cattolici cacciati

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LiviaGloria
00sabato 7 febbraio 2009 16:17
'islam espelle i cattolici da Sarajevo. L'ONU tace (e acconsente)
Postato il Sabato, 03 gennaio @ 00:00:00 CET di Daniele

I diversi islam
Noi cattolici senza casa

Anche in Europa, a un’ora di aereo da Roma, c’è un paese dove i cristiani subiscono lo sfratto della maggioranza islamica. L’allarme di Puljic, arcivescovo di Sarajevo

Bosnia Herzegovina, terra d’Europa a rischio “islam integralista”. L’ultimo caso è quello di un processo giudiziario contro ex mujaheddin islamici combattenti nella guerra degli anni Novanta, oggi “felicemente” integrati nell’apparato statale bosniaco: tale procedimento penale è stato insabbiato dalle autorità di Sarajevo. Secondo alcuni osservatori, quelli che un tempo, in nome del jihad, combattevano contro i cristiani serbi e croati oggi operano sottotraccia per imporre con la violenza la supremazia coranica nel cuore dei Balcani.

«Nel mio paese non esistono diritti umani uguali per tutti, i cattolici sono di-scriminati sia dai serbi che dai musulmani. E la comunità internazionale (leggi Onu, ndr) non fa niente, anzi: i militari, su comando dei politici, irrompono nelle nostre scuole dove si insegna la tolleranza tra le diverse religioni». La denuncia è di quelle autorevoli, viene da Vinko Puljic, arcivescovo cattolico di Sarajevo dal gennaio 1991, pochi mesi prima dello scoppio del sanguinoso conflitto. Quando a 49 anni ricevette la sua nomina a cardinale nel 1994, segno di affetto di Giovanni Paolo II per la città assediata dai cecchini, Puljic diventò il porporato più giovane di tutto il collegio cardinalizio. Nei giorni scorsi l’arcivescovo di Sarajevo è stato ospite del Centro Papa Luciani di Belluno. Tempi lo ha intervistato sulla situazione “dimenticata” dei cattolici in Bosnia.

Eminenza, recentemente il vescovo di Banja Luka, monsignor Franjo Komarica, ha denunciato che solo il 2 per cento dei cattolici di Bosnia esuli per la guerra sono potuti ritornare alle loro case. Qual è la situazione dei cattolici nel vostro paese?
Grazie per la domanda. Dopo gli accordi di Dayton, la Bosnia è stata divisa in due zone, una repubblica in cui è tutto in mano ai serbi, e un’altra interetnica, dove ci sono Sarajevo e Banja Luka. Nella prima repubblica, su 220 mila cattolici presenti prima dei combattimenti, oggi ve ne sono solo 12 mila. Perché? Il governo serbo non dà sicurezza a chi vuole tornare. Ci sono gravi problemi dal punto di vista burocratico e delle infrastrutture: mancano le case per chi vuole rientrare. Di tutti i programmi di aiuto di carattere internazionale stabiliti per questa zona, nessuno è andato a vantaggio dei cattolici, ma solo dei serbi (ortodossi, ndr) che sono al governo. Ho denunciato questo fatto anche a livello internazionale, ad esempio al governo austriaco. Il ministro degli Esteri di Vienna mi ha detto che sbaglio e che loro hanno dato 7 milioni di euro per chi vuole tornare. Ma ho replicato: grazie, ma mi si dimostri che con quei soldi è stata costruita una sola, anche una sola casa per i cattolici! Io, come tutti i vescovi di Bosnia, grido che mancano i diritti fondamentali uguali per tutti.

E sul versante musulmano?
In ogni città dove i musulmani sono la maggioranza (Sarajevo, Tuzla, Srebenica, dove gli islamici sono l’85 per cento della popolazione), i diritti non sono uguali per tutti. I musulmani possono costruire ovunque le moschee che vogliono, ne hanno fatte più di settanta dalla fine della guerra. Noi cattolici è da nove anni che chiediamo di costruire una chiesa. Qui c’è anche una responsabilità della comunità internazionale, che non vuole fare pressioni perché si arrivi a una vera situazione di uguaglianza. Le faccio un esempio. In un comune vicino a Sarajevo, Ilija, dove prima della guerra c’era una grande comunità cattolica, abbiamo presentato le carte per ricostruire le case, ma non ci sono stati concessi i permessi. Persino a livello di investimenti industriali si assiste a discriminazioni contro i cattolici: vengono dati subito i permessi di costruire ai musulmani, non ai nostri.

E lei come si spiega questa situazione di discriminazione?
Durante il conflitto la Chiesa cattolica è stata l’unica organizzazione stabile. Mentre tutto era distrutto, i miei preti si sono dimostrati coraggiosi e pronti a dare aiuto a chiunque. La Chiesa cattolica va avanti da sola senza appoggiarsi a questo o quel potere, e questo non è gradito alla comunità internazionale e al governo di Sarajevo. Noi siamo liberi perché durante i bombardamenti aiutavamo tutti quelli che erano nel bisogno, per lo più musulmani, con cibo e medicine. Le nostre scuole oggi sono aperte a cattolici, ortodossi, musulmani e atei, perché vogliamo educare i giovani alla tolleranza. Ma la politica locale e la comunità internazionale non vogliono questo processo. Anche i militari internazionali (i caschi blu, ndr) sono entrati nelle nostre scuole per dire che quello che facciamo non va bene. Certo, non sono i militari che vogliono questo, io ho ottimi rapporti con i comandanti e i carabinieri, ma loro obbediscono ai politici che hanno il potere.

Come valuta il recente primo incontro del Forum cattolico-islamico in Vaticano? A capo della delegazione musulmana vi era proprio il gran muftì di Bosnia, lo sceicco Mustafa Ceriç.
Il risultato non è grande, ma è molto importante lavorare per il dialogo perché non c’è alternativa. Bisogna sempre creare un clima che assicuri la stabilità per il futuro. Anche noi a Sarajevo, periodicamente, otto-nove volte all’anno, facciamo delle riunioni come capi religiosi ebrei, ortodossi, cattolici e musulmani su alcuni temi. Ma i problemi devono essere risolti dalla politica: io lavoro per creare uno Stato bosniaco in cui i cattolici siano liberi.

Sulla base della sua esperienza di pastore in un paese a maggioranza islamica, cosa manca ai risultati del Forum?
Bisogna chiedere ai musulmani il concetto di reciprocità. Gli islamici in Europa trovano il rispetto dei loro diritti, quindi è necessario garantire gli stessi diritti ai cristiani nei paesi musulmani. Come vivono i cristiani in Turchia, in Iraq, in Iran, in Pakistan e anche in Bosnia? Quando giungono in Europa, i musulmani costruiscono le loro moschee, a Colonia, Roma, Vienna… Quando è stata costruita l’ultima chiesa in Turchia? Il governo di Istanbul vuole entrare nell’Unione Europea, ma quando ha permesso l’ultima costruzione di un edificio cristiano? Inoltre bisogna rispettare la libertà di coscienza. Quando un musulmano riceve il cristianesimo, tutti, a cominciare dalla famiglia e dalla società, diventano suoi nemici.

Come vive oggi la Chiesa in Bosnia?
Continuiamo il nostro lavoro pastorale con i preti, le scuole, la Caritas, seppur tra tante croci, ma questa è la nostra vita. Sono molto grato ai nostri sacerdoti, religiosi e religiose, davvero coraggiosi: grazie a Dio abbiamo ancora vocazioni e famiglie molto religiose. Ma i cattolici d’Europa devono essere più vicini ai cattolici bosniaci: tra Sarajevo e Roma vi è poi solo un’ora di aereo! Devono impegnarsi, perché in Bosnia i diritti umani non sono uguali per tutti.

COINCIDENZE

Grazie YouTube, Grazie Onu

Negli stessi giorni in cui un poeta giordano viene trascinato in giudizio ad Amman per versi d’amore che oltraggerebbero il Corano, YouTube premia la regina di Giordania per i suoi video «contro i pregiudizi sul mondo arabo». Stupendo. E non è straordinario che mentre si denuncia una presunta islamofobia in Europa, l’islam politico espella i cattolici dall’europea Sarajevo?

Lorenzo Fazzini, Tempi, 18 novembre 2008


www.fattisentire.net/modules.php?name=News&file=article&...
LiviaGloria
00lunedì 23 febbraio 2009 16:46
www.asianews.it/index.php?l=it&art=14505&size=A


CINA
Pechino oscura molti siti internet cattolici: lotta contro la pornografia?
Con il preteso di impedire contenuti volgari, le autorità censurano e oscurano siti internet e forum di informazione. Sono colpiti sempre di più i siti che fanno informazione. Ma oltre 253 milioni di utenti cercano su internet quanto il governo non dice.

Pechino (AsiaNews) – Le autorità cinesi continuano a oscurare molti siti internet cattolici, quali Radio Veritas of Asia, il sito della Conferenza dei vescovi regionali cinesi, tutti i siti cattolici di Taiwan e quelli della diocesi di Hong Kong. Il governo dice che vuole combattere la pornografia su internet, ma colpisce in modo sistematico siti privi di contenuti pornografici, che però mostrano fatti non del tutto in linea con la versione del Partito comunista.

La sistematica censura dei siti cattolici di Taiwan va persino “controcorrente” rispetto al grande miglioramento in atto nei rapporti tra Pechino e Taipei.

Il sito AsiaNews è oscurato da anni a fasi alterne e non è stato permesso vederlo nemmeno durante il periodo di grazia olimpico. Pure oscurato da mesi è il sito Reporters Without Borders, molto critico verso la Cina durante le Olimpiadi.

Pechino aveva promesso di allentare la censura durante i Giochi, consentendo la piena visibilità dei principali siti internazionali. In realtà la minor censura è durata solo per il periodo delle gare e soltanto nel villaggio olimpico. Subito dopo è ripresa la censura di siti esteri come Bbc, Radio Free Asia, Voice of America e altri. Sono stati pure “bloccati” molti siti “interni”, come il popolare “Legal World” (“Fa Tianxia”) per avere violato la legge cinese: ci scrivevano e davano consigli legali esperti come l’avvocato Liu Xiaoyuan, che dice che aveva almeno 2-3mila lettori per ogni articolo.

All’inizio di gennaio il portale statale China.com.cn ha annunciato l’oscuramento di “91 siti web pornografici o con contenuto volgare”. Non sono stati indicati, ma tra loro c’è il portale blog Bullog.cn, dove scrivono anche parecchi firmatari di “Carta 08”. La minaccia di oscuramento colpisce anche siti famosi come Google, Msn e le cinesi Baidu e Sohu.com, ai quali si chiede di impedire la circolazione di notizie che Pechino reputa “non corrette”.

A metà 2008 in Cina c’erano 253 milioni di internauti, secondo i dati ufficiali, che passano più tempo a navigare che in qualsiasi altro Paese (dopo Francia e Corea del Sud). C’è un grande e continuo scambio di informazioni, fotografie, opinioni e Pechino vuole mantenere il controllo dell’informazione. Di recente è stato persino introdotto l’obbligo, per i gestori di internet café, di identificare i clienti prima di lasciarli andare online.

“Il problema per il governo – commenta un internauta – è che la gente non ha più fiducia nell’informazione ufficiale. Preferisce cercare le notizie su internet”. E Pechino teme che serva a coagulare posizioni critiche non solo verso le maggiori questioni politiche (come Taiwan, Tibet, Madri di Tiananmen), ma verso qualsiasi problema attuale, come, di recente, lo scandalo per il latte alla melamina o la corruzione nel Partito.

Per questo a novembre è stato di nuovo arrestato il blogger Guo Quan di Nanjing (nella foto) con l’accusa di “sovversione verso il potere statale”, per avere pubblicato una lettera aperta che chiedeva riforme democratiche. Era già stato arrestato a maggio per avere criticato il governo sugli aiuti per le vittime del terremoto del 12 maggio in Sichuan.
(Marcello86)
00lunedì 23 febbraio 2009 21:08
SI STA TORNANDO ALLE CATACOMBE.....
Come i paleocristiani(i primi cristiani)si sfugge alle persecuzioni
ma perchè ancora oggi i veri(dico i veri)valori del cristianesimo sono ancora un'utopia sia per il regime comunista in cina o per i regimi islamici regimi perchè attuano una presecuzione di ciò che è diverso dal semplice modo di pensare e di agire...
LiviaGloria
00lunedì 9 marzo 2009 22:12
il presidente Kurmanbek Bakiev ha firmato nei giorni scorsi la nuova restrittiva legge sull’attività dei gruppi religiosi


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