti a rinunciare anche all' acquisto di beni essenziali come pasta e pane, i cittadini islandesi possono permettersi di spendere qualcosina in più - si fa per dire, vero? - visto che non devono sottostare ai diktat della BCE e della Merkel. Però c'è anche un altro motivo dietro alla crescita dei consumi, ed è legato alla decisione del governo islandese di condonare parte dei mutui detenuti dalle famiglie islandesi. Infatti, subito dopo la bancarotta delle tre principali banche islandesi, il governo decise di nazionalizzare queste banche e ridurre parte dei mutui ad esse dovute - tagliando di molto gli interessi sui prestiti concessi - così da dare un po’ di ossigeno alle famiglie islandesi colpite dalla crisi. Tale decisione all' epoca fu fortemente criticata dalle agenzie di rating - e dalle banche straniere che perdevano lauti "guadagni" usurai - ma i politici islandesi se ne sono altamente fregati e adesso gli effetti benefici di tale decisione cominciano a farsi sentire. Quello che sta succedendo in Islanda è un esempio da manuale su come vada gestito un paese per farlo uscire dalla crisi finanziaria, ma ovviamente la stampa di regime italiana ha censurato questa storia perché la verità dà fastidio ai parassiti di Bruxelles e ai loro burattini del governo Renzi, ad iniziare dal ministro dell' Economia Padoan.

Giuseppe de Santis
2 dicembre 2014
www.ilnord.it/c3848_LISLANDA_FUORI_DA_EURO_E_UE_VA_A_GONFIE_VELE_PIL_2014_27_33_NEL_2015_TAGLIATI_INTERESSI_SUI_MUTUI_...
wheaton80
00lunedì 19 gennaio 2015 23:05
L' Islanda ritira ufficialmente la domanda di adesione alla UE. E il PIL cresce del 5% dal 2013 (l' 82% non vuole l’ euro)

Lo spauracchio della Grecia che esce dall' euro è sventolato ovunque, sui giornali e le televisioni italiane, mentre è passata - volutamente - inosservata una notizia che dà molto bene l' idea di quanto sia ormai al lumicino tanto l' euro quanto la stessa Unione Europea che l' ha voluto. L' Islanda ha deciso di ritirare volontariamente la domanda di adesione alla UE - e all' euro - presentata cinque anni fa, nel 2009. Dopo aver deciso quattro anni fa, di non salvare le sue banche private fallite per colpa di spericolate e truffaldine operazioni finanziarie speculative di banchieri senza scrupoli, e dopo averli anche portati in tribunale, sotto processo per i disastri che hanno provocato sia in Islanda che nel resto d' Europa, adesso il governo islandese ha fatto il definitivo passo per sganciarsi dal barcone UE che sta affondando, sommerso dalle ondate di deflazione e zavorrato da un euro sbagliato e nefasto. Si ha notizia che il partito conservatore "Independence Party" appoggerà una nuova legge in Parlamento per ritirare e cancellare la domanda di adesione dell’ Islanda all’ Unione Europea. La notizia è stata confermata ieri da Bjarni Benediktsson, il ministro delle Finanze e presidente del partito, in un’ intervista con l’emittente di stato RÚV, riportano tutti i giornali islandesi (e neppure uno italiano). Un pò di storia. Reykjavik aveva presentato la domanda di adesione nel 2009, nel pieno di una profonda crisi che aveva colpito l’ economia nazionale. Ma nel 2013 il nuovo governo islandese, formato da una coalizione di partiti e movimenti euroscettici, aveva congelato i negoziati per l’ adesione nella UE. Una delle ragioni è stato lo scoppio delle tensioni tra l’Unione Europea e l’ Islanda provocato dalla politica comunitaria sulla pesca. Le quote sul pesce pescato di Bruxelles non soddisfano Reykjavik, scrivono i giornalisti di WSI, ma la vera ragione è molto, ma molto più importante e profonda. Dal 2013, il PIL dell' Islanda cresce di un gigantesco 5%: è un tasso di sviluppo dell' economia che non ha rivali in Europa; anche l'ottima crescita della Gran Bretagna, che nel 2014 ha superato il 3%, risulta seconda a quella dell'Islanda. Le uniche nazioni al mondo che stanno facendo lo stesso sono gli Stati Uniti e, meglio, solo la Cina (+7% previsto nel 2015). E' evidente che con un' economia così florida e ben avviata a continuare in questa direzione, l' adesione alla UE avvelenata dalla deflazione e con una BCE che pretenderebbe - poi - di controllare e comandare nella finanza islandese, è una vera follia. Che infatti è stata rigettata come tale. Quanto all' euro, in Islanda l'ultimo sondaggio di dicembre 2014 dava la valuta unica europea "gradita" solo dal 18% dei cittadini islandesi, contro l' 82% che considera l' euro "dannoso" e "pericoloso" per l' economia e i risparmi.

Max Parisi
19 gennaio 2015
www.ilnord.it/c3979_LISLANDA_RITIRA_UFFICIALMENTE_LA_DOMANDA_DI_ADESIONE_ALLA_UE_E_IL_PIL_CRESCE_DEL_5_DAL_2013_L82_NON_VUO...
wheaton80
00domenica 22 febbraio 2015 23:15
L’Islanda comincia a mettere i banchieri dietro le sbarre
La Corte Suprema islandese ha sentenziato il carcere per 4 banchieri della Banca Kaupthing



Con una rinfrescante mossa di cui altri Paesi potrebbero prendere nota, il giudice ha ordinato ai banchieri di scontare tra i quattro e i cinque anni e mezzo di carcere. I banchieri, nella foto sopra, sono: Sigurdur Einarsson, ex presidente del consiglio, Hreidar Mar Sigurdsson, l'ex amministratore delegato, Magnus Gudmundsson, l'ex amministratore delegato della filiale di Lussemburgo e Olafur Olafsson, uno dei proprietari di maggioranza. Sono stati tutti accusati di nascondere il fatto che l’investitore del Qatar, lo sceicco Mohammed Bin Khalifa Bin Hamad Al-Thani, abbia acquistato una partecipazione nella banca Kaupthing, avendo in realtà preso in prestito il denaro illegalmente dalla banca stessa. L’acquisto di Al-Thani, una quota del 5,1% nella banca, era stato annunciato solo poche settimane prima del crollo. L’acquisto dell’investitore era stato visto come un’iniezione di fiducia per la banca, mentre circolavano le voci sulle difficoltà di quest’ultima. La Corte Suprema ha confermato i cinque anni e mezzo del verdetto che Hreidar Mar Sigurdsson, l'ex amministratore delegato, aveva ricevuto nel Tribunale Distrettuale. Sigurdur Einarsson, ex presidente del consiglio di amministrazione, è stato condannato a quattro anni di carcere. La Corte Suprema ha dato a Olafur Olafsson, uno dei proprietari di maggioranza, e a Magnus Gudmundsson, l'ex amministratore delegato della filiale lussemburghese, quattro anni e mezzo. Nel Tribunale Distrettuale avevano ricevuto rispettivamente una condanna di tre anni e mezzo ed una di tre anni. Queste sono le sentenze più pesanti per frode finanziaria nella storia dell'Islanda. I quattro dovranno pagare di tasca propria le spese legali per il processo, che ammontano a 82 milioni di corone, corrispondenti a circa $ 670.000. Sigurdsson e Einarsson si trovano ad affrontare un altro e più grande processo contro la Kaupthing in cui sono stati accusati di manipolazione del mercato. Sarà portato in tribunale il 21 aprile ed è prevista una durata di quattro settimane. Tutti i nove ex datori di lavoro della Kaupthing si troveranno ad affrontare il carcere se condannati.

Sean Adl-Tabatabai
Traduzione: Wheaton80
15 febbraio 2015
yournewswire.com/iceland-begin-to-jail-bankers/
wheaton80
00sabato 13 giugno 2015 00:07
L’Islanda ha lasciato fallire le banche: ora ha un PIL sopra i livelli pre-crisi

NEW YORK (WSI) - L'Islanda è diventato il primo Paese europeo coinvolto nel caos finanziario del 2008 a registrare un PIL superiore ai livelli pre-crisi. Il Paese ha adottato un approccio totalmente differente dagli altri. Mentre il governo britannico ha nazionalizzato Lloyd e RBS con i soldi dei contribuenti e mentre gli Stati Uniti hanno comprato quote azionarie nelle banche di Wall Street ritenute 'too big to fail', Reykjavik ha lasciato che gli istituti di credito fallissero e ha messo in prigione i banchieri e gli altri responsabili della crisi. Il procuratore capo Olafur Hauksson disse all'epoca dei fatti:"È pericoloso che ci sia qualcuno troppo importante per essere indagato e condannato, dà la sensazione di vivere in un porto sicuro". Le autorità islandesi hanno inoltre imposto controlli di capitale per ridurre la libertà di azione della gente comune, da quel momento impossibilitata a disporre a piacimento dei propri soldi, una misura che i critici all'epoca hanno denunciato come una violazione dell'economia del libero mercato. Il piano islandese ha funzionato. Eccome. Come si vede bene dai grafici in allegato, il Paese ha subito un brutto colpo economico e finanziario, ma non particolarmente più pesante di quello accusato anche dagli altri Paesi travolti dalla crisi.



I debiti stanno diventando sempre più gestibili e il Fondo Monetario Internazionale ha dichiarato che l'Islanda è riuscita a registrare una ripresa "senza compromettere il suo modello di welfare". I livelli di disoccupazione non si discostano molto da quelli dei Paesi che si sono rimessi in sesto meglio in questo frangente, come gli Stati Uniti, la prima potenza economica al mondo. Anziché tenere alto il valore della corona con metodi artificiali, il Paese ha scelto di "accettare l'inflazione". Ciò ha spinto chiaramente in rialzo i prezzi domestici ma ha aiutato l'andamento delle esportazioni all'estero, al contrario di quanto avvenuto in tanti Paesi dell'Eurozona, come l'Italia, che hanno dovuto combattere lo spettro della deflazione o comunque prezzi che hanno continuato a scendere su base annuale. Con la riduzione progressiva dei controlli di capitale, il Paese continua a fare progressi e ora con un PIL sopra i livelli pre-crisi può dirsi uscito dalla crisi. "Oggi abbiamo raggiunto una pietra miliare che ci rende molto felici", ha detto al Guardian il Ministro delle Finanze Njarni Benediktsson nell'annunciare una tassa del 39% sugli asset che vengono prelevati dai conti bancari degli istituti falliti.

12 giugno 2015
Fonte: The Independent
www.wallstreetitalia.com/article/1817146/economia/islanda-ha-lasciato-fallire-le-banche-ora-ha-un-pil-sopra-i-livelli-pre-cr...
wheaton80
00venerdì 20 novembre 2015 18:45
L'Islanda ha condannato 26 banchieri a un totale di 74 anni di carcere

In forte contrasto con il record per il basso numero di azioni penali contro amministratori delegati e dirigenti finanziari di alto livello negli Stati Uniti (http://america.aljazeera.com/opinions/2015/8/enforcement-for-white-collar-crimes-hits-20-year-low.html), l'Islanda ha appena condannato 26 banchieri ad un totale di 74 anni di carcere. La maggior parte di quelli condannati ha ricevuto pene detentive dai due ai cinque anni. Anche se in Islanda la pena massima per i crimini finanziari è di sei anni e sebbene le udienze siano ancora in corso, si sta valutando di estendere il massimo oltre i sei anni. I processi sono il risultato delle manipolazioni del mercato finanziario islandese da parte dei bankster islandesi dopo che l'Islanda ha liberalizzato il proprio mercato finanziario nel 2001. Nel 2008, l’accumulo di debito estero ha determinato alla fine un tracollo dell’intero settore bancario. Secondo l’Iceland Magazine:“In due diverse sentenze, la scorsa settimana, la Corte Suprema d'Islanda e la Corte Distrettuale di Reykjavik hanno condannato al carcere tre top manager della Landsbankinn (http://icelandmag.visir.is/article/more-bankers-behind-bars-three-landsbankinn-bosses-sentenced-prison) e due top manager di Kaupthing (http://icelandmag.visir.is/article/kaupthing-bosses-found-guilty-massive-embezzlement-bank-funds), insieme ad un investitore di primo piano, per i crimini commessi e che portarono al tracollo finanziario del 2008. Con queste sentenze il numero di banchieri e finanzieri che sono stati condannati al carcere per reati legati al crollo finanziario è arrivato a 26, per un totale di 74 anni di carcere. Per consentire al Paese di continuare a funzionare, furono contratti, in nome del popolo islandese, enormi debiti che otto anni dopo i cittadini islandesi stanno ancora rimborsando al FMI e ad altre nazioni. A differenza degli Stati Uniti, l'Islanda ha scelto di considerare i criminali, che hanno manipolato il suo sistema finanziario, responsabili di fronte alla legge.

Negli Stati Uniti, nemmeno un solo dirigente bancario è stato condannato per crimini legati alla crisi finanziaria del 2008 (http://www.huffingtonpost.com/2013/09/13/wall-street-prosecution_n_3919792.html), anche se gli stessi Stati Uniti ne hanno subito le conseguenze. Il Presidente islandese, Olafur Ragnar Grimmson, lo ha sintetizzato in modo perfetto nella sua risposta quando gli chiesero in che modo il suo paese si è ripreso dalla crisi finanziaria globale. “Siamo stati abbastanza saggi da non seguire le tradizionali ortodossie del mondo finanziario occidentale che hanno prevalso negli ultimi 30 anni. Abbiamo introdotto controlli valutari, abbiamo lasciato che le banche fallisssero, abbiamo fornito sostegno al popolo e non abbiamo introdotto misure di austerità come si sta vedendo in Europa”. Mentre l'Islanda ha avviato azioni penali contro coloro che hanno causato la sua crisi finanziaria, l'America ha fatto il contrario. Nel 2008, dopo che il Congresso ha salvato, per gentile concessione dei contribuenti americani, per la modica cifra di 700 miliardi di dollari, le banche americane sull’orlo del fallimento, molti dei dirigenti degli istituti, che hanno ricevuto i fondi di salvataggio TARP, hanno finito per ottenere grandi bonus! I procedimenti avviati contro i bankster islandesi sono indice dell’esistenza di una responsabilità, dal punto di vista penale, che non esiste negli Stati Uniti d'America. Sembra chiaro che i "Signori dell’Universo” dell’alta finanza sono quelli che veramente controllano l'apparato politico negli Stati Uniti, il che rende evidente che non c'è nessuno che abbia intenzione di ritenerli responsabili per aver manipolato e fatto collassare i mercati finanziari.

Si prega di condividere questo articolo per aiutare a smascherare chi controlla realmente il sistema politico negli Stati Uniti!!

Jay Syrmopoulos
Traduzione: Giovepluvio
Fonte: www.activistpost.com/2015/10/iceland-just-jailed-dozens-of-corrupt-bankers-for-combined-74-years-in-pri...
22.10.2015

www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&...
wheaton80
00mercoledì 30 novembre 2016 20:49
Batosta meritata: 46 anni di carcere confermati per 9 grandi banche islandesi

Nessun media racconta quello che è successo in Islanda. Una punizione meritata, che dovrebbe essere imposta ai nostri truffatori, non solo i banchieri, ma sopratutto i nostri cari truffaldini politicanti. L’Islanda ha agito in modo diverso dal resto dell’Europa e degli Stati Uniti, consentendo che i banchieri fossero perseguiti come criminali piuttosto che trattarli come una specie protetta. L’Islanda ha riconosciuto nove banchieri (delle banche principali) colpevoli e li ha condannati a decenni di carcere per reati legati alla crisi economica del 2008. Giovedi 6 ottobre la Corte Suprema islandese ha emesso un verdetto di colpevolezza per i nove imputati per manipolazione del mercato, dopo un lungo processo che ha avuto inizio nel mese di aprile dello scorso anno. Kaupthing è una banca leader a livello internazionale con sede a Reykjavik, in Islanda. Si è sviluppata a livello internazionale per anni, ma è crollata nel 2008 sotto il peso di enormi debiti, paralizzando l’economia della piccola Nazione. Chiedendo alla giustizia che i banchieri fossero soggetti alle stesse leggi come il resto della società, l’Islanda ha adottato una strategia del tutto diversa da quella dell’Europa o degli Stati Uniti, dove le banche hanno ricevuto multe simboliche, ma dove direttori e mecenati non hanno avuto alcuna pena. Mentre i governi americani/europei salvano le loro grandi banche con i soldi dei contribuenti, e dunque inducono i banchieri nei loro comportamenti malvagi, l’Islanda ha adottato un approccio diverso, dicendo che avrebbe lasciato fallire le banche, eliminando e punendo i criminali che hanno portato queste banche al lastrico. Soprattutto l’Islanda ha scelto di proteggere i risparmi dei cittadini. L’ex Direttore della banca Kaupthing Már Sigurðsson Hreiðar, che è stato condannato e imprigionato lo scorso anno, ha visto giovedi la sua prigionia prolungata di sei mesi. Secondo l’Iceland Monitor, i nove banchieri sono stati riconosciuti colpevoli di reati finanziari legati ad acquisti abusivi di azioni: la banca ha prestato denaro per l’acquisto di azioni durante l’utilizzo di azioni proprie come garanzia per i prestiti. Essi sono anche colpevoli di aver venduto con l’inganno azioni truffa ai suoi clienti, proprio come è successo in Italia con Banca Etruria, giusto per fare un esempio.

L’approccio islandese
Queste convinzioni sono solo l’ultimo giro di vite senza precedenti da parte dell’Islanda riguardo il crollo economico. Le autorità hanno condannato i padroni delle banche, gli amministratori delegati e i funzionari governativi per reati che vanno dall’insider trading alla frode, dal riciclaggio di denaro alle violazioni dei diritti da parte di funzionari. Nel frattempo l’economia, che nel 2008 è crollata, è oggi ripartita alla grande dopo aver lasciato le sue banche fallire, imponendo controlli sui capitali e proteggendo i propri cittadini, piuttosto che l’élite delle banche responsabile di questo pasticcio. La volontà dell’Islanda è in netto contrasto con quanto praticato nel Regno Unito, nel resto d’Europa e negli Stati Uniti. Ci sono state molte ammende inflitte alle venti maggiori banche per le trasgressioni, come la manipolazione del mercato, il riciclaggio di denaro e la vendita di mutui. I banchieri colpevoli, grazie ai salvataggi governativi, hanno continuato a fare profitti fenomenali e intascano bonus osceni come se nulla fosse accaduto. L’anno scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha riconosciuto che l’Islanda ha raggiunto la ripresa economica “senza compromettere il suo modello di welfare”, soprattutto senza punire i suoi cittadini per reati commessi dai suoi banchieri.

S. M.
Fonte: yournewswire.com/iceland-jail-bankers-46-years/

29 novembre 2016
laveritadininconaco.altervista.org/46-anni-carcere-confermati-9-grandi-banche-is...
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