UN ALBERO… E LA SCELTA

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Ghergon
00domenica 11 marzo 2007 15:33




di Pascual Chávez Villanueva
UN ALBERO… E LA SCELTA

“Dio fece spuntare dal suolo alberi di ogni specie. Erano belli a vedersi e i loro frutti squisiti. Nel mezzo del giardino Dio piantò due alberi: uno per dare la vita, un altro per infondere la conoscenza di tutto” (Gen 2,9).



La presenza del male e della morte non ha bisogno di prove; essa è una delle realtà con cui dobbiamo fare i conti sin dall’inizio dell’esistenza. La Sacra Scrittura ci presenta l’origine del male e della morte nel libro della Genesi, per dirci qual era il disegno originale di Dio e come è stato scompaginato nel momento in cui l’uomo ha voluto tagliare le proprie radici, ha preteso di essere autosufficiente, e ha fatto della libertà il valore assoluto. Le conseguenze non si sono fatte attendere: prima la paura di incontrare Dio, poi la vergogna di sentirsi nudi, infine la rottura della solidarietà uomo/donna, essere umano/natura, e la conseguente espulsione dall’Eden, cui seguiranno il fratricidio di Caino e il ritorno del caos con il diluvio. Con l’eloquente immagine dell’albero della vita piantato nel centro del Giardino, il popolo ebreo ha espresso la sua convinzione di fede che il male e la morte sono entrate nel mondo quando l’uomo ha ceduto alla seduzione del serpente di voler essere come Dio e dunque di non avere altra legge che se stesso.



Assumere la vita come un dono significa che l’uomo, punto di riferimento del creato, ha a sua volta come punto di riferimento il Creatore, origine del vero e del bene. Israele arrivò a questa conclusione dopo la sua elezione a popolo di Dio quando Jahvé stabilì con lui un’alleanza, dalla fedeltà alla quale sarebbero dipese la vita o la morte. Un’alleanza con patti chiari da rispettare, pena la rescissione del “contratto”. Tale era il significato dei dieci comandamenti, a ragione chiamati “le Dieci Parole di Vita”, a indicare che se si restava all’interno di esse era garantita la vita, se al contrario si scavalcavano si entrava nel territorio della morte. Un testo del Deuteronomio esprime ciò con chiarezza, quando il Signore pone nelle labbra di Mosè l’accorato monito: Io pongo oggi davanti a voi la vita e il bene, la morte e il male… Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza (Dt 30,15-19b). E il salmo “uno” a sua volta conclude che chi segue la legge del Signore sarà come albero piantato lungo corsi di acqua, che darà frutto a suo tempo… non così gli empi, essi saranno come pula che il vento disperde (Sl 1,3-4).



La legge, oggi giudicata come una limitazione alla libertà e una minaccia alla felicità, è anch’essa un dono al servizio della libertà, della felicità e della vita, nel senso che svolge una funzione di supporto, come dice Paolo: La legge è per noi come un pedagogo che ci conduce a Cristo (Gal 3,24). Certo, la legge è anche un controllo sulla libertà umana, perché alla fin fine tutto si gioca con le proprie scelte personali. La verità profonda della vita non risiede nelle mani dell’uomo, essa è un dono che viene dall’Alto e diventa una responsabilità il conservarlo, curarlo, difenderlo. Giustamente invoca il salmista: Mostrami, Signore, la tua via, perché nella verità io cammini (Sal 86,11). La legge, dunque, è a servizio dell’uomo, della sua piena realizzazione: Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato (Mc 2,28), proclamerà Gesù per rivendicare il carattere assoluto della persona umana e la funzione strumentale della legge. Essa ci fa conoscere dall’interno il buono, il vero, il bello della vita.



Il problema non è quindi la legge, ma la pretesa di una libertà irresponsabile, assoluta, che ci liberi da qualsiasi dipendenza e ci renda signori di noi stessi e degli altri. Chi porta la libertà a questo punto finisce per diventare un despota che non riconosce altra legge che se stesso. La libertà è un dono grande, un valore immenso, e tuttavia non è il dono per eccellenza. Il dono supremo è “la capacità di amare” che ci fa rinunciare persino ai nostri diritti pur di favorire la crescita e la maturazione degli altri. Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnare il maggior numero; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare a ogni costo qualcuno” (1Cor 9,19.22). È bello sapere che Dio è tanto buono che ci ha resi liberi, perché soltanto nella libertà c’è l’amore e, dunque, la capacità di conoscere, amare, servire Dio per sempre. Ecco la grandezza dell’uomo, chiamato a scegliere tra “bene” e “male”. La sua vita infatti è nelle sue mani: “ciascuno è artefice del proprio destino”.
LiviaGloria
00domenica 11 marzo 2007 19:41
Bellissimo questo scritto. [SM=g27823]
BAGAVAN
00domenica 11 marzo 2007 20:14
Re:
questo è l'apologia del vostro discernimento dogmatico, ma non è il vero discernimento che nell'insegnamento della genesi sfumò nei progenitori, infatti essi mentalmente, in seguito alla caduta in tentazione, elaborarono di essere peccatori e si formò, in modo egogico nella loro mente, la coda di paglia, cioè quella forma di contrazione psicologica che contraddistingue colui o coloro che sanno di aver fatto una marachella e si arrampicano sui vetri o si nascondono da Dio o si predicano addosso l'un l'altro di aver peccato e si scambiano vicendevolmente degli anatemi, un po' come è successo tra il papa e le autorità islamiche altrettanto dogmnatiche e fondamentaliste.

gli opposti antagonismi religiosi estremi si toccano e si scontrano e chi paga per tutto questo sono i poveri ignoranti che credono ancora alle proprie autorità religiose sepur in un medievale e continuo contenzioso egemonico sulle masse credulone.

la natura del vero discernimento è la ragione libera dalle inibizioni dottrinarie moraliste e fondamentaliste.

sapete cosa vi consolida la certezza che in voi vi da ragione?
il fatto che la vostra mente è satura di certezze fragili e smentibili nel tempo e, con i futuri scenari di sviluppo del relativismo come anche clima di vera tolleranza, le vostre certezze dovranno lasciare spazio ad una nuova consapevolezza interiore a cui mai prima avete pensato di avere.

comunque se voi oggi non volete fare certi passi in avanti nell'accettare il relativismo, allora sarà lui a riproporsi antropologicamente, perchè un giorno il vostro discernimento sarà sostituito con l'uso pieno e disinibito della ragione e con essa anche maggiore chiarezza nel nostro interiore.

poi c'è sempre la morte di vecchie generazioni medioevali che lasceranno il posto naturalemnte alle nuove alle quali l'uso della ragione sarà molto più utile che credere ai fantasmi del passato dogmatico e si dirannno l'un l'altro:

ma come facevano ancora a crdere a tutti quei dogmi nel 21 secolo? e altri risponderanno: ora non preoccupiamocene più, finalmente ci siamo liberati dalle religioni dogmatiche sclerotiche e schizzofreniche.

mi dispiace di dirvelo ma un giorno non rimpiangeranno certo di non anadre più a messa, anzi avranno molto più tempo per le esplorazioni spaziali e lo sviluppo della scienza e della tecnica e della maturità antropologica e non certo teologica ("roba da medioevo" diranno).

io auspico oggi un cambio di mentalità e per il futuro la gente sia libera dal dogma e dai discewrnimenti moralisti.


Scritto da: LiviaGloria 11/03/2007 19.41
Bellissimo questo scritto. [SM=g27823]

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