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Dai paesi emergenti: addio a FMI e Banca Mondiale

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    wheaton80
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    00 19/01/2018 23:31
    L’economia cinese stupisce il mondo. La vittoria di Xi Jinping

    Torna a crescere come nel periodo di Hu Jintao l’economia cinese, nonostante la Repubblica Popolare Cinese abbia inaugurato da un pezzo la politica del cosiddetto “new normal”, la parola d’ordine che aveva di fatto dichiarato la fine all’era delle grandi esportazioni cinesi a bassissimo costo. L’obiettivo dichiarato di Xi Jinping è infatti quello di condurre Pechino verso un’economia più progredita dopo anni di crescita. Il Prodotto Interno Lordo di Pechino torna a far registrare un trend positivo nella crescita annuale, che si è attestata nell’anno 2017 attorno al 6,9%. Non accadeva dal 2010, quando il PIL cinese nel periodo 2010-2016 aveva fatto registrare un crollo della crescita dal 10,6% al 6,7% del 2016. Gli effetti della nuova politica economica del governo, volta ad incrementare la domanda interna, sta dando i suoi frutti. Dalla lotta alla corruzione lanciata dal PCC, che ha aumentato la popolarità dello stesso Xi Jinping, al piano di investimenti nelle infrastrutture, la Cina, dopo qualche anno di assestamento, che ha sfiorato anche la borsa di Shanghai, sta per ottenere un nuovo slancio sul piano economico, oltre che su quello politico. In particolare i suoi circa 25.000 chilometri di ferrovia ad Alta Velocità, destinati a diventare 38.000 entro il 2025, e i suoi investimenti nella rete stradale rischiano di diventare un modello per tutti gli altri Paesi nel globo. È della Cina infatti il record del più lungo ponte marittimo del mondo, ultimato negli ultimi mesi del 2017 e che collegherà Hong Kong, Zhuhai e Macao per una lunghezza di circa 55 chilometri. Investimenti quelli delle infrastrutture ai quali si aggiungono la già citata lotta alla corruzione, con circa un milione di dirigenti cinesi colti in flagrante, gli investimenti nello sviluppo e nella ricerca tecnologica e industriale e l’importantissima riforma fiscale che ha fatto risparmiare alle imprese cinesi circa 1.000 miliardi di yuan. Novità nell’economica cinese è invece la crescita del settore terziario, che nel 2017 è cresciuto di circa il 7,6%, più di tutti gli altri settori. Una ristrutturazione controllata quella cinese che ha portato Pechino a guadagnare ancora più credibilità di prima sul piano politico. Non è un caso se Trump nel suo primo anno di presidenza ha avuto come maggiore interlocutore Xi Jinping e non Putin, come molti in Occidente temevano. I successi di Pechino sono infatti anche politici: la proverbiale diplomazia cinese è stata fondamentale per l’accordo tra le due Coree alle prossime Olimpiadi Invernali di Pyongyang, accordo che potrebbe essere il primo viatico per la pace.

    18 gennaio 2018
    www.opinione-pubblica.com/economia-cinese-stupisce-mondo-xi-...
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    wheaton80
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    00 11/01/2019 01:08
    La Cina progetta un nuovo boom

    Quest’anno il babbo Natale cinese regala fortissime deduzioni fiscali per istruzione dei figli, dai livelli prescolari ai dottorati, deduzioni per affitti nelle grandi città, deduzioni per cure anziani e soprattutto forti deduzioni fiscali per cure mediche. Come scrivevo un mese fa, la Cina risponde alla guerra commerciale con il salario sociale globale di classe e la costruzione di un “potente mercato interno”. Di solito al capodanno cinese ci anche sono altre strenne, tipo aumenti del 15% del salario minimo. Vedremo. Intanto ieri il Consiglio di Stato ha augurato a suo modo al mondo buon Natale. Mentre in Usa c’è lo shutdown (il blocco del bilancio federale), in Cina si attua una politica fiscale fortemente espansiva a favore dei ceti medio bassi. Del resto la PBOC, la Banca Centrale Cinese, un anno e mezzo fa aveva esortato il governo ad aumentare il deficit pubblico al 5% per contrastare il rallentamento mondiale. Per 30 anni la Cina ha represso risparmi e consumi per investimenti, al fine di aumentare la produttività totale dei fattori produttivi per allinearla ai livelli occidentali. Una volta fatto questo, è seguita 10 anni fa la nuova legge sul lavoro e la reflazione salariale (aumento costante delle retribuzioni). Ora si cambia passo: si utilizza la politica fiscale per liberare reddito e risparmio ai fini dell’aumento dei consumi e la costruzione di un forte mercato interno. La repressione del risparmio e dei consumi è durata 30 anni, ma cosa volete che siano per i cinesi 30 anni…

    Pasquale Cicalese
    24 dicembre 2018
    contropiano.org/news/internazionale-news/2018/12/24/la-cina-progetta-un-nuovo-boom...




    La Cina abolisce le tasse per i lavoratori e spinge i consumi interni

    Si incominciano a delineare i contorni delle misure adottate il 24 dicembre dal Consiglio di Stato cinese, proprio mentre l’Occidente festeggiava il Natale, e di cui abbiamo dato notizia proprio quel giorno su questo sito. Due premesse. In Cina salari e costi sono molto differenziati a seconda delle zone, per cui il salario dell’ovest è diverso da quello di Pechino o Nanchino. Inoltre: secondo il sistema fiscale cinese le detrazioni avvengono su base mensile, non annuale, tranne le spese sanitarie. C’è da sottolineare che già nei mesi scorsi in Cina era diminuita l’IVA, e in tal modo erano state tagliate le aliquote sia sui redditi medio bassi che su quelli alti. Il tetto dell’imponibile è ora a 5mila yuan, circa 625 euro. Con le misure adottate il 24 dicembre ci sono detrazioni fiscali mensili pari a 400 yuan (50 euro) per master o corsi di formazione, 1.000 yuan per spese affitto, 1.000 yuan per ciascun figlio a scuola, 1.000 yuan per cura di ciascun genitore e detrazioni annuali per spese mediche pari a 60mila yuan (7.500 euro). In Cina la sanità è a carico dello Stato al 70% e del lavoratore per il restante 30%. Con le detrazioni decise a dicembre, in pratica, il lavoratore anticipa mensilmente le spese mediche e poi riavrà un credito di imposta pari al costo sostenuto alla fine dell’anno, questo in vista della costruzione futura del sistema universale della sanità. Facciamo un esempio: un operaio della zona di Nanchino guadagna mensilmente 3mila yuan, 450 euro (1.300 euro, a parità di potere d’acquisto con un cittadino europeo); con il sistema delle detrazioni si troverà centinaia di euro mensili detratte (soldi netti in più in busta paga). Un impiegato qualificato di Shanghai, che guadagna 8mila yuan, circa mille euro, avrà tutto il salario detratto. Con questo sistema di detrazioni praticamente operai e impiegati cinesi non pagheranno tasse, ritrovandosi in più, alla fine dell’anno, un credito di imposta per le spese mediche. E’ come se, su 23 milioni di lavoratori italiani soggetti ad IRPEF, circa 20 milioni non pagassero le tasse. Proiettatele su scala continentale cinese e capirete l’impatto su risparmi e consumi. Insomma, a differenza che nell’Occidente, in Cina si lavora per la riproduzione del proletariato. Mentre qui si smantella lo “stato sociale” per riportarlo a condizione di semi-schiavitù.

    Pasquale Cicalese
    8 gennaio 2019
    contropiano.org/news/internazionale-news/2019/01/08/la-cina-abolisce-le-tasse-per-i-lavoratori-e-spinge-i-consumi-interni...
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    wheaton80
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    00 21/03/2019 22:11
    Cina. Ambasciatore Li Ruiyu: Visita Xi Jinping momento storico, incontro può lanciare segnale al mondo

    Quello di Roma sarà l’incontro tra le Nazioni «rispettivamente emblema della civiltà orientale e occidentale». Così, citando anche Gan Ying e Pomponio Mela, lo stesso Xi Jinping ha definito il vertice fra Cina e Italia dalle pagine del Corriere della Sera, nel suo tradizionale intervento sul principale organo di stampa del Paese dove è atteso in visita. Prossimo allo sbarco a Fiumicino, il volo presidenziale del leader cinese comprende una delegazione al seguito di oltre 500 fra ministri, funzionari e uomini d’affari. Scenari Internazionali ha appena pubblicato “Cina, 70 anni di progressi”, un numero speciale pensato proprio per questo evento. Proponiamo in anteprima ai nostri lettori l’intervista all’ambasciatore cinese in Italia Li Ruiyu, contenuta all’interno della pubblicazione.

    S.E. - Li Ruiyu, bentornato su Scenari Internazionali. Il Ministro degli Esteri italiano Moavero Milanesi, durante la 9a sessione del Comitato Intergovernativo Italia-Cina, ha dichiarato che il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, effettuerà una visita di Stato in Italia alla fine di questo mese di marzo. Quale crede sia il significato principale di tale visita?
    Su invito del Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, il Presidente Xi Jinping si appresta ad effettuare una visita di Stato in Italia. Si tratta della prima visita di un Presidente cinese in Italia negli ultimi dieci anni ed è la prima visita di Stato in Italia del Presidente Xi Jinping dalla sua entrata in carica. Durante la visita, le due parti pubblicheranno una dichiarazione congiunta ed il Presidente Xi Jinping avrà un confronto ed uno scambio di vedute con le autorità italiane al fine di promuovere ulteriormente la cooperazione fattiva sotto l’egida dell’iniziativa Belt and Road in tutti i settori e farà da testimone alla firma di una serie di accordi di cooperazione. Quest’anno ricorre il quindicesimo anniversario dalla firma del Partenariato Strategico Globale Bilaterale Cina-Italia e il prossimo anno si celebrerà il cinquantesimo anniversario dall’avvio ufficiale delle relazioni diplomatiche bilaterali. La visita del Presidente Xi Jinping in Italia sarà un momento importante per delineare le linee-guida di riferimento, per definire la rotta dello sviluppo dei rapporti bilaterali nella nuova era e per aprire un nuovo capitolo nella cooperazione fattiva e nell’amicizia tradizionale che lega i due Paesi. Inoltre, di fronte all’attuale emergere di tendenze protezioniste ed unilateraliste, speriamo che, attraverso la visita del Presidente Xi Jinping, sarà possibile inviare un chiaro segnale al mondo intero in merito alla volontà di Cina ed Italia e di Cina ed Europa di continuare a tutelare fermamente il multilateralismo e il sistema di libero scambio basato su regole condivise, ed iniettare nuova linfa vitale per un proficuo sviluppo dei rapporti sino-europei in questa nuova era.

    Il primo ottobre prossimo ricorrerà il settantesimo anniversario dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese. In questi settant’anni, la Cina ha vissuto grandi cambiamenti ed è diventata la seconda economia mondiale, nonché il primo Paese al mondo per commercio di beni. Ad oggi, nessun consesso internazionale può svolgersi senza coinvolgere o tenere in considerazione la Cina. Si può dire che questo rappresenti la più grande rivincita della Nazione?
    Negli ultimi settant’anni anni, lo sviluppo cinese ha superato tutti gli ostacoli, andando avanti nonostante le difficoltà, e la Cina ha visto cambiamenti senza precedenti e raggiunto innumerevoli risultati importanti. Soprattutto negli ultimi quarant’anni di riforme e apertura, la Cina ha mantenuto un tasso di crescita medio annuo del 9,5% e il commercio estero ha registrato una crescita media annua del 14,5%. Oggi la Cina è la seconda economia mondiale e il primo Paese industriale al mondo, nonché il primo per commercio di beni. Inoltre è arrivata a contribuire per oltre il 30% alla crescita economica mondiale per molti anni consecutivi, diventando così un fondamentale fattore di stabilizzazione dell’economia mondiale ed una sua importante fonte di dinamismo. Contemporaneamente allo sviluppo economico, abbiamo portato avanti un approccio che mette le persone al centro e ci siamo impegnati affinché quello del popolo cinese si trasformasse gradualmente da un tenore di vita basato sulla “soddisfazione dei bisogni primari” ad uno di “livello medio di benessere diffuso”. Il PIL pro-capite dei cittadini cinesi è passato da 160 a quasi 10.000 dollari e più di 70 milioni di persone sono state strappate ad una condizione di povertà: una riduzione che ha riguardato il 70% del totale della popolazione in stato di indigenza a livello mondiale. I grandi cambiamenti che la Cina ha vissuto hanno un profondo significato anche per il mondo intero. Nella sua partecipazione ai processi di governance mondiale, la Cina ha mostrato sempre un comportamento di potenza responsabile. Dalla politica di attrazione delle imprese estere a quella del Go global per le aziende cinesi, dall’ingresso nel WTO al lancio dell’iniziativa Belt and Road, la Cina ha contribuito con la sua saggezza e proposto “ricette cinesi” per affrontare un numero sempre maggiore di sfide internazionali e per realizzare uno sviluppo condiviso da tutti i Paesi.

    Cina e Stati Uniti stanno affrontando un momento di tensione. È più che mai evidente a tutto il mondo che Washington, con il suo atteggiamento poco collaborativo, si stia lentamente isolando, mentre la Cina sta diventando sempre più un modello a cui guardare su temi importanti dell’agenda internazionale, come il commercio, l’ambiente, l’innovazione, la sostenibilità ed altri ancora. Come vede lo sviluppo della Cina per i prossimi dieci anni?
    I prossimi dieci anni sono un lasso di tempo cruciale per la Cina nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi dei “Due centenari”, ovvero completare la costruzione di una società caratterizzata da un livello di benessere diffuso e la creazione di un Paese socialista modernizzato. Di fronte ad un nodo storico cruciale, dobbiamo, da un lato, far fronte al grande compito di trasformare il modello economico del Paese, dall’altro, guardare allo scenario internazionale attraversato da complessi mutamenti. Per questo, lo sviluppo futuro della Cina non sarà una missione semplice. In seguito continueremo ad ampliare la riforma strutturale dell’offerta, a rafforzare la qualità dell’output economico, ad ampliare gli investimenti nell’innovazione per iniettare nuova linfa vitale allo sviluppo del Paese. Al contempo porteremo avanti una strategia di rivalorizzazione delle campagne per promuovere uno sviluppo più equilibrato, aumenteremo l’apertura, rafforzeremo il lavoro di realizzazione dell’iniziativa Belt and Road e promuoveremo la costruzione di un nuovo assetto di apertura completa. Nei prossimi dieci anni, a prescindere da quante turbolenze e tempeste dovremo affrontare, continueremo ad appoggiarci sul popolo, a rinnovarci, ad affrontare le avversità con tenacia e a promuovere uno stabile progresso della Cina nella giusta direzione. Tutto questo permetterà al Paese di contribuire in modo incisivo alla ripresa economica e alla prosperità mondiale.

    I rapporti tra Cina e Italia godono di un momento di sviluppo particolarmente positivo. Il vice-premier e Ministro per lo Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha già effettuato due visite in Cina, dove non molto tempo dopo anche il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo, Gian Marco Centinaio, ha fatto tappa. Guardando a queste visite, quali sono le Sue speranze per lo sviluppo futuro dei rapporti bilaterali?
    Il nuovo governo italiano, sin dal suo insediamento, si è impegnato attivamente per lo sviluppo dei rapporti con la Cina. Sotto la guida del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’esecutivo di Roma ha istituito la Task Force Cina al fine di rafforzare gli scambi economici e in ambito di investimenti tra i due Paesi, un’iniziativa che abbiamo molto apprezzato. Nel 2018, nonostante l’aumento dei fattori di incertezza e instabilità a livello mondiale, l’interscambio bilaterale tra Cina e Italia ha raggiunto un nuovo massimo storico per un ammontare totale di 54,23 miliardi di dollari. Nel dettaglio, le esportazioni italiane in Cina hanno visto un incremento del 17,2% e la bilancia commerciale bilaterale è oggi più equilibrata. Alla fine di gennaio, il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha effettuato una visita in Italia e ha presieduto, con la sua controparte italiana, il Ministro Moavero Milanesi, la 9a edizione del Comitato Intergovernativo Italia-Cina, in cui i due Paesi hanno raggiunto un’importante intesa riguardo le modalità di miglioramento della cooperazione in tutti i settori. Come detto, quest’anno celebriamo il quindicesimo anniversario della firma del Partenariato Strategico Globale Bilaterale. Noi siamo pronti, insieme al nuovo governo italiano, per continuare a mantenere contatti serrati e scambi frequenti e a sfruttare al massimo la forza che la sua posizione geografica dà all’Italia all’interno del progetto Belt and Road. Siamo inoltre pronti a rafforzare i matching strategici fra i due Paesi, ad esplorare il potenziale di collaborazione e a portare il partenariato strategico globale bilaterale ad un gradino sempre più alto.

    Lo scorso anno, la prima edizione della China International Import Expo di Shanghai ha segnato definitivamente il passaggio della Cina da “fabbrica del mondo” a “mercato mondiale”. La Cina dispone di un bacino di 1,3 miliardi di potenziali consumatori e la domanda interna di beni e prodotti cresce sempre di più. Cosa si aspetta dalla prossima edizione dell’Import Expo?
    Come ha giustamente notato, la Cina ha un mercato di consumo enorme. Nel 2018, il valore del commercio al dettaglio e dei consumi sociali cinesi ha raggiunto un totale di oltre 38.000 miliardi di renminbi e la percentuale rappresentata dalla spesa al consumo sul PIL è cresciuta fino al 76,2%, facendo sì che i consumi divenissero una delle forze trainanti della crescita economica cinese. Durante la prima China International Import Expo dello scorso anno, il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio ha guidato la partecipazione alla fiera di una delegazione di oltre 190 fra imprese e organizzazioni, ottenendo importanti risultati, come la firma di diversi accordi di collaborazione con le rispettive controparti cinesi da parte di Leonardo, Fincantieri, Ansaldo e altri importanti gruppi ed aziende italiani. Il prossimo novembre si svolgerà la seconda edizione di questo evento, in vista della quale è previsto un ampliamento dell’area dedicata alla Fiera per il Business e le Imprese (Enterprise & Business Exhibition), che arriverà a coprire 300.000 m2. Le iscrizioni e l’affitto degli spazi dell’Expo sono già in corso e, al momento, più di 500 aziende provenienti da oltre 40 Paesi hanno confermato la loro partecipazione. Nel gennaio scorso, la Cina ha organizzato a Milano la seconda edizione della Presentazione della China International Import Expo, a cui hanno preso parte molte imprese italiane e che ha visto la firma di un accordo per l’affitto di 2.000 m2 di superficie espositiva tra l’Ufficio Generale della China International Import Expo, da una parte, e la Fondazione Italia-Cina, la Camera di Commercio Italo-Cinese e ICE-Agenzia, dall’altra. Come ha ribadito il Presidente Xi Jinping, i cancelli dell’apertura cinese si schiuderanno sempre di più. Sono convinto che la seconda edizione dell’Expo rappresenterà una piattaforma di servizio, migliore e di qualità, per agevolare l’ingresso delle aziende italiane nel mercato cinese, e permetterà ad un numero sempre maggiore di prodotti di qualità del Made in Italy di accedere al mercato cinese.

    Da diversi anni, la visione dello scenario internazionale del governo cinese è orientata all’idea che il sistema multipolare attuale sia una naturale e logica evoluzione del processo di globalizzazione partito negli anni Ottanta del secolo scorso. Crede che in Occidente esistano ancora resistenze a questo cambiamento?
    Credo che la globalizzazione sia una tendenza irreversibile che mira a promuovere l’interconnessione economico-sociale tra tutti i Paesi e lo sviluppo integrato. Ad oggi, l’assetto internazionale sta vivendo delle evoluzioni complesse, non soltanto in termini di tendenze protezioniste, ma anche di altri trend contrari alla globalizzazione dovuti alle politiche migratorie, degli investimenti e del controllo, intraprese da alcuni Paesi. Ovviamente, queste ondate antiglobaliste e protezioniste non generano fiducia e speranza ma pessimismo e perplessità. Dobbiamo invece renderci conto che il libero scambio e la globalizzazione sono il risultato scontato del grande sviluppo della produttività a livello mondiale e sono la via obbligata per lo sviluppo economico-sociale del nostro tempo. Non dobbiamo opporci alla globalizzazione, ma adattarci ad essa e guidarla affinché possa andare verso una direzione di sempre maggiore apertura, inclusione, diffusione, equità e mutuo vantaggio, al fine di promuovere lo sviluppo economico-sociale di tutti i Paesi, in particolare di quelli in via di sviluppo. La Cina intende essere una guida, una fonte di miglioramento ed un contributore per un nuovo modello di globalizzazione e tutelare attivamente un sistema di commercio multilaterale che sia aperto ed equo, ruoti intorno al WTO e sia basato su regole condivise. Intende inoltre tutelare un ordine normale del commercio internazionale e promuovere una crescita economica mondiale sana e sostenibile.

    21 marzo 2019
    www.scenari-internazionali.com/cina-ambasciatore-li-ruiyu-visita-xi-jinping-momento-storico-incontro-puo-lanciare-segnale-al-mondo/?fbclid=IwAR0zzz2lMaHjuMyYqR69ESz9M4lRg63KxJOmO3dFpkZIdcnQJ2t...
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    wheaton80
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    00 21/03/2019 22:22
    Cina, è via della seta o via dell'ignoranza?

    La visita del Presidente cinese per la firma dell’accordo sulla “Nuova Via della Seta” ha dato luogo a un dibattito politico-mediatico inconcludente e povero di contenuti. Anche chi difende le ragioni dell’accordo dimostra una conoscenza a dir poco incerta delle sue premesse e delle sue implicazioni. Ciò si deve a un fondamentale vuoto di conoscenza sulla Cina, che viene sostituito da uno schema mentale tanto facile quanto sbagliato: Cina eguale a Stati Uniti. Il Paese di Xi Jinping è, per la quasi totalità dei commentatori italiani di politica estera e per gli sprovveduti leader dell’opposizione e del governo, nient’altro che una replica autoritaria della superpotenza americana. Pochi di loro, in verità, dubitano che la Cina diventerà entro un decennio la maggiore economia del pianeta, con l’America al secondo posto. Ma ciò avverrebbe grazie al fatto di aver perseguito gli stessi obiettivi, seguito la stessa strategia e usato gli stessi strumenti adoperati dall’Europa negli ultimi secoli, e dagli USA negli ultimi decenni, per impadronirsi del pianeta. Con la sola differenza della natura antidemocratica del regime di Pechino, guidato dal partito comunista.

    Ma una lettura anche sbadata di qualche buon libro di storia della Cina dovrebbe essere sufficiente a smentire questo stereotipo. In materia di pace e di guerra, negli ultimi 2500 anni, si è consolidata in Cina una vocazione diametralmente opposta a quella occidentale. Il disprezzo e l’avversione alla guerra sono un filo che corre lungo l’intera storia e cultura del Paese. Mentre nei sette secoli e mezzo che vanno dal 1200 al 1945 l’Europa è stata dilaniata da un massacro ogni pochi anni, la Cina ha goduto nello stesso arco di tempo di periodi di pace lunghi fino a 500 anni. Ed è su questa base non violenta (senza costruire imperi oltremare e senza corsa agli armamenti) che essa ha edificato una supremazia economica globale durata fino al 1820. E terminata a opera delle armi, della droga e dell’espansionismo spoliatorio dell’Occidente. Tra tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU, la Cina è l’unico a non aver sparato un solo colpo di cannone ai suoi confini negli ultimi 31 anni, dopo un breve scontro armato con il Vietnam nel 1988. L’idea della conquista imperiale, formale o tramite il libero scambio, è estranea alla cultura politica cinese altrettanto di quanto essa sia familiare all’Europa dall’Impero Romano in poi, e agli Stati Uniti dalla loro nascita, 250 anni fa, fino adesso.

    Consiglio a tutti di riflettere sulla vicenda delle spedizioni oltremare dell’ammiraglio cinese Cheng Ho, intraprese 80 anni prima di Cristoforo Colombo. Spedizioni colossali, richiamate in patria perché non animate dall’auri sacra fames, e che ci aiutano a capire perché oggi non parliamo cinese, mentre nel continente americano si parla spagnolo e portoghese. La Cina è una potenza non-espansionista, non-militarista e pacifica sin dalle sue origini, e non c’è alcuna ragione di pensare che lo diventerà solo per imitare gli Stati Uniti. Essa non ha alcuna propensione a trasformare la sua potenza economica in potenza militare. Prove recenti? Il suo budget militare, modesto e in costante diminuzione come percentuale del PIL, e il suo approccio al sistema internazionale creato dopo il 1945 dall’Occidente “pentito” delle sue ultime carneficine. L’approccio cinese si è basato sull’accettazione delle regole multilaterali e non sul loro sovvertimento. Dalle Nazioni Unite fino al WTO, dalle missioni di pace ONU (delle quali è il maggior contributore in termini di personale) ai grandi accordi su clima, ambiente, energia, mercati e nucleare, la Cina si comporta come uno Stato membro responsabile e pragmatico e non come una potenza aggressiva e minacciosa.

    Assomiglia a un’Europa priva della subordinazione agli Stati Uniti. Dal punto di vista politico, la principale differenza tra Cina e Stati Uniti consiste nell’adesione da parte della prima al concetto-guida delle Nazioni Unite, divenuto ormai una realtà di fatto delle relazioni internazionali: la multipolarità di un ordine mondiale basato su norme universalmente condivise e sul rispetto delle sovranità nazionali. Una potenza in ascesa che fosse simile agli USA avrebbe avuto tutto l’interesse a sposare una concezione unipolare del mondo, dove un singolo Paese giunto ai vertici del potere globale si assume il compito di dispensare a tutti il bene supremo della sicurezza. Le “dimissioni” di Trump dal ruolo degli USA come governo mondiale sono di sicuro un passo importante verso la multipolarità, e aprono uno spazio verso la coesistenza con una Cina interessata al “vivi e lascia vivere” invece che all’imperium globale. Come l’ Unione Europea. Ma è altrettanto certo che non siamo di fronte all’accettazione di un mondo post-americano. Esso comporta uno choc politico e un colpo al cuore militare-industriale di una potenza che è abituata a non avere rivali nel pianeta. E ciò può sconvolgere tutto.

    Pino Arlacchi
    21/03/2019
    www.ilfattoquotidiano.it/inedicola/articoli/2019/03/21/cinaeviadellasetaodellignoranza/...
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    00 26/04/2019 19:52
    Al via il Forum Belt and Road, cresce il consenso internazionale attorno all'iniziativa cinese

    Si è aperto oggi a Pechino il secondo Forum Belt and Road per la Cooperazione Internazionale. Si tratta della seconda edizione dell'appuntamento a scadenza biennale, tenutosi per la prima volta nel maggio 2017. Ad anticipare la cerimonia di inaugurazione c'è stato, nella giornata di ieri, un intenso lavoro di confronto distribuito fra 12 forum tematici. Stamattina, invece, il momento più atteso è stato il saluto del Presidente Xi Jinping agli ospiti, fra cui anche il nostro Presidente del Consiglio Giuseppe Conte in rappresentanza del primo, e fin'ora unico, Paese del G7 ad aver formalmente aderito all'iniziativa Belt and Road. Nel quadro UE, all'Italia si è aggiunto pochi giorni dopo il Lussemburgo. Più recentemente è toccato invece alla Svizzera annunciare la propria adesione all'iniziativa, con la firma del Presidente della Confederazione Ueli Maurer attesa per dopodomani a Pechino. Significative sono state le parole pronunciate dal leader cinese nel discorso inaugurale del Forum, a partire da quelle che vengono considerate la «pietra angolare della connettività» e il «punto debole» con cui molti Paesi si stanno confrontando, ovvero le infrastrutture, che secondo Xi devono essere caratterizzate da «alta qualità, sostenibilità, resistenza ai rischi, costi ragionevoli, inclusività ed accessibilità». “La costruzione di infrastrutture con simili standard”, ha proseguito il Presidente cinese, “potrebbe aiutare i Paesi del mondo a concretizzare appieno i propri punti di forza nelle risorse e ad integrarsi meglio nelle catene globali logistiche, industriali e del valore».

    Com'è ormai noto ai più, l'iniziativa Belt and Road (BRI) è il megaprogetto lanciato da Xi Jinping nel 2013 per ricostruire in chiave moderna le antiche direttrici terrestri e marittime della Via della Seta. Essa si snoda lungo tre traiettorie principali: due ormai consolidate, cioè quella terrestre sviluppata attorno all'Asia Centrale e quella marittima centrata sull'Oceano Indiano; ed una terza, di più recente ideazione, che vede la Cina impegnata con la Russia nello sviluppo di una linea di comunicazione artica, già definita da diversi analisti con il suggestivo nomignolo di "Via della Seta polare". Il piano viene sostenuto, fra gli altri, anche dall'AIIB, la banca di sviluppo multilaterale inaugurata a Pechino nel 2016, ad oggi formata da 70 membri fra Paesi e territori, in attesa di altri 27 pronti all'ingresso, e pensata per il supporto finanziario agli investimenti infrastrutturali in Asia. Strade, linee ferroviarie, porti e aeroporti dovranno dunque mettere in collegamento fra loro tre continenti, Asia, Europa ed Africa, ed in particolare alcune regioni-chiave al loro interno: l'area Asia-Pacifico, il Mediterraneo e il Mar Rosso. Come sancito dai contenuti del Memorandum d'Intesa firmato a Roma circa un mese fa, nel nostro Paese sono i porti di Trieste e Genova a giocare un ruolo determinante nella logistica intermodale della Nuova Via della Seta, pensata anzitutto per connettere Europa ed Asia. Questo, tuttavia, non ha impedito a governi americani, come quelli canadese, brasiliano, argentino, boliviano, peruviano ed altri ancora, e ancor meno a quelli oceanici, Australia e Nuova Zelanda in primis, di prendere parte (o progettare di farlo) al consiglio direttivo dell'AIIB, guardando dunque con interesse anche alla BRI.

    Nello specifico, fra Europa ed Asia, la connettività a tutto campo è cresciuta esponenzialmente nel corso degli ultimi cinque anni. Come indica il quotidiano cinese in lingua inglese "Global Times", dal 2013 al 2018 si sono registrati 14.691 viaggi ferroviari merci tra la Cina e il Vecchio Continente, che hanno messo in collegamento 62 città del Paese asiatico con 51 in Europa in 15 diversi Paesi, a partire da Germania, Olanda e Belgio. Più in generale, invece, Pechino ha già ufficializzato accordi per la facilitazione dei trasporti internazionali con 15 Paesi coinvolti nella BRI, 38 accordi, fra bilaterali e regionali, per la navigazione con 47 Paesi BRI ed altri accordi per il trasporto aereo che hanno portato in cinque anni all'apertura di 1.239 nuove rotte verso i Paesi BRI. «Si tratta di un'opportunità molto importante», aveva affermato martedì scorso il Segretario Generale dell'ONU Antonio Guterres, anch'egli ospite del Forum, riferendosi in particolare alla capacità della BRI di «realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile» e «avviare prospettive ecocompatibili negli anni a venire». Fondamentale è infatti il duplice carattere, interno ed esterno, del nuovo corso politico cinese in tema di sostenibilità e salvaguardia dell'ambiente, che estende l'approccio green della quinta generazione della leadership anche ai progetti negli altri Paesi BRI e nei Paesi terzi, assieme ai partner della BRI.

    Il passaggio della Cina da una condizione di estrema povertà allo status di seconda economia del pianeta «probabilmente rappresenta un esempio unico al mondo», aveva proseguito Guterres, sottolineando il contributo del colosso asiatico alla facilitazione della connessione fra i Paesi del mondo. Facilitazione che si estende anche al commercio e agli investimenti, con le nuove misure pensate da Pechino per aumentare il livello di apertura del mercato interno. Proprio nel discorso inaugurale pronunciato oggi, Xi Jinping ha confermato che «la Cina aumenterà le importazioni di beni e servizi su più vasta scala», «continuerà a ridurre le aliquote tariffarie» ed «aprirà costantemente il suo mercato accogliendo prodotti di qualità da tutto il mondo». A novembre, infatti, andrà in scena a Shanghai la seconda edizione del China International Import Expo, appuntamento lanciato per la prima volta lo scorso anno presso il centro fieristico della città cuore finanziario del Paese, dove funzionari di governo ed aziende da oltre 130 fra Paesi e territori di tutto il mondo si sono ritrovati per promuovere e proporre beni e servizi ai loro interlocutori cinesi. Il primo gennaio successivo entrerà invece in vigore la nuova legge sugli investimenti, approvata durante l'ultima Assemblea Nazionale del Popolo del marzo scorso, che garantirà maggiore trasparenza, equità e semplificazione agli investitori esteri che operano in Cina.

    Andrea Fais
    26 Aprile 2019
    agenziastampaitalia.it/politica/politicaestera/45105alviailforumbeltandroadcresceilconsensointernazionaleattornoalliniziativacinesefbclid=IwAR38vPPA_BQSXMiQNsTksA6ijsrKgMPcvSNsMH03xy3Y_U07lRy...
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    00 24/06/2019 18:07
    La FAO disegna il multilateralismo



    Con 108 voti a favore su 192 aventi diritto, Qu Dongyu, il candidato della Cina alla poltrona di Direttore Generale della FAO, ha sconfitto la francese Catherine Geslain-Lanéelle (71 voti), che era il candidato non solo della Francia ma di tutta l’Unione Europea ed era sostenuta dagli Stati Uniti e dai Paesi satelliti. L'outsider georgiano, Davit Kirvalidze, ha invece ottenuto 12 voti, mentre uno è risultato una astensione. A poco è servito l’intenso lavoro diplomatico di Parigi per compattare l’Occidente e l’Africa sulla sua candidata. Anzi, proprio dall’Africa i segnali arrivati al palazzone razionalista di Roma sono stati inequivocabili ed hanno rappresentato uno smacco per la consolidata influenza che la Francia esercita sul continente nero. Di contro, il voto a favore della Cina testimonia come la sua opera di penetrazione economico-finanziaria in Africa, sia riconosciuta. Del resto il gigante asiatico ha assoluto bisogno di alimenti ed energia per sostenere il suo sviluppo industriale e grazie ai massicci investimenti ed alla realizzazione di importanti opere infrastrutturali destinati al miglioramento delle condizioni di abitabilità e di sviluppo di interi Paesi, Pechino viene riconosciuta oggi come un partner credibile per un continente in cerca di politiche favorevoli alla sua crescita e non alla sua spoliazione. Interventi che verranno ulteriormente ampliati e valorizzati proprio dall’iniziativa intercontinentale di Pechino che va sotto il nome di Nuova Via della Seta (Belt and Road) e che troverà nelle politiche della FAO destinate alla crescita ed alla lotta contro la fame e la povertà un ulteriore sostegno. Decisamente diversa dall’idea occidentale di depredazione coloniale o di elemosina destinata a ridurre i danni, la politica di Pechino in Africa e in America Latina punta proprio sullo sviluppo delle infrastrutture dei Paesi per sconfiggere il sottosviluppo, del quale la fame, l’assenza di reti viarie e ferroviarie, la difficoltà dell’accesso all’acqua e le malattie endemiche, sono solo alcuni degli aspetti peggiori. Qu Dongyu, biologo di 55 anni e Viceministro cinese dell’Agricoltura, s’insedierà tra pochi giorni e resterà in carica fino al 2023. Nel suo saluto seguito alla proclamazione della vittoria ha espresso “gratitudine per la madrepatria" e ha rassicurato circa la fedeltà alla mission della FAO da parte della Cina, che ne segue "le regole". Il nuovo Direttore Generale ha tutte le ragioni per dirsi soddisfatto. Aldilà della retorica scontata, il risultato di ieri alla FAO è di straordinaria importanza geopolitica.

    Intanto perché è la prima volta nella storia della Repubblica Popolare Cinese che un suo candidato ad un ruolo di primaria importanza sulla scena internazionale ottiene un successo. Quello alla FAO è insomma un voto che da un lato, nelle proporzioni assolute, rappresenta il declino politico europeo nelle assisi multilaterali e, dall’altro, conferma l’ormai apparentemente inarrestabile crescita di Pechino nello scenario della governance globale. Il voto segreto impedisce una ricostruzione dettagliata dello spoglio delle schede ma, stando alle dichiarazioni di voto diffuse nei giorni che hanno preceduto l’assise, oltre che Iran e Russia, Sudafrica e India, a sostegno del candidato di Pechino si sono schierati compatti Cuba, Nicaragua, Bolivia e Venezuela. Persino Argentina e Brasile, pur legati mani e piedi a Washington, hanno votato per il candidato cinese, viste le profonde ed estese reti di cooperazione e di import/export con Pechino. Per gli stessi Stati Uniti è la seconda sconfitta in sede ONU nel giro di una settimana, dopo l’ingresso del Nicaragua nel Consiglio Economico delle Nazioni Unite, avvenuto nonostante le pressioni contrarie da parte di Washington. E per rimanere in ambito ONU, la sconfitta della candidata francese segna uno smacco anche per l'Europa. Prima donna in corsa per la carica, Deslain-Lanéelle aveva dato la disponibilità a controverse aperture nei confronti degli Stati Uniti su dossier sensibili come quello degli OGM. E per quanto si voglia ora responsabilizzare della sconfitta la candidata, ad una analisi attenta non può sfuggire come la debacle sia in primo luogo la misura della perdita d’influenza francese e l’ennesimo rovescio patito dal Governo Macron, ormai indigesto in patria e fuori. La grandeur s’è fatta piccola come il suo Presidente.

    Fabrizio Casari
    23 Giugno 2019
    www.altrenotizie.org/spalla/8498-la-fao-disegna-il-multilaterali...
    [Modificato da wheaton80 24/06/2019 18:07]
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    00 02/07/2022 01:34
    Russia isolata? Ora Argentina e Iran chiedono di entrare nei BRICS

    Nelle ultime ore i principali organi di informazione occidentale hanno rilanciato la notizia di un presunto default della Russia.

    Il default russo che non esiste

    “La Russia è in default sul debito estero per la prima volta da oltre un secolo”, “La Russia è ufficialmente in default secondo Moody’s”, sono alcuni dei titoli apparsi sulla stampa mainstream italiana. Ci si aspetterebbe quindi di vedere la Russia in ginocchio e Vladimir Putin pronto ad abbandonare la nave, invece non è così. Perché la Russia ha i soldi per pagare i 100 milioni di interessi su due obbligazioni estere, ma è impossibilitata a saldare per i divieti di pagamenti imposti con le sanzioni. È il primo caso in cui si dichiara insolvente un Paese che ha le risorse per onorare i debiti, ma viene impedito il pagamento. La storia del possibile default russo annunciato in occidente va avanti in realtà da mesi, come testimoniano alcuni articoli del marzo scorso, e si tratta così di pura propaganda occidentale in tempo di guerra.

    La nuova valuta dei BRICS
    In realtà la salute economica di Mosca sembra tutt’altro che compromessa e lo dimostrano le ultime iniziative intraprese in ambito diplomatico. Prendiamo, per esempio, il gruppo dei BRICS. Si tratta di un’alleanza internazionale di Paesi che raggruppa il Brasile, la Russia, l’India, la Cina e il Sudafrica. Bene, nonostante la guerra, le relazioni politiche e commerciali tra questi Paesi sembrano rafforzarsi di giorno in giorno, come testimoniato dall’ultima riunione. La Russia ha infatti proposto la creazione di una valuta di riserva internazionale basata sul paniere valutario dei BRICS. Cosa significa? Non si tratta della creazione di una nuova moneta comune fisicamente circolante tra i BRICS, ma dell’intenzione di sostituire il dollaro come valuta di riserva di riferimento. Con gli accordi di Bretton Woods, del 1944, si impose a tutti i Paesi di accettare il dollaro come moneta obbligatoria di riferimento per le transazioni internazionali. Da allora il dollaro è detenuto in quantità molto significative dalla maggior parte dei Governi e delle istituzioni finanziarie mondiali ed è diventato così valuta di riserva principale. Bene, l’iniziativa russa vuole scalzare questa egemonia monetaria. Al momento si tratta di una proposta sul tavolo che dovrà essere valutata dagli altri membri del BRICS, ma la sensazione è che questo gruppo possa sempre più rappresentare un’alternativa al blocco occidentale.

    Argentina e Iran pronte ad allargare il gruppo

    Negli ultimi giorni infatti sono arrivate le richieste formali di ingresso nei BRICS da parte di Argentina e Iran. Il Presidente del Paese sudamericano, Alberto Fernandez, ha infatti così dichiarato:“Siamo onorati dell’invito a questo incontro allargato dei BRICS. Aspiriamo ad essere membri a pieno titolo di questo gruppo di Nazioni che già rappresenta il 42 per cento della popolazione mondiale e il 24 per cento del PIL mondiale”. Oltre al contributo economico si tratta di una mossa dal profondo significato politico. In un momento in cui la tensione tra Stati Uniti e Russia è ai massimi livelli, forse più alti della Guerra Fredda, un Paese facente parte del cosiddetto cortile di casa americano, decide di tendere la mano a Mosca. Da parte iraniana invece il portavoce del Ministero degli Esteri ha affermato che:“L’appartenenza dell’Iran al gruppo BRICS comporterebbe un valore aggiunto per entrambe le parti”. E in effetti così non potrebbe non essere, visto che l’Iran detiene le seconde riserve di gas al mondo. L’isolamento e la crisi russa sembra quindi esistere solo nelle pagine dei quotidiani mainstream occidentali. La realtà sembra consegnarci un quadro ben diverso, dove il blocco dei BRICS sta sempre più rappresentando un’alternativa economica, politica e culturale al modello occidentale.

    28 giugno 2022
    Michele Crudelini
    www.byoblu.com/2022/06/28/russia-isolata-ora-argentina-e-iran-chiedono-di-entrare-nei...
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    00 20/07/2022 18:55
    I BRICS si allargano

    Il Presidente cinese Xi Jinping ha annunciato l’accelerazione del processo di espansione dei BRICS (Brasile, Russia, Cina, India, Sudafrica) a Iran e Argentina in occasione del 14° incontro dei leader dei BRICS a Pechino a fine giugno. Iran e Argentina hanno annunciato di aver presentato la richiesta formale di adesione al gruppo. A maggio, per la prima volta hanno partecipato alla Riunione dei Ministri degli Esteri dei BRICS i ministri degli Esteri di Kazakistan, Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Indonesia, Nigeria, Senegal, Emirati Arabi Uniti, Thailandia e altri Paesi. Tutto questo indica che l’espansione dei BRICS sta accelerando. Il Presidente argentino Alberto Fernandez ha ribadito nei giorni scorsi il desiderio che l’Argentina si unisca ai BRICS. L’Argentina spera di diventarne un membro il prima possibile. Non è da escludere il possibile allargamento dei BRICS a Paesi come l’Arabia Saudita, che ha già espresso il suo interessamento, e a Nazioni, come Bangladesh, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Uruguay, che l’anno scorso hanno aderito alla New Development Bank, istituto fondato dai BRICS nel 2015. L’ingresso dell’Iran aggiungerebbe ulteriore valore ai BRICS, dato che il Paese detiene circa un quarto delle riserve petrolifere del Medio Oriente e la seconda riserva mondiale di gas. Invitato a una riunione virtuale del vertice, il Presidente iraniano Ebrahim Raisi ha tenuto un discorso in cui ha espresso la disponibilità dell’Iran a condividere le sue vaste capacità e il suo potenziale per aiutare i Paesi BRICS a raggiungere i loro obiettivi. Nello stesso periodo, Teheran ha partecipato a due giorni di colloqui a Doha volti a riallacciare il rapporto con gli USA, riportando in vita l’accordo del Piano d’Azione Congiunto Globale (JCPOA) tra Iran e Stati Uniti, che si sono conclusi senza alcun risultato positivo. Allo svanire della speranza di normalizzare i suoi legami con il blocco occidentale, l’Iran vede ora questa opportunità di rompere l’isolamento.

    Anche Egitto, Arabia Saudita e Turchia bussano alla porta
    Dopo l’adesione all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) lo scorso anno, la partecipazione ai BRICS è il secondo passo dell’Iran verso l’adesione a questo gruppo, che si propone esplicitamente come alternativa all’Occidente, e all’egemonia del dollaro nell’economia globale. Feng Xingke, Segretario Generale del World Financial Forum e Direttore del Center for BRICS and Global Governance, ha dichiarato al Global Times di Pechino che l’inclusione dell’Iran nei BRICS significherà “canali più stretti ed efficaci tra risorse e mercati, a beneficio di tutti i membri". In un’intervista rilasciata alla testata russa Izvestia, Purnima Anand ha dichiarato che Cina, Russia e India hanno discusso l’adesione a BRICS di Egitto, Arabia Saudita e Turchia, aggiungendo che questa potrebbe non realizzarsi in tempi diversi. “Tutti questi Paesi hanno mostrato interesse ad aderire e si stanno preparando a fare domanda di adesione. Penso che questo sia un buon passo, perché l’espansione è sempre percepita positivamente; questo aumenterà chiaramente l’influenza dei BRICS nel mondo”, ha spiegato Anand. “Spero che l’adesione dei Paesi ai BRICS avvenga molto rapidamente, perché ora tutti i rappresentanti del nucleo dell’associazione sono interessati all’espansione dell’organizzazione “. In precedenza, anche Li Kexin, Direttore Generale del Dipartimento per gli Affari Economici Internazionali del Ministero degli Esteri cinese, aveva dichiarato che diversi Paesi stavano “bussando alle porte” dell’organizzazione, tra cui Indonesia, Turchia, Arabia Saudita, Egitto e Argentina. Putin, parlando al Forum mercoledì, ha sottolineato la necessità di “creare una valuta di riserva internazionale basata su un paniere di valute dei nostri Paesi”.

    Questa idea è parte del cosiddetto progetto R5, sigla che prende spunto dalla lettera iniziale comune della valuta dei cinque Paesi BRICS (il real brasiliano, il rublo russo, la rupia indiana, il renminbi cinese e il rand sudafricano). A tal proposito, Putin ha fatto notare al Forum che il totale delle riserve internazionali dei Paesi BRICS ammonta circa al 35% delle riserve mondiali. L’idea è quella di sviluppare un sistema per la multilateralizzazione degli accordi di pagamento, facendo ricorso alle proprie valute, bypassando completamente il dollaro e le istituzioni finanziarie occidentali e mettendosi così al riparo dalle sanzioni. Un altro vantaggio che i BRICS potrebbero dare alla Russia di Putin è quello di collegare il suo sistema di pagamenti bancari, attualmente disconnesso da quello occidentale a causa delle sanzioni, a quello delle economie BRICS. Come mostrano i dati di Rystad Energy, l’India ha acquistato dalla Russia tra marzo e maggio di quest’anno un quantitativo di greggio sei volte superiore rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre le importazioni cinesi nello stesso arco di tempo si sono triplicate. Come ha sottolineato Rita Fatiguso sul Sole 24 Ore, la New Development Bank, la Banca per lo sviluppo dell’alleanza, “è stata (…) rifinanziata con 30 miliardi di dollari per il quinquennio 2022-2026 in occasione del rinnovo del board. Il che ha portato a 60 miliardi di dollari la dote stanziata a oggi dalla banca per progetti infrastrutturali. Fondi dei quali usufruirà anche la Russia di Vladimir Putin, che in questo contesto è totalmente al riparo da qualsiasi sanzione internazionale”. Un processo di aggregazione dei Paesi non allineati con gli USA che viene da lontano, dalla creazione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), nel 2001, un’evoluzione dei “Cinque di Shanghai”, un accordo di sicurezza reciproca stipulato nel 1996 tra Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan. Il 15 giugno 2001, i leader di queste Nazioni e dell’Uzbekistan si sono incontrati a Shanghai per annunciare una nuova organizzazione con una più profonda cooperazione politica ed economica; la Carta della SCO è stata firmata il 7 luglio 2002 ed è entrata in vigore il 19 settembre 2003.

    Da allora i membri della SCO sono diventati otto, con l’ingresso di India e Pakistan il 9 giugno 2017. Un’operazione che ha sollevato da allora discussioni e commenti sulla natura geopolitica dell’Organizzazione. Matthew Brummer, nel Journal of International Affairs, traccia le implicazioni dell’espansione della SCO nel Golfo Persico. Secondo il politologo Thomas Ambrosio, uno degli obiettivi della SCO era quello di garantire che la democrazia liberale non potesse guadagnare terreno in questi Paesi. Lo scrittore iraniano Hamid Golpira commentava:“Secondo la teoria di Zbigniew Brzezinski, il controllo della terraferma eurasiatica è la chiave per il dominio globale e il controllo dell’Asia Centrale è la chiave per il controllo della terraferma eurasiatica… Russia e Cina hanno prestato attenzione alla teoria di Brzezinski, da quando hanno formato l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, apparentemente per frenare l’estremismo nella regione e migliorare la sicurezza delle frontiere, ma molto probabilmente con il vero obiettivo di controbilanciare le attività degli Stati Uniti e del resto dell’alleanza NATO in Asia Centrale". Già nel novembre 2005 il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov affermava che “l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) sta lavorando per stabilire un ordine mondiale razionale e giusto” e che “l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai ci offre un’opportunità unica di partecipare al processo di formazione di un modello fondamentalmente nuovo di integrazione geopolitica”. Il Quotidiano del Popolo commentava allora:“La dichiarazione sottolinea che i Paesi membri della SCO hanno la capacità e la responsabilità di salvaguardare la sicurezza della regione centroasiatica e invita i Paesi occidentali a lasciare l’Asia Centrale. Questo è il segnale più evidente dato dal vertice al mondo".

    Maurizio Sacchi
    17 luglio 2022
    www.atlanteguerre.it/i-brics-si-allargano/
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    wheaton80
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    00 13/03/2023 16:01
    I paesi del BRICS superano il PIL del G7. Prove di multipolarismo

    Le sanzioni economiche sono una delle armi preferite dall’occidente per tentare di piegare i Paesi che non sottostanno alle direttive loro imposte in campo politico ed economico, ma come appare sempre più chiaro i risultati ottenuti sono del tutto negativi. Le Nazioni a cui gli Stati Uniti e i Paesi a loro assoggettati, come l’Unione Europea, applicano sanzioni sono numerosi ma i risultati di questa politica punitiva non sono quelli che ci si aspetterebbe. Infatti, come è oramai noto, le sanzioni non fermano la crescita economica del Paese che le subisce. Esistono poi i paradossi dove le sanzioni si ritorcono contro chi le promuove, come nel caso della Federazione Russa, sanzionata abbondantemente per l’invasione in Ucraina. In questo caso sono proprio le economie dei Paesi europei a subirne le conseguenze, mentre Mosca quasi non se ne accorge. Uno dei provvedimenti presi contro la Federazione Russa è anche l’embargo sulla vendita di prodotti petroliferi raffinati come il gasolio. Questo ha fatto sì che molti Paesi, tra cui l’Arabia Saudita, hanno enormemente aumentato l’importazione di diesel per poi rivenderlo proprio a noi che applichiamo tale divieto. Un bell’affare non c’è che dire. La Federazione Russa ha aumentato le esportazioni verso Riad sia direttamente che con trasferimenti in alto mare da una petroliera all’altra, denominati ship to ship. Il boom di esportazioni di gasolio russo verso l’Arabia Saudita è iniziato dopo il 5 febbraio, data in cui è iniziato il divieto di importazione nell’Unione Europea dei prodotti raffinati russi. Una volta ricevuto il gasolio russo, le raffinerie saudite raffinano ulteriormente i prodotti e di fatto li rendono nuovamente vergini e pronti per essere venduti sui mercati europei. Prima dell’inizio dell’embargo sui prodotti raffinati russi, l’Unione Europea importava dalla Federazione Russa 600mila barili al giorno. Attualmente la quantità delle importazioni di questi prodotti dall’Africa e dall’Asia è notevolmente aumentata. Anche i Paesi nordafricani, come Algeria e Tunisia, hanno aumentato notevolmente le loro importazioni di diesel russo, che poi finisce nei distributori di gasolio in Europa. Intanto il Ministero del Petrolio iraniano ha annunciato che il Paese ha raggiunto il livello massimo di esportazione di petrolio dal 2018, anno in cui gli Stati Uniti hanno applicato sanzioni al Paese persiano. Il Ministro del Petrolio Yavad Oyi ha dichiarato che l’Iran ha esportato nell’ultimo anno 86 milioni di barili di petrolio in più rispetto all’anno precedente e 198 milioni di barili in più rispetto al 2020. Yavad Oyi ha continuato affermando che ciò è stato possibile nonostante le numerose sanzioni applicate al suo Paese dai soliti Stati Uniti.

    Secondo quanto affermato dalla Casa Bianca, nel 2018 le sanzioni avrebbero dovuto azzerare le esportazioni di greggio dall’Iran ma, come è oramai evidente a tutti, le sanzioni non servono per bloccare le economie dei Paesi sottoposti a tali provvedimenti. Anche le esportazioni di gas sono aumentate del 15% nel corso dell’ultimo anno, secondo quanto comunicato da Yavad Oyi, secondo Hispan TV. Nel 2022 la produzione media di greggio iraniano, secondo i dati forniti dall’OPEC, aveva raggiunto la quota di 2.554.000 barili giornalieri, con un aumento del 6,7 per cento rispetto al 2021. Secondo la società britannica di consulting Acorn, i Paesi aderenti ai BRICS, Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, hanno superato i Paesi del G7 in termini di Prodotto Interno Lordo (PIL). Se consideriamo che proprio l’Iran, la Russia e la Cina, anche se in maniera meno forte rispetto agli altri due Paesi, sono sottoposti a sanzioni, appare chiaro che alla fine questi provvedimenti punitivi hanno un impatto modesto o almeno meno importante di quanto ci aspetteremmo. I motivi sono molteplici ma credo che i più importanti siano che attualmente le economie dei Paesi sanzionati continuano a prosperare anche perché hanno relazioni dirette tra di loro. Poi non bisogna dimenticare che le sanzioni sono un provvedimento preso a livello politico dalla nostra classe dirigente, che dovrebbe colpire le economie dei Paesi sanzionati ma che non rispecchia la realtà finanziaria. Ma siccome l’economia non è più guidata dalla politica, che invece è manipolata dall’economia stessa, le sanzioni ovviamente non hanno effetto. Insomma la nostra classe politica crede di poter fermare l’economia di un Paese con uno o più provvedimenti sanzionatori ma non si rende conto invece che l’economia non può essere fermata da una sanzione. Ci sarà sempre qualcuno che troverà il modo per aggirare questi provvedimenti. Esempio tipico potrebbe essere quanto sopra riportato, ovvero la vendita da parte della Russia del diesel all’Arabia Saudita che poi, dopo averlo ulteriormente raffinato, lo rivende ai Paesi europei. Ciò avviene anche con il petrolio iraniano o venezuelano, che viene miscelato con il 51% di petrolio proveniente da altri Paesi e così miracolosamente scompare e diventa legale la sua vendita. I nostri politici come al solito credono di avere il controllo dell’economia ma in realtà sono loro che sono manovrati come burattini dai signori della finanza e dell’economia in genere.

    Andrea Puccio
    12/03/2023
    www.occhisulmondo.info/2023/03/12/i-paesi-del-brics-superano-in-termini-di-pi...
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    00 30/03/2023 16:21
    L'Egitto si unisce alla nuova banca del blocco BRICS

    La Gazzetta Ufficiale dell'Egitto ha pubblicato la ratifica, da parte del Presidente Abdel-Fattah al-Sisi, dell'accordo che istituisce la New Development Bank (NDB), del blocco BRICS, dopo che l'Egitto ha firmato il documento di adesione alla banca. I BRICS sono uno dei blocchi economici più importanti del mondo, che comprende Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. BRICS è l'abbreviazione delle iniziali dei Paesi membri dell'organizzazione. Questi Paesi rappresentano circa il 30 percento delle dimensioni dell'economia globale, il 26 percento dell'area mondiale e il 43 percento della popolazione mondiale, oltre a produrre più di un terzo della produzione mondiale di cereali. Gli Stati membri hanno istituito la New Development Bank, con un capitale di 100 miliardi di dollari per finanziare progetti infrastrutturali e lo sviluppo sostenibile negli Stati membri, nonché nelle economie di mercato emergenti e in altri Paesi in via di sviluppo. La New Development Bank ha accettato l'Egitto come nuovo membro e lo aveva annunciato nel dicembre 2021. L'Egitto è appena diventato il quarto dei nuovi membri del blocco, preceduto nel settembre 2021 da Bangladesh, Emirati Arabi Uniti e Uruguay.

    Traduzione: Wheaton80
    30 marzo 2023
    www.egyptindependent.com/egypt-joins-new-bank-of-brics-bloc/
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    00 06/04/2023 18:59
    L’Arabia Saudita volte le spalle all’Occidente e guarda all’Asia per la sua economia di 1.000 miliardi di dollari

    Il 2022 è stato un anno straordinariamente positivo per l’Arabia Saudita, i cui conti pubblici sono tornati in attivo per la prima volta dal 2013, sostenuti da entrate petrolifere quasi record di 326 miliardi di dollari. E per la prima volta nella sua storia, il PIL ha superato il traguardo dei 1.000 miliardi di dollari. Il regno fa parte a pieno titolo del G20, l’assise dei venti Paesi più ricchi al mondo. E l’anno scorso il principe ereditario Mohammed Bin Salman (MBS) ha avviato un processo di riposizionamento geopolitico, che sta concretizzandosi in queste settimane attraverso atti clamorosi e impensabili fino a pochi mesi fa.

    MBS vicino più a Xi che a Biden
    I rappresentanti sauditi hanno incontrato gli omologhi iraniani a Pechino per dare inizio a un avvicinamento diplomatico sotto la sorveglianza della Cina di Xi Jinping. I due Stati arci-nemici del mondo musulmano sono tornati a parlarsi dopo decenni di guerre per procura e minacce militari dirette. Pochi giorni fa, Riad ha annunciato che sarà partner dello Shanghai Cooperation Organization (SCO), un’istituzione multilaterale voluta dalla Cina a tutela della sicurezza in Asia. Ne farà parte anche l’Iran, a conferma dello “scongelamento” delle relazioni bilaterali. E domenica scorsa, i sauditi hanno avallato il taglio dell’offerta di petrolio dell’OPEC da 1 milione di barili al giorno a partire da maggio. Leader di fatto del cartello, intendono così sostenere le quotazioni internazionali. L’Occidente guarda con preoccupazione a tale atto, perché favorisce un produttore di energia come la Russia e al contempo colpisce le economie di Stati Uniti ed alleati europei, già fiaccate dall’alta inflazione e dalla conseguente stretta monetaria necessaria per combatterla.

    Petrodollari versus sicurezza, accordo saltato
    L’elenco delle ragioni che sta spingendo l’Arabia Saudita a girare le spalle all’Occidente è lungo. In primis, i rapporti con Washington sono ai minimi termini da decenni. Il Presidente americano Joe Biden aveva attaccato il regno per l’assassinio di Jamal Khashoggi, oppositore della monarchia che era solito attaccare dalle colonne del Washington Post. Prima di entrare alla Casa Bianca, era arrivato a definire il regno “uno stato paria”. Il principe MBS non l’ha presa per nulla bene. E poi c’è lo Yemen a inquietare Riad. Gli Stati Uniti, che dagli anni Settanta hanno garantito la sicurezza al territorio saudita, non sono intervenuti a suo sostegno contro gli attacchi con droni rivolti dai ribelli anti-governativi Houthi, sostenuti dall’Iran. In altre parole, agli occhi di MBS è saltato quel patto che legava la superpotenza americana a Riad: accettare i pagamenti del petrolio solo in dollari in cambio di sicurezza. Ed è così che lo scorso anno i sauditi hanno stretto un accordo con la Cina per regolare gli scambi eventualmente anche in yuan. C’è poi una questione strategica: la Cina è la seconda economia mondiale, proiettata a diventare la prima entro pochi anni e ancora in fase di sviluppo. Essa resta energivora, contrariamente all’Occidente, sempre più incline ad allentare la dipendenza dagli idrocarburi e che già da tempo cresce a ritmi lenti, avendo raggiunto la maturità economica.

    Arabia Saudita vede futuro in Asia
    Per l’Arabia Saudita sarà sempre più la Cina il suo cliente principale. Anzi, in generale, l’Asia. Ci sono grandi economie come India, Indonesia, Pakistan, ecc..., che avranno sempre più bisogno di petrolio per produrre e svilupparsi. Gli Stati Uniti, al contrario, hanno minimizzato la loro dipendenza petrolifera dalle importazioni saudite, avendo sin dai primi anni Duemila puntato a far crescere le estrazioni nazionali grazie al “fracking”. Sono diventati, in pratica, concorrenti dei sauditi. In venti anni, sono passati da 6 a 13 milioni di barili al giorno. L’autonomia energetica per Washington è alla portata, includendo un maggiore sfruttamento delle energie rinnovabili. Infine, l’Occidente non è in sintonia con l’Asia sul piano culturale e politico. La liberaldemocrazia come la concepiamo noi quasi non esiste da quelle parti e anche per questo l’Arabia Saudita ritiene di avere poco a che spartire con chi parla di diritti umani, eguaglianza di genere, ecc... Il grosso rischio che stiamo correndo è che in Asia si saldi un blocco geopolitico in possesso di tutte le principali materie prime necessarie alla produzione. E che faccia leva su di esse per ricattare l’Occidente e cercare di giocare alla pari su tutti i piani di confronto. Un rischio che diventa ancora più allarmante, se consideriamo che i sauditi stiano cercando di attirare a sé anche la Turchia. A inizio marzo, hanno versato sul conto della banca centrale di Ankara 5 miliardi di dollari, liquidità indispensabile per impedire una crisi della bilancia dei pagamenti. E stiamo parlando di un membro della NATO, nonché avamposto dell’Occidente in Asia.

    Giuseppe Timpone
    06 aprile 2023
    www.investireoggi.it/economia/arabia-saudita-occidente-asia-economia-1000-m...
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    wheaton80
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    00 12/10/2023 02:15
    Putin - Nessuna moneta unica per i BRICS

    Il 20° appuntamento annuale del Valdai Discussion Club [1], tenutosi a Sochi dal 2 al 5 ottobre 2023, ha avuto come focus il tema della Multipolarità, come si può intuire anche dal ‘titolo’: “Fair Multipolarity: How to Ensure Security and Development for Everyone”. Dell’incontro ha riferito ampiamente la TASS, agenzia ufficiale di stampa russa. Nel proseguo dell’articolo, ne riportiamo i brevi passaggi legati alle questioni economiche, soprattutto in riferimento ai rumors riguardanti la presunta creazione di una moneta unica funzionale agli scambi BRICS. L’ipotesi sembra essere priva di fondamento, stando alle parole del leader russo, il quale nel suo discorso ha portato come esempio negativo da non seguire proprio la valuta europea, l’euro.

    [1] valdaiclub.com/
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    “La Russia sta lavorando per ricostruire la propria economia, continuando allo stesso tempo l’operazione speciale in Ucraina e difendendo le proprie tradizioni, la propria cultura e il proprio popolo”, ha dichiarato il Presidente Vladimir Putin rispondendo alle domande di Fyodor Lukyanov, moderatore di una sessione plenaria del Valdai Discussion Club, e dei partecipanti all’incontro.

    Sull’economia russa Putin ha inoltre dichiarato:“Finora l’abbiamo gestita bene e ho motivo di credere che continueremo così anche in futuro. È iniziata una ricostruzione naturale dell’economia”, come era avvenuto in seguito all’embargo alimentare del 2014. “A differenza dell’Europa, il reddito reale disponibile dei russi sta crescendo nonostante l’aumento delle spese per la difesa e la sicurezza”. “L’Europa è stata costretta a smettere di commerciare con la Russia e a seguire gli Stati Uniti, anche se il suo benessere si basava sulle forniture di energia a basso costo dalla Russia e sull’accesso al mercato cinese. Di conseguenza, molti europei dicono che l’Europa ha perso la sua sovranità”.

    La Russia invece, costretta ad abbandonare “l’evanescente mercato europeo”, ha aumentato “la sua presenza sui mercati in crescita di altre parti del mondo, compresa l’Asia”. Sulla situazione geoeconomica ha aggiunto:Il sistema finanziario globale “non è perfetto o equilibrato o in linea con gli interessi della maggioranza globale”. “In particolare, le nazioni africane sono gravate da prestiti per oltre mille miliardi di dollari che non saranno mai pagati. La Russia, invece, ha ridotto in modo significativo il suo debito”. Riguardo poi alla creazione di una moneta unica: “Non è necessario che i BRICS creino una moneta unica, a giudicare dall’esperienza dell’euro. Il gruppo ha bisogno di un sistema comune di pagamenti basato sulle valute nazionali“.

    Katia Migliore
    06 Ottobre 2023
    Fonte: tass.com/russia/1685659

    comedonchisciotte.org/putin-nessuna-moneta-unica-per-...
    [Modificato da wheaton80 12/10/2023 02:16]
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    wheaton80
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    00 05/01/2024 18:26
    L’Arabia Saudita si unisce ufficialmente ai BRICS

    Martedì l’Arabia Saudita ha annunciato ufficialmente l’adesione al gruppo BRICS+, con la notizia riportata dalla TV di Stato. Riyadh è in trattative da mesi per la sua adesione al gruppo, con il Ministro degli Esteri, il Principe Faisal bin Farhan, che lo scorso agosto aveva dichiarato che tutti i dettagli sulla mossa sarebbero stati valutati prima che fosse presa una “decisione appropriata”. All’epoca, il Ministro degli Esteri affermò che il gruppo BRICS era “un canale vantaggioso e importante” per rafforzare la cooperazione economica tra i Paesi membri. Il gruppo, che fino al 1° gennaio comprendeva Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, ha dato il benvenuto a cinque nuovi membri il giorno di Capodanno. Oltre all’Arabia Saudita, ora comprende Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti. Un altro potenziale membro, l’Argentina, ha fatto una brusca inversione di marcia sui suoi piani di adesione dopo che le elezioni presidenziali del Paese sono state vinte da Javier Milei alla fine dello scorso anno.

    Si prevede che il gruppo diventerà ancora più ampio entro la fine dell’anno, con il Venezuela che cercherà di diventare un membro permanente al prossimo vertice in Russia nell’ottobre 2024. Mosca ha assunto la Presidenza di turno del gruppo per un anno, con il Presidente Vladimir Putin che si è impegnato a “facilitare l’integrazione armoniosa” dei nuovi partner. Circa 30 altri Paesi hanno già espresso l'intenzione di partecipare alle attività del gruppo in una forma o nell'altra, ha osservato Putin. Il Presidente venezuelano Nicolas Maduro ha parlato della questione con l'edizione in lingua spagnola di Le Monde Diplomatique in un'intervista pubblicata lunedì, sostenendo che il gruppo rappresenta “il futuro dell'umanità”, dato il suo vasto potere economico. Secondo i dati dell'FMI, i BRICS allargati superano ormai il G7, un gruppo informale dei principali Paesi occidentali, in termini di PIL a parità di potere d’acquisto, rappresentando il 36% del totale mondiale.

    Maduro ha anche criticato negativamente la mossa del suo omologo argentino, sostenendo che la decisione di eliminare i piani BRICS+ è stata “una delle cose più goffe e stupide che Milei abbia fatto” fino ad oggi al suo Paese. Con la sua decisione, Milei ha effettivamente riportato il Paese al 19° secolo, cercando di trasformarlo in un “vassallo del mondo unipolare imperiale”, ha suggerito Maduro.

    03 gennaio 2024
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