Solgenitsin narra i pogrom - revisionismo

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LiviaGloria
00lunedì 9 aprile 2007 11:27
storia

Solgenitsin narra i pogrom
Maurizio Blondet
07/04/2007
«Pogrom» è una delle terribili parole-chiave del museo degli orrori antisemiti, allo stesso titolo di «Lager», «Shoa», «Forni crematori».
Evoca immagini di mugik ottusi e gonfi di vodka che massacrano ferocemente migliaia di ebrei indifesi, stuprano le donne, spaccano la testa ai bambini contro i muri.
E questo orrore dell' inciviltà è legato per sempre al nome della Russia zarista.
«Noi accusiamo il potere zarista di essere responsabile del massacro di Kishinev. Dichiariamo che la sua colpevolezza in questo olocausto è totale», scrissero all'unisono, nel maggio 1903, i giornali di William Hearst, il magnate della stampa americano.
«La carneficina di Kishinev supera per la sua insolente crudeltà tutto ciò che è stato mai registrato in ogni nazione cristiana», diceva il Baltimore Sun del 16 maggio.
«Che il Dio della giustizia scenda per farla finita con la Russia come l'ha fatto per Sodoma e Gomorra; che rimuova dalla faccia della terra questo focolaio pestilenziale», invocò il Jewish Chronicle del 15 maggio.
Il Times di Londra aveva infatti rivelato una lettera segreta del ministro dell'Interno, Plehve, che avrebbe ordinato positivamente i massacri (risultata oggi falsa).
Il barone Rotschild negò da quel momento ogni finanziamento allo Stato russo.
Moses Montefiore, il gran banchiere di Londra, elevò una protesta ufficiale.
Jacob Schiff, il padrone della banca Kuhn & Loeb, da quel momento decise - come testimonia l'Enciclopedia giudaica - di finanziare con 200 milioni di dollari d'allora il Giappone che si apprestava a scatenarsi nella guerra contro la Russia (1904-1905), usò la sua influenza per impedire prestiti a Mosca, e creò comitati di aiuto per armare gli ebrei russi, «in pericolo nella loro stessa esistenza».
Così tutto l'Occidente.
Ora, il premio Nobel Aleksandr Solgenitsin dà alla parola «pogrom» un significato tutto diverso.
Lo fa nel suo «Due Secoli insieme ebrei e russi prima della rivoluzione», monumentale e straordinaria - anche per l'enorme impegno profuso - opera sui due secoli della storia degli ebrei in Russia, pubblicata in Italia dalle edizioni Controcorrente e disponibile presso la libreria Ritorno al reale (al momento è stato edito solo il primo volume).
Un'opera minuziosamente documentata: Solgenitsin e il gruppo che probabilmente lo affianca hanno compulsato centinaia di testi, articoli dell'epoca, memorie di russi e specialmente di ebreo-russi.
I primi pogrom ebbero come causa scatenante l'assassinio di Alessandro II, trucidato alla vigilia di Purim dai terroristi ebrei del Narodna Volija, mentre l'imperatore si preparava a promulgare al Paese la costituzione.
«Per le masse popolari e contadine furono i fondamenti stessi ad essere scossi», essendo lo zar anche il «piccolo padre», il mistico capo dell'ortodossia.



Il primo saccheggio si produsse a Elisabethgrad il 15 aprile, e durò fino all'arrivo di un reggimento di cavalleria che lo stroncò.
Numero dei morti: 1 (dicesi uno), secondo l'insospettabile Enciclopedia Giudaica.
Lo storico ebreo L. Priceman attesta: «Non ci furono né stupri né omicidi», dedicandosi i contadini soprattutto a «far man bassa nei negozi ebrei».
Il 23 aprile l'incendio si propagò a Kiev, il pogrom più violento di tutta la serie, «nessuno dei quali provocò perdite umane», scrive l'Enciclopedia Giudaica russa.
Tutte le sommosse si conclusero in genere così, con devastazioni di beni commerciali, ma con feriti accidentali.
I documenti storici, fra cui i rapporti del ministero dell'Interno e giudiziari (ci furono processi severissimi per i saccheggiatori; nella sola Kiev furono arrestati 1.400 individui) non segnalano nulla di quel che scrive, a proposito di tali disordini, Max Raisin nella sua «History of Jews in Modern times» (1923), ossia «donne stuprate, migliaia di uomini donne e bambini massacrati o storpiati».
«L'odio e l'ostilità verso gli ebrei», scriveva un rapporto del governatore di Odessa già nel 1872, «hanno radici nella dipendenza materiale dei contadini dalla minoranza ebraica, e solo le misure assunte dall'amministrazione impediscono che esploda l'indignazione della popolazione russa».
Gli ebrei avevano di fatto, specie nei villaggi rurali, il monopolio della produzione e spaccio di vodka; con essa indebitavano i mugik, pignorando loro perfino gli attrezzi agricoli, gettando nella fame intere famiglie, e strangolandoli con l'usura.
Solgenitsin documenta di una carestia in Bielorussia (nella fertilissima terra nera!) prodotta da questa «dipendenza» spietata.
Fatto inedito, tra gli istigatori dei saccheggi ci fu la «Narodna Voljia», lo stesso gruppo insurrezionalista (in gran parte ebraico) che aveva assassinato Alessandro.
Il 30 agosto 1881 fu diffuso un volantino del gruppo dove si leggeva: «Chi si è accaparrato le terre, le foreste, le locande? L'ebreo. Chi il mugik, attraverso le lacrime, supplica di lasciargli la sua terra? L'ebreo. Alzatevi dunque, buona gente laboriosa» (pagina 234).
Era la politica del tanto peggio, il tentativo continuo (fino al 1917) di sollevare la popolazione in qualunque modo, per una «rivoluzione» di cui le masse russe non volevano sapere.
Altro fatto taciuto dopo il pogrom di Kishinev (in zona nemmeno russa, ma nell'odierna Moldavia di lingua rumena) del 1903, le comunità ebraiche formarono «gruppi di autodifesa», forze paramilitari ben armate e che si addestravano continuamente, forniti di armi introdotte illegalmente. I contadini erano disarmati.
A Gomel, città dove il numero degli ebrei era eguale a quello dei gentili, il Bund (il gruppo ebraico nel movimento menscevico) organizzò il primo marzo 1902 «festeggiamenti per l'anniversario dell'esecuzione di Alessandro II».
Un'aperta provocazione.



Il pogrom di Gomel cominciò, dicono i rapporti di polizia, da «un alterco tra la venditrice di aringhe Malitskaya e il suo cliente Shalykov; subito parecchi ebrei si sono precipitati su Shalikov ed hanno cominciato a colpirlo a terra».
Quel che accadde dopo, e che è passato alla storia come un pogrom di ebrei, fu in realtà un pogrom di russi.
Tale era anche il grido con cui, secondo gli atti processuali, gli ebrei venivano invitati dai loro «auto-difensori» ad uscire in piazza: «Al mercato ebrei, forza! Questo è il pogrom dei russi!».
Il contadino Silkov, che guardava l'assembramento mangiando un pezzo di pane, «fu colpito mortalmente dalla coltellata di un ebreo che sparì tra la folla».
«La polizia fu accolta da parte degli ebrei con colpi di revolver che partivano anche dai balconi… tutte le vittime furono russe, molti feriti, persone picchiate a sangue».
I contadini, con pietre e randelli, devastarono 250 botteghe russe.
Per lo più non rubavano: gettavano la merce in strada e la calpestavano.
Al seguente processo, il rapporto del procuratore attesta: «La generalizzazione delle detenzione di armi da un lato, e la coscienza della propria superiorità numerica dall'altro, hanno imbaldanzito la popolazione ebraica a tal punto che, tra la sua gioventù, ci si è messi a parlare non solo di autodifesa, ma di indispensabile vendetta per il pogrom di Kishinev».
Una baldanza che i palestinesi di Gaza hanno imparato a conoscere.
Del resto, a Gomel si distinse il partito sionista Poalei Zion, come organizzatore di un vero e proprio corpo paramilitare organizzato in distaccamenti.
Gli ebrei arrestati (36, contro 44 russi) furono difesi da avvocati di grido venuti da Mosca, tutti ebrei.
La tentata rivoluzione del 1905 da parte del partito social-rivoluzionario, quella in cui furono coinvolti Lev Bronstein detto Trotzki e Israel Lazarevic Helfand detto «Parvus», fu la causa di «pogrom in seicento villaggi», si legge nelle enciclopedie.
«Fra i socialrivoluzionari gli ebrei hanno svolto immediatamente un ruolo di primo piano», dice lo storico ebreo Krohl.
Già da anni essi mettevano a segno assassinii mirati di ministri, governatori provinciali e capi della polizia: l'esecuzione materiale era «sempre affidata a cristiani».

Ma tra i nomi dei rivoluzionari che li organizzavano risaltano i Rappaport, i Natanson, i Brilliant, i Gotz, gli Schweitzer.
«Abbiamo generosamente offerto alla rivoluzione una percentuale enorme del nostro popolo, quasi tutta la sua gioventù», vanta l'Enciclopedia Giudaica, «e quando nel 1905 il popolo si sollevò, innumerevoli combattenti ebrei ne accrebbero i ranghi con slancio irresistibile».
Tutto vero, tranne che «il popolo si sollevò».
A Pietroburgo, durante gli scioperi nelle fabbriche, gli operai «scacciarono un ebreo che tentava di fare propaganda politica», e segnalarono alla polizia «tre donne ebree che propagavano idee politiche».
Secondo «Cronaca Rossa», testo ufficiale sovietico, «i distaccamenti del Bund si recarono nelle officine, stabilimenti, fabbriche e persino al domicilio degli operai (sic) per esortarli a smettere di lavorare. Impiegarono la forza (di nuovo sic) per svuotare le caldaie dal vapore e strappare le cinghie di trasmissione».
Le «esortazioni» erano accompagnate da colpi di pistola contro i dirigenti, e getti di acido solforico sulle loro facce.
Nonostante questo, si rammarica lo storico ebreo N. Buchbinder, «Quasi ovunque aderirono allo sciopero solo operai ebrei… in tutta una serie di città, gli operai russi opposero una vivace resistenza ai tentativi di bloccare le fabbriche».
Il giudeo A. Schlichter, futuro dirigente bolscevico e autore delle requisizioni in Ucraina che portarono alla morte di sei milioni di «contadini ricchi» o kulaki, attesta che «si usarono minacce per convincere gli operai di Kiev in scendere in sciopero».
I cosiddetti pogrom cominciarono dopo che «trecento ebrei» cominciarono ad «esercitarsi al tiro col revolver prendendo di mira il ritratto di Sua Maestà».
Uno dei fattori scatenanti fu il fatto che un rivoluzionario ebreo, di quelli che avevano occupato la Duma, portò fuori un quadro dello zar di cui aveva ritagliato la testa, introdusse la sua nell'orifizio e si mise a urlare dal balcone, «Sono io lo Zar!».
«Gli oltraggi arrecati ai ritratti dell'imperatore suscitarono un'immensa commozione popolare», attesta il rapporto Turau, il resoconto governativo sulla rivoluzione fallita.
Spontaneamente si formarono processioni religiose, precedute da icone, che cantavano inni religiosi e l'inno nazionale.
Da quelle folle nacque l'idea di «catturare i democratici che avevano fomentato i disordini e porli in stato d'arresto, in attesa di ordini di sua maestà l'Imperatore», che la gente credeva fosse stato detronizzato.



Nei saccheggi che seguirono, furono risparmiate le vetrine che esponevano il ritratto dello Zar.
Lo stesso ebreo Dimanstein, futuro caporione bolscevico e che partecipò ai fatti del 1905, ha lasciato scritto: «Non fu un pogrom, ma una lotta contro le forze della contro-rivoluzione».
A Pietroburgo si contano 47 morti, di cui gli ebrei sono solo 12: erano armati, loro.
A Odessa, le cose si complicarono: la corazzata Potiomkin, in rada, si ammutinò.
Studenti dell'università (che aveva dichiarato la sua «autonomia», ed era difesa da bande sioniste armate di fucili e pistole che respinsero la polizia sparando) salirono sulla nave incitando i marinai a cannoneggiare la città in mano alla «controrivoluzione», ossia al popolo: primo fra questi incitatori fu Konstantin Feldman, ebreo.
«Ma la maggioranza dell'equipaggio si oppose».
La processione che nacque anche qui spontaneamente, con le icone, fu fatta segno di spari che partivano dalle finestre; poi anche da «ordigni esplosivi» che uccisero sei russi nel corteo (altre bombe furono lanciate contro i cosacchi che cercavano di riportare l'ordine).
Gli ebrei gridavano ai manifestanti: «D'ora in poi vi governiamo noi!».
Allora si alzò il grido del «dalli al giudeo».
Lo storico ebreo Pasiman racconta che «migliaia di donne furono stuprate, sotto gli occhi dei loro bambini; un migliaio di ebrei sono stati uccisi e decine di migliaia feriti e mutilati».
Ma l'ebreo Sliosberg, che fu testimone oculare, scrisse: «Per fortuna queste centinaia di pogrom non hanno causato violenze importanti sulla persona degli ebrei, e nella schiacciante maggioranza dei casi non sono stati accompagnati da omicidi».
Il già citato giudeo-comunista Dimanstein conferma con fierezza: «Gli ebrei che sono stati feriti o uccisi facevano parte dei migliori elementi dell'autodifesa, erano giovani combattenti che preferivano morire piuttosto che arrendersi».
Anche ad Odessa il numero di russi uccisi superò molto quelli degli ebrei e dei rivoluzionari.
Un dirigente del partito KD (cadetto) disse poi davanti alla Duma: «L'antisemitismo è il patriottismo di gente che ha perso la bussola».

Solgenitsin ci dà infine una definitiva spiegazione dell'organizzazione chiamata «Centoneri».
L'Enciclopedia Britannica dà di questa misteriosa formazione (una sorta di centrale occulta dell'antisemitismo russo) la seguente definizione: «I Centoneri, o Unione del popolo Russo, sono organizzazioni di gruppi reazionari e antisemiti costituite durante la rivoluzione del 1905. Ufficiosamente incoraggiata dal potere, i Centoneri reclutavano le loro truppe tra i proprietari terrieri, i contadini ricchi (leggi: kulaki, coltivatori diretti), la polizia e il clero: sostenevano l'autocrazia, la Chiesa ortodossa e il nazionalismo russo. Particolarmente attivi tra il 1906 e il 1911».
Solgenitsin ha stabilito, sulla base di documenti inequivocabili, che l'Unione del Popolo Russo era un piccolo partito monarchico che aveva effettivamente accusato gli ebrei di essere la causa della rivoluzione del 1905 (aveva torto?), ma che non provocò mai alcun pogrom; e si estinse ben prima del 1911.
Quanto a «Centoneri», è il nome che i polacchi diedero al centinaio di monaci russi che avevano respinto i loro assalti alla lavra (agglomerato di celle o di grotte di eremiti) della Trinità san Sergio nel…1608.
Il movimento social-rivoluzionario usò questo nome per scopi polemici e propagandistici, specie contro gli avversari politici.
Per esempio contro il partito cadetto: quando accettò di intavolare trattative col ministro Stolypin, fu chiamato dai giornali menscevichi e Bund «KD-Centoneri».
Nella stampa dell'epoca si parlava persino di «Centoneri svedesi»!
L'Enciclopedia Giudaica del 1908-1912 non ne dà una definizione che in questi termini: «E' l'appellativo, corrente da qualche anno, degli scarti della società [dunque non dei proprietari terrieri, dei burocrati e del clero della British] inclini al pogrom contro gli ebrei e gli intellettuali».
Insomma, l'organizzazione nota come «Centoneri», semplicemente, non è mai esistita.
Era un mero insulto ideologico, che ha fatto presa proprio «per il suo carattere impreciso», come ogni altro termine ideologico («reazione in agguato», «il proletariato», «avanguardie operaie», «antisemitismo», «antiamericanismo», ecc.).
Persino lo storico ebreo contemporaneo Boris Orlov, nel suo libro «La Russia senza ebrei» pubblicato nel 1988, dopo aver cercato qualche traccia concreta della terribile organizzazione occulta antisemita, conclude sconsolato: «Il fenomeno designato con l'espressione Centoneri non è stato sufficientemente studiato».

Solgenitsin, il grande vecchio veridico, entra così nella lista dei «revisonisti storici», se non addirittura dei «negazionisti».
Farà bene a non accettare inviti in Germania, Austria, Francia, e nemmeno in Italia, dove la verità ufficiale è difesa dal tallone di Giuda (intendo naturalmente Mastella e la sua la «legge»).

Maurizio Blondet




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