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Gli affari sporchi di nonno Bush. Si arricchì con l' industria nazista

LONDRA - Negli anni Trenta del secolo scorso, Prescott Bush, nonno dell' attuale Presidente degli Stati Uniti George W. Bush (oltre che padre del 41esimo Presidente), fu direttore e azionista di aziende che facevano affari con i finanziatori del nazismo in Germania. Nel '42 i beni di tali aziende furono confiscati dal governo americano in base al Trade with the Enemy Act, la legge che puniva ogni rapporto commerciale con il "nemico". Ora, a sessant' anni di distanza, l' attività del fondatore di una delle più fortunate dinastie politiche d'America ha spinto due ex-detenuti del campo di concentramento nazista di Auschwitz a fare causa alla famiglia Bush, chiedendo milioni di dollari di risarcimento. E la vicenda potrebbe creare nuove controversie nella campagna elettorale USA, a poco più di un mese dal voto per la Casa Bianca. A sollevare la questione è un' inchiesta del Guardian, a cui il quotidiano londinese dedica due intere pagine. Non si tratta di una storia del tutto inedita. Voci di connessioni tra "nonno Bush" e il nazismo circolano da anni. Del resto già nel 1942, quando scoppiò il caso, il New York Herald Tribune pubblicò un articolo intitolato:«L' angelo di Hitler ha 3 milioni di dollari in una banca americana». Prescott Bush, nonostante la confisca dei beni, fu pienamente assolto da ogni responsabilità. Ma il Guardian ha potuto consultare negli archivi di Washington una quantità di documenti sull' argomento, "declassificati" soltanto un anno fa, e ora afferma che in quelle voci ricorrenti c'è qualcosa di vero. Formulando un' ipotesi, sia pure da verificare: la fortuna guadagnata da Prescott Bush facendo affari con il nazismo, con gli amici di Hitler, con gli sfruttatori del lavoro carcerario a Auschwitz, servì a lanciare la dinastia che ha condotto "il nonno" sui banchi del Senato americano e i suoi discendenti, un figlio e un nipote (per adesso, in attesa di altri), alla Casa Bianca. Il titolo con cui il Guardian apre l' inchiesta, bisogna dire, non è uno dei migliori esempi di understatement, l' attitudine tutta inglese a sminuire anziché esagerare un concetto:«In che modo il nonno di Bush aiutò l' ascesa al potere di Hitler». Può dare l' impressione fuorviante che Prescott Bush fosse un simpatizzante del nazismo (non lo era) e del Fürher (nemmeno).

I fatti portati alla luce, in realtà, sono i seguenti. Dopo avere conseguito una laurea a Yale (la stessa università frequentata dal figlio e dal nipote: ma questo non è un reato), Prescott Bush ottenne un posto come direttore dell' Union Bank Corporation, banca d' affari di proprietà dei fratelli Harriman, ricchissima famiglia di banchieri newyorchesi. Per conto degli Harriman, la Union Bank gestiva gli interessi di Fritz Thyssen, l' industriale tedesco che aiutò (lui sì in modo cruciale) Adolf Hitler a prendere il potere. Tra le numerose società gestite dalla Union Bank, ce n' era una in particolare, la "Sielesian American Company", che agiva come holding, ovvero come la finanziaria, della "Consolidated Sielesian Steel Company", la grande acciaieria tedesca con cui Thyssen si arricchiva producendo cannoni e carri armati per il Terzo Reich. Scoppiata la seconda guerra mondiale, i detenuti di alcuni campi di concentramento nazisti vennero impiegati da Hitler come forza lavoro per l' industria bellica e civile. Quelli di Auschwitz lavorarono appunto per la "Consolidated Sielesian Steel Company", e in ultima analisi, sostiene il Guardian, per Prescott Bush. Il quale poi, finita la guerra, si candidò al Senato, vinse, ed ebbe una lunga, onorata carriera come repubblicano "moderato". Certamente aveva abilità e phisique du rôle, tanto da indurre un collega a commentare:«Non ho mai visto nessuno che somigli a un senatore più di Prescott». Ma aveva qualche scheletro nell' armadio? Fino a che punto trasse vantaggio dalle connessioni con l' industriale nazista? Come e quando si rese conto di fare "affari col nemico", affari che portavano sino al famigerato ingresso di Auschwitz? Il Guardian non è il solo a porre queste domande. Le pone anche “The Jewish Advocate", un noto settimanale ebraico newyorchese. Le pongono tre libri in uscita negli USA. Domande che ormai non toccano tanto Prescott Bush, morto nel 1972, quanto i suoi eredi. E, possibilmente, la campagna presidenziale USA.

Enrico Franceschini
26 settembre 2004
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