Fjodor Dostoievski (1821-1881)

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LiviaGloria
00giovedì 4 gennaio 2007 17:19
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CAPITOLO II - L'INCONTRO CON CRISTO

§ 1. - Fjodor Dostoievski (1821-1881). L'uomo fra due abissi.

Nell'anno 1849, in un convoglio di condannati ai lavori forzati in Siberia, stava un giovane pallido e taciturno. Si era compromesso lui pure, ufficiale dell'esercito, nei moti rivoluzionari socialisti, e la condanna a morte gli era stata per grazia commutata nell'ergastolo siberiano. Ad una sosta agli Urali, donne pietose vennero a confortare i detenuti, e il giovane taciturno ebbe in dono un piccolo Vangelo. Fu questo per F. Dostoievski il viatico nei duri anni della prigionia e il compagno ispiratore per tutta la vita. Da quell'incontro, in momenti di disperazione, prendeva le mosse il più grande scrittore e testimone di Cristo della Russia moderna.

Dostoievski è uno di quegli ingegni colossali che abbracciano in sé le esperienze di un'epoca e prevengono i tempi. Quanto turbinava nello scorso secolo al fondo delle coscienze ed oggi è maturato in crisi spirituale, la lotta aperta tra l'ateismo e la fede, tra la personalità e la collettività, tra cristianesimo e comunismo, è passato nell'anima di Dostoievski in lucidità di visione e fu tradotto con l'arte in rara potenza di rappresentazione.

Nei circoli rivoluzionari dell'ìntellighentia russa egli ebbe modo di scoprire l'orgoglio satanico dell'uomo moderno, infatuato di cultura, col suo proposito di rovinare trono e altare per innalzare la sua libertà e volontà di potenza. Poi, negli anni dell'ergastolo, potè sperimentare e scrutare il fondo nudo dell'uomo, tanto oscuro e caotico; un impasto di tendenze al male e di aspirazioni al bene, di egoismo, di 'Crudeltà, di sensualità sfrenata, ma pure di desideri e momenti di bontà, di purezza, di sacrificio. Più volontà che razionalità. Questo tt l'uomo del sottosuolo o del fondaccio d'osteria " quale Dostoievski analizza in una delle prime opere: Memorie del sottosuolo (1864).

Molti anni prima di Malraux e di Camus, il grande russo aveva denunciato l'assurdità di una condizione umana così contraddittoria, per l'incapacità di risolvere gl'intimi contrasti, per le smisurate aspirazioni cui l'uomo tende senza potere realizzare mai: le muraglie dell'impossibilità contro le quali egli viene a cozzare. Ma pure il Vangelo gli aveva fatto luce in questo s terribile mistero " come già ad Agostino, a Pascal, a quanti geni cristiani si sono affacciati sugli abissi del cuore umano. " Troppi enigmi opprimono l'uomo su questa terra... Quello che io non posso sopportare è che un uomo, magari nobile di cuore e di ingegno elevato, cominci con l'ideale della Madonna e finisca con quello di Sodoma. Ancora più tremendo è che qualcuno, che ha già nell'anima l'ideale di Sodoma, non rigetti neppure l'ideale della Madonna, e ne arda in cuor suo sinceramente, come nei giovani anni innocenti. Vasto davvero l'uomo, fin troppo vasto. Qui il diavolo lotta con Dio, e il campo di battaglia sono i cuori degli uomini" (/ Fratelli Karamazoff, ed. Einaudi, Torino 1949, voi. I, pp. 167-1C8).

È l'intuizione base non solo di questo romanzo, ma di tutta l'opera di Dostoievski. A volte sembra prevalere il demonio, in questa lotta tremenda, in cui è in gioco l'umano destino. Soffiando ora nella fucina dell'orgoglio, ora nel fomite della concupiscenza carnale, il diavolo spinge l'uomo a ripetere il gesto di ribellione, a disfrenare il suo arbitrio, fino a volersi sostituire a Dio. Nessun'altro scrittore ha reso con tanta potenza la ribellione satanica della moderna civiltà, immanentistica è materialistica, al pari di Dostoievski. E con la ribellione le conseguenze: l'inferno nei cuori, lo scatenamento delle forze bestiali nella società e il caos che prelude al finimondo. L'uomo che voleva essere tutto, finisce con l'annientarsi.

Ma la vittoria, in definitiva, è sempre di Dio. La natura umana ha un fondo di bontà, di verità, che la porte irresistibilmente a Dio. Anche l'uomo del sottosuolo, che ha abbandonato la sua libertà all'anarchia, cerca infine " qualcosa di diverso, di molto diverso, a cui aspiro sopra ogni cosa e che non riesco a trovare in nessun modo ".

I Personaggi di Dostoievski caduti nelle spire del male, come Raskolnikof di Delitto e Castigo, Mitia e Ivan dei Fratelli Karamazoff; Kirillov de 1 Demoni, sono tormentati da profonda angoscia, che è in fondo rimorso, sofferenza e noia, paura dell'abisso, in cui il male precipita. D'altra parte l'uomo, solo, è impotente a sollevarsi, a risolvere l'interiore conflitto. La stessa impressione egli prova di fronte al dolore e di fronte alla morte.

Qui avviene l'incontro con Cristo. Lui, l'innocente che si è caricato delle sofferenze e delle colpe umane; Lui, l'uomo completo, die concilia in sé tutte le antinomie; l'ideale concreto delle aspirazioni umane: l'uomo fatto Dio!

" Vi sono molti grandi evolutori dell'umanità... ma l'ultimo e più grande
ideale della evoluzione umana, che si è rivelato nella nostra carne e secondo i
dati della storia umana, è Cristo... La natura sintetica di Cristo è straordinaria.
Eppure è la natura stessa di Dio; Cristo è perciò l'immagine di Dio sulla terra...
Cristo è completamente penetrato nell'umanità e l'uomo s'affanna a trasfor-marsi nell'io cristiano come nel suo ideale ".

Questo Dostoievski scriveva nelle Meditazioni presso la bara, allorché, prostrato dalla perdita della prima moglie, cercò nel Vangelo salvezza dalla disperazione. Anche allora, tome negli anni della Siberia, Cristo gli venne incontro per additargli in chiara luce il destino dell'uomo.

La fede di questo genio, grande e sventurato, passerà ancora altre prove, prima di giungere al canto dispiegato, a II mio osanna è passato attraverso ii tremendo purgatorio del dubbio" (Pensieri). Ma ogni prova sarà una nuova conquista di certezza, più ancora di amore appassionato, " Mai ho potuto immaginarmi gli uomini senza di Lui ", segnava nell'abbozzo de L'adolescente, e in quello de I Demoni il bruciante messaggio: e A voi, negatori di Dio e del Cristo, non è mai venuto in mente che tutto sarebbe fango e peccato nel mondo, senza Cristo? "

Nei grandi romanzi di Dostoievski vediamo, dal fondo indistinto e torbido della comune umanità, distaccarsi le creature del peccato e le creature della grazia. In mezzo, nel momento decisivo, sta il Cristo, segno di contraddizione, di salvezza o di rovina.

Il giovane Raskolnikof in Delitto e Castigo, esaltato dalla teoria del superuomo, crede di poter legittimare un orribile omicidio; ma poi sperimenta in sé l'angoscia del rimorso e della condanna. Non ostante la sua pretesa di essere audace, superiore alla comune società degli ipocriti, abile nel giocare la polizia, sente pure il bisogno di essere umano, compassionevole, benefico. L'incontro con Sonia, la fanciulla che accetta una vita disonorata per salvare la famiglia, lo commuove profondamente e gli fa scoprire la propria viltà. Più ancora quando entra nel segreto di quest'anima: la sua fede e la sua dedizione eroica.

— Tu dunque, Sonia, preghi molto Dio?

Che cosa sarei mai senza Dio? — sussurrò ella rapida, con energia.
E Dio, che cosa fa per te?
Sonia tacque a lungo, come se non potesse rispondere...

— Tutto fa! — sussurrò rapidamente" (ed. Slavia, Torino 1980, voi.
II, p. 59).

E quando, dopo queste battute, Sonia prende il libro del Nuovo Testamento, che tiene sul cassettone, e legge a Raskolnikof il vangelo della resurrezione di Lazzaro, sentiamo di essere al punto cruciale del dramma.

Il giovane esce da quell'incontro sconvolto. L'indomani torna per confessare il suo tremendo segreto e il selvaggio catechismo che l'ha spinto al delitto. Ed è ancora la fanciulla a segnargli in nome di Dio la via della espiazione e della redenzione. Gli dona la sua crocetta di legno e si offre di accompagnarlo nella prigionia, a Andremo insieme ad espiare, porteremo la croce insieme ".

In Sonia abbiamo una di quelle creature care a Dostoievski, la cui nativa bontà, sorretta dalla fede, è appena esteriormente sfiorata dal male. Il peso dei peccati del mondo grava su di loro come una croce che esse portano con umile ed eroica accettazione, salvando se stesse e gli altri. Là dove manca almeno una di queste anime, non c'è neppure la presenza del Cristo, e le potenze demonia che hanno il sopravvento. Come nei Demoni, il terribtte romanzo in cui Dostoievski ha voluto dimostrare a quale grado di pervertimento e di disgregazione morale arrivino gli uomini, senza Dio.

Stavròghin, il dominatore di quella banda di terroristi, è un senza cuore, un cinico, che ama piegare le donne alle sue voglie e gli uomini a strumenti esecutori delle sue idee estremiste. Tormentato in fondo dall'angoscia del nulla in cui precipite, tenta l'evasione con nuovi errori e più gravi eccessi, fino al suicidio.

Tra quelli presi nel vortice demoniaco, si distingue Kirillov, il mistico del nichilismo, che svolge fino in fondo il tragico duello dell'uomo con Dio. "Dio mi ha tormentato tutta la vita", dichiara apertamente (ed. Mondadori 1942, p. 179). L'uomo, per lui, è tormentato perennemente dalla paura della morte, dell'aldilà, di Dio, che si erge come schiacciante assoluto di fronte al limite umano. "Vi sarà l'uomo nuovo, felice e superbo. Colui al quale sarà indifferente vivere e non vivere, quello sarà l'uomo nuovo! Chi vincerà il dolore e la paura, quello sarà Dio " (p. 177).

Kirillov sa bene che da secoli l'umanità guarda a Cristo come al vincitore del dolore e della morte; ed egli stesso prova per Lui un'ammirazione sconfinata, k Ascolta: quest'uomo era il più alto su tutta la terra, costituiva ciò per cui essa doveva vivere. Tutto il pianeta, con tutto ciò che è sopra di esso, sena quest'uomo non è che una pazzia" (p. 931). Ma Cristo non può essere il salvatore dell'umanità, secondo Kirillov, perché non è Dio, anzi, perché non c'è Dio. Allora egli stesso prenderà il coraggio di trame le conseguenze.

" — Se non c'è Dio, io sono un dio.

Ecco, non ho mai potuto capire questo vostro punto: perché siete
voi un dio?
Se Dio c'è, tutta la volontà è sua, e sottrarmi alla sua volontà io non
posso. Sé no, tutta la volontà è mia, e sono costretto a proclamar l'arbitrio.
L'arbitrio? Ma perché siete costretto?
Perché tutta la volontà è diventata mia. Possibile che nessuno, su tut
to il pianeta, avendola finita con Dio e avendo posto fede nell'arbitrio, osi
proclamar l'arbitrio, nel massimo punto?... Sia pure da solo, lo farò ...Io sono
obbligato a uccidermi, perché il punto più pieno del mio arbitrio è uccidere
me stesso " (p. 929).
Con questo gesto motivato e cosciente, Kirillov pensa di distruggere la paura della morte e aprire l'era della nuova umanità. Siamo agli antipodi della redenzione cristiana: l'uomo che si distrugge per proclamare la sua assoluta libertà.

Le pagine più cupe dei Demoni hanno assunto nei tempi moderni la portata di una lucida, terribile profezia.

La testimonianza cristiana più alta e compiuta di Dostoievski è nei Fra-telli Karamazoff, dove la presenza di Cristo è portata nel vivo dell'esistenza umana. " Nel mio romanzo parlerò del demonio contro Dio, e il campo di battaglia sarà il cuore dell'uomo a, scriveva nell'abbozzo dell'opera.

Un'analisi approfondita del cuore umano, dunque, ma sul piano metafisico e religioso dell'immanenza e della trascendenza, dell'egoismo e della carità, dell’io e di Dio. I fratelli Karamazoff sono presi come tra due poli opposti: la tendenza sensuale, egoista, del padre Fedor, praticamente ateo e l’attrattiva spirituale dello Starez Zosima, l’uomo di Dio sul cui volto spira compassionevole e sorte la bontà di Cristo.

Le sue parole di conforto e di luce, a quanti accorrono a lui, hanno, il puro accento del Vangelo. " Abbi fede che Dio ti ama tanto, che tu non puoi neppure immaginartelo: ti ama- non ostante il tuo peccato... Se provi pentimento, vuoi dire che ami. E se amerai, tu sarai già di Dio " (Ed. cit., voi. I, p. 80).

Ad una donna che soffre per mancanza di fede e domanda come credere nell'immortalità, risponde: "Con l'esperienza dell'amore attivo. Sforzatevi dì amare il vostro prossimo attivamente e ininterrottamente. Nella misura in cui avanzerete nell'amore, acquisterete anche la convinzione dell'esistenza di Dio e quella dell'immortalità dell'anima " (p. 87).

Il maggiore dei fratelli Karamazoff, Dmitri o Mitia, mostra più apertamente la contraddizione delle due tendenze: sensuale e violento, come il padre, che odia a morte per gelosia; e in fondo credente in Dio, generoso e sensibile ai nobili ideali.

Ivan, il secondo, l'intellettuale, svolge teoricamente e fino alle estreme conseguenze l'ateismo pratico del padre. Alioscia, il minore, è uno di quei giovani onesti per natura, i quali cercano la verità e quando l'hanno trovata, si consacrano ad essa fino a sacrificare la vita, se occorre. " Non appena, seriamente meditando, aveva raggiunto la convinzione che l'anima è immortale e che Dio esiste, senza por tempo in mezzo si era detto: — Voglio vivere per l'immortalità, e compromessi o mezze vie non ne tollero " (p. 40). Per questo si fa monaco, figlio spirituale dello starez Zosima, e poi obbedisce alla consegna di tornare nel mondo a cercare la felicità nelle lacrime, a portare la pace di Dio nella sua famiglia.

A contatto di Alioscia, il padre, sospettoso e triste, si rasserena; i fratelli sentono il bisogno di aprire l'anima e di agitare gli eterni problemi dell'esistenza. Soprattutto Ivan, che ha nell'anima un fondo di disperazione. Egli vive in uno stato di ribellione all'esistenza, così com'è, a questo mondo in cui c'è tanto male, dove l'innocente viene torturato ed ucciso.

A questi interrogativi Alioscia risponde additando il Crocifisso : a Tu, hai detto un momento fa: esiste in tutto l'universo un essere che avrebbe la pos-sibEità e il diritto di perdonare? Ma questo Essere esiste, ed Esso può tutto perdonare, tutti quanti e di tutto quanto, perché Lui per primo ha donato l'innocente sangue Suo a favore di tutti e in riparazione di tutto. Tu ti sei scordato di Lui, e invece su Lui per l'appunto sta fondato l'edificio, e sarà a Lui die salirà l'inno: Giusto sei Tu, o Signore, dacché si sono svelate le vie Tue " (voi. I, p. 371). Allora Ivan controbatte con la famosa leggenda.

Cristo ritorna in terra di Spagna, mentre fumano i roghi della Inquisizione. Spinto da una forza irresistibile, il popolo accorre a Lui, lo segue, si rinfranca al calore della sua pietà, strappa i miracoli, leva l'Osanna. Ma il Grande Inquisitore fa imprigionare anche Lui, che viene con le sue utopie guastare l'opera del regime teocratico, inteso a procurare agli uomini quello che essi vogliono, il pane e il regno di questo mondo.

In questa leggenda Dostoievski ripete un luogo comune della critica ortodossa al Cattolicesimo, il quale avrebbe travisato il Vangelo, valendosi della potenza politica, per cercare i regni del mondo. Ma non sta qui il senso proprio della leggenda, come nota bene R. Guardini nel suo studio: II mondo religioso di Dostoievski (Morcelliana, Brescia 1951, p. 156). Nella fantasia di Ivan, ribelle al mondo e a Dio, Cristo diventa un sognatore che prospetta agli uomini un ideale impossibile. Ivan non accetta la salvezza per la via della fede, del dolore, della croce; finirà uccisore di suo padre e preda delle allucinazioni diaboliche. Il capo nono del libro undecimo è una diagnosi paurosa della disgregazione dell'uomo che ha rinnegato Dio e vuole farsi creatore di una nuova umanità.

Al contrario, Dmitri, che abbraccia la fede e l'espiazione, si riscatta dal fondo torbido e dall'angoscia, fino a sentirsi uomo nuovo e a trovare, pure nella condanna, la gioia di Dio. " Oh sì, noi staremo in catene, e non avremo la libertà, ma allora, nel profondo dolore nostro, di nuovo risusciteremo alla gioia, senza la quale non può vivere l'uomo, e Dio non può esistere: giacché è Dio che da la gioia, è questo il privilegio suo, sublime... Se loro scacceranno Dio dalla terra, noi sotto terra lo ritroveremo!... E allora noi, gli uomini sotterranei, intoneremo dalle viscere della terra il nostro tragico inno a Dio, presso il quale è la gioia! " (voi. II, p. 837).

È stato Alioscia lo strumento della grazia rigeneratrice in quel cuore: Alioscia che è riuscito a superare le tendenze disordinate della natura, a rafforzare la fede nella prova, a fare risplendere la luce e l'amore di Cristo. E quando il fratello è in cammino verso l'ergastolo della Siberia, egli ancora lo raggiunge, prende su di sé i suoi ceppi e i cenci e si pone, innocente, tra i condannati, onde far balenare in quei cervelli oscurati a il lampo della misericordiosa bontà che sola illumina il mondo ". Cosi terminava una prima redazione dell'opera.

Nessuna apologia di Cristo vince quella dei suoi membri che lo mostrano vivo e operante nel mondo. Questo comprese Dostojewski, e persegui in altre opere, cercando d'innalzare sempre più la divina figura.

Cosi ne L'Idiota, il principe Miskin, disprezzato dapprima per la ingenuità e straordinaria umiltà, diventa. centro di attrazione per il candore e la bontà del suo animo, la compassione delle debolezze umane e il perdono delle offese, la fiducia, la serenità, la gioia che riversa ovunque. Segno di contraddizione in un mondo che qualifica come " idioti " i buoni e i puri di cuore, proprio mentre li cerca e li invoca.

Ma in fine Dostojewski dovette sentire quanto fosse impresa disperata tradurre in un uòmo la figura divina ed umana del Cristo. Annotava negli ultimi propositi: a Scrivere un libro su Gesù Cristo ". Non potè attuare questo disegno, ma basta quanto scrisse per definire Dostoievski a indubbiamente, al di fuori della vera Chiesa, il più appassionato cristiano del secolo XIX " (Mau-riac). Forse in nessun'altra opera il mondo moderno ha potuto specchiarsi cosi a fondo, precisare i termini del suo dramma, misurare l'immensa portata dell'assenza o della presenza del Cristo.

LiviaGloria
00giovedì 4 gennaio 2007 17:57
Giovanni Papini (1881-1956)
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§ 2. - Giovanni Papini (1881-1956). La rinascita di un uomo finito.

" Figliolo di padre ateo; battezzato di nascosto; cresciuto senza prediche e senza messe, non ho mai avuto quelle che si chiamano crisi d'anima o scoperte della morte d'Iddio. Per me Dio non è mai morto perché non è stato mai vivo nell'anima mia ".

Questi i connotati che dava Papini all'inizio del suo libro di confessioni: Un uomo finito (ed. Vallecchi 1912). Ma leggendo il libro, ti accorgi che la vita di quest'uomo, scontroso e battagliero, prima della conversione è stata tutta una crisi di anima e una continua ricerca di Dio. Poiché " Gianfalco ", come usò chiamarsi nelle riviste di punta fondate all'inizio del secolo, il Leonardo (1903) e Lacerba (1913), è uno di quegli spiriti insofferenti di mediocrità, che alla brama di tutto sapere uniscono quella di tutto possedere quanto di nobile e grande sogna l'uomo; spiriti assetati di assoluto, per i quali il mondo è troppo piccolo, " O tutto o nulla! " è il suo motto a 15 anni, quando incomincia a dar fondo alle biblioteche, e concepisce il disegno di una nuova enciclopedia, che superi tutte le altre; poi di una storia universale, poi di una somma del razionalismo, poi di una letteratura universale. Ma ogni volta che si addentra in un argomento, si perde nei labirinti delle ricerche, arrena nelle secche della filologia. Dal tutto si vede franare nel nulla dei a minuzzoli ", costretto a doversi fermare in un cantuccio, a E tutta la mia vita è stata cosi: un eterno slancio verso il tutto, verso l'universo, per dopo ricascare nel nulla... un succedersi di ambizioni enormi e di rinunzie precipitose " (Un uomo finito, p. 44, ed. Vallecchi 1947).

Ma ogni rinunzia lo porta a slanciarsi verso una più alta conquista. Dopo un periodo di pessimismo, in cui l'intelletto maggiorenne a si buttò su questa vita miserabile... a scoprirne il vuoto e il rinchiuso dolore... il nulla mascherato in cento maniere" (p. 69), Gianfalco cominciò ad esaltarsi con i primi successi, all'incontro di amici che condividevano le sue stesse aspirazioni. Abboccò all'idealismo e gli parve di aver scoperto per un momento il principio creativo unitario del tutto; ma volendo stringerne l'essenza, si trovò chiuso (come Pirandello) nel vortice del solipsimo, e infine, abbandonato al completo relativismo, e Nulla è vero e tutto è permesso ". È il Crepuscolo dei filosofi (1906).

Bisognava uscire fuori da questo giro stregato del pensiero: agire! rifare il mondo. Ecco Gianfalco a capo d'una nuova filosofia dell'azione, banditore di un nuovo vangelo di forza, di arditezza, di volontà; ma non limitato al meschino programma borghese del pragmatismo anglosassone. Si tratta di rinnovare gli uomini, a cominciare dagli Italiani, di arricchire il loro spirito per elevarli dall'infraumano in cui diguazzano, al sopraumano. Imitazione di Dio, questo il superbo programma sbandierato dal Leonardo. Uscire dalla meschina realtà, dai luoghi comuni, dal tragico quotidiano; rifare il mondo con la potenza dello spirito, la forza di volontà, l'evocazione creatrice della poesia. (Cfr. poesie e racconti straordinari di quel tempo, in Tragico quotidiano, 1906).

Per arrivare a tanto, il profeta di questo avvenire si da con la verga della stroncatura ad abbattere gl'idoli del secolo, a svegliare i dormienti; ma pure sente egli stesso per primo il bisogno di farsi un'anima grande, di assoluta purezza, di perfezione, onde arrivare alla k conquista della divinità ". Si butta nello studio delle religioni, esplora i segreti dei mistici, tenta la magia. Conclusione: la discesa dalla vetta di quello sforzo con una confusione profonda ed una disperata delusione. " Tutto è finito, tutto è perduto... Io non sono più nulla, non conto più, non voglio niente. Sono una cosa e non un uomo. Toccatemi: sono freddo come una pietra, freddo come un sepolcro. Qui è sotterrato un uomo che non potè diventare Dio a (Un uomo finito, p. 269).

Ma in questo sepolcro fermentavano i germi di nuove battaglie. Morto il Leonardo, Gianfalco entra nella Voce la rivista fondata da G. Prezzolali per agitare problemi, allargare la cultura degli Italiani, a indicare le loro inferiorità per farli migliori ". Nel 1913 fonda con A. Soffici Lacerba, rivista di avanguardia del futurismo e del nazionalismo.

La prima grande guerra fu il campo di prova delle teorie e delle audacie. Per Papini, come per molti altri, segnò la crisi decisiva e l'incontro con Cristo (1919). Sentiamo dalla sua stessa confessione come questo incontro è avvenuto.

a Durante la guerra, e specialmente negli ultimi tempi, fui profondamente rattristato dallo spettacolo di tante rovine e di tanti dolori. Rilessi in quegli anni molti libri di Tolstoi e di Dostojewski e da essi venni risospinto alla lettura del Vangelo, che avevo letto più volte ma spesso con spirito diffidente e ostile. E meditando sul Vangelo, e specie sul Sermone del Monte, venni a pensare che l'unica salvezza per gli uomini, e una salvaguardia sicura contro gli orrori presenti, non poteva essere che un mutamento radicale dell'ani me: il passaggio, cioè, dalla ferinità alla santità, dall'odio per il nemico (e perfino per l'amico) all'amore anche per il nemico. Il Cristianesimo mi appaIVe dunque, in un primo tempo, come un rimedio ai mali dell'umanità ma, proseguendo nelle mie solitàrie e ansiose meditazioni, venni a persuadermi che il Cristo, maestro di una morale così opposta alla natura degli uomini, non poteva essere stato soltanto uomo ma Dio. E a questo punto inteIVenne, io credo, l'opera segreta ma infallibile della Grazia " (La pietra infernale, Morcelliana 19S4, p. 151 seg.).

Allora, preso dall'amore di Lui, sente il bisogno di fare qualcosa perché le sue parole di salvezza giungano a quelli che non le conoscono o non le ap prezzano; e scrive La Storia di Cristo (1921), con amore di credente e con mano di artista. Colui che " ha consumato in se stesso le ambizioni di un'epoca instabile e irrequieta " (L'autore a chi legge p. 32), fino a voler diventare dio, ha compreso finalmente come soltanto nel Dio che si fece uomo è possibile aver la risposta agl'interrogativi ed alle aspirazioni umane.

Nel messaggio di Gesù, Papini ha colto il senso rivoluzionario e rigeneratore del mondo, l'imperativo a rinnovellarsi, a rovesciare mentalità, tendenze, gerarchle di valori, tutto ciò che è meschino e terreno, per trascendersi ed essere " perfetti come il Padre che è nei deli ". (Cfr. i capitoli sul discorso della Montagna). Ma pure ha egli saputo scoprire l'Amore infinito che si fa misericordia per i peccatori, sdegno rovente agli ipocriti, esigenza totalitaria verso i discepoli: tutto per scuotere gli uomini ciechi e torpidi e sollevarli a quell'Assoluto cui ogni cuore aspira.

Papini ha confidato che più volte, mentre scriveva questa Storia, provò la sensazione viva della presenza di Cristo in mezzo a noi, fino a voltarsi talora di soprassalto, quasi gli stesse a fianco. E veramente ha scritto la Storia di un Vivo, di Uno eternamente presente e del quale non si può fare a mena La preghiera finale è l'appello bruciante dell'uomo del Novecento, il quale ha bisogno di Cristo più che non mai, per non inabissarsi nell'inferno che si è scatenato dentro e fuori di lui. " Ma noi, gli ultimi, ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto della nostra indegnità e d'ogni impossibile. E tutto l'amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore ".

L'incontro col Cristo vivente ha portato il ribelle Gianfalco nel seno della Chiesa cattolica. " Finita che fu (la Storia di Cristo) mi si presentò l'esigenza di appartenere alla società fondata da Cristo. E tra le Chiese innumerevoli che si dicono sue fedeli interpreti scelsi, non senza contrasti interni e qualche ripugnanza ora superata, quella cattolica, sia perché essa rappresenta veramente il tronco maestro dell'albero piantato da Gesù ma anche perché, a dispetto delle debolezze e degli errori umani di tanti suoi figli, essa è quella, a parer mio, che ha offerto all'uomo le condizioni più perfette per una integrale sublimazione di tutto l'esser suo e perché in essa soltanto mi parve che fiorisse abbondante e splendente il tipo d'eroe che ritengo il più alto: il Santo " (La pietra infernale, p. 152).

Questa conclusione d'un laborioso itinerario non fu per Papini la resa armi, l'insediamento in una raggiunta certezza; fu anzi l'inizio di nuove battaglie e di un aspro cammino. L'uomo che già prima aveva lottato e odiato " per amore agli uomini ", ora si sente mosso da un a prepotente desiderio di seIVire a loro, di essere un militante per il Regno di Dio. Gli scritti programmatici: Lo scrittore come maestro, La moralità nella letteratura, (in La pietra infernale) stanno a indicare la battaglia ingaggiata da G. Papini in Italia per richiamare la letteratura al suo compito nobilissimo di formare gli uomini e non di limitarsi al gioco dei dilettanti o all'esercizio degli esteti. Peccato che il gusto del paradosso e della stroncatura abbiano spesso soverchiato la creazione d'un artista, l'intimità d'uno scrittore pure molto dotato, il quale s'impone con la sua nuda sincerità e con la forza d'uno stile incandescente.

Le Lettere di Papa Celestino VI agli uomini (Vallecchi 1946) sembrano scritte con le lacrime e col sangue, come un pastorale messaggio all'umanità in pericolo di naufragio. E gli ultimi libri di " schegge " La spia del mondo, La felicità dell'infelice, dettati in una clausura di cecità e di sofferenza; sono un distillato di cristiana saggezza dell'uomo che attraverso le lotte e il dolore ha raggiunto la serenità dello spirito. " Un miracolo ancor più incredibile, raro ma stupendo, si avvera in certe anime di santi e di poeti : il dolore, arrivato alla sua estrema pienezza, esplode in gioia, fiorisce in felicità " (La felicità dell'infelice, p. 19).

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