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Molto interessante é che nei veda NON c é traccia della REINCARNAZIONE
Ancora:"teoria del sacrificio"
Ancora:"dio supremo, padre di tutte le cose. "
Ancora:"
IX secolo appaiono dei commentari sui riti e sulle formule vediche"
Ancora:"
la meditazione ha il sopravvento sulla pietà"
Informazioni generali
Il seguace della religione vedica ricerca sulla terra un vita felice e lunga, ma nulla di più; non vi è, nei Veda, alcuna allusione precisa al tema della reincarnazione.
Una tendenza al monotesimo si manifesta nell'idea del Rita, cioè di un ordine universale, di una forza astratta attraverso la natura, sulla quale si basa la teoria del sacrificio.
La realizzazione del Rita esige che il multiplo sia unificato; questo compito, che consiste in una enorme sintesi, è di Prajapati, dio supremo, padre di tutte le cose.
Ma questo dio - dal ruolo poco sviluppato - non è puramente vedico: egli compare soltanto nel Brahmana, cioè nell'epoca post-vedica.
Il culto vedico si basa essenzialmente sul sacrificio, che è un mezzo per l'uomo di entrare in contatto col mondo divino che egli onora o che egli implora.
Il sacrificio comprende degli inni e delle preghiere che accompagnano un'offerta al dio, di cui si celebra il culto; questa offerta consiste in prodotti di coltivazione, in alimenti vari (in particolare il latte cagliato) o anche in frammenti di animali.
La Religione Vedica
La religione vedica è quella degli invasori ariani, modificata dalle influenze autoctone.
Le credenze animistiche e l'adorazione delle forze naturali vi predominano; la mitologia è un riflesso dell'organizzazione sociale primitiva (primato dei guerrieri).
Noi conosciamo questa religione attraverso quattro raccolte di testi rituali, i Veda (Veda = «sapere»), redatti fra il 2000 e il 1000 a.C.
Quando la classe dei sacerdoti diventa più potente, il culto si complica e la mitologia si trasforma; nel IX secolo appaiono dei commentari sui riti e sulle formule vediche, sul sacrificio e sui rapporti con il Principio assoluto (brahman): sono i Brahmana (Interpretazione sul brahman).
La tendenza filosofica fiorisce dal VI secolo negli Upanishad o «avvicinamenti» che contengono degli sviluppi filosofici e simbolici estremamente profondi.
Parallelamente a queste dottrine si definiscono due movimenti religiosi molto differenti dal brahmanesimo: il buddismo e il giainismo.
Dal III secolo a.C., si opera una sintesi fra il pensiero religioso (vedico e brahmanico) e il pensiero filosofico (i due grandi sistemi di filosofia indù a quest'epoca sono il Vedanta e il Sankya).
Da questo amalgama nasce una religione eterogenea dai mille aspetti, un vero tesoro metafisico ove le credenze più grossolane si uniscono ai pensieri più astratti, che invadono tutti i campi: sociale, letterario, artistico, ecc. e alla quale A.Barth ha dato il nome di induismo.
Evoluzione Filosofica
Nei Brahmana e negli Upanishad cambia il punto di partenza; anche la società è cambiata.
L'importanza dei bramini, dei sacerdoti, è aumentata; la casta militare è stata dominata dalla casta sacerdotale e, mentre la religione popolare seguiva il proprio corso, si sviluppava una riflessione metafisica che doveva essere la base di tutte le filosofie induiste posteriori.
Si assiste per prima cosa ad un inventario delle forze della creazione: la Grandezza, il Nutrimento, la Verità, l'Energia della luce, la Bellezza, ecc., una quantità impressionante di nomi astratti invade il vocabolario religioso.
Vediamo un termine importante: il karman o «attività»; si tratta in questo caso non soltanto dell'azione materiale stessa, ma delle intenzioni e dei pensieri che la dinamizzano, cioè di ciò che determina la personalità attiva di un individuo.
Questo inventario è un goffo tentativo di spiegare le condizioni dell'esistenza umana; nei Brahmana, il mito ha ancora il sopravvento sulla spiegazione astratta, ma negli Upanishad tutto cambia: Jnana (la Conoscenza) sostituisce Yajna (il Sacrificio); la meditazione ha il sopravvento sulla pietà.