La politica anti-cristiana di Ahmadinejad.

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Ghergon
00domenica 2 aprile 2006 13:03
sabato, 01 aprile 2006 : Permalink

La politica anti-cristiana di Ahmadinejad.

Il presidente dell'Iran AhmadinejadLanciato un appello per la preghiera a favore dei cristiani in Iraq da Windows International, un osservatorio statunitense che ha la missione della preghiera sopratutto per i cristiani perseguitati. Il primo presidente laico, da quando avvenne la rivoluzione islamica, ha dato il via ad una nuova ondata di persecuzione. E' convinto, infatti, che la sua sia una nuova rivoluzione islamica che debba essere esportata in tutto il mondo. La sua promessa è stata di ripristinare un governo islamico in Iran, lasciando intendere che i precedenti non lo fossero.

Nella classifica di Open Doors, sito web che si occupa dei cristiani perseguitati nel mondo, l'Iran occupa il terzo posto tra i peggiori persecutori del Cristianesimo. Dalla salita al potere di Ahmadinejad, nel giugno 2005, i cristiani (specie se convertiti dall'Islam) sono vittime di vessazioni e molti sono stati arrestati e picchiati.
GEBURAH
00mercoledì 5 aprile 2006 14:19
Ghergon
Questo è un'altro dato di fatto, e cioè che ci sarà una guerra in Iran.
E sappiamo tutti come andrà a finire!
Secondo me sarà molto peggio di quella con L'Iraq.
Ghergon
00mercoledì 5 aprile 2006 22:06
GEBURAH
Ho letto stamattina sul giornale che l'Iran sta testando nuove armi segrete, compresi alcuni aerei sperimentali.
Eh si, l'iran non è certo una paese di strapelati come era l'Iraq: se le cose dovessero precipitare sarà dura per tutti, ci troveremmo davanti alla reazione dell'intero mondo arabo...
LiviaGloria
00mercoledì 5 aprile 2006 22:14
Io credo che é tuto programmato...anche gli arabi fanno il gioco che devono fare per arrivare al caos.
Da alcuni studi risulta che sta scarseggiando il petrolio...e noi siamo preoccupati perché l America possa fare casini anche per quello...ma nessuno si domanda...non pensate che anche i paesi arabi sono moooolto preoccupati che il loro petrolio scarseggia? ;)

Quindi...se finisce il petrolio....finisce per tutti...e quindi niente piu forza neanche per i paesi arabi....allora?
Allora una unione segreta per far sopravvivere che deve sopravvivere.
GEBURAH
00giovedì 6 aprile 2006 08:52
GHERGON

Scritto da: Ghergon 05/04/2006 22.06
Ho letto stamattina sul giornale che l'Iran sta testando nuove armi segrete, compresi alcuni aerei sperimentali.
Eh si, l'iran non è certo una paese di strapelati come era l'Iraq: se le cose dovessero precipitare sarà dura per tutti, ci troveremmo davanti alla reazione dell'intero mondo arabo...

E si L'Iran ha una grossa influnza in medio oriente.
Ma io credo questo, che l'islam è come la bomba atomica, cioè la reazione a catena sta per scattare. Hai capito, è come il discorso delle vignette, un gran casino in diverse parti del mondo. Esiste già una confederazione dei paesi islamici, quindi dobbiamo aspettarci di tutto. Ma non dimentichiamoci della Cina che potrebbe intervenire avanzando pretese come L'america del resto, ossia in cambio di petrolio potrebbe aiutare queste nazioni.
DOBBIAMO ASPETTARCI DI TUTTO, ORAMAI CI SIAMO QUASI, COME HO GIà DETTO LA REAZIONE A CATENA è GIà SCATTATA.

[Modificato da GEBURAH 06/04/2006 8.57]

GEBURAH
00giovedì 6 aprile 2006 08:56
LIVIA

Scritto da: LiviaGloria 05/04/2006 22.14
Io credo che é tuto programmato...anche gli arabi fanno il gioco che devono fare per arrivare al caos.
Da alcuni studi risulta che sta scarseggiando il petrolio...e noi siamo preoccupati perché l America possa fare casini anche per quello...ma nessuno si domanda...non pensate che anche i paesi arabi sono moooolto preoccupati che il loro petrolio scarseggia? ;)

Quindi...se finisce il petrolio....finisce per tutti...e quindi niente piu forza neanche per i paesi arabi....allora?
Allora una unione segreta per far sopravvivere che deve sopravvivere.

Si locredo anch'io, ma non è una novità ne per me, ne per te, ne per nessuno.
Questa tua riflessione può essere una possibile ipotesi.

P.S.: NON MI STAI IGNORANDO QUEST'ULTIMO PERIODO?
LiviaGloria
00giovedì 6 aprile 2006 15:36
Geburah
Scusa????
Ti sto ignorando?perché?in che senso? :?: :?:
GEBURAH
00giovedì 6 aprile 2006 15:49
Livia
ogni tanto scherzo, scherzando :brheart: ;)
Alounak
00lunedì 1 maggio 2006 20:47
Ci sono anche altre campane a quanto pare.....
Messaggi di speranza dall'Iran

di Pepe Escobar (Asia Times)

La Conferenza di Isfahan è stata il primo tentativo del mondo islamico di unire i delegati delle principali religioni monoteiste per studiare i problemi nella crescita della spiritualità religiosa nel mondo

Dal Cairo a Qom, da Gerusalemme e Peshawar: tra 1,3 miliardi di musulmani, sunniti e sciiti, si sta diffondendo la percezione che l’Islam sia sotto assedio. I persiani si vantano di aver trasformato l’Islam arabo in un credo molto più raffinato e puro; e, mentre i governi arabi non si pronunciano, quello iraniano ha deciso di contrattaccare.

Lo scenario non potrebbe essere più appropriato: la leggendaria città di Isfahan, soprannominata “metà del mondo” durante la sua gemmazione sotto la dinastia dei Safavidi, e nominata capitale culturale dell’Islam dall’Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC), nello scorso gennaio.

La 'International Conference on Constructive Interaction Among Religions', che si occupa di questioni politico-legali, storico-culturali ed etico-religiose, è stata definita il primo tentativo internazionale da parte del mondo islamico di unire leader religiosi e pensatori appartenenti alle quattro religioni monoteistiche – islamica, cristiana, ebraica, zoroastriana – in modo da poter studiare i “problemi e gli ostacoli nella crescita della spiritualità religiosa nel mondo”.

Il tempismo era essenziale, come concordavano gli studiosi e i religiosi, specialmente in considerazione del recente scandalo delle vignette e della distruzione della Cupola d’oro di Samarra, in Iraq.

Il convegno ha approvato una dichiarazione finale in cui, tra le altre cose, si richiedeva per il futuro prossimo un ruolo più importante per le autorità religiose; in cui ci si rammaricava del “silenzio di alcuni leader politici riguardo l’ingiusto sacrilegio dei principi religiosi, in particolare l’affronto al Sacro Profeta dell’Islam”, e in cui si applaudivano “i movimenti di protesta contro la guerra in Iraq”. Le guerre in Afghanistan e in Iraq, in gran parte del mondo arabo e musulmano, sono state interpretate come un concertato attacco all’Islam.

Il convegno, organizzato dall’'Islamic Culture and Relations Organization, direttamente legata al leader supremo Ayatollah Ali Khamenei', è stato indubbiamente un gesto politico; il governo iraniano si è così schierato pubblicamente contro gli attacchi all’Islam di fronte agli stati membri dell’OIC. Ma non è stato solo l’Islam a essere coinvolto da questa vicenda; infatti, per molti aspetti, è stato uno spettacolo straordinario. Proprio nel cuore della Repubblica Islamica, si poteva vedere il rabbino Moshe Friedman, l’iperattivo capo della comunità ortodossa antisionista viennese e sostenitore della “spiritualità applicata”, che, nello splendore del suo abito arancione, denunciava che “le armi convenzionali uccidono più persone delle cosiddette armi di distruzione di massa”. Mentre il Dr Bawa Jain, segretario generale del 'World Council of Religoius Leaders', con sede a New York, sognava politici che davvero facessero attenzione ai sentimenti religiosi.

Erano inevitabili alcuni vizi tecnici. A causa di problemi legati alla concessione del visto, non tutti i 120 invitati provenienti da 38 paesi diversi hanno potuto raggiungere Isfahan. Non c’erano rappresentanti del buddismo e non c’erano religiosi wahabiti – questi ultimi comunque non sono favorevoli al dialogo interreligioso. Gli ayatollah iraniani, ovviamente, hanno indirizzato la loro critica verso il fatto che fosse l’Islam – e non la religione in generale – a esser sotto assedio. Per esempio, il riverito ayatollah Abdollah Javadi Amoli, uno dei membri del Consiglio degli Esperti più vicini a Ruhollah Khomeini, ha affermato che “se i profeti divini come Abramo, Mosé, Gesù Cristo e il profeta Maometto sono stati insultati da Salman Rushdie, dai caricaturisti danesi e dai demolitori delle tombe dell’Imam Hadi e dell’Imam Askari nel corso dei secoli, è perché essi sono intrappolati nell’embrione della natura e considerano l’atmosfera esterna malsana.” Lo studioso iraniano Hamid Moulana ha sottolineato che “se non riusciremo a offrire la nostra definizione di scienza, diventeremo vulnerabili”.


Rovesciare i sionisti

Nel dedalo delle riunioni di esperti tenutesi all’Holtel Abbasi – un favoloso caravanserraglio risalente al diciottesimo secolo e costruito durante il regno dell’ultimo re Safavide, lo shah Sultan Hossein – non mancavano certo gli occidentali: dagli orientalisti spagnoli a una signora argentina convertitasi allo sciismo e impegnata in una battaglia solitaria per il diritto di indossare il velo. Gli occidentali sottolineano che il dialogo interreligioso deve essere “religioso, antropologico, senza dogmi, nell’ambito di un dialogo di civiltà”, come sostiene uno studioso greco.

Il ricercatore statunitense Muhammad Legenhouzen è fortemente coinvolto nel dialogo cattolico-sciita: per 10 anni ha saltuariamente insegnato a Qom, studiando le Crociate e analizzando le riflessioni di Carl Schmidt, l’ideologo dei neoconservatori americani. Egli è convinto che sia fondamentale virare verso un maggiore cosmopolitismo. Ma è più facile a dirsi che a farsi. Legenhouzen ha anche lavorato con un vescovo filippino nella sua scuola teologica di Qom e ha dovuto constatare che “solo il 20% dei vescovi filippini guarda con favore al dialogo interreligioso”.

Considerando le recenti invettive del Presidente Mahmud Ahmadinejad a proposito di Israele e Olocausto, il rabbino Friedman, che lavora e vive a Vienna, è stato decisamente la star dello show. Fervido sostenitore del dialogo tra le religioni, egli è in grado di scatenarsi per ore contro i “perpetratori bolscevichi/stalinisti” e le “sette messianiche come il sionismo” il cui scopo è “sradicare la fede in Dio”. Friedman, ben noto ai direttori dei maggiori quotidiani europei, condanna i “media dominati dal sionismo. E a questo proposito la situazione negli USA è addirittura peggiore che in Europa.” Costante la sua critica “all’Olocausto come mezzo di legittimazione morale delle atrocità contro i palestinesi, scacciati dalla loro terra e dalle loro case, senza la minima protezione da parte della comunità internazionale. L’Olocausto è stato sfruttato perfino per far ottenere a Israele ingenti contributi finanziari”.

Friedman loda ciò che egli considera “dichiarazioni oneste” da parte di Ahmadinejad a proposito di Israele – ovvero, la politicizzazione dell’olocausto. Secondo il suo punto di vista, “il termine ‘antisemita’ è sostanzialmente sbagliato e stupido, poiché tutti gli arabi sono semiti mentre molti sionisti in realtà non hanno discendenti ebrei. Sono orgoglioso di essere un fondamentalista che tende le braccia verso la pace ed è disposto anche a rischiare la testa per la pace.” Friedman non sarebbe esattamente al sicuro per le vie di Manhattan.

Il suo piano di battaglia globale è “fare il possibile in termini pratici per porre fine alla generale dominazione sionista nei media, nell’economia, etc, dal momento che essa può avere effetti perfino peggiori della stessa occupazione militare”.


Il disilluso e l’occupato

Marcel Gauchet, dirécteur d’étude presso l’'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales' di Parigi, non era presente al convegno: avrebbe dovuto esserci. Nel 1985, Gauchet ha pubblicato una straordinaria storia politica della religione in francese e le sue riflessioni sono ritenute tutt’ora più che significative. Egli ora afferma che “il problema degli europei è che non riescono più a comprendere quale sia l’autentico significato della religione in quelle società in cui essa rimane tutt’ora un forte fattore connettivo. Hanno dimenticato il loro stesso passato”.

Gauchet ha visto nella querelle delle vignette danesi “l’immenso risentimento di popolazioni che si sentono disprezzate, immondizia della storia, in una situazione di perpetuo fallimento rispetto al mondo occidentale. Tra l’altro, questi non valuta quanto la penetrazione della sua filosofia di vita e di pensiero sia distruttiva per gli equilibri delle società in cui si insedia; e ciò è vero soprattutto nel caso dell’Islam – che è una regola di vita, ancor prima che una religione. L’Occidente è cieco di fronte agli effetti della globalizzazione economica e sociale: la frammentazione della famiglia tradizionale e i violenti cambiamenti nei rapporti intergenerazionali e quelli tra uomini e donne. Siamo di fronte a una ribellione esistenziale”.

Ma come è possibile che ciò che è considerato umiliante nel mondo islamico sia invece considerato esilarante in India e in Cina? Secondo Gauchet, “il risentimento nazionalista non è più debole; tuttavia, questi paesi possono contare su una coesione collettiva e strutture politiche che permettono loro di far proprie le tecniche e le filosofie economiche occidentali – esattamente come ha fatto il Giappone. Possono ambire a battere gli occidentali nel loro stesso gioco, pur senza stravolgere la loro identità. Non esiste niente di simile nel mondo arabo-musulmano. Gli stati sono allo stesso tempo fragili e tirannici e non ci sono strumenti per la modernizzazione; in queste circostanze, si subiscono i danni provocati dalla rampante occidentalizzazione senza raccoglierne i benefici”.


L’assalto del materialismo

Da Nuova Dheli, Swami Agnivesh amplifica questa critica, sottolineando il conflitto tra materialismo occidentale e religioni orientali, affermando che ”più che in qualsiasi altro campo del sapere, la riduttiva ontologia occidentale ha provocato il diffondersi di un’ansia e di un’ostilità profondamente radicate verso le religioni orientali. In questo, il mondo occidentale, per qualche strana ragione, non ha tenuto conto del fatto che tutte le religioni hanno origini orientali e che l’unica religione, o pseudo-religione, nata in Occidente è il materialismo. Capiamo bene, dunque, come fosse inevitabile che la diffidenza nei confronti delle religioni orientali si dirigesse, infine, anche verso la cristianità”.

Agnivesh avverte che “non si dovrebbe permettere alle religioni di infettare l’emergente ordine del mondo con il veleno dell’alienazione e dell’ostilità. Lo scenario afgano post 11 settembre deve essere visto come un primo avvertimento di come andranno le cose in futuro”.

In queste circostanze non desta sorpresa la missione che si è assegnato Bawa Jain [il Jainismo è una corrente filosofico-religiosa indiana, che predica la nonviolenza], segretario generale del 'World Council of Religious Leaders'. Il Consiglio è stato fondato nel 2002 in Tailandia; la sede centrale si trova a New York e la segreteria a Bangkok. Jain considera un convegno come quello di Isfahan come l’inizio di una strada lunga e tortuosa per istituire – con ogni probabilità in Medio Oriente – un’entità realmente potente, “fuori dal contesto delle Nazioni Unite”; e per stimolare una consapevolezza globale che permetta al Consiglio di diventare abbastanza influente da essere preso seriamente in considerazione dalle grandi potenze. Jain è “un indiano-americano, di origine persiana. Sono un seguace del Mahatma Gandhi. Penso che ciò che sta accadendo sia dovuto ad una fondamentale mancanza di istruzione. I leader politici hanno bisogno di essere sensibilizzati, nessuno di loro ha chiesto perdono al 20-25% della popolazione mondiale che è di fede islamica e si sente insultata. Gli indù e i buddisti costituiscono un altro 20-25% della popolazione mondiale e neanche i loro sentimenti sono presi in considerazione”. Inoltre, Jain ricorda che “molte persone mi hanno chiesto perché mai mi stessi recando in un paese pericoloso come l’Iran”.

Più di 30.000 ebrei vivono in Iran senza alcun problema, vanno in sinagoga e sono rappresentati nel majlis [il parlamento iraniano]. Secondo Jain si tratta più che altro di un problema di pubbliche relazioni dell’Islam, che non riesce a diffondere il proprio messaggio in Occidente.

In questo caso, chi sono i responsabili per quel cambiamento globale di percezione, che abbiamo descritto sopra? Jain addita “i leader religiosi, dovunque essi siano; devono essere fortemente coinvolti nei problemi sociali, devono essere appassionati ed eloquenti, molto più dei politici”.

Potrebbe essere questo il messaggio di speranza inviato dalla capitale culturale dell’Islam.


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