Appunti di catechismo

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Ghergon
00giovedì 7 giugno 2007 18:59
DIO CREATORE


Ragione della Creazione

La Creazione è l’atto con cui Dio ha fatta ogni creatura, spirituale e materiale, invisibile e visibile, dal nulla, cioè senza servirsi né della sua propria sostanza, né di qualche cosa di preesistente, né di intermediarii.

Dio era libero di creare o di non creare.
Nessuna necessità poteva costringere Dio a dare l’esistenza agli esseri che sono fuori di Lui.
Non una necessità esterna, perché fuori di Lui non c’era nulla.
Non una necessità interna, perché Egli era perfettissimo e beatissimo da se stesso, e non poteva abbisognare di nulla, quindi :
Dio ha creato per puro movimento di amore, per il desiderio di espandere la sua bontà sulle cose create.
La Creazione è la manifestazione della potenza e della sapienza di Dio mosse dall’amore.
San Tommaso dice che Dio è l’essere perfettamente liberale, (generoso), perché agisce non per sua utilità, (Egli è perfetto e beatissimo in se stesso), ma per pura bontà. (14)
Dio, mosso dalla sua infinita bontà, volle e ama le creature non come mezzi, ma come soggetti a cui comunicare gratuitamente la sua stessa bontà e le sue divine perfezioni, senza nessun intrinseco suo vantaggio.

Il Concilio Vaticano I, dogmatico, (1869-1870), dichiara :
Questo unico vero Dio, per bontà sua e per “onnipotente virtú”, non allo scopo di aumentare o acquisire la sua beatitudine, ma allo scopo di manifestare la sua perfezione attraverso i beni, che impartisce alle creature, con liberissimo disegno, “insieme dall’inizio del tempo creò dal nulla entrambe le creature, quella spirituale e quella corporale, cioè quella angelica e quella mondana, e quindi la creatura umana costituita dall’unione di spirito e corpo” (Conc. Lateran. IV ... ), (Denz. 3002).

Dante, nel Canto XXIX del Paradiso, da vero teologo canta :
Non per aver a sé di bene acquisto,
Ch’esser non può, ma perché suo splendore
Potesse, risplendendo, dir : Subsisto;

S’aperse in nuovi amor l’eterno amore.



Scopo della Creazione

Lo scopo della Creazione si articola in due fini, uno principale, e uno secondario e subordinato.
Il fine principale è la gloria di Dio, ed è sempre raggiunto.
Vedremo, in apposito paragrafo, come questo fine sia necessario ed espressione della sua infinita bontà. Sempre nel medesimo paragrafo vedremo come dal fine principale scaturisca il fine secondario.
Il fine secondario è il bene e la felicità della creatura.
Vedremo, in apposito paragrafo, come il bene massimo e la felicità somma della creatura consistano proprio nel dare gloria a Dio, in armonioso accordo col fine principale della creazione.
Il fine secondario è anche un fine subordinato, in quanto richiede il libero concorso della creatura stessa.
Vedremo, in apposito paragrafo, come il libero rifiuto a dare gloria a Dio faccia mancare alla creatura il conseguimento del fine secondario, ma non impedisca né diminuisca il conseguimento del fine primario.



La gloria di Dio, (fine principale)

Dio non è “egoista”, infatti abbiamo visto prima che la creazione e le creature nulla possono aggiungere alla sua beatitudine, ma è che Dio, essendo l’unico Dio, ed essendo il Dio infinitamente perfetto, non può agire direttamente che per se stesso.
In altre parole: Dio, essendo infinito, non si può proporre un fine limitato e finito, (cioè imperfetto), e la sua volontà non può essere mossa che da un bene infinito, (cioè perfetto), ma questo bene infinito non può trovarsi fuori di Lui, quindi è il Creatore stesso che deve essere il fine della creazione.
Ne segue che il fine principale è la sua gloria, cioè la manifestazione delle sue divine perfezioni.

La Sacra Scrittura enuncia spesso questa verità.
“Tutte le nazioni sono da Dio create per la sua lode, pel suo nome, per la sua gloria” (et faciat te excelsiorem cunctis gentibus quas creavit, in laudem, et nome, et gloriam suam: ut sis populus sanctus Domini Dei tui, sicut locutus est), (Deut. XXVI, 19).
“Per se stesso Dio ha fatte tutte le cose” (Universa propter semetipsum operatus est Dominus: impium quoque ad diem malum), (Prov. XVI, 4).
“Tutti quelli che invocano il mio nome per la mia gloria li ho creati, plasmati, formati!” (Et omnem qui invocat nomen meum, in gloriam meam creavi eum, formavi eum, et feci eum), (Is., XLIII, 7).
“La gloria mia non darò ad altri, né l’amor mio ai simulacri. Io sono il Signore, questo è il mio nome” (Ego Dominus, hoc est nomen meum: gloriam meam alteri non dabo, et laudem meam sculptilibus) (Is., XLII, 8).
“Io sono alfa ed omega, primo ed ultimo, principio e fine” (Ego sum alfa et omega, primus et novissimus, principium et finis), (Apoc. XXII, 13).

Che fine della Creazione sia la gloria di Dio è di fede, ed è definito dal Concilio Vaticano I, dogmatico, (1869-1870),:
5. Se qualcuno… avrà negato che il mondo è stato creato per la gloria di Dio: sia anàtema. (Denz. 3025).

Il fatto che il fine principale del creato è la gloria di Dio comporta che il fine delle creature è dare gloria a Dio.
Di nuovo: ciò non è indice di “egoismo”, ma di massima bontà, come vedremo meglio fra poco.
Per ora notiamo che se le creature hanno come fine ultimo il dar gloria a Dio, allora certamente la massima gloria di Dio comporta che il Creatore offra la felicità agli esseri liberi e razionali da Lui creati.
Vedremo piú avanti come Dio non avrebbe potuto essere piú “altruista” o piú “generoso” che dando alle creature il fine di rendergli gloria, (ricordiamoci che la gloria di Dio è completa e perfetta in Lui stesso e che la gloria che gli rendiamo non accresce la sua gloria o la sua felicità).



Necessità della creazione di creature libere

La gloria consiste in una clara cum laude notitia, (una chiara fama accompagnata da lode); la clara notitia esige in chi dà gloria l’intelligenza, e affinché alla notitia segua la laude si esige in chi dà gloria anche la libertà.
Una creazione priva di persone libere - e solo per questo capaci di riamare Iddio che ha riversato in noi una amabilità infinita, della quale è infinitamente innamorato - non è possibile.
Un universo di pianeti e di stelle incapaci di rendersi conto di esistere, e perciò indifferenti all’essere, non ha ragione di essere.
Un paradiso terrestre senza l’uomo non è credibile.
Le cose, gli esseri irragionevoli, sono creabili solo in quanto al nostro servizio, come mezzi a nostra disposizione. Le cose, infatti, gli esseri irragionevoli non sono capaci di tributare gloria al Creatore. (15)
Le cose non sono direttamente creabili: sono creabili solo subordinatamente alla creazione di persone cui possano servire.
Solo le persone, angeliche e umane, sono direttamente creabili, perché capaci di rendersi conto di essere, e dell’origine del loro essere, e nella loro subordinazione all’Esistente nel quale vivono, si muovono, ed esistono: persone che dopo essersi rese conto di tale subordinazione, coraggiosamente la accettano, l’approvano, e si congratulano riconoscenti con Dio.
Essere contenti che Iddio sia Lui! Ecco il coraggio della verità, l’umiltà che sboccia dalla libertà in questa vita, per durare in Paradiso per sempre. (16)



La felicità delle creature, (fine secondario e subordinato)

Il fine secondario e subordinato della creazione è la felicità delle creature.
Lo vedremo in due modi, prima partendo, per cosí dire, da Dio, e, poi, partendo invece dalla creatura.

Partendo da Dio: sappiamo da quanto detto prima che il fine delle creature è il dare gloria a Dio. Per dare gloria a Dio la creatura deve sapere su cosa tale gloria si basa. Per sapere deve vedere Dio, quindi godere della visione beatifica di Dio, che è la massima felicità possibile per una creatura, come vedremo in un successivo paragrafo. Ecco quindi dedotto che Dio per fare la massima felicità delle sue creature, (ragionevoli), non avrebbe potuto fare di piú e con maggior generosità che assegnare loro il fine di dargli gloria.

Partendo dalla creatura: Dio per destinare la creatura, (ragionevole), alla massima felicità la eleva con la sua grazia a un piano soprannaturale e la fa degna del Paradiso. La felicità del Paradiso consiste nella visione beatifica di Dio. Vedendolo ne godiamo e lo ammiriamo. Ammirandolo lo riconosciamo e diamo gloria a Dio. Ecco quindi dedotto per altra via che Dio ha fatta la felicità della creatura assegnandole il fine di dargli gloria.

E siccome, come già detto, la gloria di Dio è già piena e perfetta senza bisogno che gliela rendano le creature, l’assegnarci il fine di dargli gloria è stato non un atto di “egoismo” ma un atto di amore per noi che ci ha assicurata la massima felicità soprannaturale di cui siamo capaci.
Vedendo Dio e il suo amore per noi, che giunge al punto di gradire il povero amore che noi possiamo dargli, non potremo far a meno di riamarlo con tutto il nostro cuore: vera felicità riamare, amati, Dio stesso!

Dio fa consistere la sua gloria nel donare, onde la Chiesa fonde nello stesso ringraziamento il nostro bene e la gloria divina:
Gratias agimus Tibi propter magnam gloriam tuam, (Ti rendiamo grazie per la gloria tua immensa), (dal Gloria in
excelsis della S. Messa tradizionale).

Tutti questi ragionamenti, e altri ancora, sono mirabilmente condensati e spiegati nelle risposte alle domande del Catechismo di San Pio X :
13. Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra, in paradiso. (17)
14. Il paradiso è il godimento eterno di Dio, nostra felicità, e, in Lui, di ogni altro bene, senza alcun male.
15. L’inferno è il patimento eterno della privazione di Dio, nostra felicità, e del fuoco, con ogni altro male senza alcun bene.



La visione beatifica

Abbiamo affermato che la massima felicità per una creatura è raggiunta attraverso la visione beatifica di Dio: spieghiamo meglio.
La visione beatifica è una visione diretta di Dio quale Egli è, (nella misura di cui è capace la creatura che è finita),: non piú in specchio e in enigma, ma faccia a faccia. (I Corinti, XIII, 12).

Questa visione diretta ci rende simili a Lui e, quindi, anche partecipi della sua stessa felicità divina: Guardate quale immenso amore ci ha donato il Padre, cosí che siamo chiamati figli di Dio e tali realmente siamo… Carissimi, già adesso siamo figli di Dio, e ancora non si manifestò quel che saremo. Sappiamo che quando si manifesterà, saremo somiglianti a Lui, perché lo vedremo cosí come Egli è, (I Giovanni, III, 1-2).

Osserviamo ancora che, per infinita bontà e miracolosa generosità, Dio ci chiama a una felicità soprannaturale, cioè a una felicità superiore a quella propria della condizione o natura di creatura creata, creatura sia pur dotata di anima, e, quindi, capace di felicità spirituale, ma non di visione diretta di Dio e di partecipazione alla
natura divina. (18)


Le creature dannate e la gloria di Dio

Atti di amore e di lode, (anche quelli verso chi ne è massimamente e assolutamente degno, cioè Dio), per essere atti di vero amore e di vera lode devono essere non obbligati o meccanici ma devono essere volontari, cioè liberi.
Le creature razionali, (angeli e uomini), sono creature libere e quindi possono rifiutarsi di dare a Dio l’amore e la lode che giustamente gli spettano, (potremmo dire, con argomentare troppo umano, “che giustamente si merita”), e possono voler staccarsi da Lui, scegliendo quindi per sé invece del paradiso l’inferno che è, prima di tutto, rifiuto, odio, e privazione di Dio Unico Vero Bene.
La creatura dannata non diminuisce la perfezione di Dio, (e quindi nemmeno quella del Creato, e quindi nemmeno quella della gloria che il Creato è chiamato a dargli), in modo analogo a quello per cui uno specchio che riflette il mio volto non aumenta né diminuisce la mia bellezza che in lui si specchia, sia che la rifletta bene, sia che la rifletta male.
La creatura può perdere il suo fine, cioè la felicità, (a causa del peccato volontario senza pentimento), ma Dio consegue sempre il suo fine, perché se la creatura gli rifiuta omaggio e lo vuole offendere con ostinazione sino all’ultimo respiro, Dio manifesterà la sua gloria attraverso il rigore della sua giustizia, con una rivendicazione eterna degli oltraggi a Lui indirizzati, mentre invece gli eletti glorificheranno in perpetuo la sua misericordia.
Come tutto conferisce alla armonia di un concerto, sia le note luminose che squillano dalle scale cromatiche piú alte, sia le note profonde, i gemiti e i rantoli, che sembrano uscire dagli abissi tenebrosi, cosí la bontà di Dio, inneggiata dai beati in giubilo, come la giustizia, confessata dai dannati nello spasimo, sfoceranno in un unico: Santo, Santo, Santo, il Signore Dio degli eserciti: i cieli e la terra sono pieni della tua gloria. (19)



Le creature innocenti deformi e la gloria di Dio

A causa del peccato originale, (come vedremo piú avanti), entrarono nel mondo la morte, la malattia, la sofferenza, la fatica, cose tutte che possono indurre l’umana debolezza a dubitare della saggezza e della bontà di Dio creatore e dare origine a tentativi di rimedio che rimedi non sono perché vanno contro le leggi di Dio.
La sofferenza dell’innocente in questa vita, (ma non nell’altra), è un mistero, mistero doloroso che Dio ci invita a sopportare come e perché lo ha sopportato Lui sulla croce, e di cui ci ha mostrato il superamento con la Sua gloriosa resurrezione, resurrezione gloriosa che sarà poi anche la nostra.

Nelle circostanze in cui stiamo scrivendo il nostro pensiero va in particolare al caso sempre piú frequente di bambini innocenti, non ancora nati, ma di cui già si sa che sono malformati nel corpo e/o nella mente.
Per evitare ad essi una vita di pene, per porre termine allo strazio della madre che sa di portare in grembo un figlio deforme, per sollevare la famiglia da anni di fatiche e di sacrifici apparentemente inutili per assisterli, per risparmiare allo stato spese ingenti, per tanti motivi umanamente comprensibili ma, appunto, originati dalla umana debolezza tanto da portare a decisioni disumane, sempre piú spesso si sceglie di ucciderli provocando l’aborto, sotto la pressione di una società atea egoista, che vuole ingannare e essere ingannata, e che addirittura non rifugge dal considerare feti, neonati deformi, comatosi, alla stregua di serbatoi di tessuti e di organi di riserva.



La Fede ha una risposta diversa.

Dio conobbe dall’eternità ciascuna delle creature razionali possibili e di queste ne amò alcune al punto da dare loro l’esistenza e la possibilità di godere di Lui nella visione beatifica, anche quelle che a noi appaiono deformi nel corpo, (ma non lo sono nell’anima).

Il bambino mongoloide, quello anencefalico, quello con la spina bifida, non gli sono apparsi meno belli, meno degni del Suo amore, meno degni di esistenza, meno degni di amarlo e goderlo per l’eternità nella visione beatifica, ma invece li ha creati, come noi.
Non ci sembri dunque indegna di essere vissuta e da sopprimere quella vita che Dio ha amata al punto da crearla e da destinarla al Suo amore, vita che nella vita eterna sarà consolata e compensata di quanto ha sofferto e di quanto di meno ha avuto nella vita terrena.
Questi nostri fratelli, anzi, nella misura in cui la menomazione impedisce loro di coscientemente peccare, sono piú sicuri di noi sani di raggiungere il Paradiso e il fine per cui siamo stati tutti creati.

Concludiamo con un pensiero che per i genitori cristiani è di consolazione, sia pur nell’ambito dell’eroismo cristiano.
Dio è Provvidenza e certo provvederà, non di meno ma di piú, e con maggiore amore, alle Sue creature piú deboli.
Ciò farà prima di tutto affidandole a genitori che potenzialmente siano migliori, piú buoni, piú capaci, piú santi, moralmente piú forti di quelli che devono prendersi cura di bimbi normali.
I genitori che Dio ha prescelto per il figlio piú gracile, piú indifeso, piú povero di tutti, hanno, è vero, una croce speciale e piú grande, ma essa non è punizione o vergogna bensí segno di eccellenza, titolo di onore adesso, e segno di gloria futura.


NOTE
14 - Citiamo un autore a noi caro, C.S.LEWIS, I quattro amori: affetto, amicizia, eros, carità, cap. sesto, ed. Jaca Book:
«La dottrina secondo cui Dio non aveva necessità di creare non è una arida speculazione scolastica; al contrario, è essenziale. Senza di essa non riusciremmo ad evitare quella concezione di Dio che non posso definire altrimenti che “dirigenziale”, basata su un essere il cui compito, o natura, sarebbe quello di “far funzionare” l’universo, con il quale
Egli si porrebbe nel rapporto di un preside con una scuola, o di un direttore con un albergo.»
15 - Rendere l’uomo capace, unico fra le creature terrestri, di conoscere Dio, di adorarlo, di pregarlo, di amarlo, gli conferisce anche, per cosí dire, una specie di sacerdozio regale in nome delle creature che non conoscono Dio. “Gloria dell’uomoè conoscere Dio”, (Ger. 9, 24).
16 - Il testo, eccettuata la nota 15, è tratto dall’articolo di Don Giuseppe Pace intitolato De misterio libertatis, ovvero: del bene e del male, pubblicato su Notizie n. 143, giugno 1989, Casella Postale 4, Torino.
17 - Si noti la progressione: goderlo, ma dopo averlo servito, servirlo, ma dopo averlo amato, amarlo, ma dopo averlo conosciuto.
18 - La miglior comprensione della felicità che è associata alla visione beatifica ci dà anche una terrificante e tremenda intuizione di cosa sarà, simmetricamente, la sofferenza che è associata alla dannazione eterna!
19 - I due periodi che precedono sono tratti, con qualche piccola variazione, dal Nuovo corso quadriennale di Cultura Teologica - Anno II - Teologia dogmatica di Mons. Attilio Vaudagnotti



tratto da: Appunti di catechismo , a cura di G. L. G.

[Modificato da Ghergon 18/06/2007 19.27]

Ghergon
00lunedì 18 giugno 2007 19:26
l'uomo e il suo stato di natura (20)


Nei paragrafi che seguiranno troveremo un aiuto a comprendere la condizione attuale dell'uomo, condizione in cui miserie e grandezze, materiali e spirituali, si mescolano ogni momento, in drammatica e scandalosa dissonanza e sproporzione.

Già Cicerone, (morto nel 43 avanti Cristo), scriveva nell'Hortensius: …L'uomo non dalla natura madre, ma dalla natura matrigna sembra procreato, nudo, fragile ed infermo nel corpo, coll'animo preso da mille molestie, sopraffatto dai timori, fiacco e debole al lavoro, prono alla libidine; nel quale tuttavia traspare, ma come ricoperta, una fiammella di divin fuoco, di ingegno, di intelligenza… Per il che è avvenuto che antichi poeti e interpreti delle divine tradizioni, dalla constatazione di queste miserie ed errori, siano stati tratti ad affermare che per delitti contratti in altra vita superiore noi ci troviamo ora a scontarne le pene…

Senza l'incidente di un primo peccato l'uomo che conosciamo sarebbe la piú incompleta, la piú bizzarra, la piú contradditoria, la piú inesplicabile delle creature.
Egli ha il senso innato della sua grandezza, aspira al bello e al buono, eppure si sente attratto dalla turpitudine. Egli ha un immenso bisogno di amare e di essere amato, di giustizia, di ordine, di felicità, eppure odia, commette bassezze, fa il male, è infelice.
Tratteremo, quindi, in particolare della natura dell'uomo, quale è stata creata da Dio all'origine e quale è diventata in seguito dopo il peccato originale.
Capiremo meglio provenienza e profondità della nostra bassezza e debolezza, ma mantenendo sguardo e speranza rivolti al nobile destino che la misericordia divina e la redenzione ancora ci riservano, se vorremo.


8.1 L'uomo prima del peccato originale, (stato di innocenza)
È articolo di fede, definito dal Concilio di Trento, dogmatico, (Sessione V, Canone 1), che Adamo ed Eva furono stabiliti nello stato di giustizia e di santità, intendendosi con ciò in particolare che, fin dal primo momento della creazione, essi furono elevati all'ordine sovrannaturale, (loro e tutti gli uomini che da loro fossero discesi).

Nella Genesi, (Cap. I, 26), leggiamo che Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza…, il che non può escludere una certa qual somiglianza spirituale con quanto è piú proprio di Dio puro spirito, cioè con la sua Santità.
L'elevazione all'ordine sovrannaturale si ebbe attraverso alla concessione da parte di Dio dei doni sovrannaturali, (cioè al di sopra delle esigenze di ogni natura creata o possibile).

I doni sovrannaturali sono:
i) la predestinazione alla visione beatifica, cioè alla visione diretta di Dio, visione che ci rende simili a Lui, (vedasi il paragrafo precedente in proposito); la visione beatifica è "fine".
ii) la concessione della Grazia Santificante, cioè dell'aiuto sovrannaturale necessario per raggiungere il fine sovrannaturale; la Grazia Santificante è "mezzo".
I doni sovrannaturali si aggiungono ai doni naturali, cioè a quelli che fanno parte dell'essenza di un essere.
I doni naturali per l'uomo sono compendiabili in anima intelligente immortale, corpo mortale, ragione, volontà, libertà.

Come conseguenza del dono sovrannaturale della Grazia Dio concesse ad Adamo ed Eva anche i doni preternaturali, cioè dei doni al di sopra delle esigenze di un essere umano, ma non superiori a quelle degli esseri di ordine superiore: gli angeli.
Dei doni preternaturali fanno parte le immunità dal dolore, dalla morte, dalle malattie, dalla concupiscenza (in modo che il corpo obbedisca all'anima, e la volontà alla ragione), e dall'ignoranza (scienza infusa, sia naturale che sovrannaturale, quale e quanta si addiceva al loro stato di progenitori del genere umano).

Senza l'elevazione all'ordine sovrannaturale il fine ultimo dell'uomo sarebbe sempre stato Dio, ma Dio conosciuto ed amato conformemente alle esigenze della natura umana considerata nei suoi puri elementi umani, quindi mai con visione diretta di Dio quale è in se stesso, ma solo quale, in un modo o in un altro, si trova riflesso nelle creature, (si veda l'Epistola ai Romani, Cap. I, ver. 20,: …i suoi attributi invisibili, segnatamente la sua eterna potenza e la sua divinità, dedotte dalle opere, chiaramente si percepiscono nel mondo creato…).
Anche i mezzi a disposizione per raggiungere questo fine sarebbero stati puramente naturali.
Questo stato ipotetico, detto di "pura natura", non è mai esistito.


8.2 L'uomo dopo il peccato originale, (stato di natura decaduta e riparata)
Anticipiamo in questo paragrafo, per semplicità di esposizione, le conseguenze, per noi (21), del peccato dei nostri progenitori, Adamo ed Eva, ma solamente per quanto riguarda i doni ricevuti.
Rimandiamo a paragrafi successivi la trattazione del peccato originale, della sua trasmissione, e della sua cancellazione con il battesimo.

A) I doni sovrannaturali furono persi; per riacquistarceli Dio vorrà l'Incarnazione del Verbo e la Croce, e noi dovremo
collaborare all'opera di redenzione del Verbo.

Il Catechismo della Dottrina Cristiana di San Pio X afferma:
75. L'uomo, a causa del peccato originale, doveva rimaner escluso per sempre dal paradiso, se Dio, per salvarlo, non avesse promesso e mandato dal cielo il proprio Figliuolo, cioè Gesú Cristo.
Il Catechismo Maggiore di San Pio X afferma:
64. I danni del peccato originale sono: la privazione della grazia, la perdita del paradiso, l'ignoranza, l'inclinazione al male, tutte le miserie di questa vita, e infine la morte.
66. Dopo il peccato di Adamo gli uomini non avrebbero piú potuto salvarsi, se Dio non avesse loro usato misericordia.
67. La misericordia usata da Dio al genere umano fu di promettere subito ad Adamo il Redentore divino, o Messia, e di mandarlo poi a suo tempo, per liberare gli uomini dalla schiavitú del demonio, e del peccato.
(Per queste ragioni lo stato attuale di natura è detto di natura non solo "decaduta" ma anche "riparata").


B) I doni preternaturali furono persi in modo irreparabile, e, in particolare l'immunità dalla concupiscenza, concupiscenza intesa come desiderio sfrenato dei beni sensibili: approfondiamo questo aspetto che ci tocca quotidianamente.
La concupiscenza, come sopra definita, è un difetto intrinseco della costituzione umana, ma non è però in se stessa un peccato, sebbene stimoli al peccato.
È una ribellione istintiva, involontaria, ma domabile con la ragione e la grazia; ribellione però che copre di rossore l'uomo, sentendosi cosí poco padrone di se stesso, (22).
Si noti però che la ribellione dell'uomo non cominciò dal basso, ma dall'alto. La mente superba si ribellò a Dio e, allora, anche le membra si ribellarono alla mente, le passioni alla ragione, il corpo allo spirito.

C) I doni naturali furono indeboliti, non nella loro natura intrinseca, ma nel loro esercizio, essendo le passioni causa di errore per il giudizio e di traviamento per la volontà.



NOTE
20 - In questo gruppo di paragrafi ci appoggeremo, oltre che alle opere citate al paragrafo 3.1 , in modo particolare anche a:
MONS. ATTILIO VAUDAGNOTTI, Nuovo Corso Quadriennale Di Cultura Teologica - Anno II - Teologia
Dogmatica, Officio Catechistico Curia Metropolitana di Torino, 1960.
SAC. A. BOULENGER, La Dottrina Cattolica - Parte Prima, Il Dogma, SEI, Torino, 1955.
21 - I teologi distinguono le conseguenze per noi da quelle per Adamo ed Eva; di queste ultime non parleremo, per brevità e
perché non ci toccano direttamente.
22 - Soltanto dopo il peccato, (Gen, II, 25 ; III, 7), Adamo ed Eva sentirono questo rossore, e quella nudità, che prima era
innocente ed innocua, cominciò a rivelare la prepotenza di istinti ignominiosi, istinti che bisognava sedare sottraendo agli
occhi il fomite del disordine. Se dunque i progenitori non sentivano prima del peccato originale nessun disordine di
questo genere nelle loro membra, ciò era dovuto al dono dell'immunità dalla concupiscenza, ossia alla sottomissione
perfetta dei sensi al dettame della ragione.
Si noti bene che l'istinto al pudore non fu una conseguenza del peccato ma, anzi, prima del peccato originale, Adamo ed
Eva possedevano per dono di Dio una innata educazione al pudore, per cui potevano soddisfare ai richiami sessuali con la
purezza angelica della mente e la verginità del cuore.

www.unavox.it/rip8.htm
Ghergon
00lunedì 27 agosto 2007 21:28
Theologia Brevis
Inserisco questo breve trattato di teologia

Theologia Brevis
sunti di teologia per cominciare a masticare la bellezza della dottrina cristiana. Ovviamente per essere appunto brevi qui ci sarà solo l'esposizione della dottrina senza spiegazione di come si è giunti alla definizione.

Dio
Dio è l'Essere, è Colui che è, colui che non deve a nessuno la sua esistenza poiché è l'essente. S necessita quindi di attribuire a Dio l'aseità: cioè l'essere da sè stesso. Da qui anche l'eternità, perché se Dio prima non esisteva e poi ha cominciato a esistere vorrebbe dire che deve a qualcun altro la sua esistenza, ciò è impossibile, quindi Dio è eternamente. Da ciò è infinito, poi unico e solo, perché due dei si limiterebbero a vicenda. Se così è anche onnipotente e onnisciente. E' dunque l'essere perfettissimo e completo in sè, che non abbisogna di nulla, essendo la pienezza dell'essere è anche il Sommo Bene perché per le creature colui che dà l'esistenza e mantiene nell'esistenza è un bene e Dio che possiede l'Essere, anzi è l'Essere, è il Bene, Tutto il Bene, il Sommo Bene. Dio è felice, perché non manca di nulla.
Le cinque vie della conoscenza razionale di Dio.
Ex motu: ogni cosa mossa è messa in movimento da un altro. Deve esserci qualcosa che abbia mosso per primo pur non essendo mosso, e questi è Dio, motore immobile.
Ex causa: ogni cosa è causata da un'altra, ma non v'è in natura ciò che è causa di sè stessa, quindi dev'esserci qualcosa che è causa di tutto ed è incausata: Dio.
E contingentia mundi: vedendo i rapporti tra una cosa contingente e un necessario, poiché tutte le cose del mondo possono essere o non essere, e sono transeunti, contingenti, dev'esserci qualcosa di assolutamente necessario di per sè: Dio.
E perfectione: nel mondo vi sono gradi di perfezione nelle cose, dev'esservi un essere dunque perfettissimo e nobilissimo che supera ogni altro: Dio.
Ex fine: Ogni cosa tende a un fine, ma gli esseri irrazionali o le cose inanimate non sono soggetto, ma oggetto di qualcuno che le muove. Quindi deve esservi qualcuno che ordina tutto ad un fine: Dio.

SS. Trinità
Noi crediamo in un solo Dio in Tre Persone uguali e distinte: Padre, Figlio e Spirito Santo. Le tre persone sono tre ipostasi consustanziali, coeterne e coeguali. Noi crediamo la Trinità né confondendo le tre persone, nè separando la sostanza divina, l'uguale natura.
Il Padre è da nessuno: nè fatto, nè creato, nè generato, eterno. Il Figlio è coeterno del Padre, non creato, non fatto, ma generato della stessa sostanza eternamente e dall'eternità. Lo Spirito Santo è coeterno, non creato, non fatto, non generato, ma procedente per spirazione dal Padre e dal Figlio come da un unico principio.

La Creazione
Dio era libero di creare o non creare. Non v'è in Dio necessità. Egli ha voluto la creazione, e l'ha operata ex nihilo sui et subiecti, cioè dal nulla della cosa in sè e della stessa concezione della cosa, ha creato proprio dal nulla. Essa è manifestazione dell'Onnipotenza e della Sapienza di Dio mosse dalla carità, cioè Dio voleva creare esseri finiti (la creazione impone la finitezza) perché potessero prendere parte al Suo essere, alla Sua felicità.
Il fine principale o assoluto è la gloria di Dio:
Dio, essendo infinito, non si può proporre un fine limitato e finito, (cioè imperfetto), e la sua volontà non può essere mossa che da un bene infinito, (cioè perfetto), ma questo bene infinito non può trovarsi fuori di Lui, quindi è il Creatore stesso che deve essere il fine della creazione.
Il fine secondario e subordinato è il bene e la felicità della creatura la quale partecipa della perfezione e dell'essere di Dio, quindi tende alla felicità che ottiene in Dio solo.


Il peccato
Noi crediamo che i progenitori del genere umano con libero e volontario atto di avversione a Dio abbiano rifiutato la sua offerta di fruizione della divinità, benché potessero non peccare. Da allora la natura umana è priva della Grazia, e nella sua sostanza è incline al male, alla ribellione. Vi sono quattro piaghe che riguardano l'intelletto, la volontà, gli appetiti irascibile e concupiscibile. La natura umana non è deformata totalmente, ma è incline e protesa al male che le riesce più semplice che non il bene, cioè il tendere a Dio.
Il primo peccato che priva tutto il genere umano della Grazia è il peccato originale. V'è poi il peccato attuale, personale, che ogni uomo compie. Non solo il peccato è un gesto di autoditruzione di sè, tendendo all'amor proprio, ma è anche un rifiuto di Dio che ci costringe poi a mendicare il suo perdono, essendo la Grazia gratis data all'uomo e un eventuale rifiuto implica la riconciliazione con Dio.
Nel mondo col peccato è entrata la sofferenza e la morte.
Il fine a cui conduce il peccato è la dannazione e l'Inferno. E' l'incapacità dell'anima di fruire di Dio eternamente, per cui l'anima è condannata a un'esistenza senza la fonte della felicità del Bene, senza la sua metà per cui è stata creata. L'Inferno, eterno, è il luogo e lo stato in cui si aggregano tali anime prive di Dio, luogo di tormenti che non avrà fine.

Gesù Cristo
Noi crediamo che la seconda Persona della SS. Trinità, eternamente sussistente come vero Dio, coeguale e consustanziale al Padre, si sia incarnato nel seno della Vergine Maria non per una conversione della divinità nell'umanità ma nell'assunzione dell'umanità. Egli prese un vero corpo umano e una vera anima razionale. Gesù Cristo apparve dunque in carne passibile nel tempo, in due nature, la umana e la divina, vero Dio e vero Uomo, inconfuse, nell'unità di una sola ipostasi (persona). Per questo sono presenti in lui due volontà: la umana e la divina.
Tra la natura umana e quella divina nella persona di Cristo Gesù vi è la comunicazione delle proprietà di ciascuna natura pur senza confusione tra loro: la comunicazione degli idiomi.
Godendo della perfetta divinità del Verbo, gode anche dell'unione al Padre e della pienezza dello Spirito Santo. Per cui: la natura umana di Cristo era ornata di Grazia abituale e di tutti gli altri doni spirituali, cioè quei doni per cui una creatura razionale diviene deiforme, rinata alla vita soprannaturale, erede della vita eterna. Da ciò consegue successivamente che l'anima di Cristo dall'inizio fu ornata della visione beatifica e della scienza divina per se infusa, a cui per la natura umana un po' si aggiunse la scienza naturale acquisita con l'esperienza come ogni essere umano. Per tale pienezza di divinità l'anima di Cristo ha un'impeccabilità e un'"impeccantia", cioè il fatto che nè abbia mai conosciuto il peccato, mai avrebbe potuto.
Cristo poi redense per modo di soddisfazione vicaria, cioè essendo il debito infinito verso Dio Dio solo nella persona del Verbo incarnato poteva adeguatamente, a stretto rigore di giustizia, saldare il baratro che divideva Dio dall'uomo. Cristo morendo sulla croce offrì una soddisfazione uguale al debito contratto: infinita; e lo fece al posto nostro. Per cui opera la redenzione, cioè affrancamento dello schiavo (l'uomo schiavo del diavolo, della carne e del peccato) con un prezzo elargito (il sangue e la vita di Cristo). Questa è inoltre la suprema prova di carità di Dio che, come recita l'Exultet, mise a morte il Figlio per salvare lo schiavo. La redenzione di Cristo è universale: offerta a tutti, ed il prezzo pagato è infinito; occorre però aggiungere che dev'esservi poi la soggettività dell'uomo ad accettare il dono oggettivo che Dio offre gratuitamente in Cristo.
Cristo risorge dai morti e sigilla l'opera della Redenzione da Lui compiuta, conclude il mistero pasquale di morte e risurrezione strettamente connesse, dimostrando che la redenzione è avvenuta e che le promesse di Dio che ha vinto la morte si attuano immediatamente nel Figlio che risorge. Ha vinto la morte, la schiavitù del peccato, il diavolo e la carne. Noi crediamo che come Cristo è risorto con un corpo glorioso, ricolmo e trasformato dallo Spirito, così noi nell'ultimo giorno risorgeremo coi nostri stessi corpi.
Noi crediamo che Cristo è asceso al Cielo e siede nella potenza di Dio, crediamo che abbia effuso lo Spirito Santo nella Chiesa per la salvezza delle anime.

La Chiesa
Egli ha costituito infatti il Suo Corpo mistico, cioè la Chiesa, come sua sposa per portare la sua redenzione in tutti i tempi, e a lei sola, sua unica sposa, ha comunicato i suoi doni di Grazia. L'uomo che entra a far parte della Chiesa credendo in Cristo ed essendo fatto partecipe della Grazia, dello Spirito, diventa tutt'uno con Cristo ed è incorporato nel suo corpo mistico. Per far parte della Chiesa è indispensabile la fede, come dice l'apostolo, senza la quale "è impossibile piacere a Dio". E' indispensabile il Battesimo, “esplicito” (sacramentale) o “implicito” (di desiderio o di sangue in assenza di materiale ricezione del battesimo sacramentale), cosí è necessario appartenere alla Chiesa cattolica “esplicitamente” (in re, di fatto) oppure “implicitamente” (in voto, col desiderio).
L'appartenenza all'unico corpo di Cristo (in re oppure in voto) è esposta brevemente da s. Cipriano nel dogma “Fuori della Chiesa non vi è salvezza” (Extra Ecclesia nulla salus).

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