Ancora...un po di storia
Mistero Medjugorje
Ecco qualche stralcio di «Mistero Medjugorje» il volume che Antonio Socci ha deciso di dedicare al mistero di Medjugorje. 'Ho fatto circa 2.000 chilometri fra terra e mare sulle tracce di una donna. È una donna di 'una bellezza indescrivibile', assicura chi l'ha incontrata.' Così Antonio Socci racconta il suo primo viaggio a Medjugorje, sui luoghi dove, il 24 giugno 1981, alcuni adolescenti videro su una collinetta, nei pressi del villaggio bosniaco, una giovane ragazza, splendida, dolce, che si sarebbe presentata come la 'Beata Vergine Maria' e che tuttora appare loro quotidianamente. A oltre vent'anni di distanza, oggi che Medjugorje è diventata meta di milioni e milioni di pellegrini, Socci ricostruisce la storia e il mistero di questi fatti: visita i luoghi, incontra i protagonisti, ascolta sacerdoti, teologi, scienziati.
Erzegovina, mercoledì 24 giugno 1981
Bijakovici, frazione di Medjugorje, comune di Citluk, provincia di Mostar. Ore 17,40. «Sveglia! Svegliati Vicka, corri dormigliona, o farai tardi a scuola!». Grida così Zdenka verso sua sorella che apre gli occhi di soprassalto. Ma è un caldo pomeriggio di giugno e le scuole sono chiuse. Zdenka se la spassa, divertita dal suo scherzo e anche la sedicenne Vicka, il bersaglio della burlona, scoppia a ridere. Protesta di non essere una dormigliona: il fatto è che le ripetizioni di matematica del mattino e poi il viaggio di ritorno da Mostar, in quel pullman affollato e caldissimo, l’hanno spossata. E comunque meno male che Zdenka l’ha svegliata perché deve andare a fare una passeggiata con Ivanka e Mirjana ed è in gran ritardo. Le hanno lasciato un messaggio: «Quando ti svegli vieni da Jakov. Siamo lì».
Vicka esce di corsa, con la sua solita allegria addosso e vola verso quella casa, ma la madre di Jakov, la signora Jaka Colo, zia di Mirjana, le dice: «No, Vicka, non sono più qui, si sono già incamminate. Mi hanno detto che devi raggiungerle: hanno preso la strada sterrata che va verso le case dei Cilici». «Grazie, le seguo subito», risponde Vicka.
Lei è di questo piccolo villaggio. Le sue due amiche hanno qui a Bijakovici le radici familiari, ma finora hanno vissuto altrove. Mirjana, sedici anni, bionda, occhi azzurri, è di Sarajevo, dove frequenta il liceo e abita con i genitori e un fratello: viene qua in campagna dai nonni per trascorrere le vacanze estive. Ivanka, quindici anni, alta, un volto bello e dolce, capelli lunghi, abitava a Mostar fino a due mesi fa, quando è morta all’improvviso la sua giovane madre Jagoda, cosicché lei è dovuta venire a vivere dalla nonna, con il fratello più grande e la sorella più piccola, perché il padre Ivan, operaio, è emigrante in Germania.
Dunque Vicka — un sorriso solare e un temperamento ilare — fatti 200-300 metri a passo svelto scorge subito, un po’ più avanti, le sue amiche. Sono con la piccola Milka, la figlia di Filippo Pavlovic. Ma — che strano — stanno ferme sul ciglio della strada. Tutte e tre fissano intensamente qualcosa e sembrano fortemente impaurite. Arrivata ad alcuni metri di distanza Vicka sta per chiedere loro: «Ma che state guardando?». Non fa in tempo a pronunciare queste parole che realizza: devono aver visto una vipera (li sul Podbrdo è sempre pieno). Milka però la scorge e le grida: «Sbrigati! Vieni a vedere: c’è la Madonna!».
In poche frazioni di secondo, Vicka terrorizzata schizza via e per scappare più velocemente lascia pure le scarpe. Però, mentre corre a tutta velocità per la paura, si rende conto di ciò che le tre amiche le hanno detto. «La Madonna?». Si ferma, scoppia a piangere, un po’ frastornata, chiedendosi perché mai si sono messe a scherzare così, con quella battuta stupida sulla Vergine, per prendere in giro la povera Vicka. E arrabbiata e confusa. Non sa che fare. Riflette:
«Non dicono mai cose blasfeme, non sarebbero nemmeno capaci di essere così volgari».
In quel momento stanno passando due ragazzi, Ivan Ivankovic e Ivan Dragicevic. Portano dei sacchetti pieni di mele: «Vicka, vuoi una mela? Sono buone, assaggiale». Vicka appena li vede — infischiandosene delle mele — urla:
«Venite a vedere: la Madonna!». Il più giovane dei due Ivan dice all’altro: «Lascia stare, questa è pazza, non sa neanche cosa dice...».
Ma la ragazza li implora, con le lacrime agli occhi, di accompagnarla lassù dalle sue amiche. Si raccomanda: «Ivan
accompagnami, ti prego. Non la vedremo, ma andiamo lo stesso».
Si mettono a camminare tutti e tre a passo spedito. I due ragazzi sono un po’ interdetti da questa storia, ma vogliono mostrarsi sicuri di sé e tranquilli. Trovano le ragazze ancora incantate che appena si accorgono che Vicka è tornata con i due accompagnatori indicano loro dove guardare.
Adesso tutti la vedono, è proprio all’inizio della collina, saranno duecento metri: è una giovane donna, ha un bimbo in braccio e una corona sulla testa e fa cenno di avvicinarsi. I due ragazzi terrorizzati buttano i sacchetti con le mele, scavalcano il recinto e fuggono via di gran carriera. Le ragazze, stavolta con Vicka sbalordita ed estasiata, restano lì a guardare una meravigliosa giovinetta che continuamente copre e scopre il bimbo che ha in braccio, facendo cenno di avvicinarsi. «Ci chiama.., chi va da Lei?», sussurra qualcuna delle ragazze. Ma nessuno ha il coraggio di fare un passo avanti. Non sanno che fare, che pensare. Così, dopo qualche minuto, la giovane donna scompare’.
Le quattro studentesse sgomente e piene di meraviglia si voltano l’una verso l’altra. Ivanka è certa che si sia trattato della Madonna.
In effetti quel velo sulla testa, la corona, il bambino, i piedi su quella nuvoletta, sollevata da terra... Ma sono tutte sbalordite. Nessuno di loro ha mai sentito dire che la Madonna appaia sulla terra e che appaia così (sono cresciute sotto un regime comunista e non hanno mai sentito parlare nemmeno in casa, dove pure si prega, di Lourdes o di Fatima). Lo stupore e il terrore tuttavia convivono con un incontenibile entusiasmo.
Sono circa le 18. Vicka di nuovo scappa via di corsa seguita da Milka. Mirjana dice a Ivanka: «Chissà che cosa succede. Forse è meglio che scappiamo anche noi». Non ha neanche finito di pronunciare queste parole che già stanno correndo verso il paese. Tutte col fiatone e il cuore che scoppia per l’emozione.
Vicka e Milka entrano di corsa in casa di quest’ultima e investono la madre con il racconto di quello che hanno visto sul Podbrdo. Poi Vicka va a casa sua e scarica la sua fortissima emozione con un pianto liberatorio, distesa sul divano. Anche Mirjana, di solito molto seria e controllata, ha il cuore in subbuglio, non riesce a contenersi, ha bisogno di dire a tutti quello che le è capitato. Corre verso la casa dei nonni e degli zii, entra dai vicini. Trova due ragazzette davanti alla televisione e le investe: «Abbiamo visto la Madonna! Era sul Podbrdo, noi eravamo per la strada che va verso il monte Crnica e l’abbiamo vista!».
Le due ragazze ammutolite spengono la tv, ascoltano il racconto di Mirjana, una di loro, Jela, corre a chiamare la madre.
Poi Mirjana arriva a casa dei suoi. E qui ripete ancora alla zia ciò che è accaduto pochi minuti fa sulla collina. La donna è perplessa davanti alle sue parole. Le sembra tutto incredibile, ma d’altra parte conosce Mirjana. Sa che è sempre stata una ragazza particolarmente seria, matura, razionale, affidabile. Non sa che dirle. Così prende il telefono a chiama sua sorella, la madre di Mirjana, a Sarajevo. «Milena, ti devo dire una cosa, ma non so come spiegarti». La donna, all’altro capo del filo, si sente piegare le gambe temendo qualche disgrazia; afferra una sedia e si mette a sedere. La zia riprende: «Mirjana è qui e dice di aver visto la Madonna. Sul Podbrdo».
La donna, dall’altro capo del filo, ha qualche attimo di esitazione. Poi chiede alla sorella: «Ma in che stato è Mirjana? Ti sembra normale oppure dà segni di squilibrio?». La zia risponde: «Beh, mi sembra normale, come sempre». «Allora», riprende la madre, «dev’essere accaduto veramente qualcosa. Io conosco mia figlia e lei non è una che s’inventa delle bugie: specialmente su queste cose non scherza»
Questa sera a Bijakovici non si parlerà d’altro. Decine di volte le ragazze ripetono cosa e come è accaduto. A casa di Milka torna anche sua sorella maggiore, Marija, che nel pomeriggio è andata a una festa di amici, in un paese vicino.
Trova un’incredibile confusione. Tutti parlano di questa faccenda Molti ne ridono, altri ci credono e chiedono perché mai le ragazze dovrebbero inventarsi una cosa simile. Marija resta molto impressionata dal racconto della sua sorellina che non ritiene una capace di mentire così spudoratamente (e poi su cose simili).
I fatti vengono riferiti per filo e per segno. Tutto è cominciato poco prima che Mirjana e Ivanka fossero raggiunte da Vicka. Ecco cosa era accaduto. Le due amiche camminavano parlando delle piccole cose delle adolescenti. A un certo punto Ivanka si volta verso la collina: vede qualcosa che brilla e — mentre Mirjana continua a camminare — si sofferma un attimo per fissare meglio lo sguardo, così si accorge di quella figura. Sorpresa e incantata dice, quasi fra sé: «Ma quella è la Madonna!». La studentessa di Sarajevo segue piuttosto i suoi pensieri e tira diritto: «Eh sì, figurati, ora la Madonna non ha altro da fare che venire a vedere cosa facciamo noi».
Razionale e seria, Mirjana neanche si è voltata: pensa che Ivanka abbia scorto in lontananza una abitante di Bijakovici che magari sta pascolando delle capre, e l’abbia scambiata, chissà perché, per la Madonna. E poi trova quasi irrispettoso parlar così della Madonna. Non le passa neanche per la mente che lei, che sta in cielo, possa apparire sulla terra, oltretutto lì, a loro. Nessuno mai le ha parlato di apparizioni della Vergine. Per lei è semplicemente assurdo. Neanche ammette l’idea.
Ivanka riprende a camminare dietro a Mirjana, la segue silenziosa, ma ancora piena di meraviglia e di interrogativi. Pensa di essersi sbagliata o immaginata tutto, ma non riesce a togliersi dalla testa quella figura. Scendendo verso le case le due adolescenti si imbattono in una ragazzina del paese, Milka Pavlovic, che chiede il loro aiuto: «Venite, per favore, ad aiutarmi a riprendere le pecore?». A questo punto Ivanka implora le due ragazze di tornare con lei in quel punto della strada, a vedere se c’è ancora quella che lei ha chiamato «la Madonna». Arrivate lì Ivanka dice concitata:
«Guardate! In quel punto, lassù sulla collina. E veramente la Madonna!». Ora tutte e tre vedono quella giovane donna e restano lì imbambolate. Mirjana si accorge che c’è qualcosa di strano: la ragazza indossa un abito lungo non della nostra epoca, ha un velo in testa e poi sta, con un bimbo piccolo, su una collinetta piena di sassi, spine e vipere dove non sale mai nessuno. E infine il suo aspetto. Sembra sospesa nell’aria, ha una corona sulla testa. Restano ammutolite. E tacciono le ragazze col cuore in tumulto, pieno di emozioni contraddittorie che vanno dall’entusiasmo alla paura. Finché — come abbiamo detto — arriva Vicka (abbiamo già visto cosa è accaduto dal momento del suo arrivo).
Tutta questa storia la sera del mercoledì 24 giugno a Bijakovici passa di bocca in bocca, viene raccontata e ripetuta decine di volte: nelle case, sulla strettissima stradina che corre in mezzo alle abitazioni, nei cortili, nelle stalle, negli orti. E tutti dicono la loro. I familiari dei ragazzi, un po’ sgomenti e disorientati, cercano di calmarli e convincerli a non pensarci più, ritenendo quasi irrispettosa verso la religione questa vicenda. Qualcuno pensa che i ragazzi non mentano e, sia pure con molta meraviglia, crede alloro racconto. Ma la maggior parte ironizza: sarà stato un ufo («perché non l’avete acchiappato?»), sarà stato un fantasma, sarà stato qualcuno che voleva fare uno scherzo. Anche fra i parenti le reazioni sono queste.
Quando Ivanka torna a casa e dice alla nonna di aver visto la Madonna, l’anziana contadina le risponde: «Va là, che cosa dici? Sarà qualcuno che custodiva le pecore sui colle e che si è messo una pila elettrica sulla testa». Anche Mirjana, in mancanza dei genitori, ne parla con la nonna che ha un buon consiglio: «Ma prendi il rosario e prega e lascia la Madonna in paradiso». E proprio così farà la ragazza, anche perché avverte un gran bisogno di starsene sola. Si chiude in camera — dove il sonno, quella notte, non la raggiungerà — e prega tutta la notte. L’unico modo per calmare un po’ il cuore e avere pace. Ivan arriva a casa e non dice niente a nessuno. Si chiude in se stesso, com’è nel suo carattere, a rimuginare sulle mille domande che gli passano per la testa: «Ma è impossibile!», continua a ripetersi. Però è accaduto. E gli viene la paura: «Se venisse ora nella mia stanza? Dove scapperei?».
Per tutti i ragazzi sarà una nottata in bianco. Ma questa notte sono tanti a Bijakovici che si rigirano nel letto.
Giovedì 25 giugno 1981
Di buon mattino Ivanka, Mirjana e Vicka vanno ad aiutare i loro familiari nel lavoro dei campi: è la raccolta del tabacco. Più tardi, avvicinandosi l’ora nella quale ieri è accaduto tutto, si fa forte in loro il desiderio di tornare sul luogo. Così si mettono d’accordo e si preparano. Per capire. Per vedere se accade di nuovo: «Se ieri era davvero la Madonna, forse oggi verrà ancora», si dicono l’una con l’altra. Oppure per rendersi conto se davvero si è trattato di qualche minuto di misteriosa autosuggestione, o di uno scherzo o di uno strano miraggio da dimenticare, come molti dicono da ieri sera.
Le ragazze non hanno pensato ad altro per tutta la notte e in effetti tutti, al mattino di questo giovedì, nei campi e per la strada, non parlano che di questa storia. Le tre adolescenti, che tornano verso casa stanche dai campi, devono prendersi qualche prevedibile lazzo di alcuni coetanei: «Ehi, guarda: la Madonna!». Ma non pensano che a tornare lassù.
L’appuntamento è verso le 17,45. Vicka passa a chiamare anche Milka Pavlovic, la più piccola del gruppo, quella che ieri doveva radunare le pecore: ha visto anche lei la figura luminosa. Ma la madre — timorosa di ciò che potrebbe accadere (Milka ha solo 12 anni) — si è inventata una scusa e l’ha portata con sé a fare un lavoro. Così Vicka non la trova a casa, dove c’è la sua sorella più grande, sua coetanea: «Vieni tu, Marija». Lei è esitante: «Ora non posso, ma se vedete qualcosa, venite a chiamarmi».
Vicka glielo garantisce: «Contaci». E si avvia, accompagnata dal cugino Marinko Ivankovic, e da un altro vicino, a cui la madre ha chiesto il favore di star vicino alla figlia (dal momento che suo marito, emigrante, non è a casa, ma è in Germania per lavorare): «Per favore accompagnatela, caso- mai accadesse qualcosa di brutto...». Anche Mirjana ha con sé dei parenti a cui ha chiesto di poter tornare in quel luogo e così pure Ivanka. Arrivando sul posto le ragazze scoprono che già alcuni curiosi sono venuti a vedere, dal paese, se per caso capita qualcosa o se c’è qualche traccia, sulla collina, delle cose raccontate dalle ragazze.
Inoltre da un’altra strada è tornato anche uno dei due Ivan che ieri sono scappati via: Ivan Dragicevic, il più giovane (ha 16 anni). E venuto insieme con una decina di amici, ma senza l’altro Ivan, ventenne, che probabilmente teme di finire nei guai con la polizia per questa storia.
Dunque Mirjana, Ivanka e Vicka si incamminano chiacchierando per la strada sterrata, con il piccolo corteo di accompagnatori al seguito. Fanno un breve tratto e vedono come un lampo silenzioso. Molte delle persone presenti si accorgono di questi lampi. Ancora una volta è Ivanka che la vede per prima, si volta di scatto e dice alle amiche: «Guardate, la Madonna!». Anche Ivan la vede e quasi si sente mancare: vuole scappare di nuovo, ma qualcosa lo blocca. Vicka si ricorda d’improvviso della promessa fatta a Marija, così corre a chiamarla: «Presto, Marija, vieni subito, la Madonna ci aspetta!». Corre con lei anche il piccolo Jakov (cugino di Mirjana) che in quel momento stava in casa con Marija. E quando raggiungono le ragazze Vicka indica lassù, sul colle.
Ecco la giovane donna, bellissima e dolce: i ragazzi la vedono lontana e la sentono vicina, sono rapiti dalla sua incantevole figura. Ora fa cenno con la mano di avvicinarsi a lei. Ma nessuno dei ragazzi si muove, sono impauriti. Dopo un po’ ripete il suo gesto di invito. E stavolta Mirjana, Ivanka, Vicka, Marija eJakov, insieme a Ivan, che è in un altro punto della collina, partono di corsa, come fulmini, incuranti dei sassi e dei rovi. Corrono per avvicinarsi: sembra che tutti e sei abbiano le ali ai piedi. Racconterà poi Mate Sego, uno del posto: «Noi abbiamo cominciato a correre dietro a loro, ma non riuscivamo a stargli dietro».
Arrivati davanti a lei, i ragazzi cadono tutti inginocchiati e restano come incantati dalla bellezza della giovinetta che oggi si presenta loro senza il bambino e — diranno poi — con un sorriso dolce e un aspetto semplicissimo (una tunica grigia e un velo bianco sulla testa che fa intravedere i capelli neri). E felice ed è di una bellezza indescrivibile, mai vista su questa terra, secondo il resoconto successivo dei ragazzi.
Deliziati, ma anche confusi e impauriti, cominciano a farfugliare qualche preghiera. E lei allora prega con loro, eccetto nella recita dell’Ave Maria, durante la quale tace, sorridendo ai ragazzi. Poi Ivanka, timidamente, le rivolge una domanda. Sua madre Jagoda è morta proprio in maggio, poche settimane fa, improvvisamente, mentre era ricoverata in ospedale. E la figlia ha ancora il cuore a pezzi per il dolore:
un’adolescente di fronte a una tragedia improvvisa come questa si sente crollare il mondo addosso. Sussurra: «Kako moja mama?» («Come sta la mia mamma?»). La giovane Signora dolcemente la rassicura: «Dobro je majka, dobro je!» («Sta bene la tua mamma, sta bene»). Ancora più confortante per Ivanka è sentirle dire: «E con me, è felice, non preoccuparti».
Allora Mirjana le dice: «Lasciaci un segno, altrimenti penseranno che siamo pazze». Lei sorride e resta in silenzio. Proprio in quell’istante Vicka chiede: «Che ore sono?». A Mirjana, date le circostanze, sembra una domanda bizzarra, tuttavia, quasi inavvertitamente, getta un’occhiata all’orologio e si accorge che si è capovolto. Strabiliata capisce che quello è il segno personale lasciatole dalla Madonna per fissare un momento che cambierà per sempre la sua vita’. «Tornerai ancora?», le chiedono i ragazzi. Lei fa cenno di sì con la testa e poi li saluta: «Zbogomte andjeli moji ! » («Addio, angeli miei»).
Alla sua sparizione i ragazzi si scuotono e ognuno reagisce in un modo diverso a quella intensissima emozione. Il più piccolo, Jakov, 10 anni, che prima correndo era caduto in un cespuglio di spine senza riportare neanche un graffio, con un incontenibile entusiasmo dice a tutti: «Ho visto la Madonna! Io ho visto la Madonna!». E poi aggiunge: «Com’era bella! Non ho mai visto una donna più bella di lei. Ora che ho visto la Madonna non mi dispiacerebbe nemmeno morire!». Invece Ivanka per la commozione e la tensione di ciò che le è stato detto della madre scoppia in un pianto dirotto e corre giù dalla collina per buttarsi a casa fra le braccia della nonna.
I ragazzi sono sommersi dalle domande della gente, gran parte della quale è impressionata sia per i lampi di luce che ha visto, sia per la scena di quei sei ragazzi inginocchiati, i loro volti rapiti, i loro occhi luminosi e fissi, una cosa incredibile. I sei adolescenti ripetono ciò che è accaduto, assicurano di essere certi di averla vista davvero e di averle parlato, descrivono la giovane donna, il suo volto, la sua voce, il suo sguardo, ripetono le cose che lei ha detto.
In paese fa molta impressione ciò che viene riferito della madre di Ivanka. Tutti conoscevano Jagoda. Era una brava donna, una brava madre, andava in chiesa normalmente, come tutti, non sembrava una cattolica speciale, non si distingueva per nulla. Venire a sapere adesso, addirittura dalla Madonna in persona — secondo l’attestazione dei ragazzi — che è in paradiso, tocca profondamente il cuore di tutti in paese, conforta, dà speranza.
C’è forte emozione e molta felicità. Colpisce molto anche l’episodio dell’orologio di Mirjana. In tanti chiedono di vederlo. Non si capisce come sia stato stravolto così e come possa funzionare. Questa sera il paese di Bijakovici è ancor più scosso di ieri. Alcuni fra gli anziani, soprattutto fra le nonne, esprimono timori che impauriscono i ragazzi: «Chissà che non sia il diavolo ad apparire!». «Ricordo di aver letto nelle vite dei santi che il diavolo è apparso loro sotto l’aspetto di donne bellissime». Vicka in particolare è visibilmente scossa. La nonna allora le consiglia di pregare come da sempre è tradizione, dicendo un Credo e sette Pater, Ave e Gloria in onore della Santa Vergine. «E poi», aggiunge la nonna — con le altre anziane contadine, abituate a cacciare ogni timore con l’acqua santa, tenuta sempre nelle case — «porta con te dell’acqua santa e domani, se ti apparirà ancora, aspergila con l’acqua benedetta: se è la Madonna resterà, se è il diavolo sparirà».
Vicka ascolta attentamente e decide di fare proprio così, armandosi di una bottiglietta contenente il liquido benedetto. Intanto fra gli adulti — specialmente quelli che sono stati sul Podbrdo — qualcuno fa presente che bisogna avvertire il parroco di quello che sta accadendo. «Ci penso io», dice premurosamente Marinko Ivankovic, il cugino di Vicka, che fa il meccanico a Citluk e che ha accompagnato i ragazzi.
In pochi minuti arriva alla chiesa parrocchiale, quella bianca costruzione solitaria, nella campagna, con i suoi due campanili. Cerca padre Jozo Zovko, il francescano che da otto mesi è il nuovo parroco, ma trova solo il cappellano, fra Zrinko Cuvalo, il quale dice che padre Jozo si trova a Klostar Ivanic, vicino a Zagabria, a predicare gli esercizi spirituali alle suore francescane. Marinko è visibilmente agitato e allora racconta tutto d’un fiato a fra Zrinko i fatti di quel pomeriggio e del giorno precedente. Il cappellano ascolta con la sua tipica flemma e poi tranquillamente (ma forse è una tranquillità solo apparente) dà il suo responso, un po’ ironico, per sdrammatizzare: «Beh, allora chi vede guardi e chi non vede non guardi». Non sa che pesci prendere, in realtà, e aspetta il parroco, che doveva tornare già mercoledì 24 e che sta tardando.
Venerdì 26 giugno 1981
Stamani gli abitanti di Medjugorje che vanno a lavorare a Mostar e a Citluk portano notizie clamorose. E così pure alcuni informatori del partito e della polizia. Anche il piccolo bus che — di primo mattino — da Bijakovici e Medjugorje va a Miletina, Vionica, Surmanci e Citluk: oggi non porta solo i ragazzi delle scuole medie, ma pure sorprendenti novità. A ogni fermata l’autista diffonde la notizia:
«Avete saputo cosa sta accadendo a Bijakovici? Dei ragazzi hanno visto la Madonna. Sì, sulla collina, sul Podbrdo e chi va lassù verso le 18 la può vedere».
Una cosa simile non si era mai sentita. Sono tutti increduli e meravigliati. Ma intanto la voce corre di bocca in bocca, di casa in casa, di villaggio in villaggio e presto arriva fino a Mostar. Mentre la notizia dilaga, ad insaputa dei sei ragazzi, loro sbrigano più velocemente del solito il lavoro in campagna, dove aiutano le famiglie. Aspettano ansiosamente il pomeriggio. All’ora convenuta, verso le 17, si radunano dalle loro case e si avviano verso la collina: anzi, per la verità non sono sei, ma sette, perché oggi è presente anche Milka, la sorella minore di Marija, che era all’apparizione del primo giorno. Potrà «vedere» di nuovo? E, soprattutto, la Bella Ragazza apparirà ancora?
Mentre si avviano ponendosi queste domande, i fanciulli si rendono conto che è arrivata un’enorme quantità di persone. Saranno 1500-2.000. «Ma chi sono? Chi li ha portati qui? Come hanno saputo?». Il Podbrdo, per quanto sia pieno di sassi e di rovi, è affollato. Altra gente sta arrivando dal paese, dice di aver visto dei lampi, sebbene il cielo sia sereno e il sole sia molto alto. Il caldo è asfissiante, la folla preme da ogni parte, ma poco dopo i lampi i ragazzi la vedono: stavolta è in un punto della collina posto molto più in alto.
I presenti assistono a una scena concitata. A un certo punto fra i ragazzi corre un fremito e poche parole: «Eccola lassù!». Quindi scattano via a una velocità incredibile, per i sassi e i rovi, sebbene sia piovuto e il terreno fangoso renda viscide le pietre. Nessuno riesce a tenere loro dietro. Neanche i robusti giovanotti del paese. I primi ad arrivare nel punto e a buttarsi in ginocchio sono Ivan e Jakov. Arrivano poi anche le ragazze. Iniziano a recitare i sette Pater, Ave e Gloria con il Credo, come hanno consigliato le nonne. A causa della folla chiassosa che li stringe sempre più, dell’afa soffocante e della fatica di quella corsa a perdifiato, Mirjana e Ivanka — arrivate per ultime, stremate — hanno quasi uno svenimento, mentre la gente sempre più accalcata calpesta il manto della Madonna che scompare.
Giungono frattanto anche i familiari e gli amici dei veggenti che fanno largo attorno ai ragazzi, cosicché Ivanka e Mirjana possono riprendersi. I ragazzi (ma solo i sei di ieri, perché Milka ha visto i lampi, ma non l’apparizione: che non vedrà più), ricominciano a pregare. La Madonna riappare. Gli sguardi di tutti e sei sono concentrati in quell’unico punto, l’espressione dei loro volti è indescrivibile. Vicka, a questo punto, prende la sua bottiglia di acqua santa che la mamma Zlata le ha preparato, si fa il segno della croce e getta abbondantemente l’acqua sulla Madonna: «Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Se sei la Madonna resta con noi, se non lo sei vattene!».
Colei che appare, che quest’oggi ha un’espressione ancora più radiosa di ieri, risponde a Vicka con uno straordinario sorriso’. Sembra felice di questo rito campestre. I ragazzi pregano e cantano insieme a lei. Sono passati circa dieci minuti dall’inizio dell’apparizione. La Madonna premurosamente dice ai ragazzi, ancora inginocchiati sulle pietre, di alzarsi in piedi per stare meglio.
A questo punto Mirjana si fa forza e le chiede: «Come ti chiami?». La giovane donna risponde lentamente: «Ja sam Blazena Djevica Marija» («Io sono la Beata Vergine Maria»). Un prevedibile brivido di emozione attraversa il cuore dei ragazzi di fronte a quell’esplicita dichiarazione. Mirjana allora osa chiedere, anche lei come — ieri — Ivanka, di una persona che le sta particolarmente a cuore: suo nonno, morto nel 1980. «Sta bene», le viene risposto dolcemente.
Ivanka torna a domandare ancora di sua madre. E morta improvvisamente, da sola, in ospedale, a Mostar: nessuno se l’aspettava e lei (come i suoi fratelli) non ha potuto vederla per l’ultima volta, questo è ciò che più l’addolora, così la ragazza chiede se la mamma ha un messaggio da darle. La Vergine, con la consueta tenerezza, risponde: «Dice che obbediate alla nonna e siate bravi con lei perché è anziana. Aiutatela perché non può lavorare».
I ragazzi prendono coraggio. Le chiedono: «Perché hai scelto proprio noi che non abbiamo niente di speciale?».
E lei sorridendo: «Non scelgo i migliori».
Ivanka esprime allora l’interrogativo che i ragazzi si erano posti, fra di loro: «Perché sei venuta proprio qui?».
La giovane donna guarda la gente convenuta lassù e poi guarda uno per uno i ragazzi: «Perché qui ci sono buoni credenti».
A questo punto Marinko dice ai ragazzi: «Chiedete alla Madonna che faccia un segno anche per noi». Lo chiedono. Dopo pochi secondi tutti insieme si voltano verso Marinko per riferire la risposta: «Beati quelli che non videro, ma credettero». I presenti stupiti si dicono l’un con l’altro che i ragazzi non possono essersi inventata questa cosa da soli, tutti insieme.
«Cosa ti aspetti da noi?», chiedono ancora.
«Sono venuta per convertire e riconciliare il mondo intero. Dite a tutti di convertirsi finché si è ancora in tempo».
«Tornerai ancora?».
«Sì, allo stesso posto di ieri». La Vergine conclude l’incontro con i ragazzi con un suo congedo semplice e toccante: «Andate nella Pace di Dio».
Finita l’apparizione la folla si accalca attorno ai ragazzi. Tutti vogliono sapere. I ragazzi sono assediati, devono ripetere innumerevoli volte le parole della Madonna. Molti sono impressionati, altri fanno pettegole considerazioni sull’abbigliamento dei ragazzi che sarebbe troppo «alla moda», altri ancora suggeriscono malignamente che si siano drogati.
L’estate di Medjugorje
Per dieci giorni il regime ha cercato di soffocare sul nascere e sul posto i fatti di Medjugorje, per evitare che epidemia» si allargasse e per scongiurare il trapelare della notizia all’esterno. Non essendoci riuscito, sabato 4 luglio, festa nazionale, lancia il primo pesante attacco pubblico.
Un dirigente della Federazione comunista jugoslava, a manifestazione di vecchi partigiani titini, lancia un’invettiva contro gli abitanti di Medjugorje accusandoli di nazionalismo e clericalismo. Il giorno dopo i giornali — per evidente ordine ricevuto dall’alto — rilanciano questo attacco e rincarano la dose contro tutti i protagonisti, rei di complottare contro lo Stato (ad essi ovviamente non viene data alcuna possibilità di difendersi). E’ l’inizio ufficiale della campagna per schiacciare ciò che sta nascendo a Medjugorje. Intimidazioni e minacce vengono rivolte perfino al vescovo di Mostar, monsignor Zanic, che per aver difeso i ragazzi (Medjugorje è nella sua diocesi) viene convocato autorità del regime e minacciato di arresto’.
Date queste penose condizioni, le apparizioni ogni giorno si verificano in luoghi diversi. La polizia registra le prediche dei frati e ne analizza le parole per trovarne qualcuna che fornisca il pretesto di usare il pugno di ferro contro di loro. Viene reso sempre più difficoltoso l’accesso al Podbrdo. Bijakovici pullula di poliziotti, camionette, cani. Il giorno dopo, nel pomeriggio, Jakov è in casa e riceve qui la sua apparizione quotidiana. La Madonna gli chiede però di andare in chiesa a comunicare ai parrocchiani il suo desiderio: che recitino insieme il rosario. Il ragazzo obietta: «Non posso portare il tuo messaggio. E pieno di poliziotti». E la Madonna di rimando: «Tu prega!». Il ragazzo fa così, per curiosità, per vedere cosa succederà. E quando si affaccia si accorge che il poliziotto di guardia si è addormentato. Jakov allora, scalzo, salta dalla finestra e inizia a correre per i campi o a nascondersi nei bagagliai delle auto. Finché riesce ad arrivare avventurosamente in chiesa. Quella sera la chiesa è molto affollata. Ma padre Jozo è ancora sconfortato. Nella folla che arriva gli sembra di vedere solo curiosità, non desiderio di conversione e gli stessi credenti — sebbene elettrizzati dagli eventi — non avvertono la necessità di cambiare vita, non si sentono personalmente chiamati a un radicale cambiamento dall’eccezionalità dei fatti. Il parroco dunque vive questa liturgia con stanchezza e sfiducia. Appena finita la celebrazione si sente tirare il camice: è Jakov. Si china per sapere cosa vuole: «Padre, ho un messaggio da dare a tutto il popolo».
Padre Jozo, considerato che il piccolo non arriva al microfono, lo prende e lo mette sull’altare, in piedi: ha i piedi scalzi e le sue orme restano proprio lì dove, poco prima, stava il calice. Gli occhi di centinaia di persone si fissano sul bambino che con la semplicità e la voce di un fanciullo di dieci anni dice: «La Madonna ha detto: Pregate il rosario ogni giorno. Pregate insieme».
Mentre parla, il frate lo guarda con simpatia, ma non è particolarmente colpito dalle sue parole. Ricorda che Jakov con gli altri bambini della parrocchia ha partecipato al catechismo imparando a pregare il «rosario vivo» e dunque ascolta quelle parole come una sua fanciullesca esortazione che gli viene da quell’esperienza, non le sente un messaggio della Vergine. Sono parole così semplici, quasi banali, dice fra sé il parroco. Ma quando si gira verso la navata, invece di vedere — come si aspettava — volti normali e gente che defluisce verso l’uscita, si accorge di centinaia di occhi che piangono, fissi su Jakov.
Padre Jozo stupito si chiede: «Ma che succede? Signore, non capisco niente! Perché in chiesa tutti piangono?». Le omelie dei giorni scorsi, particolarmente ispirate e ben più profonde di quelle tre parole dette da Jakov, non hanno mai suscitato quella reazione. Dunque cos’è accaduto tre minuti fa per provocare una simile ondata emotiva? Il parroco interdetto si avvia verso la sacrestia, pian piano per vedere se la gente si alza dalle panche o no.
Passano due minuti, padre Jozo torna in chiesa e scopre che sono ancora tutti li, con il rosario in mano. Nessuno si muove, vogliono pregare e finalmente il loro desiderio stavolta coincide con quello del parroco. Dunque tutti insieme cominciano a pregare.
La gente del paese scopre in questi giorni un fervore straordinario. La chiesa resta illuminata e piena di cristiani in preghiera ogni sera fino a notte fonda. Tutti s’impegnano a dare il massimo del tempo alla preghiera, quasi con un eccesso di attenzione «quantitativa». Finché la Madonna chiede alla «sua» parrocchia di fare un altro passo: «Non pregate così, ma col cuore. Questa sera, prima di cominciare a pregare, ognuno deve perdonare il suo prossimo».
Ancora una volta le sue parole illuminano e dolcemente chiedono di abbattere l’ultima resistenza, la più intima e inconfessata. Tutti a Medjugorje hanno riscoperto la fede, tutti frequentano quotidianamente la chiesa e recitano continuamente il rosario. Medjugorje è diventata in poche settimane, in questa estate del 1981, una parrocchia unica sulla terra (peraltro oltrecortina), non ce ne sono di così mistiche e fervorose, eppure persiste sempre un groviglio di occulti rancori, di ataviche inimicizie, di antiche ostilità: sono quelle che da sempre dividono duramente i singoli o le famiglie, e restano alloro posto, nelle profondità dei cuori, innominabili e intoccabili. Tocca a padre Jozo spiegare che le parole della Madonna si riferiscono proprio a quel groviglio che ciascuno ha dentro: il parroco dice che veramente lei ha visto dentro i cuori e chiede di purificarli fino in fondo, fino ai risentimenti che nessuno aveva mai pensato di dover confessare e cancellare, tanto li si ritiene motivati.
«Abbiamo capito, lo faremo», è la risposta. Ma nessuno si muove. In realtà un imbarazzante silenzio domina fra le navate. C’è tensione. Il frate vede con evidenza quanto difficile e titanico sia spostare quei macigni dai cuori. Tutti sono come paralizzati e rattristati. «Adesso» interviene padre Jozo «reciteremo il rosario per poter perdonare». Si inizia con i salmi, poi i misteri del rosario: minuti di intensa preghiera. Dopo un po’ si sente una voce nella chiesa: “Signore, io ho perdonato. Ti prego, perdonami!». Si rompono le dighe. Tutti si commuovono, così come si scioglie i ghiacciaio millenario fra singhiozzi e lacrime, tutti cerano persone da abbracciare, mani da stringere, occhi a cui sorridere per poter dire: «Abbiamo perdonato di cuore, ora preghiamo: perdonaci anche Tu!». Non si è mai vista una cosa simile. La chiesetta di Medjugorje è inondata di lacrime e sorrisi.
I segni e la persecuzione
La popolazione ha la sensazione di ricevere, proprio per la sua risposta entusiasta, delle grazie e dei segni straordinari che renderanno indimenticabile questa estate nella vita di ciascuno. Già da giorni circolano notizie di guarigioni che impressionano tutti. Il caso che dopo qualche settimana finisce addirittura sui giornali jugoslavi — provocando grande pubblicità involontaria a Medjugorje e la reazione dura del regime — è quello del vecchio Jozo Vasilj. L’anziano contadino (è del 1896), che vive nelle case dei , sotto il Krizevac, è cieco da quattro anni con una grave malattia alla pelle che copre le sue braccia di piaghe.
E’ uno dei primi giorni delle apparizioni, verso le 17,30, chiede a una nipotina che sta preparandosi ad andare sul Podbrdo per vedere ciò di cui tutto il paese parla, di portargli — visto che lui non può salire lassù — un po’ di terra quella collina. La ragazzina, Vida, fa così e dopo due ore è di ritorno con un po’ di terra e alcune pianticelle del luogo Ove appare la Madonna. Il vecchio dice alla moglie di bollire quell’erba, ma senza dirle perché. Poi quella sera si applica tutto sugli occhi e prega intensamente nel silenzio.
Al mattino chiede alla donna di portargli dell’acqua, si lava, recitando il Credo, si asciuga con un panno e in quel preciso momento scopre di aver ritrovato la vista: «Dio mio! Ma io ci vedo!». La moglie, scettica, non considera neanche la possibilità: «Via, Jozo, non dire sciocchezze!».
«Sì, ci vedo. Vedo che oggi non hai le calze».
La donna è stupita: «Ma su, hai tirato a indovinare...».
«No, ci vedo. Vedo i due vasi che sono sul tavolo». La signora si volta sconcertata, guarda in faccia il marito e scopre che anche le piaghe alle braccia sono sparite. Ha un tuffo al cuore, esce di casa correndo: «Jozo è guarito! Jozo è guarito!». Accorrono i vicini di casa, il vecchio contadino racconta come è successo, lo ripete a tutti; c’è grande meraviglia ed entusiasmo. Jozo e la moglie subito vanno alla chiesa per ringraziare la Madonna della grazia che hanno ricevuto e la notizia come un fulmine attraversa tutto il paese e arriva ai villaggi vicini.
Raggiunge anche qualche giornalista, perciò — dopo alcuni giorni — finisce sui quotidiani. Immediatamente la polizia si precipita nelle redazioni a minacciare i cronisti di licenziamento: è un complotto clerico-nazionalista, va smontato, non pubblicizzato. Arrivano allora dei giornalisti che provano a far confessare al vecchio contadino che non è mai stato cieco e si è inventato tutto. Ma lui, imperterrito, ripete i fatti come sono accaduti. E i poliziotti cominciano a minacciarlo: «Tu non devi dire queste sciocchezze! Devi smettere di blaterare». E il vecchio Jozo ribatte: «Ma come posso tacere quando mi fanno delle domande? E se poi, tacendo, mi torna la malattia? Chi me la ridarà la vista, voi?».
Anche altri casi simili vengono narrati e poi riferiti e documentati presso la parrocchia. Ma in questa straordinaria estate luminosa e profumata di tabacco a Medjugorje si verificano anche segni di altro tipo, del tutto inspiegabili e testimoniati da decine di persone («una pioggia di grazie», secondo il parroco). Nei giorni 2, 3 e 4 agosto (e poi sui finire del mese) decine di persone dai campi e dalle case testimoniano di aver visto sbalorditivi fenomeni nel sole che si concentrano sulle due colline di Medjugorje e attorno alla chiesa parrocchiale. Molti testimoni affermano di averli visti anche dai paesi vicini di Miletina, Citluk e Gradina.
Il 6 agosto — proprio lo stesso giorno in cui la Madonna, apparizione che precede la messa pomeridiana, rivela ai genti il titolo con cui appare a Medjugorje: «Io sono la regina della Pace» — poco più tardi, tutti gli abitanti che sono fuori casa (fra gli altri anche padre Jozo) riferiscono ‘Di aver visto la scritta nel cielo «mir» (che significa pace), in lettere color oro, che dal monte Krizevac si spostava verso chiesa e che il fenomeno è durato alcuni minuti. E il fatto che più colpisce insieme a quello che si verifica una mattina verso le 11, quando la grande croce eretta nel 1933 sul monte Sipovac’ scompare e in tutta la vallata, dai campi e [alle case, al suo posto scorgono una figura femminile. Tanta gente nei campi e per le strade si inginocchia e spontaneamente, commossa o spaventata, inizia a pregare. Anche questo fenomeno è stato osservato da alcuni villaggi della zona.
In questi primi dieci giorni di agosto Medjugorje è piena li giovani, venuti da ogni parte. Ogni notte vanno con i veggenti in pellegrinaggio sul Podbrdo. E uno spettacolo stupefacente per un paese d’oltrecortina. Notte e giorno si vedono arrivare — anche a piedi — gruppi di persone e da ogni parte si sentono cantare inni e recitare preghiere. Tutti accolti con cordialità e fraternità dalla gente che mette gratuitamente a disposizione quello che ha, a cominciare dalle proprie case e i propri letti per dormire. «Qui è il paradiso», si dicono in questi giorni, pieni di entusiasmo, gli abitanti di Bijakovici. Intanto però arrivano anche le contromisure del regime. La televisione bombarda i frati, i «sedicenti veggenti» e gli abitanti di Medjugorje considerata in blocco un covo di nazionalisti croati che complottano contro lo Stato. I giornali lanciano scoop dove provano a dimostrare che è tutta una montatura truffaldina dei frati. Il partito comunista di Citluk convoca iscritti e militanti a una riunione per condannare l’evento ed enunciare una serie di misure disciplinari per quelli — iscritti e militanti — che sono stati o vanno sul Podbrdo o partecipano alle apparizioni. A Medjugorje, nei locali scolastici, vengono riuniti i contadini a cui si spiega che si stanno facendo imbrogliare dai frati e a causa delle preghiere trascurano i campi e se ne pentiranno. Poi viene organizzata anche una conferenza di un docente di Economia dell’università il quale spiega agli abitanti che i fenomeni che hanno osservato nel cielo e sui Krizevac non sono attendibili, ma sono allucinazioni collettive. Qualche coraggioso che si alza per obiettare viene fermato dalla polizia. Il 12 agosto si proibisce definitivamente l’accesso al Podbrdo e tutto il paese viene militarizzato.
In questi giorni i ragazzi sono guardati a vista dai poliziotti. Un giorno padre Jozo si vede arrivare in canonica genitori, nonni e fratelli. Tutti affranti vengono a dirgli che hanno portato via di nuovo i ragazzi. Il parroco cerca di consolarli chiedendo loro di pregare insieme a lui: «E l’unica cosa che possiamo fare». Così passano le ore, passa tutto il pomeriggio, arriva il tramonto e l’agitazione si fa più forte. A mezzanotte è l’angoscia. Finché all’una e mezza della notte un ragazzo dice di sentire delle voci. Tutti fanno silenzio e sentono un canto lontano. Sono loro: entrano in canonica cantando con i volti raggianti mentre i genitori scoppiano a piangere. Vicka si stupisce di quelle lacrime: «Ma non vedi che ora è?», dice sua madre. E la ragazza: «Non soffrire così. Se questo è un tempo di prova, mettiamolo a frutto: chiediamoci che cosa possiamo soffrire per la Madonna, se possiamo offrirle quello che ci accade».
È ormai evidente che qualcosa di straordinario e «conta» è accaduto a quei ragazzi e nemmeno la repressione può fermarli. Per la festa dell’Assunta, il 15 agosto, con buona della campagna diffamatoria orchestrata da tv e giornali, un mare di pellegrini, curiosi, ammalati — circa 25 mila — inonda Medjugorje. Arrivano con tutti i mezzi, in auto, in pullman, a piedi, in bicicletta, in motorino, da ogni parte della Jugoslavia, incuranti dei confronti di polizia e della diffida delle autorità. E all’indomani, per la precisione il 17 agosto, scatta operazione che — secondo le intenzioni — metterà fine a tutto: l’arresto di padre Jozo. Arrivano con elicotteri, blindati, camionette, cani ammaestrati. Centinaia di soldati bloccano l’accesso al paese a chiunque non sia residente, poi circondano la chiesa e impediscono a tutti di avvicinarsi. Cercano il parroco e gli intimano: «Lei adesso viene con noi». Lo ammanettano e lo caricano su una camionetta. Pallido e teso fa appena tempo a dire ad alcuni parrocchiani che, in lacrime, assistono all’arresto: «Addio. Dio sia con voi. Non temete per me. Madonna è con me e con voi...».
La chiesa viene sbarrata con delle tavole di legno. Rovistano negli uffici parrocchiali a caccia di prove del complotto nazionalista, libri e riviste vengono buttati dalla finestra, sequestrano documenti (fra cui molti materiali sulle apparizioni dei primi giorni che non saranno più recuperati), le offerte dei fedeli, perfino delle candele sopra le quali c’è lo stemma della bandiera croata, ma non i simboli socialisti: evidente prova della cospirazione. Anche le suore e gli altri frati subiscono umiliazioni e violenze e vengono minacciati di arresto: per questo giorno resteranno segregati in una stanza (mentre altri frati sono stati presi per essere interrogati).
La federazione del partito di Citluk emana il suo proclama: «Dichiariamo che è necessario spiegare ancor più chiaramente alla gente che ciò che progettano e vogliono i preti Jozo Zovko, di Medjugorje, il suo collega Ferdo Vlasic, il vescovo di Mostar, Zanic e altri estremisti, non è nient’altro che fare ciò che sogna e vuole l’organizzazione terrorista degli Ustascia. I clerico-nazionalisti si sono levati contro le conquiste della rivoluzione, contro il sistema in vigore, contro l’autogestione socialista. Tutto questo costituisce un grave abuso dei sentimenti religiosi».
Lo choc per quegli arresti, a Medjugorje, è molto forte. Gli abitanti sono angosciati per la sorte del parroco, altri sono spaventati, altri ancora si sentono ribollire il sangue di fronte a questi soprusi e alle violenze del regime, molti piangono. Tutti si ritrovano prima a pregare attorno alla chiesa parrocchiale, poi — una volta che si riesce a far togliere il blocco — dentro per la messa. Durante la celebrazione, carica di tensione e di singhiozzi, i ragazzi si alzano, vanno nella stanzetta attigua dove hanno l’apparizione.
Alla fine della messa il cappellano fra Zrinko, che intanto è riuscito a farsi liberare (è stato bloccato a lungo in canonica dalla polizia), va all’altare e dice che questo è il giorno più triste della sua vita, poi scoppia a piangere. Ma mentre una forte ondata emotiva attraversa la gente che gremisce la chiesa, viene portato al microfono Jakov che sorprende e placa tutti gli animi. Dice che la Madonna è appena apparsa nella stanzetta, che era radiosa e gioiosa, e ha detto di dire al popolo: «Non abbiate paura. Desidero che siate colmi di gioia e che la gioia si legga sui vostro volto. Io proteggerà fra Jozo ! ».
Ora resta solo la commozione e la preghiera che va avanti per tutta la notte. Ogni giorno gli abitanti di Medjugorje pregano per il loro parroco arrestato. Padre Jozo è stato chiuso in una cella di rigore, totalmente buia. Perde completamente la percezione del giorno e della notte. Viene torturato, con un pugno di ferro viene colpito sulla bocca durante un interrogatorio perdendo così alcuni denti. In una settimana viene ridotto a uno straccio d’uomo.
Il 25 agosto Mladen Bulic, un abitante di Medjugorje che da qualche giorno è in ospedale per dei problemi alla gola, è alla finestra della sua camera, quando vede arrivare un’auto della milizia da cui scendono due poliziotti che sorreggono padre Jozo, vestito in abiti civili. Il buon Mladen, sapendo che il frate è stato arrestato la settimana scorsa, scende velocemente le scale per salutare il suo parroco e proprio sulle scale lo incontra. Fa per stringergli la mano, ma i poliziotti lo allontanano con modi bruschi. Si accorge però che padre Jozo sanguina dalle orecchie ed è praticamente incapace di camminare. Mladen rabbrividisce pensando a tutto quello che devono avergli fatto per ridurlo così. Riesce ad avvicinarsi, approfittando del capannello di gente ferma nel corridoio in attesa del dottore, e a sussurrargli: «Come stai?».
Padre Jozo si volta lentamente, gli fa un sorriso e gli dice: «Lo vedi...». Mladen, potendolo ora vedere in faccia da vicino, si rende conto meglio: lo hanno picchiato selvaggiamente anche nel volto, perché ha tutta la guancia destra gonfia e gli hanno buttato giù dei denti. Ma arriva urlando un poliziotto e lo allontana: «Se continui a far domande bastoniamo anche te!».
Miaden ribatte coraggiosamente: «Voi non potete farmi niente. Io sono un ammalato e ho il diritto di stare qui!». Intanto è arrivato il turno di padre Jozo che viene fatto entrare nell’ ambulatorio.
All’uscita Miaden è ancora lì e allora il frate gli chiede:
«Come va a Medjugorje?». «Va tutto bene, non preoccuparti», lo tranquillizza il suo parrocchiano. Interviene sghignazzando uno dei poliziotti che lo stanno portando via: «Ah, di certo non si dovrà preoccupare di nulla, perché questa notte gli taglieremo la gola». Mladen, di rimando, gli grida: «Voi non potete fargli nulla! Avete potuto bastonano, ma non lo potrete uccidere!». A questo punto padre Jozo, preoccupato che Mladen si stia cacciando nei guai, si gira verso di lui e gli fa cenno di tacere.
Il frate in galera è privato di tutto, anche del breviario, finché un giorno — neanche lui sa spiegarsi come — si ritrova in tasca il suo rosario. Per lui è la felicità: «Proprio quando pensavo di non avere più nulla» ripete a se stesso «ho ritrovato tutto». Ora si sente fortissimo, inespugnabile.
Cercano di inchiodarlo con la registrazione di una sua omelia, quella dell’11 luglio. Gliela fanno riascoltare: «l’unico uomo che è venuto a dirci la verità è un Dio-Uomo, Gesù Cristo, che non è venuto a dire: “Io ho scoperto la verità”, ma: “Io sono la Verità”... E venuto tra i figli perduti e ha detto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me: per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato ad annunziare ai poveri un lieto messaggio, a proclamare ai prigionieri la liberazione, per restituire la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, per ridare la parola ai muti e far camminare con le proprie gambe gli storpi; per rimettere in libertà gli oppressi. Lo Spirito del Signore Dio è su di me, mi ha mandato a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri e ad annunciare l’anno della misericordia del Signore”. Egli è venuto solo per liberare me schiavo, te schiavo che hai vissuto 40 anni di schiavitù, affinché tu possa oggi e domani inginocchiarti davanti a Lui e dire: “Apri queste catene, sciogli questi nodi, apri queste catene che imprigionano la mia vita, perché io sono da tempo incatenato, schiavo del mio terribile peccato, Tu solo hai la chiave”. Anche questa sera Lui apre gli occhi al cieco ed è pronto a fare con te la stessa cosa quando ti dice: “Ti tolgo il velo affinché tu creda; qui mi puoi vedere, qui mi puoi scoprire; qui non ci sono solo due o tre nel nome mio, qui in tanti mi pregate. Io sono con voi. Io sono qui sull’altare, nell’offerta tua e mia. Non temere. Non sei solo nella vita! “. E questo il grande dono della Misericordia!».
Gli interrogatori mettono l’accento su quell’allusione ai 40 anni di schiavitù, perché cadono in quei mesi proprio i 40 anni dalla salita al potere di Tito e dei comunisti in Jugoslavia e si prende spunto da quella frase per accusare il frate di «sovversione», anche se — ove si trattasse davvero di un riferimento politico — sarebbe semmai un reato d’opinione, cioè la criminalizzazione del dissenso. Ma padre Jozo spiega e rispiega che il riferimento ai 40 anni non è politico: si tratta di una celeberrima metafora d’origine biblica, tipica del linguaggio cristiano, usata sempre per designare il tempo della prova a cui è sottoposto il popolo di Dio a causa dei suoi peccati, per significare il viaggio verso la Terra Promessa, verso la rinascita.
Non c’è niente da fare. Serve un pretesto per strappare parroco da Medjugorje e chiuderlo in galera, e si usa quella frase. Tolto di mezzo padre Jozo, pensa il regime, tutto l’imbroglio di Medjugorje si dissolverà in un baleno. Così il 22 ottobre 1981 il tribunale condanna padre Jozo Zovko a tre anni di carcere: colpevole di «attentato alla sicurezza e all’unità dello Stato» (per aver pronunciato le parole: «Quarant’anni di schiavitù»). Subito dopo la con venne aggravata perché padre Jozo in carcere battezza un musulmano che, conoscendolo, si è convertito. Insieme a lui sono stati arrestati anche altri due francescani: fra Ferdo Vlasic redattore della rivista cattolica «Nasa Ognijsta», che viene condannato anche lui per i suoi articoli su Medjugorje (fra Ferdo, già molto anziano e malandato, si era già fatto otto anni di carcere comunista dal 1932 al 1960) e fra Jozo Krizic, segretario della rivista, che si prende un’analoga condanna.
Tutti e tre la sconteranno nel carcere di Foca, molto duro, pieno di delinquenti comuni, assassini, trafficanti di droga, dove anche le condizioni igieniche erano terribili (tutti i detenuti, fra l’altro, erano infestati da pidocchi). Durante questa prova, vissuta con fede e umiltà francescana, alcuni carcerieri furono molto colpiti, fino alla conversione.