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L’Unione Europea alle corde: Polonia ed Ungheria guidano la rivolta contro la Commissione Europea

Ultimo Aggiornamento: 09/10/2021 14:22
01/03/2017 01:15
 
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Mai come in questo periodo si dimostra irreversibile lo stato di crisi che affligge quella costruzione verticistica che prende il nome di Unione Europea. E’ arrivata l’elezione di Donald Trump per mettere in chiaro che gli Stati Uniti non ripongono più fiducia in quel sistema che loro stessi a suo tempo hanno contribuito ad edificare. Privati del sostegno USA, i tecnoburocrati della UE appaiono come smarriti e perplessi di fronte ai piani occulti della nuova amministrazione USA e si aggrappano alla NATO come un prolungamento istituzionale degli organismi europei, tanto che si susseguono dichiarazioni di incrollabile fiducia nel ruolo della NATO e della coesione dei Paesi dell’Unione, affogando poi i loro discorsi nella abituale retorica dei valori europei (?) e della comune difesa di fronte alle minacce che incombono, ecc… ecc… In realtà i tecnoburocrati europei hanno la memoria corta e dimenticano di come sia nata l’Unione Europea: tralasciando i miti e le leggende della propaganda europide, i fatti ed i documenti trovati di recente gettano una luce ben diversa sui veri fondamenti ed interessi su cui era nata l’Unione Europea. Chi ha concepito, creato e finanziato l’Unione Europea aveva bisogno di un’Europa debole, di un Europa in crisi, di Stati e Governi senza potere decisionale e di popoli senza sovranità. Questa realtà documentata è venuta fuori da documenti ufficiali incontrovertibili di cui i media non hanno mai parlato. Era un progetto voluto dalla élite anglo-americana ed eseguito dal duo franco-tedesco, con il ruolo di capi zona, quello da cui nacque la CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio), promossa proprio da Francia e Germania (Schuman e Monnet) e che fu poi portato avanti da Mitterand e Kohl. Ed era implicito che un progetto franco-tedesco prevedesse il dominio della Francia e della Germania sugli altri Paesi europei, escluso il Regno Unito, affiliato diretto degli USA con il ruolo di quinta colonna degli interessi del grande capitale statunitense. Questa Unione Europea che oggi vive la sua crisi, forse definitiva, è esattamente la realizzazione di quel progetto, e in particolare l’euro, che è palesemente un fallimento dal punto di vista dei popoli e dei lavoratori ed è il successo di chi lo ha concepito (i potentati finanziari sovranazionali). Con il cambio di paradigma che sta avvenendo negli equilibri mondiali (fine della globalizzazione, tramonto del modo unipolare), si rende inevitabile una radicale modifica delle stesse basi su cui era stata edificata l’Unione Europea, che dimostra una scarsa o inesistente capacità di adattarsi ai grandi cambiamenti in corso. Comprendere le nuove realtà in corso di trasformazione non è una possibiltà alla portata di personaggi come Jean-Claude Juncker, la Mogherini, Moscovici o Cecilia Malmström, molto più adatti a trattare con i lobbisti e le grandi entità finanziarie di riferimento.

Infatti i Paesi più reattivi dell’Unione, quelli dell’Est europeo, in particolare Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia, si mostrano sempre più insofferenti alle pretese di Bruxelles e si sono coalizzati fra di loro per contestare le politiche di accentramento burocratico della Commissione Europea, che continua a pretendere di intromettersi per regolare le questioni interne dei vari Paesi dettando regole e direttive. In Polonia, nell’ottobre del 2015, è salito al potere il partito nazionalista e conservatore di Legge e Giustizia (PIS) ed uno dei suoi primi atti è stato quello di modificare il meccanismo di elezione dei giudici della Corte Costituzionale e di non riconoscere quelli eletti dalla precedente giunta politica. Questo fatto ha determinato un contenzioso con Bruxelles, che accusa il governo di Varsavia di violazione dello “stato di diritto”, della democrazia e dei “diritti umani”, minacciando sanzioni a carico della Polonia. Il Consiglio ed il Parlamento Europeo hanno manifestato la loro preoccupazione ed hanno richiesto a Varsavia di ritirare la sua riforma minacciando Varsavia con la sospensione del diritto di voto ed altre sanzioni. Questa crisi costituzionale ha dato luogo ad una serie di manifestazioni di piazza in Polonia sobillate da vari “comitati per la democrazia” e da varie ONG dietro cui si ritiene che vi sia la solita ‘manina’ di George Soros. Una prossima “rivoluzione colorata” anche in Polonia? Probabile. In ogni caso, a fianco ed a sostegno della Polonia si è schierata l’Ungheria di Viktor Orban, rifiutando di aderire alle sanzioni contro Varsavia, considerando che anche quello di Orban è un governo fortemente contestato dai “globalisti” della UE e dalla sinistra mondialista europea. I Paesi dell’Est Europa (Ungheria, Polonia, Slovacchia e Rep. Ceca) hanno costituito un gruppo per la mutua difesa, denominato Gruppo Visegrad, che si oppone alle politiche dettate dalla Commissione e che in particolare respinge l’imposizione di Bruxelles di accettare le quote in tema di immigrazione e che richiede la difesa delle frontiere comuni dell’Unione Europea. Questo gruppo costituisce fra l’altro una lezione anche per i Paesi del sud Europa, come Grecia, Italia, Spagna e Portogallo, Paesi che, pur avendo molto in comune, non sono stati capaci di coalizzarsi fra di loro per trattare con Bruxelles ed evitare le imposizioni subite a favore degli interessi prevalenti della Germania e del suo sistema economico che ha dettato le sue condizioni a Bruxelles a scapito degli altri Paesi. Vedi l’enorme surplus accumulato nell’export della Germania, che oggi inizia a “dare fastidio” anche agli USA di Trump. Un chiaro esempio di incapacità di tutelare i propri interesi nazionali. Al contrario di quanto hanno fatto Paesi come l’Italia e la Germania, i Paesi dell’est si sono rifiutati di aprire le loro frontiere ad una migrazione di massa incontrollata ed incontrollabile. Molto dura in proposito la posizione del Presidente della Repubblica Ceca, Milos Zeman, il quale aveva dichiarato:“I migranti, quelli che arrivano dai Paesi in conflitto, tutti giovani, single ed in età da combattimento, sono i disertori e noi non siamo moralmente obbligati ad accoglierli. Piuttosto ritornino indietro a combattere per difendere i propri Paesi”. Del tutto simile in tema di immigrazione anche la posizione dei governi di Budapest e di Varsavia.

Ungheria e Polonia hanno fatto quadrato contro le direttive della Commissione Europea anche quando questa Commissione ha imposto a tutti gli Stati di riconoscere gli effetti giuridici del matrimonio fra coppie dello stesso sesso, ovunque sia stato celebrato tale matrimonio nei Paesi della UE. Ungheria e Polonia si sono fermamente opposte dichiarando che questa direttiva costituisce una violazione del diritto sovrano di ogni Paese membro a legiferare in proprio su Istituti quali matrimonio e famiglia. Altrettanto accade per le direttive di carattere “ideologico” che Bruxelles produce alacremente in tema di educazione ‘gender’ nelle scuole, di diritto all’aborto, di eugenetica, ecc… Varsavia e Budapest hanno alzato un muro contro questa diffusione di pseudo valori relativisti che i “fratelli del compasso” della Commissione Europea vorrebbero far adottare a tutti gli Stati dell’Unione. Polonia ed Ungheria, con la loro resistenza ad adottare normative estranee ai propri ordinamenti costituzionali ed alle proprie tradizioni religiose e culturali (esattamente quelle che la UE vuole abolire) hanno dimostrato che l’Unione si è di fatto disgregata e l’omologazione richiesta da Bruxelles viene rigettata come estranea nel cuore dell’Europa. L’esempio di questi Paesi si prevede che potrà presto essere seguito da altri. La UE si è fratturata anche sulla questione delle sanzioni alla Russia: molti Paesi si oppongono alla guerra commerciale imposta da Washington all’Europa, che danneggia fortemente le economie dei Paesi più esposti e, a tre anni di distanza, non ha ottenuto alcun risultato concreto salvo esasperare i rapporti con il grande Paese euroasiatico. In alcuni Paesi crescono le resistenze e le critiche alla posizione di vassallaggio che i governi europei mantengono nei confronti delle politiche dettate da Washington e dalla NATO. Nella prospettiva a breve e medio termine sono in vista scadenze elettorali importanti che coinvolgeranno la Francia, l’Olanda, la Germania e probabilmente anche l’Italia. Questo potrebbe determinare una svolta, vista l’ascesa di movimenti e partiti definiti ‘populisti’ e anti UE che hanno in comune la volontà di un recupero della sovranità nazionale ed un affrancamento dalle politiche seguite fino ad oggi da questa Unione. La crescita di questi partiti è direttamente proporzionale alle disastrose politiche adottate dalla UE in tema di immigrazione, austerità economica e subordinazione alle grandi lobby transnazionali. Quali che siano i risultati rimane certo che si determinerà un lungo periodo di turbolenza politica in cui tutto potrà accadere e la disgregazione totale dell’Unione non è esclusa, con buona pace di quanti ne proclamavano l’irreversibilità.

Luciano Lago
26 febbraio 2017
www.controinformazione.info/lunione-europea-alle-corde-polonia-ed-ungheria-guidano-la-rivolta-contro-la-commissione-...
01/04/2017 16:02
 
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La Polonia si oppone ai ricatti di Bruxelles e per ritorsione ritira le sue truppe dall’Eurocorps

La Polonia, sempre più ostile nei confronti dell’UE, che l’aveva ammessa fra i nuovi membri aprendo le porte ad un’immissione forse prematura di Paesi ex comunisti, ha compiuto un duro gesto benché prevalentemente simbolico in chiave anti-Bruxelles. Non è nuovo il governo di Varsavia a gesti nettamente polemici nei confronti della Commissione Europea, e la sua posizione è simile a quella di altri Paesi dell’Est, ex comunisti dell’orbita sovietica, che adesso sono fonte di una serie di problemi tra gli ancora ventotto membri della UE.

Cosa c’è dietro lo scontro tra Polonia e UE
Varsavia ha ritirato il proprio contingente dalla forza multinazionale di difesa Eurocorps, che era nata a livello di “corpo d’armata di reazione rapida” nel 1992, che fa capo a Bruxelles, anche se agisce sotto comando NATO. Ne fanno parte truppe di Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Spagna e il comando è a Strasburgo. In Eurocorps sono presenti anche ufficiali di Grecia, Italia, Turchia e appunto Polonia. Si rompe quindi una intesa che voleva simboleggiare l’integrazione delle forze di difesa europea.

Migranti, i Paesi di Visegrad denunciano “il ricatto” dell’UE
Nello stesso tempo, come per rendere più aspro lo scontro tra Est e Ovest, i capi dei governi dei Paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) hanno denunciato apertamente “il ricatto” e “il diktat” dell’Europa nei loro confronti in materia di politica migratoria comune. In un vertice tenutosi a Varsavia, i Premier dei quattro Paesi che rifiutano le cosiddette “quote” obbligatorie di ripartizione dei migranti che, come noto, approdano in Europa essenzialmente attraverso la porta d’ingresso dell’Italia e della Grecia, hanno fermamente respinto l’idea di condizionare la distribuzione dei fondi europei all’adesione alla politica migratoria comune ed alla ripartizione delle quote dei migranti. “L’idea di collegare alla politica migratoria i fondi che ci sono dovuti da parte dell’UE è una cattiva idea”, ha detto il Premier ungherese Viktor Orban durante una conferenza stampa con gli omologhi Bohuslav Sobotka per la Repubblica Ceca, Robert Fico per la Slovacchia e Beata Szydlo per la Polonia. “Il gruppo di Visegrad, Polonia compresa, non accetterà mai questo ricatto, né che gli vengano dettate condizioni”. Diciamo chiaramente che la politica migratoria seguita sino ad ora dall’UE non è stata all’altezza e bisogna trarne delle conseguenze”, ha sottolineato Szydlo. Orban ha vantato la politica restrittiva sull’immigraazione e le misure cautelative prese dal suo Paese per impedire gli ingressi dei migranti: le recinzioni costruite alla frontiera serbo-ungherese e la controversa legge, appena entrata in vigore, che prevede la sistematica detenzione dei profughi in arrivo. “Ormai l’Ungheria è in grado di dare risposte da sola, anche se l’accordo tra UE e Turchia non funziona.

Siamo capaci di fermare qualsiasi ondata migratoria alla frontiera serbo-ungherese”, ha precisato, sostenendo che è l’Ungheria quella che si è assunta il compito di proteggere altri Paesi europei. “Gli austriaci e i tedeschi possono ormai dormire sonni tranquilli”, ha concluso Orban. Le dichiarazioni di Orban non sono una sorpresa ma sono del tutto coerenti con la politica seguita fino ad oggi dall’Ungheria, che ha rivendicato di voler mantenere e difendere la propria identità nazionale e le proprie caratteristiche di Paese cristiano, rifiutando un processo di islamizzazione e di multiculturalismo imposto dalle centrali di Bruxelles. Alla posizione di Orban si è aggiunta la Polonia, che ha delle rivendicazioni del tutto simili a quelle di Budapest e che, con i suoi 38 milioni di abitanti, rappresenta un peso consistente all’interno dell’Unione. Di recente anche il Presidente della Repubblica Ceca, Milos Zeman, aveva dichiarato che la responsabilità per l’ondata migratoria che affligge l’Europa deve ricercarsi nella politica di destabilizzazione e di caos perseguita dall’Amministrazione USA in Medio Oriente, che il suo Paese non poteva considerarsi responsabile e che non riteneva di accettare il principio dell’accoglienza a tutti i costi. In particolare, Milos Zeman aveva fatto notare che la maggioranza dei migranti in arrivo attraverso la rottta Grecia-Balcani era costituita da giovani maschi, dai 17 ai 35 anni, single ed apparentemente in buona salute: di conseguenza questi devono essere considerati i “disertori” delle guerre in corso in Siria e negli altri Paesi, e il suo Paese non è moralmente obbligato ad accogliere i disertori. “Che questi tornassero a difendere i loro Paesi dalle aggressioni dei terroristi”. Una posizione molto diversa da quella mantenuta dagli altri Premier europei come la Merkel, Hollande, Gentiloni.

Fonti
Affari Italiani
Aska News

31 marzo 2017
www.controinformazione.info/la-polonia-si-oppone-ai-ricatti-di-bruxelles-e-ritira-le-sue-truppe-per-ritorsione-dalleu...
10/04/2017 23:10
 
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La Repubblica Ceca sgancia la corona dall’euro. E la moneta unica scivola

Da poche ore la corona della Repubblica Ceca (koruna) è tornata a fluttuare liberamente sull’euro. Negli ultimi tre anni non è stato così. La Banca Centrale di Praga ha forzato artificialmente il cambio, per evitare un rafforzamento nei confronti della divisa europea e per evitare di cadere nella morsa della deflazione. Il cambio euro/corona ha infatti mantenuto per lungo tempo un andamento piatto intorno a quota 27 (27 korune per un euro). Da poche ore invece la Banca Centrale ha messo fine al PEG (aggancio artificiale) lasciando decidere al mercato. Gli effetti sono stati immediati. Dopo un iniziale e breve rafforzamento dell’euro, è stata la koruna a spuntarla balzando di quasi il 2% in pochi scambi. Il cambio si è riposizionato violentemente intorno a 26,6 e secondo un sondaggio condotto da Bloomberg l’operazione di rafforzamento non è ancora completata. Entro fine anno il cambio potrebbe attestarsi intorno a 26,1, che equivarrebbe a un apprezzamento della moneta ceca annuo superiore al 3 per cento.

Quanto è costato difendere il cambio
Tre anni fa la Banca Centrale Ceca decise di introdurre un PEG con l’euro per evitare che un eccessivo rialzo della propria moneta inasprisse la deflazione. La BCE, come qualche anno prima la FED, ha azionato nel 2015 il quantitative easing per tenere basso l’euro. La Banca di Praga ha risposto (muovendosi anche in anticipo) creando un’àncora artificiale. “Mantenere un CAP su un cambio però comporta dei costi”, spiega Vincenzo Longo, strategist di IG. “Anche per questa ragione la Banca di Praga ha deciso di lasciare fluttuare liberamente la koruna dopo tre anni di interventi». In quattro anni l’istituto centrale ha acquistato 47,8 miliardi di euro. Tanto è costato mantenere il cambio euro/koruna a 27.

Praga come Zurigo
La mossa ceca ha un recente precedente nella storia della finanza. A inizio 2015 la Banca Centrale della Svizzera (BNS) decise di porre fine alla politica di difesa del tasso di cambio di 1,20 franchi per euro che manteneva da tre anni. Anche in quel caso la reazione dei mercati fu netta (e persino più violenta), con forti acquisti nei confronti della divisa svizzera.

Il ritorno alla normalità

Ora la Banca di Praga si è detta anche pronta a rialzare i tassi di interesse, lasciati fermi nella riunione del 30 marzo al minimo storico dello 0,05%. Allo stato attuale la deflazione non è più una minaccia per la Repubblica Ceca. A febbraio l’inflazione si è attestata (su base annua) al 2,5%, in netto miglioramento rispetto alla scorsa estate, quando l’indice dei prezzi era finito nella spirale deflattiva. La disoccupazione viaggia al 5,1%, un dato decisamente migliore rispetto alla media dei 19 Paesi dell’area euro (9%) e dei 27 (considerando già la Gran Bretagna fuori) dell’Unione europea (8,5%). Il Prodotto Interno Lordo è cresciuto del 2,3% nel 2016, in calo rispetto al +3,5% del 2016, ma un po’ più in alto del +1,7% esibito dall’area euro. Dal 2008 il confronto tra le due aree è ancora più ampio. Il PIL dell’area euro è riuscito a riportarsi in positivo (dopo il crollo del 2009) e oggi vale il 4,6% in più. Mentre nello stesso arco temporale la Repubblica Ceca ha archiviato una crescita del 9,2%.

Vito Lops
07 aprile 2017
mobile.ilsole24ore.com/solemobile/main/art/finanza-e-mercati/2017-04-06/la-repubblica-ceca-sgancia-koruna-dall-euro-e-moneta-unica-cade-191741.shtml?uuid=AE3aEv0&refr...
16/10/2017 00:24
 
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La Polonia rifiuta il prestito del FMI di 9,2 miliardi di dollari

La Polonia ha deciso di abbandonare la linea di credito del Fondo Monetario Internazionale, per un prestito di 9,2 miliardi di dollari, riferisce il Ministero delle Finanze. "Rifiutiamo i 9,2 miliardi di dollari del FMI", ha scritto su Twitter il vice-premier Mateusz Morawiecki. "L'economia polacca è in buone condizioni, ce la possiamo fare", ha detto. Il Ministero delle Finanze ha spiegato che la decisione di rifiutare il prestito del FMI è stata presa sulla base dei dati di stabilità di bilancio e sullo stato delle riserve di valuta estera.

15.10.2017
it.sputniknews.com/mondo/201710155141161-Polonia-rifiuta-presito-debito-fmi-9-m...
16/12/2017 17:43
 
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Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca rifiutano l'euro

Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca non prevedono di passare alla moneta unica europea. Questa dichiarazione è stata fatta da una fonte a Bruxelles, alla vigilia del summit dei leader UE previsto per il 14-15 dicembre nella stessa città per discutere la situazione nella zona euro, riporta RIA Novosti. Allo stato attuale, la zona euro comprende Austria, Belgio, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Spagna, Cipro, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Finlandia, Francia ed Estonia. Ci si aspettava che Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania, Croazia, Repubblica Ceca e Svezia avrebbero adottato l'euro in futuro. Allo stesso tempo, i rappresentanti della Commissione Europea avevano dichiarato in precedenza che i governi che entrano nell'Unione Europea non sono obbligati ad entrare nella zona euro.

14.12.2017
it.sputniknews.com/mondo/201712145404126-Ungheria-Polonia-...
[Modificato da wheaton80 16/12/2017 17:47]
06/06/2018 05:02
 
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Immigrazione, anche la Slovenia sceglie i nazionalisti

Dopo l'Ungheria, anche la Slovenia sceglie le politiche anti-migranti. Alle elezioni di domenica ha vinto il partito SDS dell'ex Premier Janez Jansa, che ha puntato la campagna elettorale sul contrasto all'immigrazione. L'esponente conservatore è alleato anche di Orban, al suo terzo mandato in Ungheria, dove è stata appena approvata una legge che punisce chi aiuta i migranti, in qualunque modo. Le politiche migratorie sono diventate argomento principale nelle ultime ore anche in Italia, dove le dichiarazioni del neo Ministro dell'Interno, Salvini, hanno avuto eco anche in Europa. L'ondata nazionalista preoccupa infatti Bruxelles e Paesi come la Germania, dove l'estrema destra di Alternative fur Deutchland (AFD) è la prima forza di opposizione al Parlamento tedesco e ha ottenuto la Presidenzea della Commissione Bilancio, che può ostacolare l'attività del Governo di Grande Coalizione.

La Slovenia e il successo anti-migranti
Gli sloveni sembrano avere scelto il proprio futuro. Alle elezioni anticipate, convocate dopo che la Corte Suprema aveva invalidato il referendum sul raddoppio di una tratta ferroviaria e la successiva crisi di Governo, il Partito Democratico SDS ha avuto la meglio ai seggi. Si tratta di una formazione guidata dal 59enne conservatore Jenz Jansa, ex Premier che ora torna a capo di un esecutivo dopo le dimissioni di Miro Cerar e quattro anni di governo di centro-sinistra. Proprio la formazione di Cerar, Centro Moderno, ha subito una brusca battuta d'arresto, collocandosi al terzo posto. Al di là dei numeri effettivi, dalle urne è uscito un messaggio chiaro: la Slovenia premia la campagna elettorale anti-migranti di Jansa, alleato di Orban. Il Premier ungherese, al suo terzo mandato dopo le elezioni di aprile, lo avrebbe anche sostenuto nella raccolta fondi per presentarsi alle elezioni. In comune i due politici hanno senz'altro una forte impronta sovranista, tesa a difendere gli interessi nazionali in aperto contrasto con l'Europa e soprattutto con le politiche sulle quote dei migranti. Già due volte Primo Ministro (tra il 2004 e il 2013), il leader conservatore ha ricevuto anche il sostegno di Nova Sloveija (NSI), che si colloca all'estrema destra e si è detta disponibile a entrare nel nuovo governo.

La Slovenia al primo posto

Rievocando lo slogan statunitense che ha portato Trump alla Casa Bianca, anche Jansa non ha esitato a far leva sui sentimenti (e risentimenti) nazionalisti del suo Paese: il primo augurio, dopo aver votato lui stesso, è stato quello di "mettere gli sloveni al primo posto, per dare priorità alla sicurezza e al benessere della Slovenia e dei suoi cittadini". "Non vediamo l'ora di iniziare", ha dichiarato ancora Jansa. "Non abbiamo paura del domani, noi guardiamo avanti". Chiaro il riferimento alle politiche di accoglienza europea, contro le quali si è schierata buona parte dei Paesi dell'Europa centro-orientale, a partire dall'Ungheria.

La legge anti-Soros ungherese e l'appoggio a Lubiana
Proprio pochi giorni fa, Budapest ha approvato una legge, annunciata in campagna elettorale dal Premier Vicktor Orban, che punisce chiunque aiuti i migranti, che siano privati cittadini, sia che si tratti di organizzazioni senza scopo di lucro. Nel mirino le ONG che fanno riferimento a Open Society Foundations, a cui fanno capo una serie di associazioni civili impegnate nel campo dell'istruzione, della giustizia, dell'informazione e del supporto umanitario anche dei migranti, creata da George Soros. Non a caso la norma appena varata dal Parlamento magiaro porta il nome del finanziere, imprenditore e magnate ungherese naturalizzato americano che, secondo Orban, è ideatore di un programma a sostegno di una "invasione islamica" in Europa. Obiettivo sarebbe la cancellazione dell'identità nazionale dei popoli da parte di masse di fede musulmana. D'altro canto, il tema immigrazione è molto sentito in Slovenia dove, durante la crisi del 2015 che ha portato anche alla costruzione della barriera in Ungheria, si calcola siano transitati centinaia di migliaia di migranti provenienti da est e dai Balcani.

Visegrad contro le rotte dei migranti dai Balcani e da est
A imprimere una decisa svolta a destra, soprattutto sul tema dell'ingresso dei migranti e dei rifugiati extraeuropei, sono proprio i Paesi dell'est europeo, che si trovano sulle rotte dell'immigrazione, ovvero il cosiddetto quartetto Visegrad: Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Si tratta di Stati con governi di destra, che originariamente si erano uniti in un'alleanza volta alla cooperazione soprattutto con l'obiettivo di entrare nell'Unione Europea. Il nome deriva dalla cittadina ungherese di Visegrad, dove si incontrarono i capi di governo nel 1991. Nel tempo, però, e in particolare dall'emergenza migranti di tre anni fa, a unirli è stata la forte opposizione alle linee europee di accoglienza e redistribuzione dei richiedenti asilo, tramite quote. A destare ulteriori timori è anche il recente riavvicinamento del fronte a est e alla Russia di Putin.

L'Austria di Kurz e la Presidenza del Consiglio UE
Anche l'Austria ha premiato le formazioni che si sono dichiarate a favore di una maggiore sicurezza dei confini nazionali in chiave anti-migranti e di maggior tutela del popolo austriaco. Il nuovo cancelliere austriaco, infatti, è dallo scorso ottobre Sebastian Kurz, 31enne, conservatore, definito da qualcuno il "Metternich del XXI secolo", nonché il più giovane cancelliere al mondo. Al momento l'Austria non fa parte del Videsgrad e si distingue dai quattro Paesi dello schieramento anche perché non fa parte come loro della NATO: da sempre difende la propria "neutralità". Ma a preoccupare alcuni osservatori è il fatto che dal 1° luglio Vienna assumerà la Presidenza del Consiglio Europeo. L'orientamento del nuovo governo, composto dal Partito Popolare (OVP) e dai populisti di estrema destra del Partito della Libertà (FPO), potrebbe voler esercitare un'influenza maggiore nell'ambito delle politiche migratorie comunitarie. Non a caso Kurz ha applaudito alle dichiarazioni dell'attuale presidente del Consiglio UE, Tusk, che qualche tempo fa ha sostenuto che occorre distogliere l'attenzione dalla redistribuzione dei profughi in Europa. "Ci impegniamo a cercare una stretta cooperazione con la Germania, la Francia e gli altri Paesi. Ma allo stesso tempo, desideriamo anche coltivare buone relazioni con la parte orientale del continente", ha commentato il Cancelliere tedesco.

L'appello europeo
Non è un caso, dunque, che nelle scorse ore sia giunto l'appello del Commissario Europeo al Commercio, Moscovici, affinché si risolva la questione migranti in modo "unitario" e "umano". Parole che sono state pronunciate proprio mentre il Ministro dell'Interno Salvini, da Pozzallo, confermava che la "Sicilia non può essere il campo profughi d'Europa" e che occorrono "meno arrivi e più rimpatri".

5 giugno 2018
www.panorama.it/news/esteri/immigrazione-anche-la-slovenia-sceglie-nazionalisti-migranti-ri...
30/06/2018 16:45
 
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L’Europa finge di essere unita. Vincono i Paesi di «Visegrad»

“Controllo veramente effettivo alle frontiere esterne”; “impedire che si riproducano i flussi incontrollati come nel 2015”; “controllare di più l’immigrazione illegale”; “tutte le navi che operano nel Mediterraneo” devono “rispettare le leggi applicabili e non ostruire le operazioni della guardia costiera libica”; “evitare che si aprano nuove strade marittime o terrestri” di immigrazione; “assicurare ritorni rapidi” verso i Paesi d’origine: i termini sono duri e senza ambiguità.

L’Europa si chiude
Non prende impegni su una migliore accoglienza dei rifugiati. Ma salva l’“approccio globale” al problema e promette che le “azioni esterne” (“accresciute”) e quelle “interne” avverranno “conformemente ai nostri principi e valori”. Il Consiglio Europeo, fagocitato dalla questione dei migranti messa sul tavolo dall’Italia a cui si sono aggregati tutti i governi dove è presente l’estrema destra, si è concluso con un compromesso che è un patchwork delle posizioni nazionali, dove ognuno può trovare degli elementi di “vittoria”. Gli europeisti, che giocavano in difesa, salvano i “principi”: Macron, Merkel e Sanchez riescono nell’esercizio bizantino di difendere i valori europei, senza però accollarsi il fardello che l’Italia avrebbe voluto scaricare. Poi, i capi di Stato e di governo della UE, che propongono soltanto soluzioni su “base volontaria” (piegandosi al diktat del gruppo di Visegrad), si affidano al vecchio adagio: l’intendance suivra, i mezzi si adatteranno costi quel che costi alle decisioni politiche. Sperando che la febbre cali, visto che la “crisi” non è momentanea ma è stata gonfiata ad hoc dai populisti, Italia in testa: il comunicato finale ricorda che i flussi sono calati del 95% dal momento più difficile, nell’ottobre del 2015. Ci sono volute nove ore di discussioni, fino alle 4 e mezza del mattino di venerdì, per completare questo capolavoro di diplomazia.

La riforma dei regolamenti di Dublino III è rimandata, ci sarà un rapporto il prossimo ottobre. Angela Merkel, che era arrivata a Bruxelles indebolita, torna a casa con una vittoria: la Spagna e la Grecia (Tsipras ha teso la mano, senza rancore) accettano accordi bilaterali con la Germania, per riprendersi i migranti dei “movimenti secondari”. I commenti sono tutti pro domo.

Per Giuseppe Conte, “l’Italia non è più sola” (anche se, aggiunge “poteva andare meglio”). Angela Merkel ammette che c’è “ancora molto da fare per riavvicinare i diversi punti di vista”, ma vede “un buon segnale”. Per Emmanuel Macron, che fa l’equilibrista tra “principi” (aperti) e “azione” (chiusa), “molti hanno predetto il trionfo di soluzioni nazionali, ma è la cooperazione europea che ha vinto”. Per il Presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, il testo di conclusioni ha evitato di dare “un numero crescente di argomenti ai movimenti populisti e antieuropei”. Al prezzo di aver ceduto loro nella sostanza? Lo pensa il Primo Ministro polacco, Mateusz Morawiecki:“l’Europa ha adottato le posizioni del gruppo di Visegrad”.

L’Austria, che dal 1° luglio prende la Presidenza semestrale del Consiglio UE, va avanti:“Saremo in grado di far diminuire il numero di persone che arrivano in Europa solo quando faremo in modo che le persone soccorse in mare non siano portate sul territorio della UE”, ha precisato il Primo Ministro Sebastien Kurz, soddisfatto che ci sia un’intesa che “permetta di distruggere il modello economico dei passeurs”. Il documento finale stabilisce che nella UE dovranno essere creati dei “centri di controllo”, per fare una cernita “il più in fretta possibile”, tra “rifugiati” e “migranti economici”, da espellere su due piedi. Ma saranno aperti “su base volontaria”. Dove? Logicamente nei Paesi di primo sbarco, Spagna, Grecia e Italia, che non ne vuole sapere. La Francia non è un Paese di primo arrivo, ha sottolineato Macron, quindi non avrà “centri”, ma dovrebbe fare la sua parte per la spartizione dei rifugiati tra i Paesi “volonterosi”.

I Paesi di Visegrad al massimo pagheranno un pochino per evitare di dover accogliere. L’Italia incassa un rifiuto della richiesta di redistribuzione obbligatoria. La UE prenderà “tutte le misure legislative e amministrative” per evitare i “movimenti secondari”, come chiesto in particolare dalla Germania ma anche dalla Francia, in vista della riforma di Dublino, che resta nel vago, ma che sarà fatta, assicurano i 28, “sulla base dell’equilibrio tra responsabilità e solidarietà”.

L’obiettivo della UE è la creazione di “piattaforme di sbarco” al di fuori dei confini, in Africa in particolare (l’ipotesi di aprirle nei Balcani, Kosovo e Albania, come proposto da Danimarca e Austria, sembra tramontata). Anche l’Alto Commissariato ai Rifugiati dell’ONU ormai cede alle “piattaforme di sbarco” per cercare di evitare il naufragio generalizzato del diritto d’asilo nel mondo. L’Alto Commissariato e l’OIM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni), alla vigilia del Consiglio, avevano inviato una lettera a Mrs. Pesc Federica Mogherini e ai Presidenti Jean-Claude Juncker (Commissione) e Donald Tusk (Consiglio) per invitare i Paesi del Mediterraneo a “riunirsi”, per una “responsabilità condivisa” sulle migrazioni (già mille morti quest’anno).

Ma Tunisia e Marocco hanno già rifiutato di accogliere delle “piattaforme”; dalla Libia il Generale Haftar tuona:“Nessuna presenza straniera con la scusa dei migranti”. Macron ammette:“Non è la panacea”, e indica “una cooperazione con la Libia”, che suscita “un’inquietudine insormontabile” all’OIM. Per completare, c’è una messa in riga delle ONG, la sola vera vittoria italiana, assieme a un timido Fondo Africa aumentato di 500 milioni (c’è anche il via libera alla seconda tranche da versare alla Turchia in base all’accordo del 2016). La CIMADE, organizzazione storica di aiuto ai rifugiati, commenta:“La UE ha scelto una politica di esternalizzazione dell’asilo e di controllo delle frontiere”.

Anna Maria Merlo
29.6.2018
ilmanifesto.it/leuropa-si-chiude/
[Modificato da wheaton80 30/06/2018 16:46]
16/11/2018 17:19
 
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Boom economico in Polonia: PIL 3° trimestre +5,1% (5,3% nel 1° e 5,1% nel 2°)

Mentre la zona euro arranca, con la Germania in forte frenata, i Paesi dell'Europa che non utilizzano l'euro vivono una stagione di boom economico. Tra questi, sicuramente chi fa meglio di tutti è la Polonia. L'economia polacca è cresciuta del 5,1% nel terzo trimestre di quest'anno, contro un -0,2% della Germania. Lo rivelano i dati pubblicati oggi nelle stime flash dell'Ufficio Centrale di Statistica del Paese (GUS), citate dal sito dell'emittente radiofonica pubblica ''Polskie Radio''. Gli analisti si aspettavano che l'economia crescesse del 4,7 per cento su base annua nel terzo trimestre, ma i risultati sono addirittura migliori delle previsioni. L'incremento del PIL della Polonia è stato del 5,1% anche nel secondo trimestre. L'Ufficio Centrale di Statistica ha rivisto al rialzo la stima della crescita del PIL polacco nel primo trimestre dal 5,2 al 5,3 per cento. Insomma è vero boom. Il 2018 si potrebbe chiudere con una crescita tra il 5,1 e il 5,2%.

14 novembre 2018
www.ilnord.it/b11166_BOOM_ECONOMICO_IN_POLONIA_PIL_3_TRIMESTRE_51_53_NEL_1_E_...
09/10/2021 14:22
 
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La Polonia difende la sovranità dalla UE. E in Italia scoppia la polemica

La Polonia si scontra con la UE (la Costituzione polacca viene prima delle leggi europee) e in Italia scoppia la polemica tra europeisti e sovranisti. Le leggi della Polonia sono “superiori” rispetto a quelle dell’UE. Alcune parti della legislazione dell’Unione Europea non sono compatibili con la Costituzione della Polonia. Lo stabilisce la Corte Suprema Polacca, ponendo le basi per un possibile scontro con Bruxelles. “Il tentativo della Corte Europea di Giustizia di essere coinvolta nei meccanismi legislativi polacchi viola la norme che assegnano la priorità alla Costituzione e le norme che rispettano la sovranità nell’ambito del processo di integrazione europea”, si legge nel giudizio della Corte. Insomma, la sovranità polacca sancita dalla Costituzione non può sottostare alle leggi UE.

Corte Suprema Polonia:“Costituzione viene prima delle leggi UE”
Dal canto suo, la Commissione UE va al contrattacco, utilizzando i Trattati Europei per giustificare il proprio diritto ad intervenire nelle questioni relative allo Stato di Diritto in Polonia. Per questo, secondo la Corte Europea di Giustizia, la nuova procedura per la nomina dei giudici della Corte Suprema Polacca potrebbe violare la legge dell’Unione Europea. In base a questo giudizio, la Corte di Giustizia Europea, almeno sulla carta, potrebbe costringere la Polonia (con cui Bruxelles si è scontrata anche in passato) ad abolire parte della riforma della giustizia. Ma il governo polacco non ne vuole giustamente sentire. La Costituzione viene prima delle leggi UE, fa presente la Corte Suprema Polacca.

Von der Leyen fa la voce grossa:“Useremo tutti i poteri”
La Presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen fa la voce grossa. “Useremo tutti i poteri che abbiamo in base ai trattati per assicurare” il primato del diritto UE su quelli nazionali, incluse “le disposizioni costituzionali. E’ quello che tutti gli Stati membri dell’UE hanno sottoscritto, come membri dell’Unione Europea”. La von der Leyen si dice “profondamente preoccupata” per la sentenza e ha dato disposizioni ai servizi della Commissione di “analizzarla a fondo e rapidamente. Su questa base, decideremo i prossimi passi. La nostra priorità è assicurare che i diritti dei cittadini polacchi vengano protetti e che godano dei benefici dell’appartenenza all’UE”. I trattati, ha concluso la Presidente della Commissione, “sono molto chiari. Tutte le sentenze della Corte di Giustizia sono vincolanti per gli Stati membri, inclusi i tribunali nazionali”.

Polexit, in Italia è scontro europeisti-sovranisti
E mentre i media titolano a effetto sulla Polexit e amenità simili, in Italia scoppia la polemica tra europeisti e sovranisti. “A quelli che si scandalizzano perché la Polonia ha affermato in modo sacrosanto che il suo diritto prevale su quello UE, ricordo che era un punto programmatico sia della coalizione di centrodestra (capito amici di FI?) che del contratto di governo con il M5S”. A farlo presente su Twitter è Claudio Borghi della Lega.

Meloni contro Letta:“PD asservito all’asse franco-tedesco”
Sulla stessa linea Giorgia Meloni, che replica a Enrico Letta. “Il Segretario del PD oggi grida allo scandalo perché la Corte Costituzionale Polacca rivendica la supremazia dell’ordinamento interno rispetto a quello della UE. Dimentica però che è esattamente quanto fatto più volte dalla Germania della Merkel”. La quale “anche di recente ha ribadito che le norme europee si applicano in Germania solo se non ledono l’interesse nazionale tedesco e non contrastano con la loro Costituzione”. Così la leader di FdI su Facebook, definendo il PD “partito asservito all’asse franco -tedesco“. Per i dem, accusa la Meloni, “l’UE dovrebbe essere una bizzarra unione nella quale Francia e Germania dettano le regole e fanno quello vogliono e gli altri Stati obbediscono in silenzio. Per questo la sinistra italiana piace così tanto in Europa e così poco ai patrioti italiani“, conclude la leader di FdI. Letta su Twitter aveva scritto che “la notizia è che la Polonia oggi attacca alle fondamenta la struttura giuridica della costruzione dell’UE. Il sovranismo antieuropeo non è slogan e folklore come qualcuno pensa. È un ritorno indietro. Sbagliato e pericoloso. Che va combattuto”. Certo è che mentre in Italia infiamma la polemica su chi ha ragione e chi torto, in Polonia (come in altri Stati membri) si fanno i fatti.

Adolfo Spezzaferro
08 ottobre 2021
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