Scimpanzè e uomo: non solo parenti, ma anche amanti ...ahahahahahah!!

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LiviaGloria
00martedì 23 maggio 2006 12:44
scienze

Scimpanzè e uomo: non solo parenti, ma anche amanti
Maurizio Blondet
22/05/2006
Daniel Lieberman, professore di antropologia ad Harvard, mostrava i teschi di Toumai, che defini' «una delle piu' grandi scoperte degli ultimi 100 anni»: ora non piu'.Altro che Codice da Vinci: le più fantasmagoriche «narrative» vengono dai biologici evoluzionisti.
Quella che ci raccontano gli scienziati del Broad Institute (una unità del Massachusetts Institute of Technology e di Harvard) è una storia di sesso avvenuta nella notte dei tempi.
Sesso animalista.
In breve, la favola è questa.
Fino ad ieri, era ferrea certezza evoluzionista che uomo e scimpanzé si siano differenziati dal solito introvabile «antenato comune» sui 6,3 milioni di anni fa.
Ora, contrordine e nuova teoria - e nuova ferrea certezza: scimmie e umani si sarebbero separati in epoche più recenti dal comune progenitore, diciamo un milione di anni dopo.
Ma non è ancora tutto.
Dopo aver vissuto come specie separate per 1,2 milioni di anni, «certi membri dei due gruppi sembrano essersi congiunti di nuovo».
Congiunti carnalmente, generando figliolanza ibrida; sicchè l’uomo moderno non sarebbe il nipote dell’antenato comune (introvabile) di 6,3 milioni di anni fa, ma il frutto semi-incestuoso di questa notte d’amore forse breve (300 mila anni insieme? Forse più?) di un milione e mezzo d’anni più tardi.
L’uomo attuale insomma sarebbe un ibrido di ominidi e scimmie.



La cosa può avere una sua soggiogante evidenza per chi contempli le foto di certi politici nostrani, e porta acqua scientifica al mulino di Zapatero, che ha varato una legge per tutelare i diritti umani dei gorilla.
Ma sforziamoci di resistere alle suggestioni, e vediamo da vicino su cosa si basa questa ultima certezza evoluzionista.
Come fanno gli «scienziati» ad asserire con tanta sicurezza che l’antenato comune di uomo e scimmia viveva 6,3 milioni di anni fa?
Partono da una supposizione primaria.
Suppongono che nei geni, le «lettere» che compongono il DNA cambino nel tempo per mutazione casuale.
Dopo questo, suppongono che il ritmo di queste mutazioni casuali sia sostanzialmente costante, e molto lento.
Fatte queste supposizioni, si ottiene un «orologio evolutivo» piuttosto preciso.
La quantità di differenze nello stesso gene di due diverse specie dovrebbe dare il tempo del momento in cui le due specie si sono separate dal supposto antenato comune.
Dovrebbe dare il momento dell’ultima congiunzione carnale comune.
Dovrebbe?
Lo dà.
E’ una ferrea certezza scientifica.



Anche se «vari test hanno dimostrato che l'evoluzione molecolare non si comporta come un orologio stocastico», a volte accelera troppo (per esempio nei pinguini, di cui esistono ossami di 70 mila anni con ancora il DNA leggibile), a volte si ferma per ere geologiche specie in certi animali, come nello squalo e nel coccodrillo.
Peggio, nascono risultati imbarazzanti quando si cerca di stabilire l’età dell’antenato comune non fra esseri vicini, come i vari mammiferi, ma fra organismi lontani: quando era vivo l’antenato comune del fungo e dell’uomo?
Le sequenze proteiche di DNA comuni al boleto e alla Ferilli non sono molte.
Ma con uno sforzo suppositivo in più, i biologi darwiniani hanno calcolato il numero di variazioni di un singolo enzima, la «dismutasi superossida rame-zinco» (familiarmente SOD).
E hanno trovato che l’orologio accelera o rallenta secondo cosa si compara.
Se si confronta il SOD del fungo con quello dell’uomo, si hanno 5,5 variazioni ogni 100 milioni di anni; se si confronta il SOD di insetti e di mammiferi, le variazioni diventano 9,1; se si comparano due mammiferi, le variazioni in 100 milioni di anni salgono a 27,8.
Non c’è male, come strumento di misura: è come se il metro di platino conservato a Parigi diventasse più lungo ogni volta che misuriamo la distanza fra naso e bocca, e cortissimo quando cerchiamo di misurare la distanza tra Roma e Milano.



Ma la scienza darwiniana non si fa confondere per così poco.
Con in mano quel precisissimo cipollone molecolare, Nick Patterson del MIT e colleghi hanno confrontato i geni dello scimpanzè e dell’uomo.
Ed hanno trovato (testuale) che «uno dei cromosomi era di 1,2 milioni di anni più giovane degli altri».
Per la precisione, il cruciale cromosoma sessuale femminile X.
Dunque l’ulteriore supposizione: «le due specie hanno condiviso un comune antenato che ha passato ad entrambe loro i loro attuali cromosomi X, e lo ha fatto in tempi molto più recenti dell’antenato che ha dato loro tutti gli altri cromosomi».
Come dubitare di questa certezza, di questa prova così scientifica?
C’è un piccolo fastidioso particolare.
Il frutto delle congiunzioni tra cavallo ed asina o viceversa, il mulo o il bardotto, effettivamente è vitale.
Ma è sterile.
Non riesce ad avere a sua volta prole.
Ciò accade a tutti gli ibridi che conosciamo.
E il frutto di quella notte di passione che unì proto-scimmia con un già quasi-umano, dev’essere stato per forza un ibrido, ossia sterile.



Come siamo potuto discendere da un antenato sterile?
La «scienza», signori, ha la risposta.
Sì, i maschi saranno stati sterili.
Ma le femmine ibride, con il doppio cromosoma X, sono sicuramente state fertili.
Supponiamo che le femmine ibride si siano congiunte con dei maschi scimpanzè, ed ecco che hanno passato alla prole maschile il cromosoma giusto per renderli fertili.
Cromosoma dello scimpanzè, non della proto-donna ibrida.
Ma questi quasi-uomini, divenuti fertili grazie al papà scimpanzè, hanno generato.
Per centinaia di secoli, hanno fornicato allegramente con scimpanzè di facili costumi, poi di preferenza tra loro - si capisce, le conversazioni a letto tra due amanti non vanno molto lontano con una scimpanzè - fino a separarsi definitivamente dai fratelli scimmieschi.
D’accordo, è una supposizione un tantino macchinosa.
Ma cosa importa, visto che non è la prima né la più incredibile, in questa storia?
La «scienza» è pronta ad ogni supposizione, pur di salvare Darwin.
Quest’ultima certezza ricorda molto da vicino la «spiegazione evolutiva» di alcune singolari caratteristiche dell’uomo.



Anzitutto il riflesso natatorio.
Il neonato umano, se buttato in acqua, compie istintivamente i movimenti del nuoto, come se avesse questo istinto acquatico nella sua memoria genetica; i neonati di gorilla e scimpanzè, i presunti condiscendenti dal comune antenato, ne sono privi.
L’uomo presenta inoltre sulla schiena una peluria che non ha nulla in comune con quella delle scimmie, ma invece del tutto simile a quella di certi mammiferi acquatici.
Come si concilia questo carattere alquanto marinaro in un essere che discende dalle scimmie, notoriamente poco amanti dell’acqua?
La genetista Elaine Morgan ha spiegato tutto col darwinismo: supponendo che un antico antenato scimmiesco dell’uomo abbia, ad un certo punto, scelto una vita semi-acquatica, da foca o da castoro; dopo aver felicemente campato in acqua per qualche milione di anni, è tornato sulla terraferma o nella savana, ma ha trasferito ai discendenti il riflesso natatorio e il pelame
da foca.
Di questa scimmia-foca, si cercano attivamente i resti fossili.
Invano.
Ma ciò non scoraggia i darwinisti.
Forse hanno trovato l’antenato comune tra rettili e uccelli?
Tra pecora e maiale?
Tra funghi e umani?
Eppure, loro sanno che c’è stato.

Siamo nati tutti da un fungo, poi da un rettile, poi da un uccello, poi da un mammifero comune, poi da un comune genitore di noi e dello scimpanzè, poi - fatale - la notte d’amore ibridante, una specie di ritorno di fiamma, di cui ci siamo subito pentiti.
Ma che ha lasciato frutti.
Gli scienziati sono pronti a qualunque sacrificio, pur di salvare l’evoluzionismo dai fatti.
Per esempio, la scoperta del dottor Patterson del MIT, obbliga ad espellere dall’albero genealogico esseri che ci avevano assicurato - con la solita ferrea certezza - essere nostri antenati.
Per esempio il cranio di Toumai, trovato in Ciad solo nel 2001.
Aveva enormi arcate sopracciliari.
Ma gli scienziati sono sicuri che questo teschio camminasse da bipede.
E ci si erano affezionati come a un vecchio nonno, anche se fossili di tale decrepitezza non offrono un DNA leggibile da misurare con l’orologio evoluzionario.
Ebbene, se è vera la nuova teoria, il Toumai la disturba.
E’ troppo vecchio: 7 milioni di anni.
Allora basta: non è più un nostro antenato, ma un discendente dal più antico antenato comune, di prima del grande incesto.
Che poi si è estinto senza partecipare alle fattezze della Ferilli.
Forse di Mastella?
No, no.
Non è un parente.
Prima lo era, adesso non più.
Questa è la «scienza», ragazzi, mica Dan Brown.



E se credete a questa, sentite quest’altra: la Goldman Sachs è una società segreta che conserva il santo Graal, inteso come ovulo fecondato di chi sapete.
Bush e Clinton sono gemelli omozigoti, nati in provetta da quell’ovulo congelato comune, e per questo hanno fondato l’impero del «bene»: se non si somigliano, è perchè l’orologio molecolare si è incantato, ma ora funziona di nuovo grazie ai Rosacroce.
L’Opus Dei, coi suoi frati, cerca di ostacolare il progetto disseminando il deserto di teschi Tokumai, per mero oscurantismo e sete di potere.
Il Vaticano ha clonato Chirac da antiche cellule di Giuda (l’autore del solo vero vangelo) che conserva surgelate nelle catacombe di santa Cecilia insieme ai cromosomi di Mosè e alla mela di Adamo.
Questo è il vero motivo per cui si oppone ai PACS.

Maurizio Blondet


Ghergon
00martedì 23 maggio 2006 13:27
Ah ah ah ah ah ah ah
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