La rivoluzione dei contadini siciliani, 3.000 ettari di grani antichi contro le multinazionali

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wheaton80
00venerdì 29 aprile 2016 12:35



Tornano i grani antichi in Sicilia. Tornano a riempire i campi, ricostruiscono paesaggi, arricchiscono la biodiversità di un'agricoltura che da decenni ha ridotto a poche specie super selezionate il frumento dell'isola che fu uno dei granai dell'Impero romano. Ufficialmente sono solo 500 ettari, ma c'è chi parla di 3.000. I contadini che stanno passando al biologico e al recupero delle sementi locali crescono di anno in anno, si associano, mettono in piedi filiere alimentari e fanno cultura, oltre che coltura. “Ho convertito 100 ettari dell'azienda familiare a grano locale”, confessa Giuseppe Li Rosi, uno dei più convinti sostenitori del ritorno all'antico in agricoltura, "e sono il custode di tre varietà locali, Timilia, Maiorca e Strazzavisazz". I custodi seminano queste rarità botaniche, dedicando almeno 10 ettari a ogni coltura, si impegnano nella ricerca storica e a mantenere la purezza del seme. Li Rosi, contadino da generazioni, è anche il Presidente dell'associazione Simenza, cumpagnia siciliana sementi contadine 8https://www.facebook.com/Simenza-cumpagn%C3%ACa-siciliana-sementi-contadine-1683211235255494/?pnref=lhc), che mette insieme settanta produttori, "ma altri cento sono pronti a entrare", assicura Giuseppe. La sperimentazione, oltre alla conservazione, è all'ordine del giorno nella Cumpagnia: si coltivano campi anche con miscugli di sementi, un procedimento diametralmente opposto alla tecnica moderna, che ricerca l'uniformità, lo standard in nome della quantità. Nei campi di Simenza, invece, variabilità e mescolanza innescano una selezione naturale che fortifica le spighe e che non ha bisogno della chimica, si adatta alle condizioni ambientali, alla composizione e all'esposizione del terreno. Serve solo un pò di pazienza: il secondo e il quarto anno la produzione subisce incrementi significativi. Il risultato biologico è sorprendente: basta attendere solo qualche ciclo semina-raccolto-semina e alla fine ogni azienda avrà un mix diverso di grani che collaborano tra loro, naturalmente. Questa biodiversità è foriera di almeno due vantaggi: una miglior competitività contro le specie infestanti e un naturale adattamento al cambiamento delle condizioni climatiche. È il principio della selezione partecipata, promosso a livello nazionale dall'AIAB, Associazione Italiana per l'Agricoltura Biologica. In Sicilia, il ritorno dei grani antichi sta trasformando anche il paesaggio. Sui Nebrodi, per esempio, il frumento era scomparso da tempo. Quest'anno 50 ettari di grano hanno riportato l'agricoltura in montagna. Un ritorno analogo si sta manifestando sulle Madonie e sui Peloritani.

Non è un processo facile. Le leggi sulle sementi favoriscono le multinazionali del settore: un pugno di aziende controllano quasi il 60% dell'industria sementiera e non sembrano preoccuparsi di pochi nostalgici delle coltivazioni tradizionali. Inoltre il TIPS, l'accordo commerciale internazionale, proibisce lo scambio di semi tra gli agricoltori, rendendo ardua la possibilità di conservare e tramandare quelli autoctoni. "Ci è concessa solo la modica quantità", ammette Li Rosi. Tuttavia, il movimento siciliano per liberare la produzione di cibo dalle leggi delle colture intensive e inquinanti è vasto. Le facoltà di Agraria sono gettonatissime e la ricerca avanza: a Caltagirone esiste una Stazione consorziale sperimentale di granicoltura che dipende dall'assessorato regionale all'agricoltura e che ha redatto un catalogo di oltre 250 varietà di grano e di 50 leguminose siciliane. Anche la medicina non sta a guardare. Antonio Milici, neurologo e neuropsichiatra, reduce dal recente convegno "Grani antichi siciliani: ambiente e salute", organizzato da ADAS, l'Associazione per la Difesa dell'Ambiente e della Salute, punta l'attenzione sul legame tra malattie e alimentazione:"E’ strettissimo", afferma. "Dalla celiachia alle intolleranze, dal diabete all'ipertensione, ai problemi cardiovascolari, il sistema immunitario è messo a dura prova dalle sostanze che il nostro corpo assume quotidianamente". Com'è ormai noto ai più, tutto si lega: stile di vita, alimentazione, attività fisica, gestione delle emozioni. Non si tratta solo del fisico, perché si stanno studiando correlazioni che a prima vista potrebbero sembrare azzardate:"Alcune malattie della psiche possono avere come concausa un'alimentazione basata su cibi non sani o alterati dalla chimica", afferma Milici. Siamo quello che mangiamo: il ritorno dei grani antichi, allora, potrebbe influire notevolmente sul nostro benessere psico-fisico. E difendere l'ambiente e la salute come fossero due facce della stessa medaglia è la risposta più appropriata per recuperare l'armonia perduta.

Marco Angelillo
28 aprile 2016
www.repubblica.it/ambiente/2016/04/28/news/la_rivoluzione_dei_contadini_siciliani_3_000_ettari_di_grani_antichi_contro_le_multinazionali-13...
wheaton80
00lunedì 16 maggio 2016 14:34
Il contadino batte la globalizzazione: un italiano su quattro fa la spesa da lui

MILANO - Nel mercato globalizzato dell'Unione Europea, del TTIP, e dove anche Amazon si è messo a fare concorrenza agli alimentari tradizionali, vince - a sopresa - il vecchio contadino tornato prepotentemente di moda. Negli ultimi cinque anni, infatti, triplicati gli italiani che fanno la spesa nelle fattorie o nei mercati degli agricoltori, dove è stato raggiunto il record di 15 milioni di presenze nel 2015 (un italiano su quattro). E' quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixè, a 15 anni dall'approvazione della legge di orientamento che ha allargato i confini dell'imprenditorialità agricola, aprendo a nuove opportunità occupazionali nell'agri-benessere, nella tutela ambientale, nel risparmio energetico, nelle attività sociali, nella trasformazione aziendale e nella vendita diretta. "Un exploit da ricondurre - sottolinea la Coldiretti - all'attenzione per il benessere, la forma fisica e la salute, oltre che alla crescente attenzione alla sostenibilità ambientale e alla valorizzazione del proprio territorio, come dimostra il fatto che il 70% degli italiani è addirittura disposto a pagare di più un alimento del tutto naturale, il 65% per uno che garantisce l'assenza di OGM, il 62% per un prodotto bio e il 60% per uno senza coloranti". La domanda di naturalità, spiega la Coldiretti, ha fatto nascere anche nuovi prodotti come gli 'agri-gelati', che utilizzano il latte dalla stalla al cono, le 'agri-birre', con l'impiego dell'orzo aziendale in un contesto produttivo a ciclo chiuso garantito dallo stesso agricoltore o gli 'agri-cosmetici', che sono ottenuti da proprie coltivazioni o allevamenti, da quelli a base di bava di lumaca al latte d'asina, al miele, all'olio o al vino. Si assiste inoltre anche ad inaspettati ritorni, come il pane del contadino, che utilizza grano recuperato dal rischio di estinzione. Un vero boom, sottolinea l'organizzazione agricola, che ha portato alla nascita di oltre diecimila punti vendita gestiti direttamente dagli agricoltori tra fattorie e mercati lungo tutta Italia dove trovano sbocco, tra l'altro, almeno 100 varietà vegetali definite minori e prodotti ottenuti da 30 diverse razze di bovini, maiali, pecore e capre allevati su scala ridotta.

14 maggio 2016
www.repubblica.it/economia/2016/05/14/news/coldiretti_spesa_contadino139768408/?...
wheaton80
00mercoledì 16 novembre 2016 23:51
Italia bio e biodinamica: un modello per l’Europa

Il clima che cambia e gli eventi estremi sempre più frequenti impongono l’urgenza di trovare al più presto una soluzione per fermare la febbre del Pianeta. Se tutta l’Europa seguisse il modello italiano, arrivando a coltivare in maniera biologica e biodinamica almeno il 10% dei suoli agricoli, le emissioni di gas serra dal settore agricolo potrebbero diminuire di quasi il 7%. E se si rispettasse il trend di crescita attuale, passando in pochi anni a coltivare ecologicamente il 20% del terreno agricolo della UE, il contributo all’abbattimento globale di CO2 nel Pianeta potrebbe arrivare a 92 milioni di tonnellate, pari a poco meno di quelle della sola Grecia attuale. Oggi la superficie europea coltivata bio arriva a poco più del 6% di quella totale: questa volta si tratta di fare come l’Italia, che pianta e semina a biologico e biodinamico quasi a ritmo doppio rispetto agli altri Paesi della UE. È questa la sfida lanciata dal 34° Convegno dell’Associazione dell’Agricoltura Biodinamica “Per la rinascita del Sud: le nuove frontiere dell’Agroecologia” a Napoli e a Capua, organizzato con il patrocinio dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, del FAI-Fondo Ambiente Italiano, dell’Ordine Nazionale degli Agronomi e di Demeter.

Le emissioni di CO2 del settore agricolo UE

Secondo gli ultimi dati disponibili nella UE, l’agricoltura produce 432,5 milioni di tonnellate di CO2, pari al 10,2% delle emissioni totali. Molti studi dicono, di contro, che la bioagricoltura produce il 40% in meno di gas serra rispetto a quella convenzionale, grazie a un minor uso di chimica e di energia e a un maggior ricorso al lavoro umano nel vero e proprio processo di coltivazione. Contemporaneamente, i suoli bio, specialmente quelli biodinamici, la cui maggiore capacità di fertilità è universalmente riconosciuta, fissano nel suolo una quantità di carbonio compresa tra 0,3 e 0,6 tonnellate l’ettaro ogni anno. In questo modo la bioagricoltura cura l’effetto serra.

Luca Serafini
15 novembre 2016
www.rivistanatura.com/italia-bio-e-biodinamica-un-modello-per-...
wheaton80
00giovedì 22 dicembre 2016 18:13
Bologna, ecco il forno comunitario:"Vi aspettiamo per cucinare insieme il pane"



Da molti anni Teatro dei Mignoli mette in campo idee e azioni per trovare nuove occasioni per condividere saperi e idee, per reincontrarsi nelle pratiche quotidiane, per costruire nuovi rapporti interpersonali. Ultimo atto in questo senso è l’inaugurazione di un forno comunitario, sabato 19 dicembre, dalle 11 alle 14, nella Serra dei 300 scalini, lo spazio in via Casaglia 37 che il gruppo condotto da Mirco Alboresi sta portando a nuova vita. L’idea arriva recuperando una pratica antica, tipica della cultura contadina, molto diffusa anche nel bolognese, anche se, a dire il vero, impastare e cuocere il pane oggi, inseguendo gli ultimi trend culinari, è di gran moda. “Abbiamo iniziato i lavori di recupero dello spazio la scorsa primavera”, spiega Alboresi. “Durante l’estate abbiamo costruito il forno con sabbia, argilla e paglia secca; lo abbiamo testato, collaudato e ora è possibile utilizzarlo”. Tutti sono invitati a presentarsi con il proprio impasto, di pane, di pizza, di crescente, e dietro ad un contributo ad offerta libera si potrà tornare a casa con una pagnotta croccante e profumata. “Ogni contributo è ben accetto – continua Alboresi – anche in termini di legna o una bottiglia di vino. L’idea è creare una piccola comunità che si ritrovi attorno a questo antico rito che per il momento si ripeterà l’ultimo sabato del mese. Per il futuro vorremo intensificare le infornate e stiamo pensando di organizzare incontri o workshop condotti da esperti, su farine, impasti, lieviti, cotture”. Si accede alle Serre attraverso il Parco del Pellegrino o per l’entrata delle scuole Casaglia. Info: teatrodeimignoli@alice.it.

Paola Naldi
18 dicembre 2015
bologna.repubblica.it/cronaca/2015/12/18/news/bologna_ecco_il_forno_comunitario_vi_aspettiamo_per_cucinare_insieme_il_pane_-12...
wheaton80
00martedì 17 gennaio 2017 00:36
I ribelli della campagna:"Così barattiamo semi per liberare la terra"

RONCO SCRIVIA (GENOVA) - Una manciata di semi di zucca gialla in cambio di un pugno di fagioli di Feltre. Un cesto di limoni delle Cinque Terre per quei chicchi di frumento toscano. Conosce il cavolo lucano, perché non pianta questo bel melo trentino? Provi il peperoncino nero di Salerno, è una rarità. Niente denaro, qui si baratta. Si parla, ci si conosce. Vent'anni fa erano poche decine di fuorilegge, come minimo rischiavano un'ammenda. Adesso a ogni appuntamento sono migliaia. E alle loro spalle cresce un movimento "neorurale" che potenzialmente - tra campi, orti, giardini e balconi riadattati, in paese ed in città - conta in Italia sui tre milioni di praticanti. Almeno. Ieri a "Mandillo dei semi" erano oltre duemila persone. A Ronco Scrivia, un paese sulle alture di Genova. Mandillo, in dialetto, sta per fazzoletto: e dunque, scambiarsi i semi prodotti dalla propria terra, piccola o grande che sia, e riporli in un mandillo per regalarli al prossimo. Uno sconosciuto, un nuovo amico. Un mercato di idee, di ribellione, di speranze: un nuovo modo di vivere. "Libera festa del libero scambio di semi autoprodotti e lieviti di casa, esposizione di frumenti e frutta antica", recitava la locandina. In Italia ci sono almeno 80 appuntamenti così, durante l'anno. Un altro mondo possibile: di piccoli contadini indipendenti, di appassionati che tornano alla terra per tanti motivi diversi. E non importa se è un campo, un orto urbano o sociale, un giardino o un grande vaso su di un balcone nel cuore della metropoli:"L'importante è vedere che la pianta cresce. E con lei, anche noi". Giovanni Zivelonghi era operaio in una nota industria chimica di Verona, la Glaxo. Da quando è in pensione, ha una seconda vita sulle montagne della Lessinia. "Zappo, semino, bagno, raccolgo. Vivo bene". Vuole condividere, e allora con alcuni amici è venuto fin giù vicino al mare di Genova e in alcune bustine regalava semi di tutto: zucca forte, gialla, costoluta, insalata del Tita (il "Tita" era un vecchio contadino delle sue parti, che ha lasciato una "straordinaria eredità ", racconta), fagiolini nani, tegolini del Monte Pastello.

Arriva un signore di Pieve Ligure, lascia un paio di limoni e si prende una bustina. Un altro allunga dei semi di tabacco:"Fa fiori bellissimi, se avete pazienza ci potete riempire la pipa". Giovanni ringrazia. Spiega che il mese scorso ha ritrovato una signora che a Milano fa l'architetto:"Le avevo dato del radicchio rosso veronese. Piccolino, non come quello di Chioggia: mi ha detto che lo ha tenuto in casa e al caldo ha sviluppato un cuoricino stupendo. Era felice". "Giangi" Benetti, un amico, sorride: pure lui faceva l'operaio, poi si è messo a coltivare i campi. "Qui la gente scambia esperienze che a volte non ci credi: io piantavo da anni una zucca spinosa e non succedeva niente, poi è arrivato uno - di mestiere fa il bancario, pensa un pò - e mi ha spiegato come facevano dalle sue parti, in Piemonte. Ha funzionato". Una fetta di torta di mele: basta e avanza per portarsi via una pianta di fico nero e qualche talea di pruno. Altri arrivano a mani vuote e se ne vanno con le tasche piene. Di semi, di consigli, di storie. Massimiliano Nunziata è un cuoco torinese. Cinque anni fa è tornato per caso a Salerno nel casale del nonno, ha trovato dei vecchi fagioli in una cassetta di alluminio. "Li ho coltivati per sfida. Buonissimi. Magari non redditizi, lo so. Ma veri". La sua è diventata una missione: si è messo in contatto via Facebook con alcuni gruppi e ad oggi ha raccolto un migliaio di differenti varietà. Che regala, in cambio di altre sementi. L' ‘altra’ agricoltura. Quella che non punta al profitto ma alla qualità anche morale, alla piccola soddisfazione personale. Pure in un metro quadro, in un balcone o in un orto urbano o sociale, come quello chiesto e ottenuto da Luca Fiorelli, studente universitario di Cesate, provincia di Milano:"Un anno fa eravamo in 4: adesso siamo in 30, a coltivare". Gli italiani riscoprono la terra, in campagna e in città. Vogliono sapere, informarsi. Il mensile Terra Nuova ha 130mila lettori e come casa editrice ogni anno pubblica circa duecento titoli: altre case editrici - come Pentàgora - vivono di questo. Terre Rurali è l'associazione protagonista del recupero delle varietà di frumento. Il gruppo Facebook di Permacoltura conta su oltre 12mila iscritti. Sì, vent'anni fa erano dei fuorilegge. "Prima del 2000, scambiarsi semi prodotti dalla propria terra era un delitto punito dal codice con un'ammenda salata. Le uniche varietà di semi ammessi erano quelle stabili, nazionali", racconta Massimo Angelini. Che cominciò una sorta di disobbedienza civile: il primo "scambio delle sementi". Dieci anni fa il governo riconobbe la biodiversità italiana. "Da allora siamo passati da 5 o 6 varietà di frumento conosciute a 110. Tanti panifici, in Puglia e Toscana, Sicilia, li stanno adottando. È solo l'inizio".

Massimo Calandri
16 gennaio 2017
www.repubblica.it/cronaca/2017/01/16/news/i_ribelli_della_campagna_cosi_barattiamo_semi_per_liberare_la_terra_-15...
wheaton80
00sabato 15 luglio 2017 14:13
Terreni in dono ai giovani contadini: un successo clamoroso

Alcuni mesi fa abbiamo parlato di ‘Antiche Terre Giovani Progetti’ (http://www.italiachecambia.org/2016/03/contadini-cercasi-antiche-terre-giovani-progetti/), l’iniziativa di due coniugi non più giovanissimi che possedevano dei terreni agricoli in Toscana e in Piemonte, di cui però non erano più in grado di occuparsi. Mossi dalla volontà di aiutare i giovani che volevano avvicinarsi all’agricoltura e, al tempo stesso, decisi a evitare che le loro terre diventassero incolte e abbandonate, hanno lanciato questa iniziativa. Lo scopo? Individuare promotori di progetti innovativi e sostenibili a cui concedere in uso gratuito questi terreni. A quasi due anni dal lancio dell’iniziativa, abbiamo parlato nuovamente con Lia, una delle promotrici. Come ci racconta, il successo è stato incredibile: c’è stato un grande riscontro da parte non solo di giovani con progetti agricoli virtuosi, ma anche di altri proprietari terrieri che volevano utilizzare le stesse modalità per assegnare i propri possedimenti. Nei prossimi giorni parleremo nel dettaglio di entrambi, presentando i neonati progetti agricoli e lanciando nuove call per l’assegnazione di altri terreni, sparsi in tutta Italia.

Quante sono state le richieste che vi sono giunte da quando il progetto è stato lanciato sino a oggi?
Il progetto è partito nei primi mesi del 2015 e da allora abbiamo ricevuto circa 650 richieste. Si è trattato soprattutto di giovani dai 20 ai 35 anni disoccupati, ma laureati in diverse discipline e di alcuni cinquantenni o ultracinquantenni che hanno perso il lavoro. Poche sono state le persone con istruzione bassa o media. Tutti si sono dimostrati desiderosi di un’opportunità. Non abbiamo chiesto nessun requisito particolare se non la voglia di confrontarsi con una realtà lavorativa certo non facile. Le richieste sono state compilate sulla base di un modello di domanda preparato grazie alla collaborazione di un membro del Centro Studi Sereno Regis di Torino e inserito come allegato nel nostro sito. Ci hanno scritto non solo dall’Italia, ma dal Burundi, da New York, da Francia, Svizzera, Brasile e altri luoghi: erano persone emigrate desiderose di rientrare in Italia.

Ci puoi fare una breve panoramica dei progetti vincitori e spiegarci cosa vi ha convinto a scegliere loro?
Analizzate le domande per diversi mesi, abbiamo iniziato a prendere contatti con i ragazzi che ritenevamo più idonei a seguire il nostro progetto, ne abbiamo individuati uno per le terre in Toscana e tre per quelle in Piemonte. Per la Toscana Federico ci è parso idoneo sia per i suoi titoli di studio, sia per i suoi intenti. La sua idea era quella di realizzare una fattoria didattica, sociale e biologica praticando la permacultura. Riguardo a questo metodo ci avevano scritto molti candidati, ma in più Federico desiderava contribuire a rivalorizzare la Maremma lavorando in collaborazione con le aziende agricole maremmane, i parchi, gli organi di gestione ambientale, nonché con le Università toscane di Siena, Pisa e Firenze. Io tengo molto a questa terra dove sono cresciuta e assistere al suo progressivo impoverimento e abbandono mi dispiace tantissimo, per cui l’idea di Federico mi è parsa particolarmente interessante. Inoltre l’intento era di fare della sua futura azienda un centro di recupero, valorizzazione e commercio di specie vegetali autoctone ornamentali e commestibili, domestiche e selvatiche, officinali e aromatiche ponendosi all’interno di una rete di imprese locali volte a collaborare tra di loro per la fornitura di beni e servizi. Questo spirito di collaborazione ci è particolarmente piaciuto in quanto lo riteniamo indispensabile per riuscire a progredire in un ambito così difficile. Per quanto riguarda il Piemonte l’idea di Simone e Luca ci ha attirato in quanto anche in questo caso si trattava di inserirsi nel territorio del Monferrato per valorizzarlo con attività inerenti a tale zona, in particolare la viticoltura e la produzione di vini di qualità. L’idea era quella di costituire un vigneto sperimentale per combattere la flavescenza dorata – che rappresenta un problema fitosanitario di primaria importanza nel panorama viticolo regionale – e di ristrutturare e riqualificare il cascinale esistente nel quale poteva essere realizzata una moderna cantina di vinificazione. Scriveva infatti Luca:“La realizzazione di una struttura con tutte queste caratteristiche potrebbe essere un atto di valorizzazione non solo per la borgata di San Desiderio, ma anche per tutto il territorio circostante. Pensare il ciclo produttivo aziendale non solo al servizio delle etichette della famiglia Rabezzana, ma anche al servizio della trasformazione di produzioni locali esterne all’azienda sarebbe di sicuro un’occasione di crescita territoriale. Offrire infatti un servizio di vinificazione conto terzi per i viticultori locali consentirebbe di preservare le tipicità territoriali che rischiano di scomparire con la politica delle cantine sociali e allo stesso tempo si garantirebbe la conservazione della biodiversità viticola”. Si trattava inoltre di coltivare ortaggi e frutta secondo i dettami della permacultura e di intraprendere nella cascina ristrutturata una serie di attività socio/teatrali con l’intento di portare dinamismo culturale nel territorio e allo stesso tempo di incentivare le persone dei centri urbani prossimi a conoscere e visitare il patrimonio inestimabile della zona Monferrato già riconosciuto dal turismo straniero. Insomma anche in questo caso, come per la Toscana, veniva proposto un progetto di agricoltura sostenibile con particolare riguardo all’ambiente sociale ed economico circostante per contribuire alla sua riqualificazione e al suo sviluppo territoriale. I titoli di studio e l’esperienza lavorativa di almeno uno dei due ragazzi era l’assicurazione per un buon lavoro futuro.

Vi aspettavate che, oltre a giovani con progetti agricoli, vi potessero contattare anche altri proprietari che volevano seguire le vostre orme?
Sinceramente no, ma fin da subito si sono fatti vivi almeno in dieci. Uno dei primi è stato un signore campano, che ha già assegnato una parte delle sue terre a tre giovani. Sta anche pensando di trasformare la sua azienda individuale in una cooperativa e per questo è alla ricerca di giovani motivati e disposti a sperimentare l’idea. Un’occasione straordinaria per molti giovani di diverse specialità. Anche la proprietaria di terre situate nei pressi di Terni ha individuato tre giovani da coinvolgere nel progetto.

Chi sono i nuovi proprietari che vi hanno contattato e perché hanno deciso di rivolgersi a voi?
Come indicato nel nostro sito appositamente messo in rete per questo progetto, altri proprietari si sono collegati con noi, sia perché la nostra notizia ha fatto il giro su moltissimi siti anche al di là delle nostre intenzioni, sia perché oggettivamente non è così facile reperire notizie in questo campo. In particolare, ci hanno contattato proprietari di terre situate a Capaccio, a 10 chilometri da Paestum, in provincia di Salerno, nelle vicinanze di Castelbuono e a Polizzi Generosa, in provincia di Palermo, un proprietario umbro che ha chiesto di rimanere anonimo a cui ho inviato alcuni nominativi di giovani che ci avevano scritto e – proprio in questi giorni – sto prendendo accordi con altri due proprietari, uno in Abruzzo ed uno in Toscana in provincia di Grosseto. Ad altri proprietari che volessero intraprendere la nostra strada ho più volte ribadito che – considerato anche che la vita è breve! – si possono ricavare vere soddisfazioni dal compiere qualche azione utile durante la propria esistenza! Seguire dei giovani che finalmente possono iniziare qualcosa di proprio invece di arrabattarsi continuamente tra mille lavoretti, dà fiducia a noi e a loro: il loro entusiasmo è contagioso! Oltretutto le proprie terre possono essere valorizzate invece che cadere in uno stato di abbandono: tenersi stretta tutta la “roba” – come ci ricorda il nostro Verga – in fondo non paga. Alla fine del contratto, se ci saremo ancora, potremo decidere di rinnovarlo oppure venderlo al giovane che lo ha coltivato o ancora riprenderlo in mano, salvo stabilire i compensi reciproci. Comunque sia il terreno avrà dato soddisfazioni a noi proprietari, che ancora non ce la sentiamo di abbandonare definitivamente le terre dei nostri genitori, e sicuramente a qualche giovane. Non ci rimettiamo niente, anzi! A noi di una certa età il compito di cercare di migliorare il futuro dei giovani, ai giovani quello di impegnarsi per il loro futuro.

Pensi che in futuro la modalità di assegnazione che avete ideato potrebbe o dovrebbe diffondersi sempre di più?
Sarebbe una buona cosa, è un modo per diffondere l’iniziativa e permette di conoscere direttamente le persone con le quali scambiare significative idee per lo sviluppo agricolo del nostro Paese, ma il problema diventa la gestione: se continuiamo così dobbiamo rimetterci a lavorare, sebbene in pensione! Per questo è bene che testate come la vostra ci aiutino, in fondo siete giovani anche voi!

Cosa può fare un giovane che vuole rispondere alla vostra chiamata?

Come indicato nel sito (http://www.relaissandesiderio.com/anticheterre/), può contattare direttamente il proprietario tramite e-mail e mettersi d’accordo. Noi che abbiamo già assegnato le nostre terre ormai facciamo solo da tramite. Sul sito compare anche una scheda che può essere utile, se richiesta dal proprietario, per specificare meglio il proprio progetto. Noi possiamo fornire consulenza assolutamente gratuita a quei giovani che volessero eventualmente fare domanda per i fondi regionali per l’agricoltura, in quanto mio marito si occupa di fondi europei per lavoro, l’abbiamo già fatto per i nostri ragazzi in Toscana e Piemonte.

Francesco Bevilacqua
26 maggio 2017
www.italiachecambia.org/2017/05/terreni-dono-giovani-co...
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00lunedì 25 dicembre 2017 02:24
Colpaccio agricolo: ora i contadini potranno vendere direttamente cibo cucinato

“Storico via libera allo street food contadino dal campo alla tavola nella manovra 2018”. Lo ha reso noto il Presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo in occasione dell’Assemblea Nazionale di fine anno nel commentare “positivamente la manovra che contiene importanti misure per il settore agricolo, dalla decontribuzione per giovani agricoltori, al bonus verde fino alla sterilizzazione delle aliquote IVA”.

La sfida sul food
Erano anni che la Coldiretti e Campagna Amica combattevano per offrire la possibilità all’imprenditore agricolo di entrare in prima persona nel mondo del food, dopo gli storici passaggi che hanno visto protagonista la campagna nelle tavole degli italiani e sul palcoscenico dei palati sottili e del cibo di qualità. Dall’agriturismo, agli agri chef, dalle occasioni della vendita diretta fino alla garanzia della qualità a tavola con il chilometro zero, è stato un susseguirsi di traguardi raggiunti, che hanno visto trasformare il contadino in imprenditore agricolo, protagonista nel campo della salute, del benessere, della qualità a tavola, garantendo in prima persona. “Per la prima volta”, sottolinea Coldiretti Umbria, “gli agricoltori potranno vendere direttamente i propri prodotti anche derivati da processi di manipolazione o trasformazione e pronti per il consumo, anche in forma itinerante. Il cibo da strada contadino non è l’unica novità. Nella manovra, infatti”, spiega Coldiretti, “è contenuto anche il ‘Bonus verde’, ossia la detrazione ai fini IRPEF del 36% delle spese per lavori di ‘sistemazione a verde’ di aree scoperte private di edifici esistenti, unità immobiliari, pertinenze o recinzioni, impianti di irrigazione e realizzazione pozzi, nonché per la realizzazione di coperture a verde e di giardini pensili. Il bonus si applica nel limite massimo di spesa di 5.000 euro per interventi sulle singole unità immobiliari e sulle parti esterne condominiali. Una battaglia vinta dalla Coldiretti che aiuta l’economia ed il lavoro in un settore determinante del Made in Italy come il florovivaismo, ma che è anche importante per abbellire le città e per ridurre lo smog».

Defiscalizzazione

“Per i giovani agricoltori under 40”, sottolinea Coldiretti, “è stato anche riconfermato l’esonero triennale dal pagamento dei contributi previdenziali e una riduzione contributiva nel limite del 66% per il successivo anno e del 50% per l’ulteriore anno: una misura per sostenere la crescente domanda di giovani che vogliono fare impresa in agricoltura in Italia. Per gli allevatori è stato previsto l’innalzamento delle percentuali di compensazione IVA sulle cessioni di animali vivi della specie bovina e suina in misura rispettivamente non superiore al 7,7% e all’8% per ciascun anno nel 2018, 2019 e 2020. Infine è determinante nella manovra la sterilizzazione degli aumenti IVA e accise che interessa anche beni di prima necessità come carne, pesce, yogurt, uova, riso, miele e zucchero con aliquota al 10% e il vino e la birra al 22%, che rappresentano componenti importanti nei consumi delle famiglie».

Natale e Capodanno

Intanto, secondo un’analisi Coldiretti presentata all’assemblea cui ha partecipato anche una delegazione dall’Umbria, l’agroalimentare con regali enogastronomici, pranzi e cenoni è quest’anno la voce più importante del budget che le famiglie italiane destinano alle feste di fine anno, con una spesa complessiva per imbandire le tavole del Natale e del Capodanno di 4,8 miliardi di euro, il 10% in più dello scorso anno. Il menu resta fortemente legato alla tradizione Made in Italy: la novità di quest’anno è l’arrivo nel piatto dei cosiddetti superfood ai quali sono associate specifiche proprietà salutistiche. Più di un italiano su quattro (26%) li porterà in tavola con una positiva tendenza a riscoprire quelli della “nonna”, dalle noci al farro, dalle visciole alla roveja. Si assiste tra l’altro, conclude Coldiretti, a una fortissima attrazione verso il fai da te casalingo, con ben il 48% delle famiglie che preparerà in casa almeno un dolce tipico delle feste.

20 dicembre 2017
www.umbria24.it/economia/colpaccio-agricolo-ora-contadini-potranno-vendere-direttamente-cibo-...
wheaton80
00lunedì 26 marzo 2018 04:49
In 10 anni raddoppiate aziende agricole biodinamiche

FIRENZE - In dieci anni in Italia sono praticamente raddoppiate le aziende agricole biodinamiche che seguono le tecniche codificate nel 1924 da Rudolf Steiner, tra fasi lunari, corna di vacca e soluzioni omeopatiche. Sono 400 le realtà certificate, per un'estensione che sfiora i 12mila ettari (dato 2017), ma considerando quelle non ancora certificate la stima è di 4.500 aziende, per un mercato che raggiunge i 200 milioni di euro di fatturato, con esportazioni in Giappone, negli USA e nei Paesi scandinavi. Così un'analisi di Coldiretti presentata al convegno 'Il futuro dell'agricoltura biologica e biodinamica', in programma oggi alla Fortezza da Basso di Firenze per FirenzeBio, mostra mercato dedicata ai prodotti biologici e biodinamici. Le aziende biodinamiche, spiega ancora la Coldiretti, sono presenti in tutti i comparti, dagli ortaggi all'allevamento, dal florovivaismo al vino, al quale si dedicano il 20% del settore. La superficie media è di 30 ettari per azienda, ma ci sono realtà anche più grandi che contano centinaia di ettari. La crescita è determinata dalla sensibilità ecologica che si sta diffondendo tra i cittadini: 6 italiani su 10 nel 2017, secondo l'indagine Coldiretti/Ixé, hanno acquistato almeno qualche volta prodotti bio, segno di una maggiore attenzione all'impatto ambientale dei propri comportamenti. La biodinamica, si spiega ancora, rappresenta una interpretazione delle produzioni agricole centrata sulla sostenibilità dei terreni nell'ambito di un più generale equilibrio del mondo naturale, ma è anche un investimento dal punto di vista ambientale ed economico, visto che la resa per ettaro può raggiungere i 10mila euro di valore. L'agricoltura biodinamica, prosegue Coldiretti, ha sostenitori in ogni continente del pianeta, con una stima di quasi 2 milioni di ettari coltivati, anche se la maggiore diffusione, conclude la Coldiretti, si registra in Europa, ed in particolare in Germania, dove si realizza oltre 1/3 della produzione a livello internazionale. “Esiste nel mondo una domanda di sostenibilità alla quale le imprese agricole italiane possono dare una risposta”, spiega Roberto Moncalvo, Presidente di Coldiretti. “E l'Italia, che già ricopre un ruolo da leader nel biologico, cresce da protagonista anche nel biodinamico, un comparto che sta diventando sempre più apprezzato e importante in tutto il mondo”.

24 marzo 2018
www.ansa.it/canale_terraegusto/notizie/mondo_agricolo/2018/03/24/in-10-anni-raddoppiate-aziende-agricole-biodinamiche_50c6c7aa-eb23-4f5b-97a5-c4c9fa74d...
wheaton80
00sabato 21 aprile 2018 23:36
Made in Italy, Coldiretti:"Bene stop Barilla al grano canadese"

“Gli agricoltori, per una giusta remunerazione del proprio lavoro, sono pronti ad aumentare la produzione di grano duro in Italia, dove è vietato l’uso del glifosato in preraccolta, a differenza di quanto avviene in Canada ed in altri Paesi”. E’ quanto afferma il Presidente della Coldiretti di Arezzo Tulio Marcelli in riferimento all’annuncio della Barilla, che ha “aggiornato i parametri qualitativi per questa materia prima strategica e chiede “ai produttori di grano duro di tutti i Paesi di non usare il glifosato prima del raccolto”, come avviene in Canada, che fino allo scorso anno era il principale fornitore straniero dell’Italia. Una scelta comunicata dal direttore degli acquisti di Barilla, Emilio Ferrari, a Toronto al Canadian Global Crops Symposium, dove ha sottolineato che “al momento Barilla non ha firmato nessun contratto per l’importazione del grano dal Canada”. In una situazione in cui un pacco di pasta su sette prodotto in Italia è fatto con grano canadese, si tratta, sottolinea Marcelli, di una svolta storica della principale industria pastaia del mondo, che risponde alle sollecitazioni che vengono dai consumatori che chiedono garanzie di sicurezza alimentare. Un cambiamento che ha portato, continua il Presidente, al prepotente ritorno dei grani nazionali antichi, come il Senatore Cappelli, e alla rapida proliferazione di marchi e linee che garantiscono l’origine nazionale al 100% del grano impiegato, da Ghigi a Valle del Grano, da Jolly Sgambaro a Granoro, da Armando a Felicetti, da Alce Nero a Rummo, da FdAI firmato dagli agricoltori italiani fino a “Voiello”, che fa capo proprio al Gruppo Barilla, senza dimenticare molte linee della grande distribuzione. Le importazioni di grano duro dal Canada erano crollate già nel 2017 del 39,5% in valore, per un quantitativo comunque estremamente rilevate di 720 milioni di chili, secondo una analisi della Coldiretti su dati ISTAT. A pesare, continua la Coldiretti, l’entrata in vigore in Italia del decreto con l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza del grano impiegato.

Ora da Barilla fanno sapere, riferisce la Coldiretti, di aver investito 240 milioni in progetti che coinvolgono 5.000 imprese agricole italiane che coltivano una superficie di circa 65mila ettari, “con un incremento del 40% dei volumi di grano duro italiano nei prossimi tre anni”. “La scelta di Barilla è una buona notizia perché dimostra la capacità di un`azienda di rispondere alla preoccupazioni dei consumatori del nostro Paese che chiedono pasta fatta con il grano italiano ma anche di sostenere l’economia e l’occupazione sul territorio contro la delocalizzazione”, ha precisato il Presidente della Coldiretti aretina. L’Italia può contare su un milione e 350mila ettari di coltivazioni di grano duro, con un raccolto che, precisa il Direttore di Coldiretti Arezzo Mario Rossi, sfiora i 4 miliardi e 300 milioni di chili concentrato nell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Sicilia, che da sole rappresentano circa il 40% del totale nazionale. Nel mondo, evidenzia sempre Rossi, l’Italia detiene il primato sulla produzione di pasta, con 3,2 milioni di tonnellate all’anno davanti a USA, Turchia, Brasile e Russia. Ma è proprio sui mercati mondiali che si avvertono i primi campanelli di allarme, visto che, in controtendenza rispetto all’andamento del Made in Italy all’estero, che ha superato la storica cifra di 41 miliardi di euro, si riducono invece le esportazioni italiane di pasta, che nel 2017 hanno fatto segnare un preoccupante calo in valore secondo le analisi Coldiretti su dati ISTAT. Si tratta, sottolinea la Coldiretti, degli effetti della rapida moltiplicazione di impianti di produzione all’estero, dagli Stati Uniti al Messico, dalla Francia alla Russia, dalla Grecia alla Turchia, dalla Germania alla Svezia. Ora ci sono le condizioni per frenare i pesanti effetti della delocalizzazione che, dopo aver colpito la coltivazione del grano, sta interessando la trasformazione industriale, con pesanti conseguenze economiche ed occupazionali. La svolta dell’industria può quindi rappresentare, conclude la Coldiretti, una svolta per invertire la tendenza e valorizzare il Made in Italy dai campi alla trasformazione industriale.

18 aprile 2018
www.lanazione.it/arezzo/cronaca/made-in-italy-coldiretti-bene-stop-barilla-al-grano-canadese-1...
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00martedì 8 maggio 2018 00:16
Coldiretti, con Casillo accordo sul grano biologico

E' stato siglato in Italia il più grande accordo sul grano biologico mai realizzato al mondo per quantitativi e superfici coinvolte. Lo ha annunciato il Presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo in occasione dell'incontro su "Pasta da Agricoltura Biologica Italiana: da prodotto di nicchia a prodotto di massa". L'accordo di filiera tra Coldiretti, Consorzi Agrari d'Italia, FDAI (Firmato dagli Agricoltori Italiani) e Gruppo Casillo prevede la fornitura di 300 milioni di chili di grano duro biologico destinato alla pasta e 300 milioni di chili di grano tenero all'anno per la panificazione. L'intesa ha una durata di tre anni con la possibilità di una proroga per altri due, per un totale di 5 anni. Un accordo che rafforza la leadership dell'Italia in Europa nel numero di imprese che coltivano biologico, con 72.154 operatori e 1.796.363 ettari, con un aumento del 20% su base annua. La crescita della domanda, sottolinea la Coldiretti, ha spinto l'aumento delle produzioni. Tra le colture con maggiore incremento ci sono proprio i cereali (+32,6%), mentre a livello territoriale, continua la Coldiretti, la maggiore estensione delle superfici bio è registrata in Sicilia con 363.639 ettari, cui seguono la Puglia con 255.831 ettari e la Calabria con 204.428 ettari. Si tratta di una garanzia anche per sei italiani su dieci (60%) che nel 2017 hanno acquistato almeno qualche volta prodotti biologici, a conferma di una decisa svolta salutista nei consumi alimentari, secondo l'indagine Coldiretti/Ixe'. L'intesa Coldiretti/Casillo è anche una risposta alla domanda dei consumatori, che chiedono in misura crescente la garanzia di italianità della pasta acquistata, come dimostra la rapida proliferazione di marchi e linee che garantiscono l'origine nazionale al 100% del grano impiegato, da Ghigi a De Sortis, da Jolly Sgambaro a Granoro, da Armando a Felicetti, da Alce Nero a Rummo, da FDAI - Firmato dagli Agricoltori Italiani fino a "Voiello", che fa capo al Gruppo Barilla, e a Divella, che in questi anni ha avviato un percorso di filiera in Puglia con grano 100% italiano, frutto della ricerca SIS, società leader nel settore sementiero. Attualmente, riferisce la Coldiretti, l'Italia produce 4,3 milioni di grano duro su una superfice di un milione e 350mila ettari di coltivazioni, con 1,74 milioni di tonnellate importate dall'estero, delle quali 0,44 dall'Unione Europea e 1,3 milioni da Paesi extracomunitari, a partire dal Canada, dove il grano viene trattato in preraccolta con il glifosato secondo modalità vietate in Italia. "Gli agricoltori, per una giusta remunerazione del proprio lavoro, sono pronti ad aumentare la produzione di grano in Italia", ha affermato il Presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo in riferimento alla decisione di un numero crescente di operatori di non importare da Paesi a rischio glifosato.

07 maggio 2018
it.yahoo.com/finance/notizie/coldiretti-con-casillo-accordo-sul-grano-biologico-143425...
wheaton80
00giovedì 24 maggio 2018 15:12
Agricoltura biologica, in Sicilia boom bio tra i giovani agricoltori

L’agricoltura siciliana conferma la sua forte vocazione biologica. È quanto si evince dall’ultima mappatura delle imprese che operano in regime di agricoltura biologica realizzata da Accredia (l’Ente Unico Nazionale di Accreditamento designato dal governo), Unioncamere e InfoCamere. Secondo la mappatura, ricavata attraverso i dati delle Camere di Commercio di tutta Italia, le aziende biologiche sono 59.461 su tutto il territorio nazionale. Tra queste, il 55,8% hanno sede nel Mezzogiorno e ben 9.444 in Sicilia. “Si tratta di numeri importanti che denotano un trend di crescita costante che rappresenta un’opportunità di sviluppo per la nostra Regione”, afferma Salvatore Massimino, rappresentante catanese di ANGA – Giovani di Confagricoltura e produttore biologico di grano duro e legumi. “Sono molti i giovani imprenditori che, consci di questo fenomeno, hanno convertito i propri metodi di produzione dal convenzionale al biologico”. “Le produzioni ecosostenibili sono, infatti, un’importante opportunità per differenziare le produzioni siciliane e riuscire ad aggredire mercati nazionali e internazionali affamati di tali produzioni”, aggiunge il rappresentante dei giovani agricoltori. “Secondo i giovani di Confagricoltura, un ruolo strategico in questa vicenda è quello che dovrebbero svolgere le politiche di indirizzo del Programma di Sviluppo Rurale 2014/2020. In particolare la misura 11 del PSR ‘Agricoltura biologica’ prevede un aiuto per chi adotta tali metodi di coltivazione e nel 2015 ha visto la partecipazione di oltre 3.500 aziende agricole siciliane”, spiega Massimino. “Uno degli scopi della misura è però vanificato dai continui ritardi nel pagamento dei premi spettanti agli agricoltori.

I premi dovrebbero sostenere, in particolare, le aziende che si sono introdotte per la prima volta nel sistema di certificazione e si trovano a dover fronteggiare i costi richiesti per ottenere la stessa, senza poter godere del vantaggio competitivo della vendita del prodotto certificato. Per i primi anni (due o tre secondo il tipo di coltura), invece, le suddette aziende si trovano in regime di conversione all’agricoltura biologica e quindi costrette a vendere in convenzionale”, sottolinea Massimino. Secondo Francesco Mastrandrea, Presidente regionale dei Giovani di Confagricoltura, “il sostegno all’imprenditoria agricola giovanile meriterebbe di essere al centro delle politiche di indirizzo dell’amministrazione regionale, ma con chi ha governato la Regione negli ultimi cinque anni non è stato così”. “Dalla nuova amministrazione regionale abbiamo avuto i primi importanti riscontri in termini di regolarizzazione dei rapporti con Agea per lo sblocco dei pagamenti relativi alle misure agroambientali”, aggiunge Mastrandrea. La programmazione regionale volge però al termine e restano ancora importanti traguardi da raggiungere, su tutti la richiesta avanzata dai giovani di Confagricoltura di potenziare la misura 6.1, che prevede aiuti all’avviamento di attività imprenditoriali per i giovani agricoltori. “L’ultimo bando regionale dedicato alla misura 6.1 ha visto la partecipazione di oltre 4.500 under 40 intenzionati ad avviare attività agricole, di cui appena il 20% sembrerebbe poter usufruire delle agevolazioni previste dalla misura, afferma il Presidente regionale dell’Anga. “Per dare spazio a chi rappresenta il futuro della nostra terra sarebbe inoltre opportuno ripubblicare al più presto la misura 11, ‘agricoltura biologica’, magari con una corsia dedicata ai giovani, al fine di far loro ricevere uno start-up necessario per alimentare sogni e speranze di un intero territorio”, conclude Mastrandrea.

27 aprile 2018
www.economysicilia.it/agricoltura-biologica-in-sicilia-boom-bio-tra-i-giovani-agri...
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00domenica 8 luglio 2018 23:16
Grande richiesta per il grano italiano

Negli ultimi mesi l'inopinata caduta di pioggia ha sfavorito le coltivazioni di grano in Italia. Tuttavia, non mancano motivi per sorridere agli agricoltori del Belpaese. Una analisi di Coldiretti sottolinea che "è boom in Italia per la coltivazione di grani antichi, come il Senatore Cappelli, che nella campagna 2017-2018 ha quintuplicato le superfici coltivate, passando dai 1.000 ettari del 2017 ai 5.000 attuali, trainato dal crescente interesse per la pasta 100% italiana e di qualità”. Dall'analisi di Coldiretti, sulla base di dati di Consorzi Agrari d’Italia e SIS, società leader nel settore sementiero, emerge inoltre che “le superfici seminate potrebbero ulteriormente raddoppiare già a partire dalla prossima stagione”. In Italia, dove ci sono 1,28 milioni di ettari coltivati a grano duro, a fronte di un leggero calo della superficie (-1,8% rispetto allo scorso anno), la produzione stagionale attesa per il 2018-19 è di 4,2 milioni di tonnellate, in linea con i risultati della campagna 2017-2018 (dati Italmopa):"Una mietitura di buona qualità ma a rischio per il maltempo", per cui la filiera del grano e della pasta rilancia su "ricerca e innovazione, dalla possibilità di collaborare con il CREA (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura) alla necessità di un piano cerealicolo nazionale".

Stop al grano canadese, "per colpa" del glifosato
“Mentre cresce il grano antico Made in Italy”, spiega Coldiretti, “si sono invece letteralmente azzerate le importazioni di grano canadese nel primo trimestre del 2018, appena 200mila chili rispetto ai 181 milioni di chili arrivati nei nostri porti nello stesso periodo dell’anno precedente”. Secondo l’associazione, si tratta degli effetti del generale riposizionamento dell’industria pastaia in una situazione in cui il Canada è stato a lungo il principale fornitore di grano duro dell’Italia per un quantitativo che, nel 2017, è stato pari a 720milioni di chili a fronte di 4,3 miliardi di chili prodotti sul territorio nazionale. “In altre parole un pacco di pasta su sei prodotto nel nostro Paese era ottenuto con grano canadese”. A determinare il drastico cambiamento è stato il fatto che “in Canada il grano duro viene trattato con l’erbicida glifosato in preraccolta, secondo modalità vietate in Italia”.

La nascita della filiera
Altro motivo per sorridere gli agricoltori italiani lo ottengono dal patto di filiera stipulato ieri: un tavolo che vale 61 miliardi di euro, quasi la metà dell'agroindustria italiana. Assosementi, Associazione Nazionale dell'Industria Sementiera, e COMPAG, Federazione Nazionale Commercianti di Prodotti per l'Agricoltura, sono i nuovi firmatari del protocollo d'intesa "per aumentare la disponibilità di grano duro italiano, sostenere gli agricoltori e rafforzare la competitività della pasta italiana", lanciato lo scorso dicembre. Siamo primi nel mondo per produzione (3,3 milioni di tonnellate annue) e export di pasta (2 milioni di tonnellate). Ma non mancano le sfide proposte dalla globalizzazione:"Un primato a rischio. Anche per la concorrenza internazionale di Turchia ed Egitto, che con un prodotto di qualità inferiore sottraggono quote di mercato alla pasta italiana, forti anche del supporto dei rispettivi governi". È per questo che l'accordo di filiera stipulato ieri costituisce un elemento di forza per il nostro grano.

07 luglio 2018
www.interris.it/sociale/grande-richiesta-per-ilgrano-...
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00venerdì 7 settembre 2018 12:42
Gli italiani non hanno mai acquistato tanto biologico

Gli ultimi dieci anni, segnati dalla crisi economica, hanno modificato in profondità i consumi degli italiani, talvolta in meglio. È il caso del biologico, che in questi due lustri è cresciuto in doppia cifra, e anche in tripla, a seconda del segmento di mercato analizzato; secondo gli ultimi dati Biobank elaborati da FIRAB, la Fondazione per la Ricerca sull’Agricoltura Biologica, dal 2008 al 2017 le compravendite di prodotti biologici tramite e-commerce sono cresciute del 325%, seguite nel balzo in avanti dai ristoranti bio (+179%), dai gruppi d’acquisto (+70%), dalle mense (+66%) e dagli spacci aziendali che, con un aumento del 48%, si mantengono in testa per maggior numero di operatori (2.879 aziende). A spiccare sono soprattutto le aziende che investono nella filiera corta, a dimostrazione di quanto la conoscenza diretta dei produttori e la fiducia nei loro confronti sia diventato un vero e proprio valore nonché un criterio discriminante nelle scelte dei consumatori. Di questo nuovo modo di fare la spesa e di produrre nonché delle prospettive ma anche delle criticità ad esso legate si parlerà al Sana di Bologna, il più importante Salone italiano del biologico, domani alle 16:45 in un incontro dal titolo “Biologico italiano: fatti non parole”, organizzato e promosso da AIAB, con la partecipazione di Assocert Bio, Bio BanK e BioSud Tirol, e con la collaborazione di BioDiversity.bio, presso il padiglione del Ministero dell’Agricoltura.

Il biologico è “un settore legato a doppio filo con la ricerca e l’innovazione”, commenta Vincenzo Vizioli, Presidente AIAB. “Dal mondo bio può venire un contributo importante alla nostra economia, anche in termini di occupazione, equità e soprattutto sostenibilità. Serve però smetterla di crogiolarsi nei dati di mercato lasciando a commercio e distribuzione l’indirizzo politico del settore che invece necessita di sostegno con scelte chiare per la nuova PAC, la revisione di molti PSR e investimento in ricerca e formazione. AIAB da tempo chiede impegni concreti, a partire da un Piano sementiero nazionale per l’agricoltura biologica e biodinamica». Una prospettiva che darebbe slancio anche all’occupazione, in particolar modo giovanile. Un’azienda biologica su quattro è infatti condotta da imprenditori che hanno meno di 39 anni (tale incidenza scende al 10% tra i loro “colleghi” convenzionali) e una su tre è al femminile; secondo la Fondazione FIRAB, sono conduttori con maggiori livelli d’istruzione, motivati e consapevoli della scelta dell’ agricoltura biologica, dotati di sensibilità ecologica ed etica. Certo, le mele marce esistono ovunque, anche nel biologico, e a fronte dell’indiscutibile successo di mercato, il settore sconta anche l’interesse di alcuni speculatori malintenzionati con cui il sistema di imprese, di garanzia, di repressione e istituzionale è chiamato a confrontarsi con rigore, efficacia e determinazione. Un aspetto che sarà illustrato da Assocertbio, che proverà a delineare le possibili azioni a supporto delle politiche di tutela del prodotto italiano.

6 settembre 2018
www.greenreport.it/news/consumi/gli-italiani-non-hanno-mai-acquistato-tanto-bi...
wheaton80
00sabato 6 ottobre 2018 19:55
Dal grano alla canapa: così gli agricoltori italiani si sono salvati dalla crisi

Gli agricoltori italiani sono in crisi a causa dei bassi prezzi del grano, delle terre essiccate e delle grandi aziende che importano grano. Ma alcuni hanno trovato una soluzione: coltivare la cannabis. La coltivazione della canapa è legale in Italia dal 2016 e negli ultimi anni la quantità di terreno dedicata alla coltivazione di questa pianta è passata da 400 ettari (1.000 acri) nel 2013 a 4.000 ettari di oggi. La legge, che consente la coltivazione per uso non farmaceutico di piante con fino allo 0,2% del composto psicoattivo THC, è stata introdotta con l’intenzione di aumentare lo sviluppo della produzione industriale di canapa. Le imprese italiane ne hanno così approfittato per produrre non solo mattoni ecocompatibili, ma anche ricotta, pasta e biscotti alla canapa. “Il boom della produzione di canapa è un eccellente esempio della capacità delle aziende agricole di scoprire nuove frontiere”, ha affermato Roberto Moncalvo, Presidente di Coldiretti, la più grande associazione di agricoltori in Italia.“Siamo nel mezzo di un’opportunità di crescita economica e occupazionale”. Questa soluzione alla crisi che colpisce gli agricoltori italiani può essere vista come una piccola oasi verde immersa nell’arido interno della Sicilia.

Tra i campi di argilla e i covoni di grano abbandonato, un cartello raffigurante una foglia a sette punte pende da un cancello. Al di là c’è Salvo Scuderi, il Presidente della cooperativa agricola Colli Erei. Il 41enne ha appena finito di raccogliere parte della sua produzione di canapa, che sarà utilizzata per produrre pasta, olio e farina. Quest’anno, Scuderi e altri 20 produttori di Rete Canapa Sicilia, un’associazione che ha l’obiettivo di promuovere e commercializzare l’uso della canapa nella regione, ne hanno prodotta insieme quasi 150 tonnellate. “La canapa ha salvato i nostri affari”, ha detto.“Quest’anno abbiamo guadagnato 10 volte di più di quello che guadagnavamo con il grano e ci ha permesso di assumere quattro lavoratori”. Il grano produce un profitto di 250 euro per ettaro nel mercato odierno, mentre la canapa può generare guadagni netti superiori a 2.500 euro per ettaro, secondo Rete Canapa Sicilia. E ci sono molti contadini siciliani che, per dare nuova vita alla terra e migliorare la loro situazione finanziaria, hanno sostituito il grano con la canapa. Nella campagna intorno a Catenanuova, le temperature possono superare i 40 gradi in estate. È qui che la Fiat soleva testare i suoi prototipi a temperature elevate. Il clima torrido costringeva i treni a fermarsi a causa delle rotaie in espansione. Ma non è il solo calore che ad avere causato l’essiccazione della terra.

“Il problema è la monocoltura del frumento”, ha affermato Dario Giambalvo, professore di scienze agrarie all’Università di Palermo.“Ha causato l’erosione del suolo e ha rischiato di rendere la terra sterile”. Secondo i dati del CREA (Consiglio Italiano per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria), nel 2017 le terre coltivate con grano duro sono diminuite del 7,4% nell’Italia meridionale e di oltre il 9% nel nord del Paese. La produzione complessiva è diminuita di oltre il 4%. Questo è il motivo per cui il passaggio alla coltivazione della canapa potrebbe salvare gli agricoltori dalla crisi, secondo gli esperti. “La coltivazione della canapa è una valida opportunità per un’agricoltura diversificata che può essere una buona soluzione per la rinascita di terre abbandonate e meno fertili”, ha detto Giambalvo. “Gli antichi Romani ci hanno insegnato che diversificare le colture può aiutare a rendere la terra più fertile. Non so se questo porterà alla crescita del settore agricolo, certamente per l’Italia è un ritorno alle origini”. Fino agli anni ’40, l’Italia era il più grande produttore mondiale di canapa dopo l’Unione Sovietica. All’epoca, sono stati piantati in Italia più di 100.000 ettari di canapa. Dopo la guerra e il movimento verso le fibre sintetiche, la coltivazione della canapa crollò. La tendenza al ribasso è proseguita con il rafforzamento della campagna contro l’uso illegale di droghe. Nel 1961 il governo italiano ha firmato la Convenzione Unica sugli Stupefacenti.

Nonostante escludesse specificatamente dai regolamenti la produzione di canapa non farmaceutica, il trattato ha portato a un ulteriore declino della coltivazione della canapa in Italia. “La canapa ha aspettato 60 anni per reclamare il suo posto”, ha detto Scuderi. “E questo potrebbe aprire la strada alla legalizzazione delle specie vegetali con livelli di sostanze psicoattive superiori allo 0,2% e sviluppare sperimentazione farmaceutica”. La legge del 2016 non proibisce la commercializzazione dei fiori di canapa, una lacuna che ha permesso il fiorire del mercato per la vendita di cannabis leggera, con oltre 500 negozi in Italia. I fiori, sigillati in sacchetti o barattoli con nomi come Gorilla Blue, Amnesia e Raging Bull, possono essere raccolti e utilizzati per tisane o come profumi per armadi. Ma la maggior parte dei clienti semplicemente li sbriciola, li arrotola e li fuma. Gli effetti non sono così pronunciati come la maggior parte dei ceppi di cannabis coltivati, che in genere hanno livelli di THC del 15-25%, ma offrono un immediato senso di rilassamento. Secondo l’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze, l’Italia è al terzo posto in Europa per consumo di cannabis. Sui vasi di fiori di canapa della sua azienda Scuderi ha messo l’etichetta “Senza pizzo”. “Significa che il prodotto è fatto senza dare un centesimo alla mafia”, ha detto.“Abbiamo lanciato un messaggio chiaro: produrre cannabis non significa solo rigenerare la terra: è anche un modo per indebolire la mafia, che per decenni ha continuato disinibita nel suo tentativo di controllare gli affari criminali del narcotraffico, e per restituire agli agricoltori ciò che i boss mafiosi avevano loro sottratto”.

Lorenzo Tondo
27 settembre 2018
Fonte: www.theguardian.com/world/2018/aug/30/it-saved-our-business-italy-farmers-turn-to-canna...

www.buonenotizie.it/economia-e-lavoro/2018/09/27/dal-grano-alla-canapa-cosi-gli-agricoltori-italiani-si-sono-salvati-dall...
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00mercoledì 10 novembre 2021 18:56
Il cibo non si vende più all’asta

Dopo una battaglia lunga cinque anni, arriva il divieto di fare aste al ribasso sui prodotti alimentari, pratica largamente messa in atto da parte dei supermercati. Un risultato importante che lancia un messaggio più ampio alla grande distribuzione organizzata: non avete pieni poteri sulla filiera alimentare

Le aste al doppio ribasso sui prodotti alimentari sono ufficialmente vietate nel nostro Paese. Il Consiglio dei Ministri ha approvato ieri sera il Decreto Legislativo che attua la Direttiva Europea sulle pratiche commerciali sleali nella filiera agricola e alimentare, in cui è inserito il divieto di acquistare prodotti ricorrendo a gare al ribasso. La messa al bando delle aste è un traguardo che come Terra! inseguiamo da cinque anni. Nel 2016 in un report sulla filiera del pomodoro abbiamo portato alla luce questo meccanismo di schiacciamento dei prezzi all’origine utilizzato in maniera spregiudicata dai supermercati. L’anno successivo abbiamo avviato una campagna insieme alla FLAI CGIL per chiederne il divieto. Oggi, dopo tante inchieste e denunce, arriva il risultato. Un risultato che va letto però nell’ambito di una battaglia più ampia, quella per il riequilibrio dei rapporti di potere nella filiera del cibo, governati dalla grande distribuzione organizzata: i supermercati, infatti, sono in grado di soddisfare tre quarti degli acquisti alimentari in Italia, rappresentando un passaggio obbligato per tanti agricoltori. Per passare queste forche caudine i fornitori della GDO sono spesso costretti a firmare “contratti capestro”, che li obbligano ad assumersi il costo delle promozioni e degli sconti che la catena cliente vorrà mettere in atto, oppure a pagare lo spazio a scaffale con un prezzario variabile a seconda della posizione. In pratica più paghi, più sarai visibile. Vengono poi imposti contributi per l’apertura di nuovi punti vendita, sconti fuori contratto, sconti retroattivi e molto altro ancora. Secondo l’Antitrust queste operazioni vessatorie erodono del 25% il fatturato delle aziende fornitrici. A tutto ciò si aggiungono pratiche come le aste al ribasso, condotte dai buyer delle catene distributive per assicurarsi determinati stock di prodotto. La partecipazione all’asta avviene a seguito di una prima convocazione via e-mail, con la richiesta della GDO a tutti i fornitori di proporre un prezzo per la vendita di una certa quantità di merce. Raccolte tutte le offerte, il committente convoca una seconda gara, utilizzando come base d’asta quella inferiore. Effettuando il login su una piattaforma digitale, senza sapere chi siano gli altri partecipanti, il fornitore ha pochi minuti per competere, ribassando ulteriormente nel tentativo di assicurarsi la commessa.

Nessun meccanismo legislativo regolava fino a ieri questo strumento, che appartiene ai rapporti business-to-business (b2b), molto meno tutelati dalla legge rispetto a quelli business-to-consumer (b2c). In sostanza, l’unico vincolo è che la vendita non può avvenire scendendo al di sotto del prezzo di produzione, indicato in una colonnina all’inizio del foglio excel all’interno del quale si fanno le quotazioni. Un vincolo che, tuttavia, secondo le voci che abbiamo raccolto sul campo, è stato aggirato con qualche stratagemma. Il problema delle aste è che, anche se non tutti i supermercati ne fanno uso, dettano un prezzo di riferimento, spingendo i gruppi che non le adottano a tirare comunque il prezzo per mantenere la competitività. Può sembrare un problema lontano dai campi agricoli, ma non è così: anche se queste pratiche hanno luogo a valle della filiera, le loro ripercussioni si sentono soprattutto a monte, là dove produttori agricoli e soprattutto lavoratori della terra spendono la maggior parte del sudore per la quota minore di guadagno. Quando abbiamo preso di mira il ruolo egemone dei supermercati, le loro pratiche vessatorie e in particolare le aste al ribasso, pensavamo proprio a collegare i due estremi della catena di produzione e distribuzione del cibo: da un lato braccianti vittime di caporalato, costretti a vivere in baraccopoli senza acqua corrente ed energia elettrica, dall’altro sfarzosi supermarket traboccanti di abbondanza sempre in saldo. Nel mezzo, un far west di relazioni commerciali che farebbe trasalire anche Plauto, che pure con la sua espressione “homo homini lupus” dimostrava di saperla lunga già due secoli prima di Cristo. I rapporti di filiera sono all’insegna della tensione costante, in cui ciascun soggetto gioca tutte le sue carte per spuntare un margine vantaggioso di volta in volta, di anno in anno, senza una visione a lungo termine né un sufficiente intervento pubblico a protezione di quelli più deboli. Visto un simile scenario l’approvazione di un divieto oggi suona come l’eccezione alla regola. Noi lo prendiamo invece come un risultato importante, il segnale che quel lavoro lungo e difficile di trasformazione del sistema alimentare non è vano. E dobbiamo continuare a portarlo avanti insieme.

Francesco Paniè
05 novembre 2021
comune-info.net/il-cibo-non-si-vende-piu-allasta/?fbclid=IwAR0ePz7Z76CgQz4-f3RowoXsReUzLv78tY27bzggYdQVBVSDfDE...
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