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Licio Gelli morto a 96 anni, il capo della P2 che sconvolse l’Italia. Dal fascismo alle stragi, vita di rapporti occulti e misteri

Ultimo Aggiornamento: 11/02/2020 19:35
30/07/2017 23:32
 
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I delitti del mostro di Firenze e la strategia della tensione "erano collegati"

I brutali delitti del mostro di Firenze furono uno dei fronti della strategia della tensione che ha sconvolto l’Italia dalla fine degli anni Sessanta fino alla metà degli anni Ottanta: una variante di quella che Sandra Bonsanti, parafrasando Giovanni Falcone, ha chiamato “Il gioco grande del potere”. E’ una tesi che sembra aver acquistato forza durante le più recenti indagini della procura di Firenze e del Ros Carabinieri sulle uccisioni delle otto coppie di fidanzati nelle campagne intorno a Firenze fra il 1968 e il 1985. Delitti firmati dalla stessa arma, una Beretta calibro 22, dagli stessi proiettili Winchester serie H e, a partire da quello del 1974, dallo strazio dei corpi delle vittime femminili, con asportazioni di lembi di seno e di pube. Delitti che sembrano appartenere a un mondo totalmente estraneo alle trame nere, alle bombe sui treni, alle stragi che hanno segnato quegli stessi anni. In realtà conseguirono lo stesso obiettivo, quello di spargere terrore indiscriminato: perché chiunque poteva essere colpito, i giovani in particolare. Il protagonista della nuova inchiesta è un ex legionario, appartenente alla destra più estrema. Dopo la diffusione della notizia il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo ha smentito che vi siano prove di collegamenti fra i delitti del mostro di Firenze e ambienti eversivi, precisando peraltro che la procura non trascura nessuna pista. E confermando l’esistenza di una indagine sull’ex legionario. Cinque anni fa l’avvocato Vieri Adriani, che rappresenta i familiari di Nadine Mauriot, la giovane donna francese uccisa a Scopeti l’8 settembre 1985 con il fidanzato Jean Michel Kraveichvili, ha presentato un esposto, seguito da diverse integrazioni, in cui suggeriva di approfondire una pista già sfiorata oltre 30 anni fa e poi abbandonata. La procura di Firenze, che non si è mai fermata dopo le condanne definitive di Mario Vanni e Giancarlo Lotti, i “compagni di merende” di Pietro Pacciani, morto prima che la giustizia si pronunciasse definitivamente sulle sue responsabilità, ha continuato a indagare, sempre sotto la guida di Paolo Canessa, lo storico PM delle indagini sul mostro, che oggi è procuratore di Pistoia ma è stato delegato dal procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo. La pista di indagine indicata dall’avvocato Adriani conduce all’ex legionario, 87 anni, reduce da molte guerre, originario di Vicchio come Pietro Pacciani.

Il 16 settembre 1985, pochi giorni dopo il delitto di Scopeti, i carabinieri lo perquisirono “in quanto il predetto, da accertamenti svolti, poteva identificarsi nel noto mostro di Firenze” (si legge nel verbale). Gli trovarono soltanto molti articoli sulle uccisioni dei fidanzati e sulle prostitute uccise in quegli stessi anni. Poteva essere solo il segno di un interesse morboso e niente più. Nel novembre del ’94, in seguito a gravi dissidi con un vicino, l’ex legionario fu nuovamente perquisito e in quella circostanza i carabinieri gli trovarono 176 proiettili Winchester serie H non più in produzione dal 1981. Le più recenti indagini sono riservatissime, ma è certo che l’ex legionario è sotto inchiesta in relazione ai delitti e che sono state passate al setaccio le sue relazioni non soltanto con Pacciani, di cui era conterraneo e quasi coetaneo, non soltanto con un defunto imprenditore di origini tedesche a suo tempo investito dalle indagini e con Salvatore Vinci, già indagato nell’ambito della pista sarda, che abitava nella sua stessa strada, ma anche con altri elementi della destra più estrema, uno dei quali risulterebbe indagato nella nuova inchiesta. Grazie anche alle più recenti tecniche di estrazione del DNA, sembra che gli inquirenti abbiano compiuto alcuni concreti passi in avanti nei misteri della vicenda del mostro. Al tempo stesso, la pista “nera” è cresciuta anche sulla base delle analisi degli innumerevoli depistaggi che hanno costellato l’inchiesta sulle uccisioni dei fidanzati e sulle coincidenze fra i delitti e le vicende, gli attentati, gli omicidi e le stragi che hanno segnato gli anni della strategia della tensione. Colpisce in primo luogo l’efferatezza del delitto del 14 settembre 1974. Stefania Pettini, figlia di un partigiano e attivista comunista, fu sorpresa in auto con il fidanzato Pasquale Gentilcore. Ucciso lui, l’assassino estrasse ancora viva dalla macchina la giovane donna e infierì su di lei con 96 coltellate e infine, in segno di estremo oltraggio, la penetrò in vagina con un tralcio di vite. Il suo corpo straziato ricordava quelli delle donne massacrate dalle SS di Walter Reder nel corso dell’eccidio di Vinca (24 agosto 1944).

Alcune di loro erano state impalate e a una era stato strappato il feto che portava in grembo. Poche ore prima dell’uccisione dei due fidanzati mugellani, a Vicchio era stato celebrato il trentesimo anniversario della liberazione del territorio e reparti di partigiani e dell’esercito aveva sfilato insieme per ricordare la vittoria sul nazifascismo. In quello stesso 1974, pochi mesi prima del delitto di Borgo, l’Italia era stata sconvolta dalla strage fascista di Brescia (28 maggio) e dall’attentato sul treno Italicus (4 agosto). Nel 1981, anno in cui il mostro uccise due volte, scoppiò lo scandalo della P2. Il 21 maggio furono rese pubbliche le liste degli iscritti alla loggia segreta di Licio Gelli, e due settimane più tardi – il 6 giugno - il mostro uccise Carmela Di Nuccio e Giovanni Foggi a Scandicci. Il delitto ebbe una risonanza enorme. Negli anni successivi, fra mille depistaggi, le indagini sul mostro impegnarono enormemente la procura di Firenze, guidata da Piero Vigna, a rischio di distogliere uomini e forze dalle inchieste sul terrorismo nero e sugli attentati ai treni. Nel 1991 – a conclusione di una indagine “sui grandi numeri”, e cioè su numerosissimi possibili sospetti per varie devianze di natura sessuale – entra nell’inchiesta Pietro Pacciani, perquisito nel ’92 e arrestato il 16 gennaio ’93. In quegli stessi anni si moltiplicano gli interventi di investigatori, psichiatri e criminologi, molti dei quali poi si muoveranno in difesa di Pacciani. Nell’aprile ’92 l’investigatore Carmelo Lavorino enuncia la sua ”teoria finale”: l’assassino dei fidanzati sarebbe il figlio della donna massacrata nel 1968. Nel 1993 il criminologo Aurelio Mattei pubblica uno strano libro, “Coniglio il martedì”, in cui racconta una vicenda identica a quella del mostro e scrive che i delitti sarebbero stati commessi “al solo scopo di terrorizzare l’opinione pubblica e di far apparire le istituzioni incapaci di affrontare il fenomeno”. Il 15 luglio 1994, in un’aula bunker depone come consulente della difesa di Pacciani il criminologo Francesco Bruno, che fra lo stupore generale si presenta come collaboratore, fino al 1987, del “Servizio Informazioni per la Sicurezza Democratica”, ossia il SISDE.

Che cosa c’entrassero i servizi segreti con delitti a sfondo sessuale non si è mai capito. E soprattutto nessuno ha capito se il loro intervento intendesse essere di sostegno alla ricerca della verità sui delitti o non piuttosto diretto a depistare le indagini. Ipotesi sempre privilegiata dalla procura di Firenze. Anche per questo l’ipotesi che la tragica sequenza delle uccisioni dei fidanzati possa essere inquadrata nella strategia della tensione è al centro del più recente filone di indagini. Oggi la dichiarazione del procuratore Giuseppe Creazzo:“Smentisco categoricamente che dalle indagini in corso siano emersi elementi di prova che colleghino i delitti del mostro di Firenze con possibili ambienti eversivi. I polveroni non fanno parte dello stile di questo ufficio. Qualcuno evidentemente ha interesse a sollevarli. Non la procura della Repubblica, che indaga senza trascurare nessuna pista ma procede su elementi che abbiano una loro concretezza e non su supposizioni più o meno suggestive”. Replica l’avvocato Vieri Adriani, che rappresenta i familiari di Nadine Mauriot:“A mio modo di vedere le interazioni con ambienti eversivi non sono un polverone ma costituiscono un dato di fatto assolutamente ineccepibile, come si ricava dalla lettura del libro del criminologo Aurelio Mattei (“Coniglio a colazione”, pubblicato nel 1993), dall’esito della perquisizione eseguita nel 1985 all’ex legionario e da tutti gli elementi che ho descritto in un intervento sul mio sito”. L’ex legionario, intervistato dal telegiornale regionale della RAI, ha dichiarato:“Non ho paura di niente, non ho fatto nulla. Ho sempre avuto quattro pistole: sono venuti da me – dice riferendosi agli inquirenti – e poi se ne sono andati, quindi vuol dire che sono in regola”. Quanto alla sua conoscenza con Pietro Pacciani, ha detto:“Lo conoscevo io come lo conoscevano tutti. Io sono a posto, sono in regola”.

Franca Selvatici
25 luglio 2017
firenze.repubblica.it/cronaca/2017/07/25/news/delitti_del_mostro_di_firenze_e_strategia_della_tensione_erano_collegati_-171635945/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P1...
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