Arcivescovo Stepinac

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LiviaGloria
00mercoledì 26 marzo 2008 13:19
Il 16 maggio protestň contro la deportazione della popolazione serba di Kordun e si interessň della sorte dei deportati del distretto di Sisak. Il 21 luglio protestň contro il trattamento disumano riservato agli internati dei campi di concentramento e nello stesso mese riuscě a salvare 300 donne serbe catturate dagli ustaša e destinate a morte sicura. Un dato puň essere significativo della grande opera di caritŕ che svolse Stepinac durante la guerra: tra il 1942 e il 1944, L’arcivescovo riuscě a salvare, facendoli ospitare in istituti religiosi o presso famiglie di Zagabria, 6.717 bambini, di cui circa 6.000 di famiglie ortodosse e partigiane, rimasti abbandonati dopo la battaglia di Kozara del 1942. I bambini arrivarono a essere circa 14.000 quando, nel 1943, se ne aggiunsero 3.000 e altri 5.000 dai campi di concentramento in Dalmazia.

A favore degli ebrei

Altrettanto numerosi furono gli interventi di Stepinac a favore degli ebrei. Giŕ prima della guerra, l'arcivescovo aveva prestato aiuto ai numerosi profughi ebrei che dalla Germania si erano rifugiati a Zagabria per sfuggire alle deportazioni ordinate da Hitler, creando un apposito «Comitato dei profughi», di cui si occupň personalmente. Contro le leggi e le disposizioni antiebraiche varate dal governo inviň, tra la primavera e l'estate del 1941, diverse lettere di protesta al ministro degli interni Artukovich e allo stesso Pavelich, riuscendo a far abrogare la norma che imponeva agli ebrei (anche quelli convertitisi al cristianesimo) di indossare sul braccio una fascia gialla con la stella di Davide e di non entrare nei luoghi pubblici. Di fronte a ulteriori rastrellamenti che si verificarono nel 1943, e sapendo che erano soprattutto le autoritŕ tedesche a spingere in questa direzione, scrisse nuovamente al capo del governo croato: «Se c'č di mezzo qualche autoritŕ estera che si immischia nei nostri affari interni, io non ho paura che questa parola di protesta sia portata a sua conoscenza. La Chiesa cattolica non teme davanti a nessun potere terreno, quando si tratta di difendere i piú elementari diritti dell'uomo...». Tantissimi furono anche gli aiuti concreti che prestň alle persone appartenenti alla comunitŕ ebraica e non č possibile riportarli qui. Le stesse autoritŕ ebraiche lo attestarono. Il delegato in Turchia della commissione per l’aiuto agli ebrei europei, Dr. Weltmann, scrisse ne giugno del 1943 al delegato apostolico a Istanbul Angelo Roncalli: «Noi sappiamo che mons Stepinac ha fatto tutto il possibile per alleviare la sorte infelice degli ebrei in Croazia» (11). Anche il grande rabbino di Zagabrk Freiberger scrisse a Pio XII «per esprimerVi come grande rabbino di Zagabria e capo spirituale degli ebrei in Croazia la mia gratitudine piů profonda e quella della mia congregazione per la bontŕ che hanno mostrato i rappresentanti della Santa Sede e i capi della Chiesa verso i nostri poveri fratelli» (12).
Pavelich, soprattutto dopo i primi mesi di regime, pensň di risolvere il «problema serbo» costringendo la popolazione ortodossa a convertirsi al cattolicesimo. La motivazione era eminentemente politica: creare uno Stato unitario e omogeneo, cosi da sottrarre i serbi di Croazia all'influsso politico della Chiesa ortodossa. A questo scopo fu emanata dal governo una serie di decreti per regolare queste « conversioni» e impedire che passassero al cattolicesimo quegli ortodossi che appartenevano alle classi colte e piú ricche, perché non si infiltrassero nel nuovo regime e continuassero a esercitare la loro influenza. Questa campagna rappresentava una vera e propria ingerenza dello Stato in un campo di esclusiva giurisdizione della Chiesa. Stepinac intervenne con decisione, sia protestando presso le autoritŕ governative, sia inviando lettere circolari al clero per ricordare che «la fede é questione della libera coscienza e perciň nel decidersi ad abbracciarla devono essere esclusi tutti i motivi disonesti».

Niente conversioni forzate

La posizione della Chiesa croata sulle «conversioni forzate» venne definita chiaramente nella riunione della Conferenza episcopale del novembre 1941, al termine della quale Stepinac inviň una lunga lettera a Pavelich contenente le risoluzioni prese dall'episcopato. In esse si ribadiva che «tutte le questioni riguardanti la conversione degli ortodossi alla religione cattolica sono esclusivamente di competenza della gerarchia della Chiesa» e che possono essere ricevuti nella Chiesa solo coloro che si convertono «senza alcuna costrizione, nella piů completa libertŕ». Nella lettera si chiedeva che ai serbi «venissero garantiti ed effettivamente concessi tutti i diritti civili e particolarmente la libertŕ personale, il diritto di proprietŕ e si pronunciassero condanne solo dopo un processo regolare, uguale a quello degli altri cittadini. In primo luogo fosse punita con estremo rigore ogni iniziativa privata intesa a distruggere le loro chiese o cappelle o ad asportarne i loro beni». Il clima di sopraffazione e di violenza in cui si viveva costrinse Stepinac a fare un'eccezione alle leggi canoniche, quando in un'istruzione ai sacerdoti scrisse: «Quando vengono da voi persone di religione ebraica o ortodossa, che si trovano in pericolo di morte e desiderano convertirsi al cattolicesimo, accoglietele per salvare la loro vita. Non richiedete a loro nessuna particolare istruzione religiosa, perché gli ortodossi sono cristiani come noi e la religione ebraica é quella nella quale il cristianesimo ha le sue radici. L'impegno e il dovere del cristiano é in primo luogo quello di salvare la vita degli uomini. Quando sarŕ passato questo tempo di pazzia, resteranno nella nostra Chiesa coloro che si saranno convertiti per convinzione, mentre gli altri, passato il pericolo, ritorneranno alla loro fede». La campagna di conversioni non ebbe il successo che il governo sperava; varie furono le cause, tra queste anche l'opposizione della Chiesa.
Piú volte Stepinac condannň nelle sue omelie il razzismo, sostegno ideologico delle azioni degli ustaša e degli occupanti nazisti, in un momento in cui pochi in Europa ebbero il coraggio di farlo. Particolarmente incisive furono le omelie pronunciate nelle teste di Cristo Re. In quella dei 1941, dopo aver condannato le «teorie e ideologie atee» che « sono riuscite ad infettare il mondo», ammoni: «Vi é il pericolo che perfino coloro che si gloriano del nome cattolico, per non dire addirittura della vocazione spirituale, divengano vittime della passione dell'odio e della dimenticanza della legge che é il tratto caratteristico e piů bello del cristianesimo: la legge dell'amore». L'allusione agli ustaša e a quei sacerdoti (pochi in veritŕ) che collaborarono con loro é chiara. Nel 1942 denunciň apertamente le leggi e le violenze dettate dall'odio razziale: « Ogni popolo e ogni razza provengono da Dio [...] questa differenziazione non deve essere motivo di sterminio vicendevole [...] ogni popolo e ogni razza, quale oggi esiste sulla terra, ha diritto a una vita degna dell'uomo e a un trattamento degno dell'uomo. Tutti, siano zingari o di altra razza [...] hanno il diritto di dire: Padre nostro che sei nei cieli! [...] Per questa ragione la Chiesa cattolica ha condannato e condanna anche oggi, ogni ingiustizia e violenza a nome della classe, della razza o della nazione». L'omelia non fu pubblicata, ma circolň clandestinamente, come altre di cui i partigiani diffondevano il testo e Radio Londra ne trasmetteva interi brani. Gli ustaša e i tedeschi iniziarono una campagna diffamatoria contro l'arcivescovo, accusandolo di essere un collaboratore dei comunisti. Nell'omelia in occasione della festa di Cristo Re, Stepinac dichiarň: «Ora risponderemo a coloro che ci accusano di filo-comunismo [...] anche coloro che ci fanno un tale rimprovero, farebbero meglio, forse, a battere alla porta della propria coscienza e porsi una domanda come questa: non é grande il numero di coloro che si sono rifugiati nelle foreste, senza essere convinti della veritŕ del comunismo, spinti invece molto spesso dalla disperazione, a causa dei metodi brutali di qualche individuo, che crede di poter fare ciň che vuole, come se non ci fosse per lui legge né umana, né divina?». La reazione delle autoritŕ ustaša furono immediate: si vietň la pubblicazione dell'omelia e il ministro della cultura, Makanec, scrisse un articolo su Il popolo croato, nel quale attaccň l'arcivescovo «che recentemente, nelle sue prediche, ha oltrepassato i limiti della sua vocazione per immischiarsi in affari in cui non é competente».

Un giudizio obiettivo

L'immagine di uno Stepinac collaboratore dei regime di Pavelich o testimone inerte della pulizia etnica degli ustaša, che certa storiografia poco obiettiva ha voluto propinarci, non sembra quindi corrispondere a veritŕ. Un interessante libro di uno storico americano (13) ci riporta la testimonianza di un emissario del governo jugoslavo in esilio, il tenente Rapotec, che nella prima metŕ dei 1942 compě una missione segreta in terra croata per stabilire contatti tra 1'opposizione in patria e quella all'estero. Arrivando a Zagabria, rimase stupito nel rendersi conto subito che l'arcivescovo era persona non grata al regime; le organizzazioni clandestine dei serbi e degli ebrei insistettero con lui affinché chiedesse al governo jugoslavo in esilio di fermare la compagna propagandistica contro Stepinac, perché l'arcivescovo li proteggeva. Alla domanda di Rapotec, perché non avesse rotto cor il regime ustaša, l'arcivescovo rispose che se lo avesse fatto non avrebbe potuto piú aiutare nessuno (i serbi, gli ebrei e gli oppositori che si trovavano nei campi di concentramento). La cosa piú importante era salvare quello che poteva essere ancora salvato. I suoi contatti con le autoritŕ erano esclusivamente formali. Esse avrebbero voluto liberarsi di lui, ma al tempo stesso volevano far vedere a tutti che le loro relazioni erano eccellenti. Lo spiavano e sapevano sempre dove andava, cosi che Pavelich, quasi per caso, appariva alla stessa cerimonia o gli capitava di passare nei pressi quando Stepinac stava per partire. Si salutavano e un'intera batteria di fotografo riprendeva il loro incontro per fini propagandistici.

L'opposizione a Tito

Alla fine della guerra, dopo la fuga di Pavelich e del suo governo, Stepinac rimase al suo posto. I comunisti avevano giŕ iniziato a perseguitare la Chiesa: nel marzo 1945, la Chiesa croata pubblicň una prima lista di sacerdoti uccisi, che comprendeva 149 nomi. Una volta preso il potere, Tito cercň di convincere 1'arcivescovo a staccarsi da Roma e a fondare una Chiesa cattolica independente. Ma Stepinac si oppose con forza: « Nessun cattolico, anche a costo della vita, puň eludere il suo foro supremo, la Santa Sede, altrimenti cessa di essere cattolico». La persecuzione si fece allora ancora piú dura: nella lettera pastorale dei vescovi cattolici jugoslavi del 21 settembre 1945, si riferiva che 243 sacerdoti erano stati uccisi, 89 erano scomparsi e 169 erano in prigione o in campi di concentramento. Il regime inscenň un processo farsa contro Stepinac, con l'accusa di aver collaborato con il regime ustaša. L' 11 ottobre 1946 venne condannato a 16 anni di lavori forzati. Nel 1951 fu trasferito dalle carceri di Lepoglava al domicilio coatto presso la sua parrocchia di origine di Krasich, dove morě il 10 febbraio 1960. Sembra ormai accertato che venne ucciso con un veleno che gli veniva somministrato poco alla volta, come testimoniato da uno dei suoi carcerieri nel corso della causa di beatificazione.
Nella difesa di fronte al tribunale jugoslavo, Stepinac disse: «Io dico questo: quando la situazione si normalizzerŕ e quando potranno essere pubblicati tutti i documenti, quando gli stessi potranno estere studiati in pace, quando tutti potranno esprimere liberamente la loro parola, senza paura, pienamente liberi, alla luce della pura veritŕ, dal punto di vista sia politico sia morale, allora non si troverŕ nessuno che punterŕ il dito contro 1'arcivescovo di Zagabria». Č finalmente arrivato questo momento?

Note

1) Sul cardinale Stepinac sono reperibili, cor una certa difficoltŕ, le seguenti opere:
F. Cavalli, Il processo dell'Arcivescovo di Zagabria, Roma 1947;
R. Pattee, The case of cardinal Aloysius Stepinac, Milwaukee 1953;
N. Istranin, Stepinac. Un innocente condannato, Vicenza 1982.
Piú recente: H. Barbour J. Batelja, Luce lungo il sentiero della vita. Una biografia spirituale dei Beato Luigi cardinale Stepinac, Zagabria 1998.
2) Si puň vedere l'articolo di Gad Lerner dal titolo Martire o protettore degli ustascia?, apparso su la Repubblica del 19 novembre 1999 che, nel suo apparente equilibrio, fornisce i contenuti di questa polemica.
3) I brani delle lettere, del Diario e delle omelie di Stepinac citati in questo articolo, sono estratti dalla Positio della Causa di beatificazione.
4) Durante gli anni Trenta, Pavelich e gli ustaša godettero della protezione e dell'appoggio del regime fascista. Mussolini pensň di utilizzare soprattutto all'inizio degli anni Trenta, l'organizzazione clandestina croata per destabilizzare il regno jugoslavo e poter estendere la sua influenza sull'altra sponda dell'Adriatico. Quando fu proclamato lo Stato indipendente croato, Pavelich si trovava in Italia.
5) Afferma Ernst Noite: «L'organizzazione ustaša [...] appartiene fondamentalmente alle organizzazioni terroristico-segrete nazionalrivoluzionarie dei Balcani sul tipo della Mano Nera serba o della Imro macedone [...]. Essendo organizzazioni segrete, esse non hanno ancora dimestichezza con l’elemento opinione pubblica, che viceversa ha costituito dovunque una radice vitale dei movimenti fascisti» (E. Nolte, La crisi dei regimi liberali e i movimenti fascisti, Bologna 1970, p. 234).
6) Alcuni esempi: di 127 funzionari dei ministero degli interni, 113 erano ortodossi serbi; di 117 generali dell'esercito, 115 erano ortodossi serbi e uno solo cattolico.
7) Per esempio, delle terre comprese nella riforma agraria della Slavonia, il 96% venne attribuito a ortodossi e il 4% a cattolici.
8) Questo Diario non é un giornale dell'anima, ma é piuttosto uno scritto di carattere ufficiale dove sono registrati tutti gli avvenimenti e le attivitŕ di Stepinac: dalle udienze alle visite, dalle cerimonie religiose a quelle civili, eccetera. Č stato scritto da diverse persone: da Stepinac stesso ma anche dai suoi segretari Salich e Lackovich, che scrivevano in base alle direttive e talvolta sotto dettatura dell'arcivescovo. Viene ampiamente citato nella Positio della Causa di beatificazione.
9) Alcuni studi piú recenti sia serbi sia croati, hanno cercato di definire cor maggiore obiettivitŕ l’entitŕ delle perdite umane avvenute nel territorio jugoslavo durante la seconda guerra mondiale. Si possono citare qui i lavori di V Žerjavich, Population Losses in Yugoslavia, Zagreb 1997 e di B. Kocovich, Žrtve drugog svetskog rata u Jugoslaviji (Le vittime della seconda guerra mondiale in Jugoslavia), London 1985.
10) La legislazione antiebraica e lo sterminio degli ebrei in Croazia furono realizzati soprattutto per la pressione tedesca sul governo di Pavelich. Molti ebrei riuscirono a salvarsi fuggendo nella zona sotto controllo italiano.
11) Cfr Actes et documents du Saint Siege relatifs ŕ la seconde guerre mondiale, 9, n. 226, p. 337.
12) Ivi, 8, n. 441, p. 611.
13) S. K. Pavlowitch, Unconventional perceptions of Yugoslavia 1940-1945, New York 1985.

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