Celibato

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Heleneadmin
00sabato 29 gennaio 2011 16:41
www.cristianicattolici.net/il_celibato_dei_preti.html


IL CELIBATO DEI PRETI


Il celibato dei preti discusso e ridiscusso, spesso indicato come uno dei mali della Chiesa cattolica, è veramente causa di alcune deviazioni sessuali che attanagliano taluni preti?
La pedofilia clericale, è davvero frutto delle privazioni sessuali di questi preti?
I pedofili nel mondo sono tutti celibi?
Non mi risulta, anzi spesso, troppo spesso, sono padri che violentano i propri figli, nonni che abusano dei nipoti, gente sposata e perversa più dei celibi.
Mariti e mogli che tradiscono i propri coniugi, perché lo fanno? Non certo perché sono celibi!
I mali dell’uomo, la miseria umana non derivano dal celibato, ma del peccato che è ben altra cosa. Anche molti pastori protestanti attaccano la chiesa cattolica sul fatto che i preti non si possono sposare.
In Mt 19,10-11 Gesù risponde che qualcuno ha scelto di farsi eunuco a causa del regno dei cieli.
I preti non vengono ricercati e incarcerati, ma scelgono loro stessi di fare il voto di castità, si rendono eunuchi per il regno dei cieli. In Isaia 56,3-5 “Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: «Certo mi escluderà il Signore dal suo popolo!». Non dica l’eunuco: «Ecco, io sono un albero secco!». Poiché così dice il Signore: «Agli eunuchi, che osservano i miei sabati, preferiscono le cose di mio gradimento e restan fermi nella mia alleanza, io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un posto e un nome migliore che ai figli e alle figlie; darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato.”

Dal 1200 d.c. i preti cattolici non possono sposarsi per effetto di una legge della Chiesa.
Nel corso dei secoli è maturata, tra le altre, la riflessione che il sacerdote è colui che agisce e ripropone la figura di Cristo, quindi si propone al popolo come se fosse il Cristo, imita Gesù nel suo comportamento santo, e fa il possibile per rappresentare Cristo in ogni scelta di vita, attenzione, non si sostituisce a Cristo ma lo rappresenta, in quanto suo ministro.
Anche Paolo ci fa capire che lui non era sposato, e che avrebbe gradito che tutti gli altri fratelli fossero rimasti come lui, e che era contento della sua condizione di consacrato totalmente a Dio, così come aveva fatto Gesù.
Questo non significa che gli sposati sono dei peccatori, perché in Genesi Dio unì l’uomo e la donna dicendogli di amarsi e moltiplicarsi, ma Paolo fa una distinzione tra matrimonio e verginità, dicendo chiaramente che quest’ultima è migliore, pur non disprezzando il matrimonio, infatti il matrimonio viene da Dio, e va vissuto mettendo al centro Gesù Cristo. Comunque ogni cristiano sposato o no, deve vivere mettendo al primo posto Gesù Cristo.

“Poi guardai ed ecco l’Agnello ritto sul monte Sion e insieme centoquarantaquattromila persone che recavano scritto sulla fronte il suo nome e il nome del Padre suo. Udii una voce che veniva dal cielo, come un fragore di grandi acque e come un rimbombo di forte tuono. La voce che udii era come quella di suonatori di arpa che si accompagnano nel canto con le loro arpe. Essi cantavano un cantico nuovo davanti al trono e davanti ai quattro esseri viventi e ai vegliardi. E nessuno poteva comprendere quel cantico se non i centoquarantaquattromila, i redenti della terra. Questi non si sono contaminati con donne, sono infatti vergini e seguono l’Agnello dovunque va. Essi sono stati redenti tra gli uomini come primizie per Dio e per l’Agnello. Non fu trovata menzogna sulla loro bocca; sono senza macchia.” (Ap 14,1-5)

S.Giovanni usa la frase “contaminati con donne” e sta parlando in assoluto, non specifica infatti se sono mogli o concubine, si riferisce evidentemente alla purezza verginale assoluta, che si ha solo quando ci si consacra a Dio, rendendosi eunuchi per il regno dei cieli.
Del resto basta semplicemente ricordare la Genesi, Adamo ed Eva restarono vergini fino a quando incontrarono il demonio. Gli angeli sono vergini, Cristo è vergine, S. Paolo stesso consiglia di restare come lui, cioè vergini, tuttavia benedice il matrimonio.

In Isaia 56,3-5 “Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: «Certo mi escluderà il Signore dal suo popolo!». Non dica l’eunuco:«Ecco, io sono un albero secco!». Poiché così dice il Signore: «Agli eunuchi, che osservano i miei sabati, preferiscono le cose di mio gradimento e restan fermi nella mia alleanza, io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un posto e un nome migliore che ai figli e alle figlie; darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato.”
Indubbiamente lo stato di verginità consacrata al Signore, richiede una spiritualità superiore, e avrà quindi una ricompensa superiore.
I protestanti invertono la priorità dei consigli biblici, preferendo il matrimonio. Biblicamente parlando nulla osta il matrimonio benedetto da Dio, ma la verginità è uno stato superiore ancora più benedetto. Del resto l’Apocalisse stessa ci attesta che sono in vergini i santi che seguono l’Agnello ovunque va, non solo ma parla pure di “contaminazione con donne” cioè perdita della purezza iniziale. Tuttavia Adamo ed Eva perdendo la loro purezza iniziale, furono lo stesso benedetti dal Signore, ma restarono contaminati e furono cacciati dall’Eden. A causa dell’inganno persero la verginità del loro cuore, fuori dall’Eden persero la verginità carnale. Non si contaminarono carnalmente alla presenza di Dio, perché nulla di impuro può stare alla Sua presenza.
Purtroppo per i protestanti la verginità non ha alcun valore, non riescono a comprendere come monaci e preti (ma anche laici cristiani) possano consacrare spontaneamente la propria verginità a Dio, secondo loro la verginità consacrata è solo frutto dell’imposizione vaticana.
Per la maggior parte dei protestanti quindi la verginità consacrata non ha alcun valore biblico.
Evidentemente predicano un altro Vangelo, visto che la Bibbia la esalta!

“La questione del valore da assegnare al celibato di consacrazione non è secondaria ai fini della giusta comprensione del disegno salvifico di Dio e dell’evento cristiano.
Il celibato volontario e il matrimonio sono presentati entrambi dalla parola di Dio come doni desiderabili e come condizioni esistenziali spiritualmente preziose. Ciascuno –dice s.Paolo- ha il proprio dono da Dio, chi in un modo che in un altro (1 Cor7,7); vale a dire chi vivendo da coniuge, chi vivendo deliberatamente sciolto da ogni legame nuziale. Nell’ottica evangelica, dunque, sia il celibato come stato di vita liberamente voluto sia l’unione sponsale sono “doni di Dio” (charismata) fatti al singolo in vista del bene generale della comunità.
E’ un carisma eccezionale, il pensiero di Gesù sull’argomento ci è notificato con straordinaria forza espressiva: “vi sono eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il Regno dei cieli. Chi può capire capisca” (Mt 19,12). Questa frase è inquadrata nella problematica circa la legittimità o illegittimità del ripudio, ma le trascende: non si tratta più del marito che in ogni caso deve stare unito alla moglie, ma dell’uomo che si pone nella situazione di non unirsi a nessuna donna. Il termine “eunuco” indica uno stato senza ritorno: niente è più lontano dal pensiero di Cristo di un impegno a scadenza o di una dedizione soltanto provvisoria. Il Vangelo non consoce contratti a termine. Gesù dice non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato “concesso” (Mt 19,11). Come si vede, la preferenza del Signore è nettissima; ma al tempo stesso egli suppone che sia un dono parsimoniosamente distribuito. In ogni caso, non così largamente come il dono dello stato sponsale. Dice anche: “chi può capire capisca”. “Chi può capire”: non è quindi una proposta rivolta a tutti. “Capisca” (chorèito): è un imperativo che manifesta il vivo desiderio che la possibilità sia di fatto tradotta in pratica.” Mons. Giacomo Biffi dal Timone n.37 del novembre 2004
“Per il Regno dei cieli” ci indica oltre allo stato angelico in cui saremo un giorno, dove non esisteranno più rapporti carnali, la necessità che qualcuno si prodighi affinché questo Regno sia già presente sacramentalmente in mezzo agli uomini.
Domandiamoci: perché Cristo non si è sposato, pur essendo arrivato a un’età considerata matura, ed essendo vissuto in una società che non aveva la consuetudine celibataria tra le scelte apprezzate? Gli ebrei del tempo infatti consideravano oltraggioso il celibato, non era cosa buona rimanere celibi.
Non è possibile considerare questo fatto come occasionale e irrilevante, perché tutto in Cristo è finalizzato e significante. Il celibato in Cristo ha senza dubbio un’indole manifestativa: è la prova che l’umanità non è rimasta preda dell’abbandono e della solitudine, ma al contrario è chiamata a entrare in una comunione sponsale col suo Salvatore e Signore.
Gesù è solo apparentemente celibe. In realtà è lo “Sposo” già sposato. Egli è sposo nei confronti dell’umanità redenta e rinnovata, cioè della Chiesa.
Che cosa vuol dire il suo “essere sposo” nei confronti della Chiesa? Vuol dire che Cristo è “capo” della Chiesa, la quale è perciò il suo “corpo”, ed è sottomessa a lui. Vuol dire che l’ha presa dalla corruzione del mondo, le ha dato il suo nome, e così l’ha riscattata: egli è “il salvatore del corpo” (Ef 5,25). Vuol dire che la rigenera e la purifica continuamente per mezzo dei sacramenti e della Parola di Dio. (Ef 5,26)
Spesso quando molti fratelli non cattolici devono attaccare la Chiesa cattolica tra i tanti argomenti di divergenza amano menzionare il “celibato forzoso” dei preti, dicendo che non è biblico. Dalle loro parole e dai loro discorsi sembrerebbe quasi quasi che la Chiesa cattolica mandi in giro i preti a reclutarne di nuovi, obbligandoli a non sposarsi. Molti fratelli separati dimenticano che un uomo decide liberamente di farsi prete e quindi di rinunciare al matrimonio, non è una forzatura, ma un atto di libera scelta.
Ai candidati al sacerdozio la Chiesa richiede espressamente oggi, per il rito latino, il celibato.

Il Sinodo di Elvira (Spagna) 300-303 d.C.

Delle testimonianze di vario genere che riguardano questo tema si deve invocare per prima quella del Concilio di Elvira. Nel primo decennio del secolo IV dopo Cristo si sono radunati vescovi e sacerdoti della Chiesa di Spagna nel centro diocesano di Elvira presso Granada per sottoporre ad una regolamentazione comune le condizioni ecclesiastiche della Spagna appartenente alla parte occidentale dell'Impero Romano, la quale sotto il Cesare Costanzo godeva di una pace religiosa relativamente buona. Nel periodo precedente, durante le persecuzioni dei cristiani, si erano verificati degli abusi in più di un settore della vita cristiana che aveva subito dei danni seri nell'osservanza della disciplina ecclesiastica. In 81 canoni conciliari si emanarono dei provvedimenti riguardo a tutti i campi più importanti della vita ecclesiastica che richiedevano dei chiarimenti e dei rinnovamenti, allo scopo di riaffermare la disciplina antica e di sancire le nuove norme resesi necessarie.
Il can. 33 di questo Sinodo contiene dunque la, già nota, prima legge sul celibato. Sotto la rubrica: " Sui vescovi e i ministri (dell'altare) che devono cioè essere continenti dalle loro consorti " sta il testo dispositivo seguente: " Si è d'accordo sul divieto completo che vale per i vescovi, i sacerdoti e i diaconi, ossia per tutti i chierici che sono impegnati nel servizio dell'altare, che devono astenersi dalle loro mogli e non generare figli; chi ha fatto questo deve essere escluso dallo stato clericale ". Già il canone 27 aveva insistito sulla proibizione che donne estranee abitassero insieme con i vescovi ed altri ecclesiastici. Essi potevano tenere con sé solo una sorella o una figlia consacrata vergine, ma per nessun motivo una donna estranea.
Da questi primi importanti testi legali si deve dedurre quanto segue: molti, se non la maggior parte, dei chierici maggiori della Chiesa spagnola di allora erano viri probati vale a dire uomini sposati prima della loro ordinazione a diaconi, sacerdoti, vescovi. Essi però erano obbligati, dopo aver ricevuto l'ordine sacro, ad una completa rinuncia di ogni ulteriore uso del matrimonio, di osservare cioè completa continenza. Alla luce delle finalità del Concilio di Elvira, del diritto e della storia del diritto nel grande Impero Romano di cultura giuridica che dominava in quell'epoca anche nella Spagna, non è possibile vedere nel canone 33 (assieme con il canone 27) una legge nuova. Esso appare invece chiaramente quale reazione contro una non-osservanza ormai largamente invalsa di un obbligo tradizionale ben noto, al quale ora si annette anche la sanzione: o osservanza dell'obbligo assunto o rinuncia all'ufficio clericale. Una novità in questo campo con una tale generale retroattività della sanzione contro diritti già ben acquisiti dal tempo dell'ordinazione avrebbe causato una tempesta di proteste contro una tale evidente violazione di un diritto in un mondo tutt'altro che digiuno di diritto. Ciò ha percepito chiaramente già Pio XI quando, nella sua Enciclica sul sacerdozio, ha affermato che questa legge scritta suppone una prassi precedente.

Nel 385 d.C. leggiamo (nel Denzinger al punto 185) che Siricio scrivendo a Imerio di Tarragona parla tra le altre cose pure del celibato dei preti, infatti leggiamo:

Il celibato dei chierici
“…Abbiamo infatti appreso, che molti sacerdoti di Cristo e leviti lungo tempo dopo la loro consacrazione hanno generato prole sia dal proprio matrimonio che anche da turpe coito e che si difendono da incriminazioni con la scusa che nell’Antico Testamento si legge che ai sacerdoti e ai ministri (è) concessa la facoltà di generare.
(Contro questa argomentazione il papa si oppone) Per quale motivo si comandava ai sacerdoti nell’anno del loro ministero di abitare nel tempio, lontano persino da casa? Senz’altro perché non potessero esercitare rapporti carnali neppure con le mogli, per offrire a Dio un dono gradito nello splendore dell’integrità della coscienza.
Per questa anche il Signore Gesù, avendoci illuminati con la sua venuta, testimonia nel Vangelo di essere venuto a completare la Legge, non ad abolirla (Mt 5,17), e perciò volle che la figura della Chiesa, di cui è lo sposo, emani lo splendore della castità, affinché nel giorno del giudizio, quando di nuovo verrà, la possa…trovare “senza macchia e ruga” (Ef 5,27). Dalla legge indissolubile di queste disposizioni siamo legati noi tutti sacerdoti e leviti, affinché dal giorno della nostra ordinazione consegniamo sia i nostri cuori che i nostri corpi alla sobrietà e alla pudicizia, per piacere al Signore nostro Dio nei sacrifici che ogni giorno offriamo (Eucaristia).”

Vediamo come già nel 385 d.C. a causa degli abusi di alcuni preti (nicolaiti), la Chiesa preferì la castità, già comunque tramandata dalla tradizione apostolica, che sicuramente meglio si avvicina alla nostra condizione futura, nel regno dei cieli non ci saranno più rapporti carnali, e i ministri già fin dalla vita terrena sono tenuti ad essere luce brillante, come anticipo del regno dei cieli.
Naturalmente gli errori umani sono sempre esistiti ed esisteranno fino alla fine dei giorni, ma gli errori di alcuni non compromettono tutta la Chiesa.

San Girolamo
Un secondo teste ci è già noto: San Girolamo è stato ordinato sacerdote nell'Asia Minore circa l'anno 379 e ha poi conosciuto nello spazio di sei anni uomini di Chiesa, comunità di monaci ed anche le dottrine e la disciplina dell'Oriente. Dopo aver dimorato per tre anni a Roma ritornò, attraverso l'Egitto, nella Palestina ove rimase fino alla morte avvenuta attorno al 420. Egli si teneva sempre in stretto e vivo contatto con la vita di tutta la Chiesa, essendosene reso capace in modo straordinario attraverso la sua familiarità con molti uomini contemporanei importanti nell'Oriente e nell'Occidente, anche grazie alla sua conoscenza estesa di molte lingue.
Le sue testimonianze esplicite sulla continenza del clero sono già state riportate nella seconda parte. Qui sia nuovamente ricordata la sua opera "Adversus Vigilantium" nella quale, contro il sacerdote della Gallia meridionale che disprezzava il celibato, si è appellato alla prassi delle Chiese dell'Oriente, dell'Egitto e della Sede Apostolica, le quali tutte accettano, afferma, solo chierici vergini, continenti e, se sposati, coloro che hanno rinunciato all'uso del matrimonio. Con ciò abbiamo una testimonianza sulla posizione ufficiale anche della Chiesa Orientale nei riguardi della continenza dei ministri sacri.
Riguardo alla legislazione dei sinodi orientali è da osservare che i concili regionali prima di Nicea, ossia quello di Ancira e Neocesarea e quello postniceno di Gangra parlano si di ministri maggiori sposati, ma non ci danno una sicura informazione sulla liceità di una vita non continente, dopo l'ordinazione sacra, che superi qualche situazione eccezionale.
Anche nei sinodi particolari delle varie Chiese scismatiche dell'Oriente, che si sono stabilite in seguito alle controversie cristologiche e nelle quali si può costatare una sicura deviazione dalla continenza nella prassi della disciplina celibataria, come nell'Occidente, troviamo piuttosto una testimonianza per l'atteggiamento ufficiale contrario all'ortodossia.
Il celibato dei preti non è parte strutturale del sacramento. I pentecostali ne parlano come se il celibato fosse una “verità di fede” alterata e imposta dalla Chiesa cattolica, al pari della Trinità o di altri dogmi, ma essa è invece una semplice norma giuridica che può essere modificata in ogni momento; quello che sto scrivendo potrà essere confermato da qualunque giurista di diritto canonico. Quando il celibato venne introdotto nel rito latino, esso venne introdotto -lo dicono espressamente i documenti dell’epoca- per semplice opportunità, in una situazione assai disastrosa per la chiesa occidentale, dove dilagava la simonia e il concubinato.
Il Concilio Vaticano II nella Presbyterorum Ordinis riafferma l’opportunità (nota, opportunità e non necessità) di conservare l’obbligo del celibato.
Preferisco lasciare la parola ai padri del Concilio Vaticano II che nella Presbyterorum Ordinis hanno affrontato anche questo aspetto della missione sacerdotale. La parte del documento che cito è al numero 16 del suddetto documento.
“La perfetta e perpetua continenza per il Regno dei cieli, raccomandata da Cristo Signore (Cfr. Mt 19, 12), nel corso dei secoli e anche ai nostri giorni volentieri abbracciata e lodevolmente osservata da non pochi fedeli, è sempre stata considerata dalla chiesa come particolarmente confacente alla vita sacerdotale. È infatti segno e allo stesso tempo stimolo della carità pastorale, e fonte speciale di fecondità spirituale nel mondo (Lumen Gentium, n 42). Certamente essa non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente dalla prassi della chiesa primitiva (1 Tm 3, 2-5; Tit 1, 6) e dalla tradizione delle chiese orientali, nelle quali, oltre a coloro che assieme a tutti i vescovi scelgono con l’aiuto della grazia di osservare il celibato, vi sono anche degli eccellenti presbiteri coniugati: ma questo sacrosanto sinodo, nel raccomandare il celibato ecclesiastico, non intende tuttavia mutare quella disciplina diversa che è legittimamente in vigore nelle chiese orientali, anzi esorta amorevolmente tutti coloro che hanno ricevuto il presbiterato quando erano allo stato matrimoniale, a perseverare nella santa vocazione, continuando a dedicare pienamente e con generosità la propria vita per il gregge loro affidato.”
Dal punto di vista storico, possiamo dire che, nel tempo apostolico sia presbiteri che vescovi potevano essere scelti tra le persone sposate. La continenza non era affatto la norma per nessuno, anche se già Paolo la considera come utile nella prima lettera ai corinzi, e avvertì taluni che era meglio sposarsi che bruciare di passione.
In Cor 7,6-11 Paolo scrive: “Vorrei che tutti fossero come me (cioè celibi, preferibilmente vergini, ndr) ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro. Ai celibi e alle vedeve dico è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno contenersi, si sposino; è meglio sposarsi che ardere!”

Vorrei: il verbo adoperato (thèlo) esprime il desiderio e il voto del cuore anziché la volizione deliberata che si esprime con il verbo boùlomai. L’Apostolo si augurerebbe che tutti fossero come lui, cioè senza vincoli matrimoniali; ma se la via della verginità è dono di Dio, anche il matrimonio cristiano entra nella categoria dei doni divini e gode perciò della sua benedizione.
Nello stesso capitolo Paolo parla del matrimonio e le varie problematiche ad esso legate, come ad esempio l’unione tra un cristiano e una pagana o viceversa. Paolo lo fa con modestia e semplicità facendo notare che è lui ha parlare e non il Signore, ma mette in campo la sua autorità apostolica che si adatta alla specifiche esigenze di quella comunità locale “…ma se il pagano vuole separarsi, si separi; in questi casi il fratello o la sorella non sono vincolati; Dio vi ha chiamati alla pace!”
In questi casi l’unione matrimoniale da mezzo di santificazione e di edificazione diventava strumento di angustia e fonte di pericoli per la fede e per l’esito stesso della salvezza. L’Apostolo ne prevede perciò lo scioglimento, in forza dell’autorità che gli compete nel regolare e dirigere la vita della Chiesa. Vediamo chiaramente come Paolo in forza della sua autorità di pastore, decide in questioni dottrinali e disciplinari, non pregiudicando affatto la sana dottrina cristiana, ma consigliando con ragionevolezza decide per il bene della Chiesa.
In questo contesto non si capisce perché la Chiesa cattolica non possa decidere di consigliare il celibato ai preti! Gesù parlando dell’indissolubilità del matrimonio non aveva accennato al caso specifico dei matrimoni misti, Paolo lo fa. Seguendo la “logica” e i metodi dei fratelli protestanti, Paolo starebbe sbagliando quando dice “…Ma se il pagano vuole separarsi si separi; in questi casi il fratello o la sorella non sono vincolati…”
Gesù non disse mai una frase del genere, almeno non la troviamo scritta nella Bibbia, eppure Paolo decide il da farsi in questo caso specifico, infatti scrive “…non il Signore ma io vi dico…” significa che sta toccando argomenti non dogmatici ma disciplinari; lo stesso dicasi per il celibato dei preti, che è appunto questione disciplinare e non affatto dogmatica. (cfr Pietro Rossano)
Nella storia cristiana troviamo persone che seguissero invece Cristo nella professione spontanea dei consigli evangelici di povertà castità e obbedienza iniziarono ad esserci solo nel IV secolo, uno dei primi è Antonio d’Egitto. Prima di tale data solo alcune donne, pur condividendo in tutto la vita degli altri fedeli, facevano di fronte al vescovo voto di restare vergini a vita. Tale stato si perse nei secoli ed è stato nuovamente realizzato dal Vaticano II che ha istituito l’Ordine delle Vergini e vedove alla diretta dipendenza dell’Ordinario diocesano.
Dicevo della vita religiosa. All’inizio questi religiosi che emettevano i voti di povertà, castità e obbedienza non erano sacerdoti, ma, vivendo spesso in zone lontane dai centri abitati, da subito nacque il problema dell’amministrazione dei sacramenti, così uno o due della comunità ricevevano l’ordine per servizio agli altri fratelli, mentre i sacerdoti che vivevano nelle città e nelle campagne e a contatto con le persone continuavano ad essere sposati. A questo punto la storia (che è soprattutto storia del bacino mediterraneo, per cui Occidente si deve intendere come Europa occidentale ed Oriente come Europa orientale e medio oriente); mentre in oriente quei preti che vogliono vivere i voti (tra cui quello di castità) si ritirano in monastero, facendo si che il servizio nelle “parrocchie” fosse lasciato ai preti sposati, l’ideale monastico divenne in Occidente così forte e assolutizzante che si vide l’opportunità per tutti i preti, anche coloro che non sceglievano la vita religiosa in un monastero, a vivere da celibi.
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