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Falsi scientifici...cosa nasconde la scienza ufficiale?

Ultimo Aggiornamento: 09/03/2006 17:34
04/03/2006 14:16
 
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Galileo Galilei /1
di Vittorio Messori


Stando a un'inchiesta dei Consiglio d'Europa tra gli studenti di scienze in tutti i Paesi della Comunità, quasi il 30 per cento è convinto che Galileo Galilei sia stato arso vivo dalla Chiesa sul rogo. La quasi totalità (il 97 per cento) è comunque convinta che sia stato sottoposto a tortura. Coloro - non molti, in verità - che sono in grado di dire qualcosa di più sullo scienziato pisano, ricordano, come frase "sicuramente storica", un suo "Eppur si muove!", fieramente lanciato in faccia, dopo la lettura della sentenza, agli inquisitori convinti di fermare il moto della Terra con gli anatemi teologici. Quegli studenti sarebbero sorpresi se qualcuno dicesse loro che siamo, qui, nella fortunata situazione di poter datare esattamente almeno quest'ultimo falso: la "frase storica" fu inventata a Londra, nel 1757, da quel brillante quanto spesso inattendibile giornalista che fu Giuseppe Baretti.

Il 22 giugno del 1633, nel convento romano di Santa Maria sopra Minerva tenuto dai domenicani, udita la sentenza, il Galileo "vero" (non quello del mito) sembra mormorasse un ringraziamento per i dieci cardinali - tre dei quali avevano votato perché fosse prosciolto - per la mitezza della pena. Anche perché era consapevole di aver fatto di tutto per indisporre il tribunale, cercando per di più di prendere in giro quei giudici - tra i quali c'erano uomini di scienza non inferiore alla sua - assicurando che, nel libro contestatogli (e che era uscito con una approvazione ecclesiastica estorta con ambigui sotterfugi), aveva in realtà sostenuto il contrario di quanto si poteva credere. Di più: nei quattro giorni di discussione, ad appoggio della sua certezza che la Terra girasse attorno al Sole aveva portato un solo argomento. Ed era sbagliato. Sosteneva, infatti, che le maree erano dovute allo "scuotimento" delle acque provocato dal moto terrestre. Tesi risibile, alla quale i suoi giudici-colleghi ne opponevano un'altra che Galileo giudicava "da imbecilli": era, invece, quella giusta. L'alzarsi e l'abbassarsi dell'acqua dei mari, cioè, è dovuta all'attrazione della Luna. Come dicevano, appunto, quegli inquisitori insultati sprezzantemente dal Pisano.

Altri argomenti sperimentali, verificabili, sulla centralità del Sole e sul moto terrestre, oltre a questa ragione fasulla, Galileo non seppe portare. Né c'è da stupirsi: il Sant'Uffizio non si opponeva affatto all'evidenza scientifica in nome di un oscurantismo teologico. La prima prova sperimentale, indubitabile, della rotazione della Terra è del 1748, oltre un secolo dopo. E per vederla quella rotazione, bisognerà aspettare il 1851, con quel pendolo di Foucault caro a Umberto Eco. In quel 1633 del processo a Galileo, sistema tolemaico (Sole e pianeti ruotano attorno alla Terra) e sistema copernicano difeso dal Galilei (Terra e pianeti ruotano attorno al Sole) non erano che due ipotesi quasi in parità, su cui scommettere senza prove decisive. E molti religiosi cattolici stessi stavano pacificamente per il "novatore" Copernico, condannato invece da Lutero.

Del resto, Galileo non solo sbagliava tirando in campo le maree, ma già era incorso in un altro grave infortunio scientifico quando, nel 1618, erano apparse in cielo delle comete. Per certi apriorismi legati appunto alla sua "scommessa" copernicana, si era ostinato a dire che si trattava solo di illusioni ottiche e aveva duramente attaccato gli astronomi gesuiti della Specola romana che invece - e giustamente - sostenevano che quelle comete erano oggetti celesti reali. Si sarebbe visto poi che sbagliava ancora, sostenendo il moto della Terra e la fissità assoluta del Sole, mentre in realtà anche questo è in movimento e ruota attorno al centro della Galassia.

Niente frasi "titaniche" (il troppo celebre "Eppur si muove!") comunque, se non nelle menzogne degli illuministi e poi dei marxisti - vedasi Bertolt Brecht - che crearono a tavolino un "caso" che faceva (e fa ancora) molto comodo per una propaganda volta a dimostrare l'incompatibilità tra scienza e fede.

Torture? carceri dell'Inquisizione? addirittura rogo? Anche qui, gli studenti europei del sondaggio avrebbero qualche sorpresa. Galileo non fece un solo giorno di carcere, né fu sottoposto ad alcuna violenza fisica. Anzi, convocato a Roma per il processo, si sistemò (a spese e cura della Santa Sede), in un alloggio di cinque stanze con vista sui giardini vaticani e cameriere personale. Dopo la sentenza, fu alloggiato nella splendida villa dei Medici al Pincio. Da lì, il "condannato" si trasferì come ospite nel palazzo dell'arcivescovo di Siena, uno dei tanti ecclesiastici insigni che gli volevano bene, che lo avevano aiutato e incoraggiato e ai quali aveva dedicato le sue opere. Infine, si sistemò nella sua confortevole villa di Arcetri, dal nome significativo "Il gioiello".

Non perdette né la stima né l'amicizia di vescovi e scienziati, spesso religiosi. Non gli era mai stato impedito di continuare il suo lavoro e ne approfittò difatti, continuando gli studi e pubblicando un libro - Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove scienze - che è il suo capolavoro scientifico. Né gli era stato vietato di ricevere visite, così che i migliori colleghi d'Europa passarono a discutere con lui. Presto gli era stato tolto anche il divieto di muoversi come voleva dalla sua villa. Gli rimase un solo obbligo: quello di recitare una volta la settimana i sette salmi penitenziali. Questa "pena", in realtà, era anch'essa scaduta dopo tre anni, ma fu continuata liberamente da un credente come lui, da un uomo che per gran parte della sua vita era stato il beniamino dei Papi stessi; e che, ben lungi dall'ergersi come difensore della ragione contro l'oscurantismo clericale, come vuole la leggenda posteriore, poté scrivere con verità alla fine della vita: "In tutte le opere mie, non sarà chi trovar possa pur minima ombra di cosa che declini dalla pietà e dalla riverenza di Santa Chiesa".

Morì a 78 anni, nel suo letto, munito dell'indulgenza plenaria e della benedizione del papa. Era l'8 gennaio 1642, nove anni dopo la "condanna" e dopo 78 di vita. Una delle due figlie suore raccolse la sua ultima parola. Fu: "Gesù!".

I suoi guai, del resto, più che da parte "clericale" gli erano sempre venuti dai "laici": dai suoi colleghi universitari, cioè, che per invidia o per conservatorismo, brandendo Aristotele più che la Bibbia, fecero di tutto per toglierlo di mezzo e ridurlo al silenzio. La difesa gli venne dalla Chiesa, l'offesa dall'Università.

In occasione della recente visita del papa a Pisa, un illustre scienziato, su un cosiddetto "grande" quotidiano, ha deplorato che Giovanni Paolo II "non abbia fatto ulteriore, doverosa ammenda dell'inumano trattamento usato dalla Chiesa contro Galileo". Se, per gli studenti del sondaggio da cui siamo partiti, si deve parlare di ignoranza, per studiosi di questa levatura il sospetto è la malafede. Quella stessa malafede, del resto, che continua dai tempi di Voltaire e che tanti complessi di colpa ha creato in cattolici disinformati. Eppure, non solo le cose non andarono per niente come vuole la secolare propaganda; ma proprio oggi ci sono nuovi motivi per riflettere sulle non ignobili ragioni della Chiesa. Il "caso" è troppo importante, per non parlarne ancora.


04/03/2006 14:49
 
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Chi ha condannato Galileo?
di Federico Di Trocchio

Tratto dal capitolo V, Scienza e senso comune, di F. Di Trocchio, Il genio incompreso, Mondadori 1997.

La padronanza dei principi della dinamica dava insomma a Galilei una netta superiorità sugli scienziati suoi contemporanei che tentavano di sostenere le ragioni del sistema tolemaico contro il copernicanesimo avanzante. Lo scontro, inevitabile, era destinato a risolversi necessariamente, almeno sul piano scientifico, a suo favore, anche se Galilei non era in grado di fornire una prova definitiva della validità del sistema copernicano, non sapeva ancora spiegare quale fosse la forza che muoveva la Terra e, oltretutto, rimaneva fedele all'antiquato pregiudizio secondo il quale la Terra e gli altri pianeti si muovono attorno al Sole in orbite rigorosamente circolari. Dopo l'insuccesso di Aristarco e la disattenzionè riservata a Copernico, Galileo poteva insomma finalmente imporre l'eliocentrismo. Ma nonostante tutto non vi riuscì. La responsabilità di questo insuccesso viene in genere attribuita alla Chiesa che, pur non avendo competenza in materia, con una decisione non solo scientificamente scorretta, ma anche azzardata e compromettente sul piano teologico, condannò l'eliocentrismo come una teoria eretica. Dopo l'umiliazione di un'abiura pubblica Galilei venne posto agli arresti domiciliari "come veementemente sospetto di eresia", una formula di compromesso che consentì di evitare il rogo al "colpevole".

Le indagini storiche hanno però accertato che fu un gruppo di scienziati pisani e fiorentini a suscitare il fatale scontro tra Galileo e la Chiesa, mossa che costituiva l'ultima possibilità di arrestare il co-pernicanesimo, vista l'impossibilità di contrastarlo sul piano scientifico. L'ostilità de la comunità scientifica nei confronti dì Galilei fu infatti, almeno all' inizio, generale. L'amico Paolo Gualdo gli scriveva da Padova nel 1612: "Che la Terra giri, sinhora, non ho trovato né filosofo né astrologo che si voglia sottoscrivere all'opinione di Vostra Signoria, pensi adunque bene prima che asseverantemente pubblichi questa sua opinione per vera". I più accaniti oppositori furono però un gruppo di studiosi di Pisa e di Frenze: Giorgio Coresio, professore di greco all'università di Pisa, Vincenzo di Grazia, che insegnava invece filosofia, nonché Arturo Pannocchieschi, rettore della stessa università. Altro importante membro del gruppo era Cosimo Boscaglia, professore a Pisa prima di logica e poi di filosofia, che fu molto apprezzato da Ferdinando I e Cosimo II de' Medici. Il più agitato del gruppo era però un filosofo dilettante di Firenze, Lodovico delle Colombe, che viene descritto da un contemporaneo come un individuo "lungo, magro, nerastro e di fisionomia sgradevole". Galilei lo chiamava Pippione, che in toscano vuol dire sia "piccione" che "coglione" nel duplice senso, sia letterale sia metaforico. Tutto il gruppo veniva perciò indicato neile sue lettere come "la lega del Pippione". Il luogo dì ritrovo di questi "malotichi et invidiosi", come li chiamava Lodovico Cigoli, amico di Galilei, era la casa fiorentina dell'arcivescovo Marsimedici, dove si incontravano talora con due frati domenicani: Nicolò Lorini e Tommaso Caccini.

I motivi di risentimento dei membri di questa "lega" nei confronti di Galilei erano molteplici. Essi erano innanzitutto umiliati per la propria manifesta incapacità di controbattere le sue argomentazioni contro il sistema tolemaico e la filosofia aristotelica, della cui attendibilità scientifica si sentivano garanti e custodi. Galilei, oltretutto, aveva un modo di argomentare molto più logico, razionale e lucido del loro, e in più era arguto e sottile, sicché si divertiva a imbarazzarli con i paradossi impliciti nelle loro stesse asserzioni, il che finiva per renderli ridicoli. Accanto a questi motivi di carattere scientifico e psicologico esistevano però anche delle ragioni personali di invidia. I risultati clamorosi ottenuti con le osservazioni rese possibili dal cannocchiale e la pubblicazione del Sidereus Nuncius avevano reso Galileo rapidamente famoso, sicché per tornare dall'università di Padova a Pisa aveva preteso delle condizioni di privilegio. Per essere libero di fare ricerca, non aveva infatti alcun obbligo di insegnamento: il suo stipendio veniva però pagato con i fondi dell'università e si trattava, oltretutto, di uno stipendio superiore a quello degli altri professori, i quali erano tenuti, oltre che a insegnare, anche ad abitare a Pisa, obbligo dal quale Galilei era invece esentato. Questi e altri privilegi, accordati a chi si contrapponeva così direttamente all'ortodossia scientifica del tempo, apparivano ampiamente ingiustificati al mondo accademico pisano.

Una tale situazione di notevole animosità nei suoi confronti costituì un motivo determinante nell’evoluzione e nell’origine del dramma personale di Galilei. Fu infatti in seguito alla verificata impossibilità di arrestarlo con argomentazioni di carattere scientifico che i suoi oppositori si decisero a usare argomentazioni di carattere teologico, che consistevano essenzialmente nel mettere in evidenza la natura eretica di ogni teoria che affcrmasse l'immobilità del Siole e la mobilità della Terra, perché contraria a ciò che sostiene la Bibbia. Questo tipo di argomentazione compare per la prima volta, tra la fine del 1640 e l'inizio del 1614, in una dissertazione dal titolo Contro il moto della Terra che fu fatta circolare manoscritta da Lodovico delle Colombe. L'attacco preludeva alle denunce verbali e scritte di Lorini e di Caccini, coordinate in una sorta di piano di congiura, denunciato già dallo stesso Galilei e ricostruito, in un libro famoso, da Giorgio de Santillana. Secondo questo piano, Galileo doveva essere provocato sul problema del rapporto tra teoria copernicana e testo biblico in modo da attirare l'attenzione dei teologi sulla necessità, da parte dei copernicani, di interpretare in senso non letterale i vari passi nei quali la Bibbia, accogliendo il senso comune, affermava chiaramente che è il Sole a muoversi e che la Terra sta ferma. L’inizio dell'Ecclesiaste dice ad esempio: "Una generazione va e l'altra viene; ma la Terra rimane sempre. lì Sole sorge e tramonta e torna al suo luogo; da qui, rinascendo, gira a mezzogiorno e poi piega a settentrione". C'era poi il famoso passo del Libro di Giosuè che narrava il miracolo dell'arrestarsi del Sole, prodotto da Dio dopo la pressante richiesta di Giosuè: "O Sole, fermati a Gabaon, e tu, o Luna, alla valle di Aialon. E il Sole si fermò, e la Luna ristette finché la nazione ebbe vendetta dei suoi nemici".

Se i copernicanì avevano ragione, i casi erano due: o si ammetteva che la Bibbia aveva accettato una teoria sbagliata sulla costituzione dell'universo, oppure quei passi andavano reinterpretati. Si doveva supporre cioè che, affidandosi al senso comune e non essendo un astronomo, Giosuè avesse chiesto a Dici di fermare il Sole, e che questi avesse arrestato o rallentato il moto di rotazione della Terra per produrre il miracolo richiesto. La situazione era effettivamente molto imbarazzante per la Chiesa, che però avrebbe volentieri evitato il problema se non fosse stata costretta a prendere posizione dal clamore suscitato dagli attacchi della "lega".

Galilei capì che se voleva far trionfare il copernicanesimo doveva affrontare questione e, con l'aiuto di due preti suoi allievi, Benedetto Castelli (che fu anche un ottimo matematico) e un frate barnabita, si improvvisò teologo. In due lettere comunemente note come Lettere copernicane trovò una via d’uscita che poteva servire, non solo in quel caso specifico ma anche in futuro, a evitare contrasti e contrapposizioni tra verità di fede e verità scientifica. Si trattava semplicemente di ammettere che, in molti caso, e in particolare in rapporto a questioni scientifiche, la Bibbia non poteva essere presa alla lettera. Il suo ragionamento era semplice e facilmunte condivisibile: la verità non può essere che una ma è scritta in due libri diversi, la Bibbia e la Natura, che usano linguaggi altrettanto diversi. La Bibbia è scritta in funzione dell'uomo e mira essenzialmente a fornire all'uomo quelle indicazioni morali che gli possono consentire di vivere, con piena consapevolezza e con tranquilla berenita, la propria vicenda esistenziale. Il libro della Natura, invece, non contiene verità di carattere morale, ma solo descrizioni fedeli dei fenomeni naturali esposte in un linguaggio tecnico: quello matematico. La comprensione delle leggi di natura richiede dunque una competenza diversa da quella del teologo: bisogna essere buoni matematici ma anche buoni sperimentatori, in altri termini bisogna essere scienziati. La conclusione era che, secondo Galilei, nei casi in cui la scienza scopriva leggi o fenomeni che le Scritture presentavano in modo diverso, i teologi non dovevano, non essendo competenti, contestare le conclusioni degli scienziati, ma piuttosto prenderne atto e affrettirsi a cambiare l’interpretazione dei testi sacri.

Il ragionamento era plausibile e facilmente condivisibile. Del resto il principio dell'interpretazione non letterale era stato già utilizzato da vari Padri della Chiesa, tra i quali sant'Agostino, e venne poi definitivamente sancito, nel 1893, con un'apposita enciclica emanata da papa Leone XIII. Ma le cose non erano così semplici come poteva apparire a prima vista. Esisteva un problema che rendeva (e rende ancor oggi) inevitabile il contrasto tra scienziati è teologi: prima di modificare l'interpretazione di un passo delle Scritture o, più in generale, di abbandonare un principio morale in conseguenza di un progresso scientifico o tecnico, è saggio e prudente accertarsi in modo definitivo dÙl'attendibilìtà della nuova visione scientifica. Ora, la conoscenza scientifica è fallibile, non offre verità definitive, anzi si distingue dalla magia, come dalla religione, proprio per la capacità di modificare continuamente i propri principi e di progredire in virtù della revisione critica dì vecchie idee. Giustamente il teologo non vuole essere ridotto a passacarte dello scienziato e correre il rischio di avallare precipitosamente teorie che la stessa comunità scientifica potrebbe domani scartare come errate, o comunque modificare. Se deve cambiare idea deve avere buoni motivi, e vuole essere lui a valutarlo.

Nel caso di Galilei, ad esempio, anche gli scienziati hanno sempre ammesso che egli non era stato in grado di fornire una prova definitiva della validità del sistema copernicano, poiché quella che egli riteneva certa (la sua spiegazione del fenomeno delle maree) non era affatto corretta, e appariva errata anche ai contemporanei. L'atteggiamento dei teologi, da questo punto di vista, fu più cauto di quello di Galilei: prima le prove, dicevano in sostanza, poi la revisione teologica.

Questo in effetti poteva portare a un accordo. E fu infatti su questa base che il problema venne provvisoriamente risolto nel 1615, all'epoca del cosiddetto primo processo a Galilei, che fu in realtà un'indagine segreta, una sorta di perizia teologica, nata da una denuncia di Tommaso Caccini, nel corso della quale Galilei non venne neppure disturbato per essere interrogato. La commissione del Sant'Uffizio, a conclusione dei suoi lavori, decretò a quell'epoca che la teoria eliocentrica era scientificamente errata ed eretica dal punto di vista teologico. Ma a proposito della posizione personale di Galilei, che pure sosteneva ormai pubblicamente quella teoria, non si pronunciò. Lo scienziato contro il quale era diretta la denuncia non venne insomma né assolto né condannato. Venne invece convocato, il 26 febbraio 1615, a casa del cardinai Bellarmino, che non faceva parte della commissione ma era il vero ispiratore della linea adottata dalla Chiesa. Nel corso di quel colloquio, che nell'intenzione di Bellarmino doveva essere amichevole e fu invece un po’ teso a causa della presenza e dell'intransigenza del commissario generale del Sant'Uffizio, Michelangelo Segizzi, Galileo venne informato che la Chiesa riteneva eretica la teoria eliocentrica e venne invitato a considerarla da allora in poi solo come ipotesi.

Questo, almeno provvisoriamente, metteva le cose a posto. Se l'eliocentrismo era solo un'ipotesi, non c'era motivo di affrettarsi a cambiare l'interpretazione della Scrittura. Più o meno esplicitamente si ammetteva inoltre che la soluzione proposta da Galilei per i casi di accertato contrasto era valida. Per il momento la questione si poteva considerare chiusa: i teologi avevano indubbiamente commesso un errore dando una valutazione di merito scientifico sull'eliocentrismo ma, nonostante ciò, si rifiutavano di fare il gioco dei nemici di Galileo, al quale intendevano accordare ogni libertà di indagine sull'argomento e anche la possibilità dì discuterne sul piano strettamente tecnico con i propri colleghi.

Sotto l'apparente disponibilità si celava però una posizione ben più intransigente. Bellarmino, che non era certamente un genio scientifico (e che forse non meritava di essere fatto santo perché aveva sulla coscienza varie condanne a morte per eresia, non ultima quella di Giordano Bruno), aveva tuttavia una mente molto più sottile e e una cultura più raffinata di quella di Galilei. Fu un teologo forse troppo rigido, ma la sua lucidità può suscitare ancora oggi invidia in molti dottori della Chiesa. Egli riteneva che, se non si voleva aprire una grave falla nelle basi teologiche della religione, si doveva tenere fermo che anche nelle questioni scientifiche l’ultima parola dovesse spettare al teologo, per un principio molto semplice: nel bene e nel male la Scrittura è opera dello Spirito Santo e dunque la distinzione tra questioni di fede e questioni scientifiche non regge. Tutto è questione di fede. Con una formula latina un po' scolastica Bellarmino diceva che una cosa scritta nella Bibbia "se non è materia di fede ex parte objecti [cioè considerando l'oggetto o l'argomento] è materia di fede ex parte dicentis [cioè considerando colui che parla, vale a dire lo Spirito Santo]".

Tutti i commentatori, sia laici sia cattolici, sono oggi concordi nel ritenere questa posizione eccessivamente intransigente, il che ha portato a considerare, almeno sul piano teorico, Bellarmino come il principale responsabile della sfortunata condanna di Galilei all'epoca del secondo processo, quando il teologo era già morto. La Chiesa però non ha mai ufficialmente avallato queste critiche anzi, persino negli atti nei quali normalmente si presume che abbia fatto ammenda e riabilitato Galilei, in realta ha sempre ribadito la posizione di Bellarmino. Prendiamo ad esempio l'enciclica Providentissimus Deus di Leone XIII. Essa dice: "Nessuna vera contraddizione potrà interporsi tra il teologo e lo studioso delle scienze naturali, finché l'uno e l'altro si manterranno nei propri confini, guardandosi bene, secondo il monito di sant'Agostino, «di non asserire temerariamente alcunché né di presentare una cosa certa come incerta»". I casi di possibili contrasti possono essere regolati, secondo l'enciclica, proprio come suggeriva Galilei: "Se poi vi fosse qualche dissenso, lo stesso santo dà sommariamente le regole di come debba diportarsi in tali casi il teologo: «Tutto ciò che i fisici, riguardo la natura delle cose, potranno dimostrare con documenti certi, è nostro compito provare non essere nemmeno contrario alle nostre lettere»". Il teologo insomma deve essere pronto a reinterpretare il testo della Scrittura per seguire l'evoluzione delle conoscenze scientifiche. Esattamente come sosteneva Galilei. Ma, come c'era da attendersi, c'è un ultimo codicillo che ribalta completamente la situazione. Continuando la citazione di sant'Agostino l'enciclica prosegue: "Ciò che poi presentassero nei loro scritti di contrario alla fede cattolica, o dimostriamo con qualche argomento essere falso ciò che aaseriscono o crediamolo falso senza alcuna esitazione". Nel caso in cui il teologo si trovasse insomma di fronte ad affermazioni scientifiche che ritiene senz’altro contrarie alla fede e alla morale, non solo è autorizzato ma addirittura è sollecitato a condannarle come false, indipendentemente dalla loro validità scientifica.

Espressa in questo modo, la posizione ufficiale della Chiesa potrebbe sembrare non solo eccessivamente intransigente ma anche acritica e ottusa. Se si considera però il modo in cui, più di recente, essa è stata espressa da papa Wojtyla nei due discorsi fatti in apertura (10 novembre 1979) e in chiusura (31 ottobre 1992) del processo di riabilitazione di Galilei, appare sotto tutt'altra luce e, se non condivisibile, almeno giustificata dal punto di vista morale. Partendo dalla considerazione, incontestabile, che "l'uomo d'oggi sembra essere sempre minacciato da ciò che produce" e auspicando, come tutti, che "l'uomo deve uscire vittorioso da questo dramma, che minaccia di degenerare in tragedia, e deve ritrovare la sua autentica regalità sul mondo e il pieno dominio sulle cose che produce", Giovanni Paolo II ritiene che l'unico modo per riuscirvi è quello di riaffermare "la priorità dell'etica sulla tecnica, il primato della persona sulle cose, la superiorità dello spirito sulla materia". In buona sostanza il papa afferma, e non ci si poteva aspettare diversamente, che ciò che può garantire la salvezza esistenziale dell'umanità è la religione, assunta come criterio di valutazione degli interventi tecnici resi possibili dalla scienza.

Questo modo di presentare la questione appare meno intransigente e meno offensivo di quello impiegato da Bellarmino o da Leone XIII. Innanzitutto esso sposta il discorso dalla scienza all'applicazione tecnica delle scoperte scientifiche, il che rende possibile, ad esempio, condannare l'uso delle armi nucleari senza scomunicare Fermi, Oppenheimer e compagni. In secondo luogo fa appello a un diffuso sospetto nei confronti del reale significato del progresso tecnico e scientifico, che costituisce anche il minimo comun denominatore dell'ideologia dei movimenti ambientalisti, pacifisti, antivivisezionisti e di tutti i fenomeni di recupero dei valori mistico-religiosi, come reazione e fuga dalla civiltà tecnologica. Si tratta, più che di un insieme coerente di idee, di un atteggiamento culturale genericamente definibile come progressista e originatosi nel Sessantotto, che percorre trasversalmente anche tutti i fenomeni di presa di coscienza e di rivendicazione sociale da parte di gruppi emarginati, dal femminismo ai movimenti omosessuali e ai comitati per la difesa dei diritti del malato. La linea della Chiesa pare in gran parte convergere con questa ideologia progressista, e appare solo un po’ troppo rigida e retrò per le posizioni che assume in rapporto al divorzio e alle questioni sessuali, al problema del controllo delle nascite o alla bioetica. Oggi ìnsornma le argomentazioni dì Bellarmino potrebbero apparire addirittura più ragionevoli e condivisibili di quanto non fossero nel 1615.

La sostanza del discorso però non è cambiata. La Chiesa ritiene di avere il dovere di tutelare il valore e l'integrità dell'esistenza umana, e per farlo pretende il controllo finale su tutte le decisioni che possono influenzare il destino di individui e società. L'unico sostanziale cambiamento verificatosi dai tempi di Gailei a oggi è che la Chiesa ha perso il potere temporale e non può più quindi usare la forza per esercitare realmente questo controllo, ed emarginare o eliminare come eretici coloro che, non avendo interesse a essere salvati, si oppongono a questa volontà di controllo. Sfortunatamente, nel Seicento il potere temporale della Chiesa era ancora molto forte e il papa dell'epoca, Urbano VIII, non seppe resistere alla tentazione di farne uso. I motivi contingenti che coinvolsero Galilei nel secondo, definitivo, processo ci appaiono, da questo punto dì vista, fin troppo prosaici e personali. Lo scienziato, nel comporre il Dialogo sopra i due massimi sistemi, aveva offeso, non si sa se per caso o per inavvertita arroganza, papa Urbano VIII, che gli aveva sempre mostrato grande benevolenza. Lo scienziato aveva messo le opinioni del papa in bocca a Simplicio, il personaggio che nel Dialogo fa la figura, se non dello sciocco, almeno dell'ignorante; nel frontespizio del libro figuravano poi tre delfini, che sembravano alludere al nepotismo un po' eccessivo del papa. È probabile, anche se non del tutto provato, che due gesuiti, padre Grassi e padre Scheiner, che avevano motivi di cisentimento nei confronti di Galileo, abbiano sfruttato questi elementi per provocare il processo.

I lavori furono lunghi e segnati da alterne vìcende ed è anche possibile che gli accusatori abbiano fatto ricorso a un documento falsificato (o comunque non valido legalmente). Nonostante tutto, a un certo punto si tentò di nuovo una soluzione compromissoria; purtroppo in questa fase Galilei commise degli errori che irritarono l'ala intransigente del tribunale che il 22 giugno 1633, su pressione del papa, emise la sentenza dì condanna. Tre dei giudici, in evidente segno di disapprovazione, non furono presenti alla lettura della sentenza.

Si trattò di una condanna manifestamente ingiusta e di un grave errore, come ha voluto definitivamente chiarire Giovanni Paolo II. Quel che ancora oggi non è chiaro è quale sia il senso di questa intricata e sfortunata vicenda e che insegnamento se ne possa trarre. È evidente innanzitutto che Galilei fu condannato prima dalla scienza e poi dalla Chiesa. Si trattò insomma di una duplice condanna i cui motivi, pur essendo diversi, erano collegati dal desiderio di tutelare il più possibile il senso comune. Gli scienziati non volevano allontanarsi dalle opinioni di senso comune, perché erano state incorporate da Aristotele e Tolomeo in una teoria che tutti ritenevano assolutarnonte certa e inattaccabile. I teologi, per parte loro, difendevano il senso comune perché la Bibbia, se presa alla lettera, sembrava avallarlo. Va sottolineato tuttavia che i secondi erano più concilianti e, in fondo, più che a difendere il senso comune, erano interessati a rinsaldare l'autonomia e la supremazia del giudizio etico-religioso anche nelle questioni scientifiche. I teologi insomma avevano già capito, o intuivano, che la scienza poteva costituire un rischio per l'uomo e, per scongiurare il pericolo, volevano soprattutto riaffermare (difendendo il primato della teologia) il diritto prioritario di valutare sul piano morale i progressi che la scienza prometteva sul piano della conoscenza e della tecnica. A sbagliare, dunque, non furono soltanto i teologi ma anche gli scienziati, E sia gli uni che gli altri potevano imparare qualcosa dall'errore commesso. Purtroppo, mentre la Chiesa, seppure con grande ritardo, ha riconosciuto le proprie responsabilita' e corretto, per quanto possibile, il proprio atteggiamento, la scienza, almeno finora, non è stata in grado di fare altrettanto

TOLLERANZA RELIGIOSA E INTOLLERANZA SCIENTIFICA

Dalla vicenda di Galilei la Chiesa ha tratto un grande insegnamento: che non è né giusto né saggio tentare di chiudere la bocca agli scienziati quando dicono cose contrarie alle convinzioni religiose. Si rischia di negare l'evidenza e di compromettere la credibilità degli stessi fondamenti della religione. Meglio tollerare e lasciare alla scienza e agli scienziati la libertà più completa, e anche la responsabilità delle loro affermazioni. Quando giungono a conclusioni incompatibili con la fede o con la morale è inutile contestare la validità scientifica di quello che fanno e dire, come si azzardarono a fare i giudici di Galileo, che l'eliocentrismo è eretico sia scientificamente che logicamente. Se una teoria è scientificamente giusta o sbagliata può dirlo solo la scienza, la quale pure, nel farlo, trova talora notevole difficoltà e impiega molto tempo. Ma, come sosteneva sant'Agostino, i teologi hanno in definitiva tutto il diritto di rifiutare, per ragioni teologiche e morali, anche una teoria che la scienza ritiene ufficialmente vera.

Perciò, di fronte a un problema spinoso la strategia migliore per ogni movimento confessionale è quella di prendere tempo e pronunciarsi ufficialmente solo quando le cose sono abbastanza chiare. A questo punto si integra, per quanto possibile (e soprattutto se è possibile), la nuova teoria con il corpo delle convinzioni religiose altrimenti si ammette molto francarnante che la cosa, per quanto plausibile e accertata possa essere sul piano scientifico, urta contro principi e valori fondamentali, e dunque deve essere rifiutata per ragioni morali. Il problema del contrasto tra religione e scienza non viene risolto perché, come tutti i grandi problemi, non ammette soluzione, ma almeno viene evitato il conflitto frontale. Il vantaggio maggiore di questo cauto atteggiamento è, paradossalmeiìte, proprio quello di non risolvere ma anzi di riproporre continuamente il problema, tenendo però aperto il dialogo e il confronto dialettico. Pur non potendo più aspirare a ricostituire l'antica identità la scienza e la religione hanno bisogno l'una dell'altra. Il loro continuo confronto è infatti uno dei meccanismi fondamentali di crescita della cultura umana. Dal caso Galilei la Chiesa ha insomma imparato a rispettare i diritti della scienza e a controntarsi con essa francamente, da pari a pari, senza più ricorrere alla violenza, di qualsiasi tipo essa sia.

Anche la scienza avrebbe dovuto, dallo stesso caso, imparare qualcosa di analogo. Non tanto a rispettare la religione, che ha abbastanza forza per far valere i propri diritti, quanto a rispettare le opinioni scientifiche minoritarie o emergenti e rivoluzionarie come era quella di Galilei agli inizi del Seicento. Per essere più chiari la comunità scientifica doveva capire a) che arroccarsi a difesa del senso comune era stata un'iniziativa del tutto inopportuna e controproducente; b) che ogni teoria scientifica corre il rischio di trasformarsi (anzi quasi sicuramente si trasformerà) in una forma evoluta di senso comune o di opinione pregiudiziale; c) che, come ha fatto la Chiesa, bisognava mettere a punto una strategia che evitasse il ripetersi in futuro dello stesso incidente. E proprio per non aver capito questo che la scienza si ritrova oggi a dover affrontare e risolvere, al suo interno, il problema dell'eresia, che per lungo tempo ha considerato come un problema esterno che la vedeva sempre come vittima e mai come diretta responsabile di un'ingiustificabile emarginazione. L'ortodossia scientifica è chiamata oggi a dimostrare quella stessa apertura al dialogo che ha consentito alla Chiesa di evitare un secondo clamoroso incidente nel caso dì Darwin.










04/03/2006 14:58
 
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Yoghurt
Sembrerà strano ma il compito dichiarato della fisica non è quello di scoprire la realtà, ma solamente quella di sfruttarla tecnologicamente e da questo punto di vista la matematica è l'ausilio perfetto...ma qui siamo nel campo della quantificazione.
Invece non è adatta per qualificare la natura dei fenomeni...la matematica non permette di creare nessun "modello" pratico ,visivo e concreto che sia d'ausilio alla mente umana per comprendere i fatti.

Se chiedi a un fisico di spiegarti a parole una formula lo metterai in crisi...e difatti la maggior parte di loro accetta di buon grado la teoria della Relatività per il semplice motivo che non l'hanno mai assolutamente compresa...esattamente come i paradossi della fisica quantistica che esulano dal buon senso comune e che viene accettata con approvazione generale delle stesse inconsapevoli vittime...i poveri studenti universitari che sono costretti ad impararla...
"Ciascuno deve salvare non solamente la propria anima ma anche tutte le anime che Dio ha posto sul suo cammino.

Suor Lucia Dos Santos



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04/03/2006 16:27
 
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Insisti??allora te lo ripeto.

Senti Livia. Io non so quale cazzo di scuola tu abbia mai frequentato. Ma io non ho mai letto da nessuna parte di un Galileo nemico della chiesa.

Ne tanto meno che sia stato arso vivo!!! :D :D

[Modificato da Tetsuya1 04/03/2006 16.28]



Quanto a te, cialtrone:"..la matematica non permette di creare nessun "modello" pratico ,visivo e concreto che sia d'ausilio alla mente umana per comprendere i fatti. """

Te lo ripeto. Se non capisci la matematica, non insistere. Avrai magari altre qualità. Xrò veramente, evita di scrive queste stronzate. Xchè lo scopo della matematica...è proprio quello di creare modelli (matematici) della realtà!!!!!!!!!!

P.S. senza scomodare il grande Einstein (che come tutti i talebani tuoi pari odi xchè non lo capisci) ti propongo un giochino:

DESCRIVI (A PAROLE) IL CONCETTO DI DISTANZA TRA DUE PUNTI.

[Modificato da Tetsuya1 04/03/2006 16.30]

[Modificato da Tetsuya1 04/03/2006 16.33]

04/03/2006 16:32
 
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Il problema é che lui era CATTOLICO cosa che hai negato nel post precedente...
04/03/2006 16:33
 
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Quale relatá parli tet?Quella che vedi?
04/03/2006 16:38
 
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QUESTO è estratto del mio precedente post: "..Egli infatti fù, è verissimo ed è anche scritto su tutti i libri di Storia, un profondo credente (credente in DIO, non certo nel clero). ..

Questo è quello che ora posta Livia a proposito dell'argomennto Galilei-inquisizione:Il problema é che lui era CATTOLICO cosa che hai negato nel post precedente..."


La domanda è: ma sono io che non mi so spiegare o tu hai varamente problemi mentali?

Livia:"Quale relatá parli tet?Quella che vedi? "

No. Quella della Bibbia. :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D

[Modificato da Tetsuya1 04/03/2006 16.39]

04/03/2006 16:42
 
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Poi il vero problema che vorrei si capisse non é che era o no cattolico...ma la negazione delle veritá...le propagande fatte contro veritá storiche...cose occultate per programmare le ment in certe direzioni e pregiudizi...questo é il problema e purtroppo é un problema che non riguarda solo in cattolicesimo o Galileo...
04/03/2006 16:48
 
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... la matematica è un opinione.
Con questi mezzi la puoi rivoltare come vuoi, basta dare una dimostrazione matematica et voilà i giochi sono fatti...chi può negarlo?..

La migliore manipolazione mentale è mettere al posto della realtà una formula(finta) che la descrive...poi se solo pochi la capiscono, ancora meglio...deve essere per forza vera!!

CON LA MATEMATICA SI PUO' DIMOSTRARE TUTTO E IL CONTRARIO DI TUTTO...non male come tecnica dimostrativa!!

LA RELATIVITA' EINSTEINIANA DIPENDE ESCLUSIVAMENTE DA UNA SEMPLICE FORMULA INVENTATA APPOSTA PER FAR QUADRARE I CONTI che all'inizio del novecento non tornavano...

LA RELATIVITA' DI EINSTEIN NON E' LA REALTA, E' SOLO UN ESCAMOTAGE SCIENTIFICO.

La vicenda del "vento d'etere" venne accantonata sbrigativamente dal fazioso esperimento di Michelson e Morley e un modo di fare così sospetto, poteva dare solo ad intendere che l'argomento scottava.

...da allora, una volta scoperto che con l'ausilio spinto della matematica si possono nascondere molte cose, questa è diventata il totale modo di concepire la fisica...Todeschini era un ingegnere, oggi nell'Olimpo della fisica costoro non sono ammessi...solo i puri matematici possono(poveretti) ed è così da Einstein in poi...

LA MATEMATICA E' E RESTA SOLO UNA FILOSOFIA DAGLI ASPETTI CONTROVERSI E MOLTE DELLE PROPOSIZIONI IN ESSE CONTENUTE ESULANO TOTALMENTE DALLA REALTA' DEI FENOMENI UMANI..SENZA VOLER PARLARE DELLA LOGICA...POVERI NOI!

TRANNE CIANCIARE A VUOTO NON SEI MINIMAMENTE IN GRADO DI DIMOSTRARE UN BEL NULLA A PAROLE, PERCHE' EVIDENTEMENTE SEI TALMENTE IPNOTIZZATO CHE HAI PERSO IL CONTATTO CON LA REALTA'...BRAVO, PENSA ALLE RETTE, CHE LA COMPRENSIONE DELLA RELATIVITA' PER TE' E' ANCORA LONTANA...!!!
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04/03/2006 17:13
 
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Tetsuya
Sai il problema é che invece di tirare fuori discorsi logici,documenti,...tu hai sempre in bocca la bibbia come unica difesa...e dire che dovrebbe essere la mia difesa...non é che sei un prete mancato?
04/03/2006 17:21
 
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Tetsuya
"credente in DIO, non certo nel clero). .. "
Questa é la tua frase...hai ragione ho sbagliato...invece di scrivere CLERO ho scritto cattolico...ah,ah,ah,

Senti Tet...smettiamola con queste stupide discussionei e parli seriamante secondo le tue conoscenze con relative prove di esposizione intelligente e se puoi di documentazione....
Qui nessuno ti critica perché non credi nella chiesa,purtroppo alle tue critiche corrispondono difese.
Purtroppo devo dire che se fosse per te la razionalitá non esisterebbe perché dare tutte le colpe di tutti i tipi solo alla chiesa e non anche a circostanze al di fuori di essa...vuole dire non essere ASSOLUTAMENTE critici ed obbiettivi.
04/03/2006 18:26
 
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DINOSAURI IMPOSSIBILI
Dinosauri Impossibili
www.thunderbolts.info/tpod/2005/arch05/050623impossible-dinosau...
Traduzione a cura di Stefano Pravato



Tratto da un programma prodotto da Office KEI e trasmesso alla televisione in Giappone il 22 Febbraio 2004

I dinosauri giganti sono affascinanti. Come hanno fatto a svilupparsi così tanto?
Come mai sono tutti morti?
La loro mole rivaleggiava con quella delle attuali balene, che non possono sopravvivere senza il sostentamento dell'acqua.

Fu per questo che i primi paleontologi ipotizzarono che i dinosauri più grandi passassero la maggior parte delle loro vite a bagno negli acquitrini dell'era Mesozoica.

In un secondo momento furono scoperte delle orme. Non qualche orma, ma migliaia di orme. In qualche maniera, anche i dinosauri più grandi andavano in giro sulla terra, senza nemmeno trascinarsi dietro la loro enorme coda.

Pertanto il vagare in acque basse fu rimpiazzato da vagare nei pascoli e la ragione originale dell'acqua – cioè che un dinosauro sulla terra sarebbe diventato una balena arenata – fu dimenticata.

Ted Holden recentemente ha esaminato il rapporto tra dimensione, peso e forza degli animali e ha riproposto la questione. (La sua analisi è stata la base per un documentario teletrasmesso in Giappone nel febbraio 2004, vedi foto sopra.)

La resistenza di un tessuto muscolare è abbastanza costante tra le varie specie animali. La resistenza è proporzionale alla sezione trasversale del muscolo: se un primo muscolo ha un diametro che è il doppio di un secondo muscolo, il primo muscolo avrà quattro volte (due al quadrato) la resistenza del secondo. Il peso invece cresce con il volume e pertanto il primo muscolo peserà otto volte tanto (due al cubo).

Holden ha calcolato il rapporto peso/potenza di un sollevatore di pesi, uomo, ben allenato e lo ha ingrandito fino alle dimensioni di un dinosauro.

Ancor prima di raggiungere la dimensione massima, il sollevatore non sarebbe stato in grado di sollevare nemmeno il suo stesso peso. La potenza, in relazione al peso, impone un limite alle dimensioni massime. I calcoli di Holden indicano che tale limite è avvicinato dagli attuali elefanti più pesanti.

I dinosauri più grandi avevano una dimensione che era svariate volte quella di un elefante.
Inoltre gli scheletri dei dinosauri non sono nemmeno strutturati così bene per sopportare il peso come invece gli scheletri degli elefanti.
I dinosauri hanno una grandezza incompatibile per il pianeta Terra, eppure le loro ossa dimostrano che sono esistiti. Come può essere?

Il limite sulla dimensione dipende dal peso, e il peso dipende dalla forza di gravità. La maggior parte delle teorie convenzionali ritengono che la gravità nell'universo sia sempre stata e sarà sempre una proprietà costante della materia. Ma si tratta solo di una supposizione e deve essere verificata empiricamente.

La teoria dell'Universo Elettrico offre un diverso punto di vista. La gravità non è una costante.
Si tratta di una variabile che dipende dal circostante plasma ambientale.

La Terra dell'era Mesozoica può avere avuto una gravità minore di quella odierna.

Holden ha calcolato che la gravità necessaria alla vita dei più grandi dinosauri debba essere stata almeno 1/3 (e forse fino a 1/4) del valore attuale. Ha inoltre teorizzato che la gravità sia improvvisamente aumentata verso la fine dell'età dei dinosauri anche se non fino al valore attuale. Un valore di gravità inferiore al presente è persistito nelle epoche successive popolate di mammiferi giganti e forse fino ai giorni in cui i primi umani costruirono monumenti enormi quali Stonehenge
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04/03/2006 19:19
 
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Ghergon
Direi la relativitá in tutti i campi......eh,eh,
05/03/2006 17:16
 
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Vaticandeath
Monsignor mistero. La vera storia delle morti in Vaticano

Di Andrea Cinquegrani - "La Voce della Campania" - pubblicato su Nuovi Mondi Media

Vaticano in fibrillazione. Santa Sede sotto i riflettori. Torna alla ribalta la misteriosa - e mai chiarita - morte di papa Luciani dopo appena 33 giorni di pontificato. Ne parla Giovanni Minoli nella nuova serie di Mixer. Riaffiorano dubbi, incongruenze, versioni contrastanti, una verità ufficiale poco, pochissimo credibile. Un'autopsia mai fatta, rapide perizie nel segreto delle stanze vaticane, un cuore normale che improvvisamente cede; l'incredibile storia delle gocce di cardiotonico ingurgitate in eccesso dal papa, l'altra - invece - a base di una digitalina che non lascia traccia. Morto in piedi, oppure a letto? Mentre leggeva sacre scritture o abbozzava il nuovo organigramma dei vertici pontifici? Oppure cominciava a mettere nero su bianco le nuove regole da impartire a uno Ior recalcitrante davanti a ogni ipotesi di trasparenza, col 'nemico' Marcinkus sempre alacremente all'opera? E poi il sogno di una suora, ricordato in uno scritto da monsignor Balthazar: due ombre si introducono furtive nella camera da letto di Luciani e nel suo bicchiere fanno scorrere il liquido di una misteriosa pozione. Dall'Inghilterra, intanto, lo scrittore-giornalista David Yallop - autore per Tullio Pironti di una celebre ricostruzione di quella 'morte' - continua con pervicacia a sostenere la sua tesi: il papa venne 'suicidato'.

Così come venne 'suicidato', sotto il ponte dei frati neri lungo il Tamigi a Londra, il patròn del Banco Ambrosiano, Roberto Calvi. L'inchiesta è riaperta, la famiglia dopo tanti anni vuole finalmente giustizia.
"Il rituale dell'esecuzione - scrive l'avvocato investigativo californiano Jonathan Levy nel volume Tutto quello che sai è falso edito in Italia da Nuovi Mondi Media - è tipicamente massonico, con delle grosse pietre nelle tasche". E la matrice? Levy punta dritto in una direzione: quella dei poteri forti della Chiesa, rappresentati secondo lui dall'Opus Dei, che - scrive - "ha desiderato ardentemente la Banca Vaticana e i cui quartieri generali si trovano casualmente a Londra".
La spiegazione, ricavata dalle conversazioni con un grosso banchiere internazionale, viene così sintetizzata: "Mi spiegò che la banca di Calvi era sull'orlo del collasso a causa della sparizione di centinaia di milioni di dollari passati attraverso i flussi finanziari dello Ior che erano collegati al riciclaggio di danaro della mafia. Preso dalla disperazione Calvi si trasferì a Londra per ottenere un pacchetto finanziario di salvataggio proveniente da un rappresentante anziano dell'Opus Dei". L'operazione però, secondo la ricostruzione di Levy, non andò in porto e il corpo di Calvi fu trovato 'appeso' sotto il ponte dei Blackfriars.
L'altra pista porta direttamente alla mafia, che si sarebbe vendicata dell'affronto subito da Calvi, il quale non avrebbe restituito un'ingente somma di danaro da 'ripulire' (utilizzato invece per riossigenere le casse dell'Ambrosiano). Sul fronte dell'esecuzione, comunque, fa ancora capolino la pista di camorra: "nei giorni in cui Roberto Calvi era a Londra - ricordano a Scotland Yard - vennero segnalate diverse presenze interessanti: quella di Flavio Carboni e di alcuni camorristi, fra cui Vincenzo Casillo". Luogotenente di Raffaele Cutolo, soprannominato 'o nirone, in contatto con i servizi deviati e in particolare col faccendiere Francesco Pazienza, Casillo due anni dopo saltò per aria a Roma in un'auto imbottita di tritolo.

A fine settembre scorso, poi, due botti. A Londra la polizia decide di riaprire le indagini su quella morte, a Roma l'inchiesta portata avanti dai pm Luca Tescaroli (che ha già indagato sulla strage di Capaci) e Maria Monteleone (casi Mitrokin e "spectre" all'italiana) si arricchisce di una verbalizzazione esplosiva: un pentito di mafia, Vincenzo Calcara, per l'omicidio Calvi tira in ballo Giulio Andreotti, elementi deviati dello Stato e dei Servizi, massoneria e ambienti vaticani.
E sotto il Cupolone ci porta anche un'altra esistenza - e un'altra fine - avvolta nel mistero: quella di Giorgio Rubolino, morto in piena calura ferragostana, immediata la diagnosi d'infarto che non perdona, niente autopsia, funerali in pompa magna in Vaticano, poi il silenzio. Fino alla decisione dei magistrati romani, dopo neanche un mese, di vederci più chiaro, chiedendo la riesumazione del cadavere per poter effettuare una normale autopsia. Ma chi era Rubolino?


UNA VITA VORTICOSA
Il suo nome balza alle cronache nazionali per l'omicidio di Giancarlo Siani, il giornalista ucciso il 23 settembre 1985 (vedi riquadro). Due anni dopo il procuratore generale del tribunale di Napoli, Aldo Vessia, avoca a sé l'inchiesta bollente, fino a quel momento capace solo di racimolare una serie di flop.
Vessia vola negli Usa, e interroga Josephine Castelli, un'avvenente bionda al centro di strani giri. Dopo un paio di mesi scattano le manette per il capoclan di Forcella Ciro Giuliano, per un 'gregario', Giuseppe Calcavecchia, e per un insospettabile, il ventiseienne Giorgio Rubolino, intimo di Josephine, una stirpe di magistrati nel pedigree (il padre è stato pretore a Torre Annunziata), già inserito negli ambienti che contano (fra le alte prelature soprattutto) e nella Napoli bene.
Per lui inizia il calvario, quattordici mesi nel carcere di Carinola, fino a quando una delle tante toghe che si sono alternate al capezzale di un'inchiesta che non riesce a decifrare colpevoli (esecutori e, soprattutto, mandanti), Guglielmo Palmeri - sorrentino d'origine e in ottimi rapporti con la famiglia Rubolino - lo rimette in libertà (due mesi prima erano stati rilasciati anche Giuliano e Calcavecchia). Cade il teorema Vessia, non regge l'ipotesi di un omicidio eseguito dai Giuliano su ordine dei Gionta di Torre Annunziata. E, soprattutto, sparisce la pista di via Palizzi. La pista che portava alla casa d'appuntamenti, frequentata da giovanissime squillo (tra cui Josephine e la sorella Pandora), e da vip della Napoli che conta: in primis, magistrati e politici.
Fra le toghe, spicca il nome di Arcibaldo Miller, per anni pm di punta alla procura di Napoli (sua la maxi istruttoria per il dopo terremoto finita in prescrizione per tutti) e oggi 007 di punta del guardasigilli Castelli. Lo stesso Miller - viene precisato in un documento al vetriolo elaborato dalla camera degli avvocati penali di Napoli nel 1998 - ha subìto un procedimento per "trasferimento d'ufficio" a causa di una serie di fatti, fra cui "l'aver frequentato una casa di appuntamenti gestita da pregiudicati affiliati alla camorra negli anni 1984-1985 in via Palizzi". Lo stesso Miller seguirà il caso Siani: collaborerà proprio con Palmeri per cercare di sbrogliare quel pasticciaccio brutto. Sempre più brutto. E, soprattutto, sempre senza colpevoli.


DA ROMA A LONDRA
Torniamo a Rubolino. Riacquistata la libertà, non riesce però a ritrovare ancora la serenità. Vessia, infatti, ricorre contro la scarcerazione dei tre. Trascorre un anno e, a dicembre 1989, la Cassazione respinge il ricorso, confermando l'impostazione assolutoria di Palmeri. Il quale, però, non riesce ancora a dare un volto, e tanto meno un nome, ai colpevoli. Né agli esecutori, figurarsi ai mandanti.
Ma come era saltato fuori il nome di Rubolino per il caso Siani? Non solo dal filone di via Palazzi, ma anche in seguito alle primissime indagini sulle cooperative di ex detenuti che, proprio a partire dal 1985, a Napoli stavano aggregandosi e iniziando a bussare con forza ai portoni di palazzo San Giacomo.
Il Comune - allora retto dal socialista Carlo D'Amato - nell'autunno '85 diede disco verde per l'ingresso fra i ranghi di ben 700 detenuti raggruppati in sei liste ("La carica dei settecento", titolò la Voce in una cover story del dicembre 1985): nei mesi seguenti un putiferio, una fortissima polemica a sinistra, con una Lega delle cooperative alla deriva. "E' in quel contesto che veniva fuori anche il nome di Rubolino - ricordano a palazzo di giustizia - una storia intricata, tra minacce, camorra, affari e promesse. Insomma, una vera giungla". Rubolino, riuscì a cavarsela. "Ma non la smetteva di ficcarsi sempre in storie pericolose, sbagliate, comunque tra soldi, salotti e personaggi poco raccomandabili".
Esce con la ossa rotte e il morale a terra, Rubolino, da queste vicende. Si trasferisce a Roma. "Ha cercato di buttarsi tutto alle spalle e ricominciare da capo. Ce l'ha messa tutta. Ha fatto anche un sacco di opere di bene, volontariato, assistenza", racconta un amico. "Non c'è riuscito a rompere col passato - aggiunge un operatore finanziario capitolino - aveva perso il pelo ma non il vizio, continuava a frequentare ambienti dai miliardi facili e spesso inesistenti". Due versioni contrastanti.
Un perverso destino, comunque, sembra perseguitarlo. Nel 1999 ri-finisce nelle galere, questa volta londinesi, per una presunta truffa da 100 milioni di sterline ai danni di una vera e propria istituzione britannica, la Cattedrale di San Paolo. Il classico 'pacco' organizzato secondo il miglior copione di Totò formato fontana di Trevi: siamo venuti qui (i Magi sono cinque, due italiani, un finlandese, un canadese e un americano) per donarvi la bellezza di 50 milioni di sterline. Unica piccola, microscopica condizione, quella che voi depositiate per dieci giorni, appena dieci giorni, il doppio, ovvero 100 milioni, su un conto svizzero. Nessuno li toccherà quei soldi, assicurano.
La truffa non riesce, i cinque finiscono in gattabuia, lui, Rubolino, viene messo in libertà e prosciolto da ogni accusa. Anche la procura di Napoli, che si era accodata con un suo filone investigativo, lo scagiona. E lui avvia un procedimento per ottenere un indennizzo per quella ingiusta detenzione. "Ne aveva raccolti, comunque, di soldi per le denunce fatte contro alcuni giornalisti che lo avevano accusato per Siani - ricorda un amico - soldi che donò in beneficenza".

STANLEY & PROMAN
Un anno fa la svolta sembra dietro l'angolo. Decide di cominciare a far sul serio l'avvocato e, quindi, di iscriversi al consiglio dell'ordine di Roma. Raccoglie la documentazione, presenta la domanda, altra delusione: c'è ancora una pendenza con la giustizia, per via di un procedimento non ancora chiuso, millantato credito. "Non è cosa - raccontano ancora nel suo entourage - non è cosa, ha pensato. Ed è ripiombato nei suoi problemi, nella sua tristezza di prima, quando subiva accuse e attacchi". La voglia di business, comunque, non lo abbandona: per lui è una seconda pelle, una droga, non può farne a meno.
Ed eccolo entrare nei santuari della finanza, acquisire partecipazioni azionarie, frequentare il mercato ristretto e la City.
Un bel giorno, diventa il padrone di una misteriosa sigla, Proman. A quel punto, le voci cominciano a rimbalzare. Perché lui risulta "intestatario fiduciario". Di chi, di cosa?
Ma vediamo cosa è Proman. A quanto pare si tratta di una società a responsabilità limitata. Nel suo portafoglio spicca una partecipazione di lusso, il 25 per cento delle azioni Stayer, una grossa sigla nel settore elettrico, avamposti a Ferrara e Rovigo, interessi in mezzo mondo. Un'altra consistente fetta di Stayer - pari al 29 per cento del pacchetto azionario - fa capo a Efi, ovvero European Financial Investments, a sua volta controllata da un'altra sigla, Danter.
Efi, dal canto suo, naviga in acque agitate, trovandosi in amministrazione controllata, per i problemi finanziari che stanno passando i fratelli Bergamaschi, suoi soci di riferimento, e un pignoramento azionario effettuato da un creditore, la Euroforex. E' per questo motivo che l'assemblea straordinaria di Stayer convocata lo scorso 27 agosto per deliberare l'aumento di capitale a 10 milioni di euro, è saltata. Ma non solo per questo. Ecco cosa scrive, proprio quel giorno, un dispaccio dell'agenzia Reuter: "Il 26 agosto scorso Stayer ha ricevuto una comunicazione dall'intermediario presso cui sono depositati i titoli che informava del decesso di Rubolino e affermava che i diritti sulla partecipazione spettano ai suoi eredi.
Stayer - viene aggiunto nel comunicato - non sa se e come Proman intende resistere contro questa posizione dell'intermediario".
Resta il mistero Proman. Nei cervelloni Cerved, collegati con tutte le camere di commercio italiane, non v'è traccia di Proman spa. Né si segnala alcuna Proman nel cui carniere figuri una qualsiasi partecipazione azionaria di Stayer. Un bel rebus. Val la pena, comunque, di scorrere la lista dei soci targati Stayer. A parte due medi azionisti (Gianfranco Fagnani e Roberto Scabbia), fanno capolino quattro sigle. A parte un'italiana (BSPEG SGR spa, una società di gestione del risparmio privato, con 140 mila azioni), le altre tre sono estere. Le quote minori fanno capo a Electra Investiment Trust Plc (26 mila azioni) e a Power Tools International (30 mila azioni). A far la parte del leone c'è Ipef Parters Limited (664 mila azioni), sigla londinese.
Osserva un operatore finanziario milanese: "Potrebbe esserci la presenza di Ipef nell'azionariato di Proman. Il mistero comunque è fitto". E resta un mistero, per ora, la destinazione finale delle azioni Proman: rimarranno nelle mani delle due sorelle di Rubolino, o che fine faranno? E cosa c'è dietro il reticolo di sigle, incroci azionari, spesso e volentieri giocati oltremanica? Un gioco forse pericoloso?
Il 28 luglio scorso, poi, l'infarto. Una vita stroncata a 42 anni, dopo un'inutile corsa all'Aurelia Hospital, "dove però è giunto privo di vita", commenta in un dettagliato reportage il Mattino. L'autopsia - scrive il solerte cronista, Dario Del Porto - "ha chiarito immediatamente la natura del malore". E a scanso di equivoci aggiunge: "Del caso pertanto non è stata neppure interessata la procura di Roma". E ancora, ad abundantiam: "sulle ultime ore dell'uomo non sembrano esserci misteri. Rubolino è stato colpito da un arresto cardiocircolatorio manifestatosi durante la notte nell'abitazione della capitale dove si era trasferito ormai da anni".
Altri commenti nel racconto della cerimonia funebre - che si è svolta nella chiesa di Sant'Anna dei Palafrenieri, l'unica parrocchia dello Stato Vaticano - per la penna di un vaticanista doc, Alceste Santini. "Si può, quindi, dire che Giorgio Rubolino ha avuto il privilegio di avere avuto la celebrazione delle esequie, non solo in una chiesa ambita da molti nei momenti di gioia o di dolore come nel suo caso, ma in un luogo, qual è lo Stato Città del Vaticano, in cui la penitenza si intreccia con il perdono come sofferente superamento dei peccati e degli atti illeciti commessi nella vita".
Equilibrismi logici e sintattici a parte, Santini riesce comunque a porsi qualche interrogativo. Per celebrare in Sant'Anna ci vuole la chiave giusta: "occorre una particolare autorizzazione - scrive Santini - ciò rivela che chi ne ha fatto richiesta aveva ed ha entrature nel mondo vaticano. I parenti? Gli amici? Non è dato saperlo". Avvolti nel dubbio amletico, riusciamo però a sapere che fra le personalità presenti alla cerimonia c'erano "i parenti e gli amici di Giorgio, fra cui il senatore a vita Emilio Colombo e altri esponenti della borghesia napoletana".
A officiare la messa funebre il cappellano delle guardie svizzere, Alois Jehle.

CASO SIANI A SENSO UNICO
Caso Siani. Chiuso per sentenza. La Cassazione ha ormai inchiodato i colpevoli dei clan torresi che - secondo la ricostruzione del pm Armando D'Alterio - decisero ed eseguirono quell'omicidio. Una volta tanto, la parola fine. Tutto chiaro, allora? Molti dubbi restano in piedi. Vediamo quali.
Il movente. Debole. Debolissimo. Un articolo scritto mesi prima. "Per punire lo sgarro", hanno spiegato gli inquirenti. "In quell'articolo Siani faceva capire che i Nuvoletta avrebbero tradito i Gionta. Per mettere le cose a posto e recuperare l'onore, la cosa andava lavata col sangue". Credibile? Possibile che una camorra allora più che mai rampante avesse deciso di tirarsi addosso riflettori, inquirenti, forze dell'ordine?
Un articolo non (ancora) scritto è molto più pericoloso di uno già scritto. Non ci vuole la maga per intuirlo, solo un minino di fiuto e buon senso. Quello che non sembra aver smarrito Amato Lamberti, presidente della Provincia di Napoli e a quel tempo (siamo nel 1985) responsabile dell'Osservatorio sulla camorra, avamposto, in quegli anni, per scrutare, capire e radiografare i movimenti, le mutazioni e le infiltrazioni della Camorra spa. Lamberti fu l'ultima persona a sentire Giancarlo, avevano appuntamento per la mattina dopo, ma "lontani dal Mattino", come raccomandava Giancarlo. Un appuntamento andato a vuoto, perché la sera prima l'abusivo e ormai prossimo praticante giornalista veniva freddato a bordo della sua Mehari in piazza San Leonardo al Vomero, a un passo da casa. "Non era particolarmente preoccupato - ricorda Lamberti - però doveva dirmi una cosa che gli premeva. Ed era urgente. Stava lavorando ad un'inchiesta per la rivista dell'Osservatorio sugli intrecci politica-affari-camorra nell'area torrese. Uno dei grossi affari, allora, era rappresentato da un'area, il quadrilatero delle carceri. E lui stava mettendo il naso in quei rapporti, sia sui referenti locali, che su quelli più in su, di imprese e camorristi".
A corroborare la tesi di Lamberti, un docente universitario, Alfonso Di Maio, padre di uno dei pm più in vista, oggi, alla procura di Salerno. La Voce lo intervistò dieci anni fa. "Avevo incontrato diverse volte Giancarlo in quegli ultimi mesi - affermava Di Maio - stava lavorando, mi raccontava, a una grossa inchiesta sugli appalti nell'area stabiese. In particolare, voleva capire se dietro al paravento di un'impresa ci fosse lo zampino di qualche politico eccellente e operazioni di riciclaggio della camorra". Il nome dell'impresa era Imec (del gruppo Apreda, poi acquirente addirittura della Buontempo Costruzioni Generali), quello del politico Francesco Patriarca, ras gavianeo della zona, ex sottosegretario alla marina mercantile. Di Maio cercò di raccontare quei fatti alla magistratura. Senza riuscirci. "Mi presentai in procura. Parlai col dottor Arcibaldo Miller. Mi disse che ne avrebbe riferito al dottor Guglielmo Palmeri che seguiva di persona l'indagine. Sono andato due volte in procura, dietro appuntamento, ma non sono stato mai ricevuto. Allora non mi fu data la possibilità di verbalizzare quel che sapevo sulle ultime settimane di Siani". Parole dure come pietre. Mentre decine e decine di testi hanno fatto passerella davanti alla mezza dozzina e passa di toghe che si sono alternate al capezzale di un processo quasi impossibile.
Del resto, é lo stesso fratello del cronista, Paolo, pediatra, a rivelare qualche ombra nell'inchiesta, un 'buco nero' rimane ancora oggi lì a lasciare spazio ai dubbi. "Giancarlo lascia la redazione di Castellammare - ricorda - va in cronaca di Napoli, scrive sempre meno di Torre ma si interessa sempre più della ricostruzione post terremoto e dei rapporti camorra-appalti. Stava preparando un libro e i materiali, dopo la sua morte, sono spariti". Una ricostruzione che lega perfettamente con quelle di Lamberti e Di Maio.
Altri, però, ancora oggi in procura storcono il naso. "C'era un'altra pista, battuta soltanto in fase iniziale. E solo parzialmente. E' la pista di via Palizzi, la casa di appuntamenti, i suoi segreti forse inconfessabili. Tanti anni fa ne parlò esplicitamente Corrado Augias nel suo Telefono GialloŠ poi il silenzio più totale".
Chissà se il regista Marco Risi, arrivato un paio di volte a settembre a Napoli per completare il copione del film su Giancarlo (ispirato in parte a "L'abusivo", il libro di Antonio Franchini, sceneggiatura dell'esperto di misteri Andrea Purgatori, ex Corsera), riuscirà a vedere oltre i muri di gomma che ancora circondano quella tragica morte. "Emerge - dice Risi alla Voce - un delitto tuttora carico di misteri e interrogativi rimasti senza risposta, nonostante i processi e le sentenze. Questa sarà la chiave del mio film su Giancarlo".

GUARDIE E KILLER
Primavera vaticana '98. Tre morti avvolte nel mistero. Sono le nove di sera e una suora - sulla cui identità verrà sempre mantenuto il più stretto riserbo - entra nell'alloggio di servizio del neo comandante delle Guardie Svizzere, Alois Estermann. Davanti ai suoi occhi una scena raccapricciante: tre corpi, in un mare di sangue, massacrati da revolverate. Quello di Estermann, di sua moglie Gladys Meza Romero e del vice caporale Cedric Tornay.
Ecco come ricostruisce i primi momenti dopo la scoperta Sandro Provvisionato, scrittore e giornalista, nel suo sito Misteri d'Italia. "Tra i primi ad arrivare sul luogo sono il portavoce del papa, Joaquin Navarro Valls, laico di origine spagnola, membro numerario dell'Opus Dei; monsignor Giovanni Battista Re, sostituto delle segreteria vaticana; e monsignor Pedro Lopez Quintana, assessore per gli Affari generali della Segreteria di Stato vaticana. La scena del delitto non viene sigillata, anzi già alla 21 e 30 sono decine le persone che si aggirano tra i cadaveri. Elementi di prova importanti vengono rimossi o spostati.
A differenza di altri episodi avvenuti all'interno del perimetro vaticano, come l'attentato al Papa, nessuna richiesta di collaborazione viene inoltrata alle autorità italiane. Delle indagini si occupa il Corpo di Vigilanza Vaticana. Prima ancora dell'arrivo del magistrato, il Giudice Unico Gianluigi Marrone che arriva sul posto un'ora dopo, mani ignote hanno già provveduto a perquisire non solo l'ufficio, ma anche l'appartamento di Estermann e l'alloggio di Tornay. Quando i corpi verranno rimossi, non sarà adottata alcuna precauzione utile alle indagini. Anche l'autopsia sui tre cadaveri si svolgerà all'interno delle mura vaticane".
Detto fatto, non passano nemmeno tre ore - siamo a mezzanotte - e l'infaticabile Navarro Valls può sentenziare: "I dati finora emersi permettono di ipotizzare un raptus di follia del vice-caporale Tornay. E' tutto molto chiaro, non c'è spazio per altre ipotesi". Caso dunque chiuso in 180 minuti, per Valls. Uno 007 perfetto, capace anche di estrarre dal magico cilindro la prova delle prove: una lettera, nientemeno che una lettera d'addio, affidata qualche ora prima (le 19 e 30, precisa Navarro) a un commilitone dal folle vice-caporale con una lacrima e queste parole: "Se mi succede qualcosa, consegnala ai miei genitori".
Spiega il portavoce-detective nella rapidissima conferenza stampa, che risolve a tempi di Guinness una matassa altrimenti destinata a intrecciarsi negli anni: la missiva - precisa - è stata consegnata al Giudice Marrone, il quale la darà ai parenti di Tornay in arrivo a Roma. "Spetterà ai familiari del vice caporale - aggiunge Valls - decidere se rendere noto il contenuto della lettera oppure no". Commenta Provvisionato: "Nella fretta l'astuto portavoce della Santa Sede non si rende conto di aver commesso un errore macroscopico. Come si può conciliare un raptus di follia con una lettera scritta almeno un'ora e mezza prima dello stesso raptus? Spesso la fretta è cattiva consigliera".
Intanto circola già qualche indiscrezione sull'imminente uscita del nuovo libro-choc di Ferdinando Imposimato (autore, con Provvisionato, del volume d'inchiesta sullo scandalo Tav). Al centro, rivelazioni sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, figlia di una guardia vaticana. Che secondo l'ex magistrato, sarebbe ancora viva.

Fonte: "La Voce della Campania", ottobre 2003
claudio
05/03/2006 19:01
 
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Ghergon scrive:"... la matematica è un opinione.
Con questi mezzi la puoi rivoltare come vuoi, basta dare una dimostrazione matematica et voilà i giochi sono fatti...chi può negarlo?.. "

Tetsuya: :D :D :D :D :D :D :D

Ghergon scrive:"La migliore manipolazione mentale è mettere al posto della realtà una formula(finta) che la descrive...poi se solo pochi la capiscono, ancora meglio...deve essere per forza vera!! "

Tetsuya: :D :D :D :D :D :D :D :D :D

Ghergon"..CON LA MATEMATICA SI PUO' DIMOSTRARE TUTTO E IL CONTRARIO DI TUTTO...non male come tecnica dimostrativa!! ..

Tetsuya: :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D


Ed in un esilerante crescendo:"..LA RELATIVITA' EINSTEINIANA DIPENDE ESCLUSIVAMENTE DA UNA SEMPLICE FORMULA INVENTATA APPOSTA PER FAR QUADRARE I CONTI che all'inizio del novecento non tornavano...
LA RELATIVITA' DI EINSTEIN NON E' LA REALTA, E' SOLO UN ESCAMOTAGE SCIENTIFICO....

Tetsuya: :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D

P.S. Cazzo ma lo sai che hai del talento?
Hai mai pensato al cabaret?
:D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D


[Modificato da Tetsuya1 05/03/2006 19.02]

[Modificato da Tetsuya1 05/03/2006 19.03]

05/03/2006 21:24
 
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Claudio
Finalmente....questo é argomentare...non gli insulti...che forse hai capito?
Finalmente non mi offendi ma mandi articoli sulla chiesa.
Interessante...peccato solo un po dispersivo riguardo all argomeno iniziale del papa che molti pensano assasinato.

05/03/2006 21:38
 
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seza argomenti...
Detto da uno schizoide come te lo ritengo quasi un complimento! ;)
Però come al solito dimostri di non essere in grado di portare nessun contributo esplicativo in favore delle tua amata teoria...sei senza argomenti... scusa ma stavolta viene a me da ridere!
"Ciascuno deve salvare non solamente la propria anima ma anche tutte le anime che Dio ha posto sul suo cammino.

Suor Lucia Dos Santos



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07/03/2006 10:20
 
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NIKOLA TESLA
Nikola Tesla

Quanti conoscono il nome di Tesla?

Forse qualcuno che ha studiato elettronica e nei libri di scuola si è imbattuto nell'omonima unità di misura? Ma quanti invece sono a conoscenza della vera grandezza di questo personaggio, che oltre ad aver sviluppato teorie, progettato e costruito macchine che ancora oggi noi utilizziamo e che diamo per scontate, ma che all'inizio sono state originate da ingegnose speculazioni filosofoteoretiche? macchine in anticipo sui tempi e che hanno portato nel dimenticatoio uno dei più grandi scienziati del nostro secolo!

Ma vediamo chi è Nikola Tesla:
Nacque l'11 luglio 1856 a Smiljan in Croazia, dal reverendo Milutin Tesla e Djouka proprio allo scoccare della mezzanotte mentre imperversava un violento temporale. La levatrice che assisteva la madre disse che il bambino sarebbe stato "il figlio della tempesta". (Non poteva sapere quanto fosse appropriata quell'osservazione ndA)

Infatti già all'età di tre anni si eccitava per le scintille che l'elettricità statica provocava nel pelo del suo gattino, e da allora il suo interesse per quel fenomeno non mutò fino alla sua morte, avvenuta nel 1943.

Dopo aver abbandonato la famiglia si stabilì in America e iniziò a lavorare sotto il grande inventore Edison, dove acquisì esperienza e soprattutto dove conobbe le persone che influenzeranno tutta la sua esistenza. Edison basava tutte le sue scoperte elettriche sulla corrente continua, mentre Tesla aveva in mente un sistema di corrente alternata, quindi non più corrente sempre con la stessa polarità, ma invece una corrente che alterna la sua polarità con una certa frequenza fissa e prestabilita.
A posteriori sappiamo quanta ragione aveva Nikola Tesla nel cercare in tutti i modi i finanziamenti adeguati, perché la corrente alternata offre vantaggi economici notevoli rispetto a quella continua.
Per dimostrare la sua teoria costruì tre gruppi completi di motori a corrente alternata che utilizzavano diversi tipi di corrente alternata, il più semplice lo chiamò monofase, utilizzava due fili. Progettò inoltre un sistema bifase, che utilizzava due correnti collegate e un trifase, che ne utilizzava tre. Successivamente lo vediamo alle prese con la "bobina Tesla", un dispositivo che utilizzava la risonanza per produrre alta frequenza, elettricità ad alto voltaggio.
Al tempo stesso sviluppò un sistema di condensatore e bobina di sintonia, che è alla base di tutte le radio e televisioni moderne. Tesla brevettò la bobina Tesla e il dispositivo di sintonia radio sei anni prima che Marconi brevettasse la prima radio. Tesla non era bravo negli affari, mentre Marconi lo era, quest'ultimo infatti lavorò assieme al governo e i militari per portate avanti le sue idee.

Iniziarono, finalmente per lui, una serie di esperimenti con campi elettrici enormi, con fulmini creati in laboratorio di diverse decine di migliaia di volt che lo portarono alla costruzione di un tubo catodico e del microscopio elettronico prima ancora della scoperta degli elettroni, un tubo luminoso che emetteva raggi X e con il quale la fotografia delle ossa della sua mano, a luci fluorescenti senza fili.


Quest'ultima invenzione per Tesla dimostrava l'applicabilità di una sua grandissima aspirazione inventiva: mandare l'energia elettrica senza fili e gratis a tutte la case del mondo tramite l'aria. Sappiamo benissimo che ciò è tecnicamente possibile e lo vediamo tutti i giorni guardando la tv, ascoltando la radio ecc. ma non è applicabile perché l'impero economico delle multinazionali energetiche non lo permetterebbe.
Come è possibile che un uomo così versatile, le cui invenzioni hanno reso possibile la nostra civiltà moderna, sia stato dimenticato? I suoi contemporanei: Edison, Marconi, Westinghouse sono entrati nella storia; invece, Tesla è ancora largamente sconosciuto.

Ma continuiamo con la storia.....nel 1940 Tesla accennò ad un prototipo di laser e di ordigno al plasma che produceva particelle ad alta energia nella ionosfera. Questa teleforza sarebbe stata in grado di liquefare il motore di un aereo a 250 miglia di distanza. Il 5 gennaio 1943, in piena guerra mondiale, Tesla telefonò al Dipartimento della guerra e parlò con il colonnello Erskine, al quale offrì i segreti della sua arma. Il militare non conosceva Tesla e pensò che si trattasse di un pazzo.
Tra il 5 e l'8 gennaio Tesla morì a causa di un attacco cardiaco (la data è incerta perché il corpo fu ritrovato nella piena solitudine dopo un paio di giorni).

Dopo pochissimi giorni l'FBI aprì un indagine perché gli appunti di Tesla potevano in qualche modo essere pericolosi per gli Stati Uniti; fu confiscato tutto, due camion pieni di macchinari e schedari. Così, il lavoro di una vita fu dichiarato top secret e qualsiasi discussione in merito fu vietata.

Ironia della sorte, il "raggio mortale" esisteva veramente, e il 18 ottobre 1993, il Dipartimento americano della difesa annunciò di aver cominciato a costruire un centro di ricerche missilistiche sperimentale sulla ionosfera a Gakona in Alaska. Il centro noto come HAARP (High Frequency Active Auroral Research Program) e studia le proprietà di risonanza della Terra e dell'atmosfera. L'HAARP esamina esattamente gli stessi fenomeni studiati da Tesla cento anni prima.

Alla fine l'ebbe vinta: la sua "teleforza" è stata realizzata, e dopo sei mesi dalla sua morte vinse la battaglia per i brevetti con Marconi: la Corte Suprema degli Stati Uniti confermò la paternità di Tesla per l'invenzione della radio.



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09/03/2006 17:34
 
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