Europa e moschee

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LiviaGloria
00sabato 2 gennaio 2010 18:22
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In Europa poche moschee?
Falso, ecco tutti i numeri

Un recente studio, presentato ieri a Bruxelles ai sindaci delle maggiori città europee, dimostra che esiste un luogo di culto ogni 1840 musulmani. Come nei paesi islamici. E tra chiese e cristiani il rapporto è lo stesso.
Forse vale la pena di ricordare quanto, pochi giorni fa, ha affermato il Cardinale Vinko Puljić, Arcivescovo di Sarajevo e Presidente della Conferenza Episcopale Bosniaca: “I petrodollari aiutano a costruire molte moschee e centri islamici e provocano un cambiamento di mentalità: contro il cristianesimo e specialmente contro i cattolici”. “A fine ottobre, il Ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, ha detto a Sarajevo che lo scopo della politica turca è la nuova ascesa dell’impero ottomano nei Balcani, come nel XVI secolo: nessuna voce in Europa e in America si è levata in segno di protesta. A Fiume e a Colonia si dà il permesso per costruire le moschee e questo è giusto, ma perché nessuno guarda a come vivono i cattolici a Sarajevo o in Turchia? Occorre affermare la reciprocità, non contro qualcuno, ma positiva, per il bene di tutti”.

Quando i salottieri europei, anche cattolici, la finiranno di chiudere gli occhi davanti alla realtà?


I luoghi di culto islamici in Europa, comprese le moschee, sono pochi? Niente di più falso. Se si calcolano anche le musalla, le stanze di preghiera ricavate in maniera carbonara, esiste già un luogo di culto ogni 1.840 musulmani. Un dato che non si allontana di molto dai numeri delle parrocchie cristiane e dalle moschee nel mondo musulmano. Dall’Inghilterra alla Grecia passando per Spagna, Francia, Italia, Austria, Germania, Belgio, Olanda, Danimarca e Paesi del Nord esistono 9.090 moschee e luoghi di culto islamici per una popolazione musulmana di 16,56 milioni. Se ci aggiungiamo la Bosnia arriviamo a 10.957, in pratica un posto dove genuflettersi verso la Mecca ogni 1.650 abitanti.
«Un dato che appare sorprendente di fronte alla generica convinzione che i luoghi di culto islamici siano numericamente pochi» si legge nella ricerca, fresca di stampa, «Conflitti sulle moschee in Europa. Problemi politici e tendenze» di Stefano Allievi docente di sociologia a Padova. Lo studio finanziato dalla Network european foundation, consorzio delle più importanti Fondazioni private del vecchio continente, è stato presentato ieri a Bruxelles ai sindaci delle maggiori città europee. Dopo il “no” ai minareti della Svizzera si è parlato di colpo alla libertà religiosa, ma in realtà i luoghi di preghiera islamici spuntano come funghi in mezza Europa, anche se le moschee vere e proprie, con tanto di minareti, sono poche. Il grosso è rappresentato da stanze, appartamenti, scantinati, garage e centri islamici per i seguaci di Maometto.
In Italia, con una popolazione musulmana di 3,4 milioni, i luoghi di culto musulmani sono 749. In gran parte nel Nord e in Emilia Romagna sono 104, nonostante il ministero degli Interni ne abbia ufficialmente registrato poco meno di 300. Le moschee sono tre: quella in disuso di Catania, quella di Segrate alle porte di Milano e il Centro islamico culturale di Roma inaugurato nel 1995. Altre 5 sono in fase di progettazione o di costruzione, spesso fra mille polemiche, come quella di Colle val d’Elsa, in Toscana.
Nei 14 Paesi europei analizzati nella ricerca «Conflitti sulle moschee» la Bosnia, con il 40% della popolazione di fede islamica, è ovviamente un caso a parte. Mentre è la Germania a detenere il primo posto fra i Paesi «occidentali» con 2.600 luoghi di culto islamici. Grazie agli immigrati turchi è il secondo Paese europeo per popolazione musulmana (7,2 milioni). Non solo: i tedeschi ospitano 66 moschee e altre 200 sono in costruzione o in fase progettuale. La Francia, però, ha il primato occidentale nel vecchio continente con un numero di moschee fra le 100 e le 200, mentre altre 60 sono in costruzione. In compenso i luoghi di culto musulmani sul territorio francese risultano ben 2.600 con l’8% di popolazione islamica.
L’Olanda, che un tempo finanziava la costruzione di minareti, ha voltato pagina dopo l’omicidio del regista Theo van Gogh. Sul territorio olandese ci sono comunque 100 moschee, altre 15 progettate e 432 luoghi di preghiera islamici. La Gran Bretagna, dove il terrorismo in franchising ispirato ad Al Qaida fa proseliti, i dati non sono precisi. Si contano fra 850 e 1.500 luoghi di preghiera, dei quali un massimo del 20% sono vere e proprie moschee. I Paesi del nord Europa, nonostante lo stereotipo della tolleranza, hanno non pochi problemi. In Danimarca esiste il doppio dei luoghi di culto islamici (115) rispetto alla Svezia, nonostante la popolazione musulmana sia la metà.
Dalla ricerca sulle moschee in Europa emerge che nei 14 Paesi studiati vivono oltre 18 milioni di musulmani con 10.957 luoghi di preghiera. In pratica una musalla o moschea ogni 1.650 maomettani. Secondo Allievi, autore della ricerca, «in Europa non c’è un problema di libertà religiosa per i musulmani. Anche se in alcune aree specifiche, come il Veneto e Lombardia, esistono una cinquantina di casi contrari». I dati comunque dimostrano che i luoghi di culto islamici sono in espansione nonostante il “no” svizzero. «Me l’aspettavo, anche se nelle città come Zurigo, dove esistono già i minareti, hanno vinto i “sì” - ha spiegato Allievi -. In Europa i luoghi di culto islamico continueranno comunque ad aumentare seppure in percentuale minore rispetto al passato. Quando si apre una moschea la clientela non manca mai».

di Fausto Biloslavo
www.faustobiloslavo.eu
Il Giornale martedì 01 dicembre 2009

LiviaGloria
00sabato 2 gennaio 2010 18:34
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Il rifiuto dei minareti, occasione per ripensare l’Islam e l'Europa

I sondaggi in Europa mostrano che il referendum elvetico avrebbe vinto anche in Francia, Olanda, Belgio, Italia, Spagna, Germania, Austria. Il no ai minareti è il no alle crescenti (e mai sazie) richieste islamiste. La popolazione europea pensa in modo diverso dai suoi leader e vuole riaffermare la sua identità.
Il no ai minareti è un invito al vero dialogo e un fermo no alla dissoluzione…




Parigi (AsiaNews) - Il risultato del referendum degli svizzeri ha suscitato un’ondata di inchieste e domande su internet e sulla stampa, con reazioni talvolta molto violente, talvolta più favorevoli.
In genere i politici hanno reagito in modo negativo, criticando questo voto. Invece la gente in Europa è stata molto favorevole all’esito.
Alcuni siti e giornali europei hanno votato così:
I sondaggi in Europa
In Francia, il giornale Le Monde ha fatto un’inchiesta: “Organizzare un referendum come quello della Svizzera è un segno di democrazia o di irresponsabilità? Il 61,5% ha detto che è democrazia; 33,2% ha detto che è irresponsabilità; il 5,3% senza opinione.
L’Express ha fatto un’altra domanda: Se si facesse lo stesso referendum in Francia che cosa rispondeste? L’86% risponde sì, è contro i minareti; 11% no; 2% non risponde
Le Figaro, che è di destra: 77% sì al divieto; 23% no.
BFM, una tivu, ha avuto questi risultati: 75% di sì; 25% di no.
Radio Montecarlo 83% sì; 17% no;
Euronews, piuttosto di sinistra, 70% sì; 29% no; 1% non sa.
Le Soir in Belgio 63,2% si; 34% no; 2,8 senza parere.
In Spagna “Venti minutos” dà 94% di sì; 6% di no. El Mundo 79% sì; 21% no (con 25 mila intervenuti)
In Germania, Die Welt online: 87% sì; 12% no; 2% non so.
In Austria, Die Presse : 54% sì; 46% no. È la più bassa di tutte le inchieste.
In Italia ho visto solo “Leggo” che dà 84,4% sì; 13,6 no; 2% non so. Nando Pagnoncelli, direttore dell’IPSOS, afferma però che “in generale il tema dell'Islam e dell'immigrazione suscita preoccupazione e in alcuni casi anche allarme sociale, in quanto c'è una percezione di fanatismo”. Se ci fosse un referendum simile a quello svizzero, le voci favorevoli sarebbero largamente vincenti.
In Olanda Elzevier ha dato 86% sì; 16% no.
Questo dà un’immagine – forse non perfetta ma interessante: in tutta l’Europa c’è una reazione di paura di fronte a un pericolo che proviene dall’islam. E c’è anche un atto di coraggio per osare dire “basta” malgrado la propaganda dei politici e le minacce di ritaglio che lasciavano intravedere. Nel suo commento al voto, il Dr. Issam Mujahid, portavoce della comunità musulmana di Brescia, dice: “E’ un voto di paura”, ma aggiungeva “e tutti noi siamo responsabili”.
Alcune riflessioni su questi dati
Questo referendum può diventare un’occasione positiva per riflettere insieme. “Perché ora, dice Issam Mujahid, c’è la necessità e la possibilità di assumerci le nostre responsabilità per lavorare a favore del dialogo tra le civiltà e bocciare la tesi dello scontro”.
1. La gente in Europa non rigetta il minareto per difendere la cristianità. Non è un problema religioso: è un problema culturale e di visibilità.
2. La gente sente che se dice sì al minareto, domani si diffonderà anche l’appello alla preghiera, poi i microfoni; poi ci saranno le richieste per avere la carne halal negli ospedali o nelle mense scolastiche, poi verranno le interruzioni al lavoro per fare le cinque preghiere prescritte (come hanno cercato di fare con me all’università di Birmingham nel 1991 quando ci insegnavo) … Ogni tanto i musulmani fanno qua e là nuove richieste, che crescono sempre di più in luoghi e Paesi, portando nuove richieste. E una volta ottenuto una licenza non si ritorna mai indietro. Non si è mai visto che i gruppi musulmani si siano fermati a un certo punto. E questo fa riflettere gli europei.
3. Se guardiamo la situazione degli immigrati, solo un po’ più di un terzo provengono da regioni musulmane. Due terzi da altre zone (Asia, Europa orientale; Africa, America latina). Eppure quel terzo fa sempre parlare di sé, perché fa di continuo richieste di tipo religioso-culturale: I vietnamiti, i cinesi, gli indiani, gli africani non islamici, i latinos non hanno queste rivendicazioni culturali e di visibilità.
Qual è dunque il problema?
4. L’Europa sta scoprendo, con la presenza di altre culture che anche se stessa ha una propria cultura. La reazione italiana contro la decisione di Strasburgo di abolire il crocifisso nei luoghi pubblici, sottolinea la difesa di un elemento della cultura (oltre che della religione di molti). Questa riscoperta della cultura è essenziale per il dialogo.
I musulmani arrivano con un sentimento forte di identità culturale religiosa perché nel mondo islamico questi due campi non sono divisi. Gli europei invece, che sono però la maggioranza, faticano a dire qual’è la loro identità. Ora, non c’è vero dialogo se un partner ha un identità forte e l’altro debole, e neppure se i due partner sono deboli. Il dialogo è più duro quando ambedue hanno una forte identità, ma è più ricco e valido!
5. D’altra parte, come dice Issam Mujahid, “in Europa manca la cultura della società civile musulmana organizzata. In Europa, l’islam è rappresentato solo dalle moschee. E questo è sbagliato”. I musulmani integrati in Europa non aiutano la comunità islamica immigrata in tempi più recenti ad integrare i valori della cultura europea. Da parte loro, gli imam spesso non sono in grado di trasmettere questi valori, perché loro stessi non li hanno percepiti.
6. Il senso del voto svizzero potrebbe essere riassunto cosi’: “Noi non vogliamo più proteggere la diversità culturale e garantire la libertà religiosa sottomettendoci all’intolleranza degli islamisti ... che a loro volta non tollerano la diversità culturale e la libertà religiosa”.
Stabilire un vero dialogo inter-culturale
Da parte dei musulmani questa è un’occasione per dire cosa è davvero importante nella loro fede e nella loro cultura e cosa manca qui in Europa. Sicuramente, il musulmano non può riproporre tutto quello che aveva in patria, perché vive in un’altra nazione che ha le sue leggi, norme, usanze, ecc. Facendo così, si vedrà se è possibile stabilire qualche direttiva a livello nazionale, o privato o da soli.
Da parte europea è tempo di domandarsi cosa ci definisce e ci costituisce davvero.
L’Islam deve rinnovarsi, cercando di distinguere fra l’essenziale e l’occasionale; e l’occidente deve anch’esso approfondire e vedere cosa è essenziale nella propria identità.
Prendiamo ad esempio il velo
E’ un precetto, ma non vuol dire che sia essenziale. Molti grandi autori musulmani hanno scritto su questo. Gamal al-Banna, il fratello minore di Hassan al-Banna, fondatore dei Fratelli Musulmani, ha scritto un libro e diversi articoli per dire che il velo non è un obbligo. É un consiglio dato anzitutto alle mogli di Maometto; poi non si capisce se è detto per tutte le donne. In ogni modo, non si capisce se questo è detto solo per una determinata situazione o per sempre.
Lo sforzo dell’esegesi e dell’ermeneutica sta proprio nel discernere se qualcosa è fondamentale o se è qualcosa di particolare, valida solo per quella volta.
Molti musulmani cercano di fare questa esegesi, ma i problemi sono tanti: non vi è una dottrina costituita; manca un magistero, un’autorità che decida e dirima le questioni controverse…
Per questo nel mondo islamico, fino a 50 anni fa, il velo era quasi scomparso da Paesi come l’Egitto, la Siria, il Libano, ecc. e nessun imam ha mai gridato allo scandalo. Da 30 anni è ricominciato a venir fuori ancora ed oggi è divenuto quasi un obbligo.
I musulmani, nel corso della storia fanno questa distinzione tra ciò che è fondamentale, e ciò che è secondario. Anche sulla preghiera: pochi musulmani fanno davvero, 5 volte al giorno, le preghiere. Sempre di più vediamo che la comunità musulmana rigetta la religione imposta e rispetta chi, credente, non vuol praticare. La libertà religiosa è il fondamento di tutte le libertà, e se i musulmani la di richiamano per loro, a giusto titolo, in Europa, è ovvio che devono lottare per darla ai non musulmani nei paesi musulmani.
di Padre Samir Khalil Samir
AsiaNews 04/12/2009 08:39



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