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L'internazionale dei gesuiti

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    wheaton80
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    00 08/02/2013 01:58

    Barroso e Van Rompuy, Monti e Draghi, Clinton e Castro: tutti si sono formati alla stessa scuola, un impero del mondo. "Formiamo leader con la missione del servizio"

    Ai vertici dell’Europa c’è una «Internazionale gesuita». Lo ha detto, scherzando, ma non troppo, il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, che ha ricordato di aver studiato dai gesuiti, come i premier di Italia e Spagna, Mario Monti e Mariano Rajoy, e come anche il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi.

    E se la frase «Internazionale gesuita» Van Rompuy l’ha pronunciata come se fosse una battuta, resta un dato di fatto incontestabile: il destino dell’euro non è solo nelle mani di Goldman Sachs, ma di chi è stato educato dai seguaci di sant’Ignazio di Loyola. Chris Lowney, che è stato in un seminario dei gesuiti per sette anni prima di essere nominato managing director di JPMorgan mentre era ancora trentenne, ha definito «leader per vocazione» quelli cresciuti nel vivaio dei gesuiti. E ha spiegato i principi della leadership secondo i gesuiti nel suo primo libro Heroic Leadership: Best Practices from a 450-Year-Old Company that Changed the World, cioè la Compagnia di Gesù, fondata appunto 450 anni fa. Un libro che è stato tradotto in dieci lingue, tra cui l’italiano.

    Europa, dunque, ma non solo Europa. Manuel Barroso dal 2004 è presidente della Commissione europea (in passato primo ministro del Portogallo), ma ha frequentato la prestigiosa Università Georgetown di Washington. Georgetown ha avuto e continua ad avere un grande impatto culturale negli Stati Uniti. Otto scuole, un ospedale e molti programmi ad altissimo livello, cinque campus sparsi nella città di Washington e in Virginia. Il fiore all’occhiello è, probabilmente, la School of Foreign Service-Qatar. Qui si formano i diplomatici del dipartimento di Stato. Ed esperti di strategia e geopolitica, forse tra i migliori al mondo. Un ex presidente americano, Bill Clinton, ha studiato fra queste mura. Ma ce ne sono altri, di leader, che sono stati formati nei suoi campus.

    In ogni caso, quaranta ex alunni dei gesuiti siedono attualmente al Congresso degli Usa, compreso il senatore John Kerry. Altri ex alunni famosi sono il giudice della Corte Suprema, Antonin Scalia, Vicente Fox, ex presidente del Messico, Fidel Castro, leader di Cuba, più il defunto François Mitterrand, presidente francese dal 1981 al 1995. Ma anche la rockstar Sting, l’attore Denzel Washington, le star dell’Nba Patrick Ewing e Bill Russell, Vince Lombardi, leggendario allenatore di football. E il maestro del cinema Alfred Hitchcock. E gesuita era il cardinale di Milano Carlo Maria Martini, che è stato a un soffio dal diventare Papa.

    «Le nostre scuole tendono a formare leader, ma l’obiettivo è l’azione nel mondo come “servizio”. C’è una spinta alla “dedizione” che fa parte del Dna dell’educazione dei gesuiti», spiegano i seguaci di Sant’Ignazio, citando quanto propugnato da Pedro Arrupe, generale dei gesuiti per vent’anni: «Noi intendiamo formare dei “leader” nel servizio — ha scritto Arrupe —, uomini e donne che abbiano competenza, coscienza e passione per l’impegno».

    E sembrano esserci riusciti. Guardiamo all’Italia. Il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha studiato dalle elementari al liceo presso l’Istituto gesuita Leone XIII di Milano. Hanno frequentato l’Istituto Massimiliano Massimo, nel quartiere Eur di Roma, oltre al presidente della Bce, Draghi, il presidente Bnl Luigi Abete, il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura, il sociologo Giuseppe De Rita, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni De Gennaro, il presidente della Ferrari e di ItaliaFutura Luca di Montezemolo. Un altro ex alunno è Francesco Rutelli. A Torino, all’Istituto sociale, hanno studiato Cesare Pavese, Mario Soldati e poi il sindaco Piero Fassino, Giovanni Minoli, l’ex ministro della Giustizia e presidente della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick. A Brescia, al Collegio Ricci, frequentato dal futuro papa Paolo VI, è stato — dall’asilo al liceo — il filosofo Emanuele Severino: «Ora quella scuola, che offriva un ottimo insegnamento scientifico, matematica in particolare, non è più dei gesuiti. Come non esiste più il prestigioso liceo dei gesuiti Pennisi, ad Acireale, di cui furono rettori due miei zii».

    Perché tanto successo, dopo quasi cinque secoli, del modello educativo che trae origine dal pensiero e dalla pratica di vita di Ignazio di Loyola? Condensata in una formula, si tratta di «una pedagogia del desiderio, del desiderio di apprendere, legata all’esperienza». Scriveva infatti sant’Ignazio: «Non è il molto sapere che sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose interiormente».

    Spiega padre Antonio Spadaro che, prima di essere chiamato a dirigere «La Civiltà Cattolica», nel 2011, è stato docente al Massimo di Roma (e a sua volta alunno del collegio di Messina): «Puntiamo sulla “molla” dell’apprendimento: il desiderio. Un allievo non impara bene e non apprende se non ciò di cui ha “sete” e dunque riesce poi a gustare interiormente, perché lo ha desiderato». E ancora: «Il momento dell’esperienza è il momento dell’ingresso nel mondo, nella storia, negli avvenimenti, nei fatti, gustandone la gioiosità e l’amarezza con tutti i sensi (vedere, udire, odorare, assaporare, toccare)». Conoscere la vita, leggerla e capirla non è sufficiente: «Ignazio pensa a un uomo che innanzitutto reagisce affettivamente». E che ha uno sguardo ampio, ma anche una grande capacità di analisi e di dettaglio. I gesuiti annoverano tra loro grandi scienziati, addirittura dei pionieri dell’astrofisica. Ma anche economisti come il predecessore di Spadaro alla «Civiltà Cattolica» per quindici anni, padre Giampaolo Salvini, coautore con Luigi Zingales e Salvatore Carrubba de Il buono dell’economia, edito dalla Bocconi, su etica e mercato.

    «Il mondo è la nostra casa» è stato il motto scelto per un incontro tenuto a fine luglio nel magnifico campus del Boston College, l’università dei gesuiti a Boston. Più di quattrocento persone da oltre cinquanta Paesi, a rappresentare l’universalità del carisma di sant’Ignazio nell’educazione. Dall’Italia, ha partecipato un altro gesuita illustre, padre Federico Lombardi, portavoce della Sala stampa vaticana, che nella sua relazione ha descritto lo stupore di Benedetto XVI durante il collegamento con gli astronauti della stazione spaziale internazionale.

    La cosa più sorprendente è che il successo ignaziano si è confermato nell’ultimo mezzo secolo anche nel Vecchio Continente, dove l’egemonia, nella didattica e nella pedagogia, dell’impostazione marxista, costruttivistica e neopositivistica ha lasciato sul terreno, insieme a utili strumenti di analisi, un deserto pedagogico, sfociato o nella violenza della prassi (fino al terrorismo) o nel soggettivismo più chiuso e meschino. Senza essere cioè in grado di generare personalità capaci di impegnarsi in un progetto di ampio respiro. Al contrario dell’impostazione educativa di quell’uomo d’armi diventato santo, Ignazio di Loyola, che si è trovata così sorprendentemente contemporanea con lo sviluppo di un’epistemologia liberata dalla camicia di forza del positivismo e al tempo stesso con il fondamento del pensiero classico, Aristotele, che nella Metafisica scriveva: «L’inizio della conoscenza è lo stupore».

    Maria Antonietta Calabrò
    lettura.corriere.it/l%E2%80%99internazionale-dei-gesuiti/
  • sedatives
    00 07/04/2013 11:54
    A quanto pare nel 1700 il Paraguay fu governato da missionari gesuiti come una repubblica non teocratica e perfino “ant-papista” (vedi anche film Mission con J.Irons – musiche di E. Morricone). Gli illuministi andavano pazzi per quella “singolare buona amministrazione” (D’Alembert) e per “quel governo unico sulla faccia della terra” per cui gli indigeni trovano “la pubblica felicità” (Voltaire). Pare che tutto funzionasse , ci fosse ordine,accoglienza e sviluppo economico pur considerando tutti i problemi dell’epoca. Charles de Brosses, uno dei massimi viaggiatori e scrittori dell’epoca, dopo aver visitato il Paraguay disse che “bastano 5 o 6 gesuiti a governare. Lo fanno con dolcezza e destrezza e la popolazione risulta esserne felice”. La stessa cosa che potrebbero fare qui da noi 5 o 6 amministratori?

    Fonte: il messaggero del 07-04-2013.

    Magari approfittando dell’elezione di un Pontefice di formazione gesuita pure nativo di quelle parti (NDR)?

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    wheaton80
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    00 05/09/2018 23:26
    Il retroscena sulla morte di Luciani:"Voleva denunciare i gesuiti"

    Denunciare "l'ala deviata" dei gesuiti: questa sarebbe stata l'intenzione di Papa Luciani. Una tra le ultime, stando a quanto raccontato dal professor Francesco Agnoli sulle pagine de La Verità, espressa prima di morire. La narrazione è stata in qualche modo correlata al cosiddetto "dossier Viganò", quello nel quale l'ex nunzio apostolico degli Stati Uniti ha accusato Papa Francesco di non aver fatto nulla nei confronti di Theodore McCarrick, nonostante fosse a conoscenza dei suoi comportamenti e abusi. Il documento, tuttavia, presenterebbe delle incogruenze e il cardinale statunitense, come i lettori ricorderanno, è stato però 'scardinalato' proprio da Bergoglio. Fatto sta che il giornalista, collegando questa vicenda ad alcune presunte rivelazioni contenute nel memoriale composto da undici pagine, ha ricordato come Giovanni Paolo I, l'ultimo papa italiano, avesse espresso la volontà di porre un freno alle novità dottrinali apportate dai gesuiti in materia di dottrina morale. Specie quelle promosse da quel correntone che ha svolto un ruolo di sdoganamento tematico all'interno della Chiesa cattolica durante il '68. Il punto, sottolineato anche da Monsignor Viganò, è questo: molti ecclesiastici appartenenti a quell'ala, che è considerata ultraprogressista, durante i giorni nostri sono stati creati cardinali. Elevazioni avvenute durante il pontificato di Papa Francesco. Come se una certa sinistra, insomma, avesse preso il sopravvento successivamente all'ultimo Conclave. Il primo nome citato, però, è quello di Vincent O'Keefe:"Un gesuita, morto il 22 luglio del 2012, la cui storia è importantissima per collegare passato e presente...".

    Lo stesso Theodore McCarrick avrebbe partecipato all'operazione culturale aperturista promossa da questa "ala deviata" negli anni della ribellione giovanile. Poi il racconto dello scontro con Giovanni Paolo I: Pedro Arrupe, uno degli esponenti più in vista nella Compagnia di Gesù dell'epoca, avrebbe dichiarato che il nuovo Papa sarebbe stato disponibile a rivisitare le posizioni della Chiesa in materia d'omosessualità, aborto e sacerdozio delle donne. Il tutto all'interno di un'intervista, la stessa che avrebbe così provocato l'irritazione dell'ultimo pontefice italiano. Si dice addirittura che Luciani fosse arrivato a ipotizzare lo scioglimento o comunque un duro provvedimento in caso di mancata ricezione dei suoi dettami sulla necessità di non modificare la dottrina. Giovanni Paolo I avrebbe voluto stroncare l'ala gesuitica attraverso un discorso pubblico che, a causa della morte improvvisa, non è mai stato tenuto. Anedotti, questi, che sarebbero stati raccontati da un altro gesuita, padre Malachi Martin. Vincent O'Keefe e Theodore McCarrick, tornando a un passaggio precedente, avrebbero condiviso "amicizia" e "battaglie ideali". Anche altri ecclesiastici divenuti cardinali "sotto" Bergoglio sarebbero accostabili alla corrente ultraprogressista: Farrell, Tobin e Cupich. Lo stesso James Martin, il gesuita "pro LGBT" divenuto consulente del Vaticano in materia di comunicazione, farebbe parte di questo insieme. La sintesi delle tesi sostenute nell'articolo è questa: ecclesiastici di sinistra, appartenenti o vicini alla fazione più riformista dei gesuiti, gli stessi che Luciani avrebbe voluto "stoppare", hanno preso il sopravvento durante gli ultimi cinque anni e mezzo.

    Francesco Boezi
    05/09/2018
    www.ilgiornale.it/news/cronache/rivelazione-su-papa-luciani-voleva-denunciare-i-gesuiti-1571...
    [Modificato da wheaton80 05/09/2018 23:27]
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    wheaton80
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    00 24/02/2024 19:39
    Scandalo Rupnik, una realtà di manipolazione che investe direttamente il governo del Papa

    E’ un caso assai particolare, nel pontificato di Bergoglio, lo scandalo degli abusi per cui tra non molto l’ex gesuita, ma ancora prete, Marko Rupnik dovrebbe essere portato dinanzi ad un tribunale canonico. Un caso particolare perché non si tratta di un vescovo o di un sacerdote che ha commesso i suoi crimini in un paese lontano chissà dove, ma di un personaggio famoso, influente, intimo del Palazzo Apostolico. Personaggio vicino a tre papi e da loro molto stimato: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco. E’ uno scandalo che investe direttamente il governo del pontefice. Nel marzo 2020, in seguito ad una improvvisa indisposizione del predicatore pontificio Raniero Cantalamessa, padre Rupnik viene chiamato a tenere la predica quaresimale per i dipendenti della Curia Romana. Il 2020 è però lo stesso anno in cui la Congregazione per la Dottrina della Fede commina a Rupnik la scomunica latae sententiae per avere assolto in confessione una donna con cui aveva avuto un rapporto sessuale. E’ un tipo di scomunica che si applica a delitti che la Chiesa cattolica ritiene gravissimi e che perciò nella definizione latina è automatica, cioé si realizza nel momento stesso in cui viene commesso il fatto. Naturalmente la scomunica è stata preceduta da una scrupolosa indagine della Congregazione per la Dottrina delle Fede.

    Miracolosamente la scomunica viene tolta dopo poche settimane. Tutto avviene in modo felpato. Aumm aumm, a bocca chiusa come si dice a Napoli. Il papa non ne sa niente? Chi ha preso la decisione? E’ possibile che nessuno abbia informato il pontefice del delitto e della remissione della massima pena ad un sacerdote-artista, creatore di mosaici che decorano basiliche e santuari di mezzo mondo, da Aparecida in Brasile a Damasco, da San Giovanni Rotondo a Cracovia? Rupnik tra l’altro è autore dei mosaici della cappella Redemptoris Mater in Vaticano, dove si svolgevano abitualmente gli esercizi quaresimali dei cardinali con i pontefici. Stupisce non solo la non trasparenza che circonda tutta la vicenda, ma anche il fatto che dopo il supposto pentimento del colpevole non vi sia il minimo provvedimento di punizione che possa dare pubblica soddisfazione alla vittima. La storia non finisce qui. Nel frattempo emergono testimonianze su numerosi abusi sessuali e abusi di coscienza commessi da Rupnik nei confronti di molte consacrate della Comunità Loyola (fondata in Slovenia negli anni Novanta e oggi avviata allo scioglimento per volontà del Vaticano). E’ un dato di fatto che nel 1993 l’arcivescovo di Lubiana proibisce per sempre a Rupnik di avvicinarsi alla comunità composta di donne. La Congregazione per la Dottrina della Fede dichiara tuttavia che i casi, avvenuti trent’anni prima, ricadono sotto la prescrizione.

    Tra il 2021 e il 2023, la Compagnia di Gesù, a cui Rupnik appartiene, prende in mano la situazione, sollecitando a farsi avanti chiunque abbia delle denunce da fare. Accertata la solida credibilità deegli episodi denunciati, l’ordine dei gesuiti impone a Rupnik una serie di restrizioni e l’obbligo di scusarsi personalmente con le vittime. Rupnik non se ne cura, anzi celebra ostentatamente messa in una delle più antiche basiliche romane, Santa Prassede. Il 9 giugno 2023 il Generale dei gesuiti, padre Arturo Sosa, decreta l’espulsione dall’ordine di Rupnik. Prontamente l’ex gesuita riesce a farsi incardinare come sacerdote diocesano a Capodistria. E’ accusato di abusi (è stato affermato in una conferenza stampa presso la FNSI a cui hanno partecipato due ex consacrate della Comunità Loyola, Gloria Branciani e Mirjam Kovac, insieme all’avvocata Laura Sgrò) nei confronti di 20 religiose su 41. Soltanto il 27 ottobre 2023, pressato dal cardinale O’Malley, responsabile della Commissione Vaticana per la Tutela degli Abusi e da altri prelati statunitensi, papa Francesco ha deciso di derogare alla prescrizione e autorizzare un processo canonico. Dietro la scarna elencazione delle fasi di questa vicenda, c’è una realtà di manipolazione allucinante che Gloria Branciani, all’epoca studentessa universitaria, descrive con coraggio e drammatica sobrietà. Gli inviti ad alzare la gonna per scoprire le gambe mescolati a frasi sulla Madonna, baci e abbracci pretesi invocando il trasporto con cui un prete bacia l’altare, la spinta a spogliarsi tra confessioni, messe e la pittura di immagini sacre. Alternando nel ruolo ufficiale di confessore e padre spirituale lodi alla tenerezza e insulti all’incapacità e al preteso “egocentrismo” del soggetto manipolato. Evocando la Trinità mentre spinge la vittima ad un rapporto a tre. Ponendosi come amico mentre la trascina in cinema porno alla periferia di Roma.

    La superiora della comunità viene informata, l’arcivescovo di Lubiana viene informato, il confessore di Rupnik (futuro cardinale Spidlik) viene informato… ma il grande artista viene non viene chiamato a rendere conto. Poi il caso arriva in Vaticano, dove si arena. Anne Barret Doyle, condirettrice dell’associazione “Bishops Accountability”, che negli Stati Uniti si batte per la trasparenza delle gerarchie ecclesiastiche, ha chiesto che sulla vicenda vergognosa il Vaticano istituisca una commissione di indagine indipendente. L’avvocata Laura Sgrò ha scoperto intanto che il gesuita Rupnik è iscritto al registro delle imprese e aveva creato dal 2007 una sua società per la creazione di mosaici, affreschi, restauro conservativo, corsi di studio specializzati. Quote così suddivise: 90 per cento a Rupnik, 10 per cento a una socia. Di colpo, ora che le acque non sono più calme, la distribuzione delle quote è cambiata: 10 per cento a Rupnik, 90 alla socia. Paura di risarcimenti? “Non è solo la nostra storia, ma è parte di una storia più grande”, sostiene Mirjam Kovac. “Quando il muro di gomma è assoluto, diventa difesa di disvalori”. La storia è appena cominciata. E l’epicentro è Roma.

    Don Gallo & Loris Mazzetti
    23 febbraio 2024
    www.ilfattoquotidiano.it/2024/02/23/scandalo-rupnik-una-realta-di-manipolazione-che-investe-direttamente-il-governo-del-papa/...
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    wheaton80
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    00 24/02/2024 19:41
    Allarme tra i Gesuiti: dopo Rupnik tira aria di "repulisti"

    «Nel ringraziare il P. Ruyssen per il suo impegno e lavoro durante questi anni trascorsi presso il Pontificio Istituto Orientale, lo ricorderemo con affetto nella nostra preghiera». Così termina una lettera affissa all'albo del Pontificio Istituto Orientale (PIO), firmata dal Rettore, il gesuita P. David E. Nazar. Uno dei consueti commiati accademici ad un professore giunto all'età della pensione? Oppure ad un collega passato ad altra Università? Niente affatto.

    Primo problema: la data. La lettera porta quella del 19 febbraio scorso, ossia nel bel mezzo dell'anno accademico, all'inizio del secondo semestre. Ed il giorno dell'entrata in vigore delle disposizioni indicate è lo stesso della sua pubblicazione. Una repentinità ed una inopportunità che non possono che far pensare a qualcosa di molto grave.

    Secondo: l'interessato non è un docente invitato, e nemmeno “solo” ordinario, ma il decano della Facoltà di Diritto Canonico del PIO, il belga P. Georges-Henri Ruyssen, che ricopre questo ruolo dal 2016. E cambiare un decano nel corso dell'anno accademico è piuttosto inconsueto e problematico, dal momento che egli ha un ruolo di direzione e amministrazione. P. Ruyssen è tra l'altro Direttore, dal 2012, della collana Kanonika, dedicata alle pubblicazioni relative al Diritto Canonico delle Chiese Orientali.

    Terzo: nessuna convincente spiegazione della decisione. Nella lettera si comunica rispettivamente che il P. Ruyssen cessa, seduta stante, di essere decano; che «trascorrerà un periodo di due anni fuori Roma per prendersi cura della sua salute», che «è sospeso dall'insegnamento al PIO nel prossimo futuro», e sempre nel prossimo futuro «lascerà l'Istituto e la residenza gesuita del PIO». Difficile credere alla motivazione sanitaria, vista l'immediatezza della decisione, tale da non lasciare nemmeno il tempo per i normali avvicendamenti.

    Una nostra fonte ci spiega che «non è chiaro cosa stia bollendo in pentola e per quale motivo Ruyssen sia stato allontanato all’inizio del secondo semestre», ma «ho diverse conferme interne che, dopo l’affare Rupnik, stiano mano a mano “sistemando” altri confratelli difficili». E chissà quali sono queste “difficoltà” dell'ormai ex-decano, che figura anche come consultore del Dicastero guidato dal cardinale Claudio Gugerotti. Ricordiamo che l'Istituto Pontificio di Piazza Santa Maria Maggiore fu fondato il 15 ottobre del 1917 da papa Benedetto XV, con il motu proprio Orientis catholici, affidandolo al suo primo prestigioso preside, l'allora Abate del monastero benedettino di San Paolo Fuori le Mura, il beato Alfredo Ildefonso Schuster, appena qualche anno dopo la fondazione da parte dello stesso Pontefice della Congregazione per le Chiese Orientali.

    Il PIO venne in seguito posto da Pio XI sotto la direzione della Compagnia di Gesù e da allora è strettamente legato sia alla Santa Sede, avendo come Gran Cancelliere il Prefetto della Congregazione, oggi Dicastero, per le Chiese Orientali (ufficio, prima del 1993, ricoperto dal Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica), sia ai Gesuiti, essendo il Preposito Generale della Compagnia il vice Gran Cancelliere dell'Istituto. Un altro gesuita del PIO spedito “in vacanza” è P. Germano Marani, che all'Istituto insegnava, rettore della chiesa del Collegio Russicum, e già vicedirettore del Centro Aletti, la creatura di Rupnik, in un primo momento costola proprio del PIO. Si vocifera che, in questo caso, il motivo dell'allontanamento di P. Marani siano le sue omelie sfacciatamente filo-putiniane davanti agli studenti residenti al Russicum, tra i quali si contano non pochi ucraini.

    C'è poi un terzo mistero che coinvolge la Congregazione di Borgo Santo Spirito. Uno studente gesuita, questa volta del Pontificio Istituto Biblico, sempre nelle mani della Compagnia di Gesù, è stato mandato negli Stati Uniti, pare con biglietto di sola andata. Abbiamo avuto contezza della testimonianza della persona, maschio, che aveva ricevuto le “attenzioni” dello studente. Non si capisce però perché i Gesuiti continuino ad utilizzare la stessa tecnica usata con Rupnik, ossia quella di limitarsi ad allontanare la persona da cui hanno avuto origine i guai, anziché prendere più seri provvedimenti.

    La stessa strategia del semplice spostamento si era verificata anche con un altro nome eccellente, quello del P. Keith Pecklers SJ, Ordinario alla Facoltà di Teologia della Pontificia Università Gregoriana. P. Pecklers era stato accusato, nel 2010, di aver molestato un compagno di collegio, quando erano in seminario.

    www.snapnetwork.org/snap_statements/2010_statements/121210_child_sex_victim_settles_case_vs_big_shot_jesuit_now_in_...

    Pecklers aveva all'epoca 17 anni. La denuncia non fu sufficiente per tenerlo lontano dal contatto con giovani seminaristi e studenti, dal momento che il gesuita fece indisturbato la propria carriera accademica. Nel 2019, però, la Provincia nordorientale della Compagnia di Gesù degli USA, pubblicava una lista di cinquanta nomi di gesuiti implicati in abusi di natura sessuale ritenuti credibili, quindici dei quali ancora viventi. Tra essi figurava appunto il nome di Pecklers. Ma nemmeno questa volta la Compagnia prese provvedimenti, tant'è vero che il gesuita figura ancora tra i docenti in carica alla Gregoriana. L'unica decisione fu quella di cambiare la residenza di Pecklers, ponendolo sotto l'ala protettrice di P. Antonio Spadaro, alla sede de La Civiltà Cattolica, in via di Porta Pinciana. L'artefice del provvedimento soft fu il Delegato del Generale dei Gesuiti per le Case e le Opere Internazionali e Interprovinciali in Roma, cioè lo stesso P. Johan Verschuerer, che fu diretto superiore di Rupnik fino alla sua dimissione dall'Ordine.

    Luisella Scrosati
    23/02/2024
    lanuovabq.it/it/allarme-tra-i-gesuiti-dopo-rupnik-tira-aria-di-r...
    [Modificato da wheaton80 24/02/2024 19:42]