I QUATTRO NOVISSIMI

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LiviaGloria
00mercoledì 18 aprile 2007 12:54
I QUATTRO NOVISSIMI

Secondo le rivelazioni del Cielo e dei Santi

Dal libro: "LE DIVINE PAROLE" Ossia quello che il Signore ha detto ai suoi discepoli nel corso dei secoli cristiani di R.P. Saudreau - domenicano - Casa Editrice Masietti - 1924 I. –

MORTE.

1. Perchè morir così presto?

S. Matilde, avendo perduto un santo amico, diceva al Signore: O mio dolcissimo Iddio perchè avete tolto così presto quest'anima dal mondo, ove le sue parole e i suoi esempi avrebbero potuto giovare a tante persone? - « Il violento desiderio ch'egli aveva di possedermi mi ci ha costretto; perchè, come il bambino s'attacca al seno della madre, così l'anima sua si è attaccata a me, e per questa ragione egli ha meritato di ve­nire così presto a riposarsi meco. Ma, per­chè egli doveva ricevere tanta dignità e gloria, fu mestieri che soffrisse qualche in­dugio (1), durante il quale io lo feci ripo­sare

(1) Altre rivelazioni c'insegnano che quanto più un'anima dev'essere elevata in gloria, tanto maggiore dev'essere la sua purezza e per ciò stesso più rigorosa la sua purifica­zione.

sul mio seno ». Ella ripigliò: O ama­bilissimo Signore, quanto tempo si è egli così riposato? - « Lo spazio d'un mattino; finchè l'amore ebbe in lui compiuto tutto quello che gli era stato destinato da tutta l'eternità » (Parte V, c. VIII).

S. Alfonso Rodriguez pregando per una persona malata ebbe dal Signore. questa ri­sposta: « Considera ciò che vuoi ch'io faccia, perchè io farò tutto quello che tu vorrai; ma sappi ch'ella non sarà mai preparata meglio di adesso ». Allora il Santo l'abbandonò interamente al beneplacito divino e la ma­lata morì (Vita, dalle sue memorie. Re­teaux, 1890, n. 52).

La Ven. Madre Maria di Sales Chappuis era stata pregata d'interessarsi della salute d'un professore del Collegio Luigi il Grande, a Parigi. Ella lo fece e il Salvatore le fece udire queste parole: « Lasciami fare, l'o­pera mia si va perfezionando; io lavoro per la mia maggior gloria ». E il malato morì nel modo più edificante (Vita, a cura delle Suore di Troyes, p. 215-216).

Questa Venerabile, avendo veduto morire in breve tempo parecchie delle sue Figlie, se ne lagnava con Gesù: voi togliete le no­stre sorelle di mezzo a noi; che ne fate, o Signore? - « Esse cadono nelle mie mani », rispose il buon Gesù con un'espressione di tenerezza e di bontà che la consolò (ibid.., pag. 228).

2. Per bontà Iddio prolunga la vita.

In una lettera al suo confessore del 6 di gennaio 1898, la Madre Maria del Divin Cuore scrisse: « Nostro Signore mi disse dopo la santa Comunione: Ch'egli m'aveva concesso ancora quest'anno di vita per poter un giorno in cielo unirsi più strettamente a me per sempre; che, se fossi morta que­st'anno, l'unione non sarebbe stata così stretta; che, fin da questa vita, egli voleva aumentare e continuare ancora quest'unione; ch'io non dovevo più vivere se non in lui e per lui, nè vedere se non lui, nè cercare se non lui; che, per significare questa novella unione, egli m'aveva fatto vedere l'anno scorso l'invito alle nozze; cosa che io avevo capito come invito per andare in cielo, ma ch'egli aveva inteso come invito all'unione più in­tima fra lui come Sposo e me come sposa an­cora in questo mondo. (Vita, c. VIII).

Maria Giuseppa Fumi un giorno vide in spirito successivamente dinanzi a sè due porte, per cui ella passò. Giunta davanti ad una terza, che brillava come un sole, ella chiedeva parimente di varcarla. Allora ap­parve Maria, colle braccia affettuosamente tese verso la sua figliuola diletta: « Questa porta, diss'ella, non potrebbe ancor aprirsi davanti a te; il tuo ingresso immediato nel soggiorno degli eletti non sarebbe un bene nè per quelli che richiedono il tuo aiuto, né per le anime del purgatorio che hanno bi­sogno d'essere sollevate; ed anche la gloria dell'Altissimo non ci troverebbe il suo van­taggio, perchè hai ancora da guadagnargli molte anime colla preghiera e colla peni­tenza. Quando avrai compiuto tutto quel che il Signore aspetta da te, allora entrerai per regnare con lui; il Diletto non ti affiderà nè agli angeli, nè ai Santi per portarti in cielo, ma verrà egli stesso a prenderti, perchè tu sei accetta alla sua maestà, e quello che tu hai scolpito nel tuo cuore durante la tua vita vi resterà scolpito dopo la tua morte » (Vita, c. xvi).

3. Il Signore alle volte prolunga la vita de' suoi amici per compiacersi nelle loro virtù.

Essendo S. Matilde molto malata, Geltrude conobbe in ispirito che il Signore prolungava ancora la sua vita per qualche giorno. - O Signore, chiese ella, perchè volete ch'ella resti ancora sulla terra? - E il Signore a lei: «È per render completa l'opera, cui nella mia divina Provvidenza ho disposto di compire in lei in questi ultimi giorni. Per questo ella mi servirà in tre modi: io tro­verò in lei il riposo nella sua umiltà; la refezione nella sua pazienza, la ricreazione nelle sue virtù. Così, in tutto ciò che vede e in tutto ciò che ode, ella s'umilia e si mette sempre sotto alle altre, il che mi dà un ri­poso veramente delizioso nel suo corpo e nel­l'anima sua. Poi, per la gioia che mostra nelle sue tribolazioni ed infermità, si vede ch'ella abbraccia con amore la pazienza e sopporta volentieri le sue pene per amor mio; nella qual cosa ella mi presenta una mensa sontuosamente imbandita. Finalmente colla pratica delle diverse virtù ella mi offre un sollazzo in cui la mia Divinità trova le sue delizie » (lib. V, c. IV; ed. lat., p. 324).

4. Ultima malattia degli amici di Gesù. Doni ch'essi ricevono da lui.

S. Geltrude, gravemente malata, domandò al Signore se egli si degnerebbe di trarla da quest'esilio; e il Signore le rispose: « Con codesta malattia io ti avvicinerò a me. Av­verrà quello che avviene ad uno sposo pro­messo la cui diletta sposa dimori in luoghi lontani; egli le chiede di venire; allora egli stesso le invia una numerosa scorta di si­gnori e di soldati che le portino diversi re­gali, la rallegrino col suono dei liuti e dei tamburi e le facciano corteggio con grande apparato e infinite cure, finchè ella sia ar­rivata in un castello poco discosto dal suo palazzo. Là va egli stesso a trovarla, seguito da' suoi signori e da' suoi cortigiani, e, colle più delicate cortesie, le dà l'anello di fedeltà in segno d'unione. Tuttavia la lascia ancora in quel castello fino al giorno delle nozze, in cui egli con gloria ed onore la conduce nel suo imperial palazzo.

« Così, perchè io, Signore Iddio, tuo amante forte e geloso, sono a te unito, e perchè sopporto realmente in te le pene che tu soffri nel tuo cuore e nel tuo corpo, tutti ì miei Santi si fanno premura attorno a te mentre ti avanzi per codesta regia strada, godendo tutti della tua felicità. I liuti, i tamburi, i regali con cui ti si fa onore in questo viaggio, non sono altro che i patimenti e gl'incomodi della malattia, strumenti musicali che risuonano senza in­terruzione con soavità ai miei orecchi e mi dispongono alla compassione verso di te, ec­citando l'affetto del mio Cuore divino a col­marti di benefizi, ad attirarti sempre più e ad unirti a me. E quando sarai giunta al posto che ti è destinato da tutta l'eternità cioè ad un tale esaurimento di forze che la morte apparirà imminente, allora in pre­senza di tutti i miei Santi io ti darò il più tenero bacio coll'anello matrimoniale, cioè il sacramento dell'estrema unzione. Sarà un bacio, perchè io spanderò sopra di te la mia unzione colla soavità intima del mio soffio divino e, in grazia di codesta unzione, non potrà più attaccarsi all'anima tua la me­noma polvere di peccati o di negligenze che possa distogliere da te i miei sguardi più dolci, neppure per un istante.

« Quanto più tu affretterai il momento dell'Estrema Unzione, tanto maggiore sarà la tua felicità; allora resterai così vicina a me che nel momento in cui io mi disporrò a condurti nel mio regno eterno, tu ne sarai tosto internamente avvertita e il tuo cuore sussulterà di gioia preparandosi al mio in­contro. Ed io, tutto riboccante di delizie, ti farò attraversare, serrandoti strettamente nelle mie braccia, il torrente della morte temporale e t'introdurrò, t'immergerò e ti assorbirò nel torrente della mia perfetta di­vinità, ove, divenuta un medesimo spirito con me, con me regnerai nei secoli dei se­coli. Allora per codesti timpani e liuti delle tue sofferenze, onde m'avrai così dolcemente rallegrato durante la via, tu udrai le dolci melodie, proverai i diversi godimenti che sono ora la parte della mia umanità deifi­cata, in ricompensa delle pene che soffrii per la salute degli uomini. Se qualcuno de­sidera d'avere ne' suoi ultimi momenti la con­solazione d'una simile visita, si studi ogni giorno d'imitare le opere della mia vita; metta il suo corpo sotto il giogo e affidi a me le redini, cioè la direzione della sua vo­lontà propria. Speri con fiducia che la mia bontà l'assisterà fedelmente. Mi offra in lode eterna tutte le sue pene e tutte le sue avversità. Se alle volte succede che per fragilità umana egli riprenda le redini che m'aveva consegnate, facendo su qualche punto la sua propria volontà, cancelli tosto tale mancanza colla penitenza e mi abbandoni di nuovo la sua volontà. E la destra della mia misericordia lo prenderà e lo condurrà in onore e gloria al regno dell'eterno splendore » (lib. V, c. xxvii).

Trovandosi agli estremi suor Matilde di Màgdeburgo, S. Geltrude chiese al Signore perchè egli aveva permesso ch'ella delirasse, e il Signore rispose: « E' per far conoscere ch'io opero di più nell'interno che alla su­perfice. (lib. V, c. VII).

5. I dolori che precedono la morte

sono spesso un effetto della divina misericordia. Il Signore fece comprendere a S. Brigida che le pene dure e umilianti che spesso i cristiani subiscono in morte sono un effetto della sua misericordia: « Sono forse io stesso degno di disprezzo perchè la mia morte fu dura e vergognosa? I miei eletti sarebbero essi degli insensati per aver sofferto cose umilianti? No, ma io e i miei eletti abbiamo sofferto cose umilianti, per mostrare colla parola e coll'esempio che le vie del cielo sono dure ed aspre e per far intendere ai cattivi quanto essi abbiano bisogno d'essere purificati, dal momento che anime innocenti dovettero soffrir tanto... Colui che amando Iddio con tutto il suo cuore è afflitto da lunghe infermità, vive e muore felicemente, perchè la morte dura e dolorosa diminuisce il peccato e la pena del peccato e aumenta le corone. Io ti faccio ricordare due defunti, che, secondo il giudizio degli uomini mori­rono d'una morte vile e spregevole; se essi non avessero ottenuto dalla mia misericordia un tal genere di morte, non si sarebbero puntoti salvati. Ma, poichè Dio non punisce due volte quelli che hanno il cuor contrito, essi giunsero alla corona. Gli amici di Dio adunque non devono rattristarsi appunto se hanno a subire dei malì temporali, o se muo­iono d'una morte amara, perchè è un bene piangere un'ora e soffrire in questo mondo e non aver a soffrire in purgatorio, dove non si può fuggire e dove non è più dato il tempo di meritare » (lib. IV, C. XL).

« Molti, avvolti nelle reti dei peccati, ot­tengono la contrizione prima di morire e la loro contrizione può essere così perfetta che non solo il peccato è loro perdonato, ma ancora la pena del purgatorio, se essi muo­iono nella medesima contrizione » (lib. VIII, C. XLVIII).

6. Gli ultimi momenti dei peccatori, degl'imperfetti e dei perfetti.

Parole di Dio a S. Caterina da Siena: «I demonii sono ministri incaricati di tormen­tare i dannati nell'inferno e di esercitare e provare la virtù delle anime in questa vita. La loro intenzione non è certamente di provare la virtù, perchè non hanno la ca­rità; essi vogliono distruggerla in voi, ma non lo potranno mai fare, se voi non volete consentirvi.

« Ora considera la pazzia dell'uomo che si rende debole per il mezzo appunto ch'io gli avevo dato per esser forte, e che si abban­dona da se stesso nelle mani del demonio. Perciò voglio che tu sappia ciò che accade nel momento della morte a quelli che, du­rante la loro vita, hanno volontariamente ac­cettato il giogo del demonio, il quale non poteva costringerveli.

« I peccatori che muoiono nel loro pec­cato, non hanno altri giudici che se stessi; il giudizio della loro coscienza basta, ed essi si precipitano con disperazione nell'eterna dannazione. Prima di passarne la soglia, essi l'accettano per odio della virtù, scelgono l'in­ferno coi demonii, loro signori.

« All'opposto i giusti, che vissero nella carità, muoiono nell'amore. Quando viene il loro ultimo istante, se hanno praticata perfettamente la virtù, illuminati dal lume della fede e sostenuti dalla speranza del sangue dell'Agnello; veggono il bene che io ho loro apparecchiato, e colle braccia dell'amore lo abbracciano stringendo con strette d'amore me sommo ed eterno bene nell'ultima estre­mità della morte. E così gustano vita eterna prima che abbiano lasciato il corpo mortale, cioè prima che sia separata l'anima dal corpo.

« Per quelli che passarono la loro vita in una carità comune senza aver raggiunta quella gran perfezione, quando arrivano alla morte, essi si gettano nelle braccia della mia misericordia col medesimo lume della fede e colla medesima speranza ch'ebbero in un grado inferiore. Essendo stati imperfetti, essi abbracciano la mia misericordia, perchè la trovano più grande delle loro colpe. I pec­catori fanno il contrario: essi veggono con disperazione il posto che li attende e con odio l'accettano.

« Gli uni e gli altri non attendono di es­sere giudicati, ma partonsi di questa vita, e riceve ognuno il luogo suo. Lo gustano e lo posseggono prima che si partano dal corpo, nell'estremità della morte. I dannati seguono l'odio e la disperazione; i perfetti seguono l'amore, il lume della fede, la speranza del sangue dell'Agnello; gl'imperfetti si affidano alla mia misericordia e vanno in purgatorio » (Dialogo, c. XLII).

7. Pace delle anime sante nel momento della morte.

« Quant'è felice l'anima dei giusti quando essi arrivano al momento della morte... A costoro non nuoce la visione dei demonii, perchè veggono me per la fede e mi posseg­gono per l'amore e perchè in loro non è ve­leno di peccato. La oscurità e terribilezza loro ad essi non dà noia nè alcun timore, perchè il loro timore non è servile, ma santo. Onde non temono i loro inganni; perchè col lume soprannaturale e col lume della Sacra Scrittura ne conoscono gl'inganni; sicchè non ricevono tenebre nè turbazione di mente. Essi muoiono gloriosamente bagnati nel sangue del mio Figliuolo, colla fame della salute delle anime e, tutti affocati nella carità del pros­simo, passano per la porta del Verbo divino, entrano in me e dalla mia bontà sono collo­cati ciascuno nello stato suo, e vien misurato loro secondo la misura che hanno recata a me dell'affetto della carità » (Dialogo, ca­plt. CXXXI).

8. Il demonio e il peccatore morente.

« Quanto spaventosa e terribile è la morte dei peccatori! Nei loro ultimi momenti, il demonio li accusa e li spaventa apparendo loro. Tu sai che la sua figura è tanto orri­bile, che la creatura eleggerebbe ogni pena, che in questa vita si potesse sostenere, an­zichè vedere il demonio nella visione sua.

« E tanto si rinfresca al peccatore lo sti­molo della coscienza, che miserabilmente lo rode nella coscienza sua.- Le disordinate de­lizie e la propria sensualità, la quale si fece signora e la ragione fece serva, l'accusano miserabilmente, perchè egli allora conosce la verità di quello che prima non conosceva. Onde viene a gran confusione dell'errore suo; perchè nella vita sua visse come infedele e non fedele a me; perchè l'amor proprio gli velò la pupilla del lume della santissima fede. Onde il demonio lo molesta d'infedeltà, per farlo venire a disperazione.... In questo gran combattimento egli si trova nudo e senza alcuna virtù; e da qualunque lato si volti, non ode altro che rimproveri con grande confusione » (Dialogo, csaxu) (1).

(1) Le anime dei dannati, all'uscire dal loro corpo, sono invase dalle tenebre, dall'orrore, dal fetore, dall'amarezza, da una pena intollerabile, da una tristezza indicibile, dalla disperazione e da un'angoscia infinita. Sono in se stesse così devastate e destituite di tutto che, quand'anche non cadessero nell'inferno e in potere dei demonii, i mali di cui sono ripiene sarebbero per loro una tortura sufficiente (S. Matilde, P. V, c. xxi).

9. Come si fa per gli amici di Gesù il viaggio dalla terra al cielo.

Nella sua ultima malattia, Geltrude, pre­parandosi alla morte, disse al Signore: qual sarà il carro che mi porterà quando mi troverò in quella regia via che deve con­durmi a voi, mio unico Diletto? -- « La forza potente del desiderio divino, che partirà dal mio amore intimo, verrà a prenderti e a condurti fino a me », le rispose il Signore. - Su che potrò io sedermi? - « Sulla piena fiducia, la quale, facendoti sperare ogni bene dalla mia liberale bontà, sarà il sedile su cui siederai in questo passaggio ».

Con quali redini dirigerò io la mia corsa ? - « L'amore ardente che ti fa sospirare dall'intimo delle viscere ai miei amplessi ti servirà di redini. » La Santa soggiunse: siccome ignoro quello che è più necessario per viaggiare così, io non m'informerò di quello che ancora mi occorre per compire questo viaggio desiderabile. Il Signore rispose: «Per quanto grandi siano i tuoi desideri, avrai la gioia di trovare infinitamente di più, e la mia delizia è vedere lo spirito umano impo­tente a immaginarsi tutto quello ch'io ordi­nariamente preparo a miei eletti» (Lib. V, c. YXIVV).

« Quando l'anima tua uscirà dal tuo corpo, io ti metterò come all'ombra della mia pro-

tezione paterna, così come una madre tiene stretto al suo petto e nascosto sotto le sue vesti l'amato frutto delle viscere sue, allorchè attraversa un mare burrascoso. E poi, quan­d'avrai pagato il tuo debito alla morte, io ti prenderò meco per farti gustare le delizie incantevoli dei celesti spazi verdeggianti, come una madre che vuole che anche il suo bambino abbia parte alla gioia che si prova allo sbarcar sicuramente in porto, dopo averlo preservato dalle noie e dai pericoli del mare. (lib. V, c. xxv).

II. - GIUDIZIO PARTICOLARE. GIUDIZIO UNIVERSALE.

10. Giudizio delle anime peccatrici.

Istruzioni divine date a S. Caterina da Siena: « Il peccatore non ha scusa, peroc­chè è ripreso e gli è mostrata la verità con­tinuamente. Onde s'egli non si correggerà, quando è ancor tempo, sarà condannato nella seconda riprensione, la quale si farà nell'ul­tima estremità della morte, dove grida la mia giustizia: Surgite mortui, venite ad iu­dicium, cioè, tu che sei morto alla grazia, e morto giungi alla morte corporale, levati su, e vieni dinanzi al Sommo Giudice con la ingiustizia e falso giudizio tuo, e col lume spento della fede, il qual lume traesti acceso dal santo battesimo, e tu lo spegnesti al vento della superbia e vanità del cuore, del quale facevi vela ai venti, ch'erano contrari alla salute tua; il vento della propria ripu­tazione nutrivi colla vela dell'amor proprio. Onde correvi per lo fiume delle delizie e stati del mondo colla propria volontà, se­guitando la fragile carne e le molestie e le tentazioni del demonio. Il quale demonio con la vela della tua propria volontà t'ha me­nato per la via di sotto, la quale è un fiume corrente. Onde t'ha condotto con lui all'e­terna dannazione » (Dialogo, xxxvi).

11. Giudizio di colui che non volle sperare nella misericordia.

« Quando compariste la morte e l'uomo vede che non può più sfuggirmi, il verme della coscienza, che era stato soffocato dal­l'amor proprio, comincia a risvegliarsi e a roder l'anima, giudicandola e mostrandole l'abisso dove per colpa sua sta per cadere. Se essa anima avesse lume che conoscesse e si dolesse della colpa sua, non per la pena dell'inferno, che ne la seguita, ma per me, che m'ha offeso, che sono somma ed eterna Bontà, ancora troverebbe miseri­cordia. Ma se passa il ponte della morte senza lume, e solo col verme della coscienza, e senza la speranza nel sangue del mio Figliuolo, o con propria passione dolendosi del danno suo, più che dell'offesa mia, egli giunge al­l'eterna dannazione.

E allora è ripreso crudelmente dalla mia giustizia, ed è ripreso dell'ingiustizia e del falso giudizio; e non tanto dell'ingiustizia e giudizio generale, perchè ha seguito i sen­tieri colpevoli del mondo, ma molto maggior­mente sarà ripreso dell'ingiustizia e giudizio particolare, perchè nell'ultimo suo momento avrà giudicato la sua miseria più grande della mia misericordia. Questo è quel peccato che non è perdonato nè di qua nè di là. Egli ha respinto, disprezzato la mia misericordia, e questo peccato è maggiore di tutti quelli che ha commessi. Onde la disperazione di Giuda mi spiacque più e fu più grave al mio Figliuolo, che non fu il tradimento ch'egli fece. Sicchè l'uomo è soprattutto condannato per aver falsamente giudicato il suo peccato maggiore che la mia misericordia; e perciò è punito coi demonii e crucciato eternamente con loro.

L'uomo è convinto d'ingiustizia, per­chè si duole più del danno suo, che dell'of­fesa mia. Allora commette ingiustizia, per­ché non rende a me quello che è mio, ed a lui quello che è suo. A me deve rendere amore e amaritudine con la contrizione del cuore, e afferirla dinanzi a me per l'offesa che m'ha fatta. Ed egli fa il contrario, per­chè piange solo per amore verso di se stesso, la pena che ha meritata. Tu vedi adunque ch'egli è colpevole d'ingiustizia e d'errore e che è punito dell'uno e dell'altro. Avendo egli dispregiata la misericordia mia, io con giustizia lo mando all'eterno supplizio, con la serva sua crudele della sensualità e col crudele tiranno del demonio di cui egli si è reso schiavo per mezzo de' suoi sensi, che dovevano servirlo. Saranno insieme puniti e tormentati, come insieme m'hanno offeso: tormentati, dico, da' miei ministri demonii che la mia giustizia ha messi a rendere tor­mento a chi ha fatto male » (Dialogo, ca­pit. XXXVII).

12. Giudizio di una persona mondana.

S. Brigida ebbe un giorno la visione di un'anima ch'era presentata al Giudice Su­premo dal suo angelo custode sotto la figura d'un soldato armato e dal demonio che aveva la forma d'un negro dell'Etiopia. L'anima era tutta nuda e dolentissima, non sapendo che sarebbe stato di lei. L'angelo custode parlò in questi termini: Non è giusto che si rimproverino a quest'anima i peccati che ha confessato. Chi parlava in tal modo, dice S. Brigida, sapeva tutto in Dio, ma parlava affinchè io l'intendessi. Il Giudice rispose « Quando quest'anima faceva penitenza - ­mediante la confessione - non aveva vera contrizione ». E parlando egli all'anima, le disse: « La tua coscienza dica e dichiari i pec­cati di cui non facesti degna penitenza ». Al­lora l'anima alzò talmente la voce da poter quasi essere udita dall'universo intero, di­cendo : Guai a me, perchè io non vissi secondo i comandamenti di Dio, che pure conoscevo. Io non temetti i giudizi di Dio. E la voce del Giudice le rispose: « Ed è perciò che ora tu devi temere i demonii ». - L'anima con­tinuò: Io non ebbi quasi nessun amore di Dio, ed è perciò che feci poco bene. Nulla v'ha in me, dalla pianta dei piedi fino al vertice del capo, ch'io non abbia rivestito di vanità. Inventai abiti vani e superbi; cercai di farmi lodar come bella. La mia bocca spesso era aperta alle paroline melate e alle leziosaggini. Godevo assai che molti imitas­sero le mie azioni e i miei costumi. La voce del Giudice allora rispose: « Giustizia vuole che chi sarà preso a commettere il peccato del quale tu sei punita, subisca le medesime pene. E quando qualcuno che avrà seguito le tue vane invenzioni, si troverà al punto in cui tu ti trovi, le tue pene aumenteranno ».

Allora, dice S. Brigida, mi parve che alla testa di quella persona fosse attaccata una fune, che la circondava e serrava così forte, che il davanti e il di dietro della testa si congiungevano insieme. I suoi occhi erano usciti dall'orbita e penzolavano per le loro radici lungo le gote; i capelli parevano essere stati bruciati dal fuoco. Il suo cervello colava per il naso e per le orecchie. Le usciva fuori la lingua e le si rompevano i denti; le ossa delle braccia le erano serrate con corde, le sue mani scorticate le venivano legate al collo. Il petto e il ventre erano così fortemente stretti che, spezzate le costole, il cuore e tutte le interiora schiattarono.

Allora il negro, ch'era il demonio, disse: O Giudice, i peccati di quest'anima sono con­dannati secondo giustizia; adunque congiun­gete insieme me e l'anima per modo che noi non ci separiamo mai più.

Il soldato armato, ch'era il buon angelo, rispose: Ascoltate, o Giudice. Nell'ultimo mo­mento della sua vita, questa persona ebbe questo pensiero: Se Dio volesse darmi qual­che tempo per vivere, io correggerei i miei peccati, lo servirei in tutto il corso della mia vita e non vorrei mai più offenderlo. Allora la voce del Giudice si fece sentire. « A chi ebbe tali pensieri alla fine della sua vita l'inferno non è dovuto. Per la mia passione il cielo sarà aperto a quest'anima, dopo che ella avrà data soddisfazione e si sarà puri­ficata per tanto tempo quanto avrà meritato, salvo che gli uomini non la soccorrano colle loro buone opere.

Quest'anima era quella d'una persona che aveva votata la sua verginità nelle mani d'un sacerdote e che, infedele alla sua pro­messa, s'era poi sposata (lib. IV, c. LI).

13. Dannazione d'un empio cavaliere.

Nelle opere di S. Brigida si trova questa rivelazione di nostro Signore a proposito di un cavaliere ch'era stato infedele a Dio, aveva infranta la sua santa professione e violate le sue promesse: « Essendo uscito dal tempio dell'umiltà, disse nostro Signore, avendo gittato lo scudo della mia fede e ab­bandonata la spada del mio timore, egli in­superbì e si gonfiò d'orgoglio, si diede ad ogni sorta di voluttà, a tutti i capricci della sua volontà, ingolfandosi sempre più negli abissi del peccato e seppellendosi nei sozzi piaceri ».

Giunto all'estremo della sua vita, quando l'anima sua esalava dal suo corpo, i diavoli se ne impossessarono con gran violenza e tosto dall'inferno tre voci echeggiarono contro di lei. La prima diceva: Ecchè non è forse colui che, abbandonando l'umiltà, ci ha se­guiti in ogni sorta d'orgoglio? E se avesse potuto esser più orgoglioso di noi, lo sarebbe stato assai volentieri. L'anima rispose: Sì, son io. La giustizia gli rispose: « La ricom­pensa del tuo orgoglio sarà che tu precipiti da un demonio in un altro, finché tu sia piombato nel più profondo abisso dell'in­ferno... Non vi sarà alcun supplizio di cui tu non debba subire la violenza ».

La seconda voce gridò e disse: Questi non è forse colui che abbandonò la milizia di Dio che aveva professata e che si arruolò nella nostra milizia? L'anima rispose: Sì, sono io quel desco. E la Giustizia disse: « Tutti quelli che avranno seguita la tua perversità aumenteranno la tua pena e accresceranno il tuo dolore e, quando giungeranno al punto in cui tu sei, ti trafiggeranno come d'una piaga mortale. Come colui che ha una piaga cru­dele, se gli s'aggiungesse piaga sopra piaga, finchè il corpo ne fosse tutto coperto, soffri­rebbe dolori intollerabili, così una sventura attirerà sopra di te un mondo di sventure. La tua pena non cesserà mai e il tuo do­lore non scemerà punto ».

La terza voce diceva: Costui non è forse quello che vendette il suo Creatore per la creatura, l'amor del suo Dio per l'amor di se stesso? L'anima rispose: Sì, sono io quel cotale. - « Per questo appunto, riprese la voce della Giustizia, due porte gli saranno, aperte; per l'una entri ogni pena ed ogni dolore inflitto per tutti i peccati, piccoli e grandi, poichè egli vendette il suo Creatore per la sua voluttà. Per la seconda entri in lui ogni sorta di dolori e di vergogna, e mai non entreranno in lui nè consolazioni nè amore divino, perchè egli ha amato se stesso invece d'amar il suo Creatore. Perciò la sua pena durerà senza fine; egli vivrà senza mai morire e tutti i Santi rivolteranno da lui la loro faccia.

« Ecco, o mia sposa, quanto saranno mi­serabili coloro che mi disprezzano e quali dolori si procurano per una piccola e passeg­gera voluttà » (lib. II, c. ix).

14. È giusto che il corpo risusciti per partecipare alla pena o alla ricompensa.

Nel Dialogo di S. Caterina da Siena si leggono questi insegnamenti dati dall'Eterno Padre: « Ogni operazione buona o cattiva è fatta col mezzo del corpo. E però giusta­mente, figliuola mia, è renduto ai miei eletti gloria e bene infinito col corpo loro glorifi­cato, perchè il corpo e l'anima siano ricom­pensati entrambi delle fatiche che per me sopportarono insieme. Così agli iniqui sarà renduta pena eternale col mezzo del corpo loro, perchè esso fu strumento del male; il loro supplizio si rinnoverà e aumenterà quando ripiglieranno il loro corpo in presenza del mio Figliuolo.

« La loro miserabile sensualità coll'im­mondizia sua riceverà riprensione in vedere la natura umana unita in Gesù Cristo alla purezza della divinità, scorgendo la carne d'Adamo sopra tutti i cori degli angeli, mentre essi per i loro difetti si veggono profondati nel baratro dell'inferno. E veg­gono la larghezza e la misericordia rilucere nei beati, ricevendo il frutto del sangue dell'Agnello, e veggono le pene ch'essi hanno portate, che tutte stanno per adornamento nei corpi loro, sì come la fregiatura sopra del panno, non per virtù del corpo, ma solo per la plenitudine dell'anima, la quale rap­presenta al corpo il frutto della fatica, per­chè fu compagno con lei ad operare la virtù. Questa ricompensa è visibile, e appariste sul corpo come la faccia dell'uomo si riflette in uno specchio » (Dialogo, c. XLII).

15. Giudizio universale. Maestà del Giudice.

« A queste terribili parole: Alzatevi, o morti, e venite al giudizio! l'anima si riu­nirà al corpo per glorificarlo nei giusti e torturarlo eternamente nei cattivi. I dannati saranno coperti di onta e di confusione in presenza della mia Verità e di tutti i miei beati » (Dialogo, c. XLVIII).

« Sappi che nell'ultimo dì del giudizio, quando verrà il mio Figliuolo colla divina mia Maestà, a riprendere il mondo colla po­tenza divina, egli non verrà in qualità di poverello, come quando nacque dal seno della Vergine, in una stalla, fra due ani­mali, e morì fra due ladroni.

« Allora io nascosi la potenza mia in lui, lasciandolo sostenere pene e tormenti come uomo; non che la natura mia divina fosse però separata dalla natura umana, ma lo lasciai patire come uomo, per soddisfare alle colpe vostre. Non verrà così ora in questo ultimo punto, ma verrà con potenza a ri­prendere colla propria persona; e non sarà alcuna creatura, che non riceva tremore, e renderà a ognuno il debito suo.

« Ai dannati miserabili darà tanto tor­mento l'aspetto suo e tanto terrore, che la lingua non sarebbe sufficiente a narrarlo. A' giusti darà timore di riverenza con grande giocondità; non ch'egli si muti la faccia sua, perocchè egli è immutabile, perchè è una cosa con me, secondo la natura divina; e secondo la natura umana ancora la faccia sua è immutabile, poichè prese la gloria della risurrezione. Ma il reprobo lo vedrà solo con quell'occhio terribile e oscuro che egli ha in se medesimo. L'occhio malato che guarda la luce del sole non ci vede che tenebre, mentre che l'occhio sano ne ammira lo splen­dore. Questo non è per difetto della luce, che si muti più al cieco che all'illuminato, ma è per difetto dell'occhio che è infermo. Così i dannati lo veggono in tenebre, in con­fusione e in odio, non per difetto della mia Maestà, colla quale egli verrà a giudicare il mondo, ma per difetto loro » (Dialogo, ca­plt. XXXIX).

16. Terribile sentenza.

« Allo spettacolo della gloria e della fe­licità degli eletti di cui si sono privati, i dannati sentiranno crescere la loro pena e la loro confusione. Nel loro corpo appari­ranno i segni dei peccati commessi e i sup­plizi che avranno meritato. Onde in quella parola, ch'essi udranno terribile: Andate, ma­ledetti, nel fuoco eterno, l'anima e il corpo andranno a dimorare coi demonii senz'alcun rimedio di speranza, in quella sentina (lei mondo ove ognuno porterà la puzza delle sue iniquità.

« L'avaro vi arderà insieme colla sua pas­sione de' tesori della terra, il crudele colla sua crudeltà, l'immondo coll'immondizia e miserabile concupiscenza, l'ingiusto colle sue ingiustizie, l'invidioso coll'invidia, colui che odia il suo prossimo col suo odio. Quelli che si saranno amati di quell'amore disordinato che cagiona tutti i mali, perché insieme col­l'orgoglio, esso è il principio di tutti i vizi, saranno divorati da un fuoco intollerabile. Sicchè tutti in diversi modi saranno puniti in­sieme nell'anima e nel corpo » (Dialogo, ca­plt. XLII).

III. - INFERNO.

17. La pena misurata secondo il peccato.

Dio Padre disse a S. Caterina da Siena: « La mia giustizia esige ch'io proporzioni la pena all'offesa. Perciò il cattivo cristiano è punito più assai che il pagano. Il fuoco ter­ribile della mia vendetta, che arde senza consumare, lo tortura maggiormente e il verme roditore della coscienza lo divora più profondamente. Quali si siano i loro tormenti, i dannati non possono perdere l'essere, chie­dono la morte senza poter ottenerla, il peccato loro non toglie che la vita della grazia. Sì, il peccato è più punito dopo la Redenzione che prima, perchè gli uomini hanno ricevuto di più. I peccatori disgraziati non ci pensano; essi mi sono fatti nemici, dopo essere stati riconciliati nel prezioso sangue del mio Fi­gliuolo » (Dialogo, c. xv).

« Allora il verme della coscienza roderà il midollo dell'albero, cioè l'anima, e la cor­teccia di fuori, cioè il corpo. Rimproverato loro sarà il sangue che per loro fu pagato, e l'opere della misericordia, spirituali e tem­porali, le quali io feci a loro, col mezzo del mio Figliuolo, e quello ch'essi dovevano fare nel prossimo loro, siccome si contiene nel santo Evangelo. Ripresi saranno della crudelta, che essi hanno avuta verso il prossimo, della superbia e dell'amor proprio, dell'im­mondizia e avarizia loro. La vista della mi­sericordia che da me hanno ricevuta, renderà più terribile la loro condanna. Nel punto della morte essa tocca solamente l'anima, ma al giudizio finale colpirà ad un tempo e l'anima e il corpo; perchè il corpo è stato compagno e strumento dell'anima a fare il bene e il male, secondo che è piaciuto alla propria volontà » (Dialogo, c. XLII).

18. I quattro principali supplizi dell'inferno.

« Figlia mia, disse Iddio a S. Caterina da Siena, la lingua non è sufficiente a narrare 1a pena di queste anime tapinelle. Vi sono tre vizi principali: Amor proprio di sè, d'onde esce il secondo, cioè la propria riputazione, e dalla propria riputazione procede il terzo, cioè la superbia, con falsa ingiustizia e cru­deltà, e con altri immondi e iniqui peccati, che dopo questi seguitano. Così ti dico che nell'inferno vi sono quattro tormenti prin­cipali, ai quali seguitano tutti gli altri tor­menti. Il primo è che i dannati si veggono privati della mia visione, che per loro è pena così grande che, se loro fosse possibile, eleg­gerebbero piuttosto il fuoco e i crociati tor­menti e vedere me, anzichè stare fuori delle pene e non vedermi.

« Questa pena ne produce una seconda, che è il verme della coscienza che la rode incessantemente. Il dannato vede che, per colpa sua, si è privato della mia vista e della compagnia degli angeli e che si è reso degno della compagnia e della vista del demonio.

« Questa vista del demonio è la terza pena, e questa pena raddoppia la sua sventura. I Santi trovano la loro felicità eterna nella mia visione; vi gustano, nella gioia, la ri­compensa delle prove che sopportarono con tant'amore per me e con tanto disprezzo per se stessi. Quei disgraziati invece trovano in­cessantemente il loro supplizio nella visione del demonio, perchè vedendolo essi si cono­scono maggiormente e comprendono quello che meritarono colle loro colpe. Allora il verme della coscienza li rode più crudelmente e li divora come un fuoco insaziabile. Ciò che rende questa pena terribile si è ch'essi veg­gono il demonio nella sua realtà, e la sua figura è così spaventosa che l'immaginazione dell'uomo non potrebbe mai concepirlo.

« E se bene ti ricorda, io te lo mostrai un solo istante in mezzo alle fiamme e tale istante fu sì penoso che avresti preferito, poichè ritornasti in te, di andare per una strada di fuoco fino al giorno del giudizio piuttosto che rivederlo; eppure quello che vedesti non può farti comprendere quant'egli è orribile, perchè la giustizia divina lo mo­stra assai più orribile ancora all'anima che è separata, e l'orrore di quella visione è pro­porzionato alla grandezza della sua colpa. « Il quarto supplizio dell'inferno è il fuoco. Questo fuoco arde e non consuma, perocchè l'anima non si può consumare. L'essere suo non è cosa materiale, che possa essere con­sumata dal fuoco, poichè è incorporea; ma, giustizia vuole che questo fuoco la arda e la torturi senza distruggerla, e questo sup­plizio è in rapporto con la diversità e la gravità delle sue colpe.

« Questi quattro principali tormenti sono accompagnati da molti altri, come dal freddo, dal caldo e dallo stridore di denti. Ecco come saranno puniti quelli che, dopo essere stati convinti d'ingiustizia e di errore durante la loro vita, non si saranno convertiti e, nel­l'ora della morte, non avranno voluto sperare in me e piangere l'offesa che mi avevano fatta, più che la pena che avevano meritata » (Dialogo, xxxviiI).

19. L'odio eterno.

« Egli è tanto l'odio ch'essi hanno, che non posson volere nè desiderare verun bene, ma sempre mi bestemmiano. E sai perchè essi non possono desiderare il bene? Perchè, fi­nita la vita dell'uomo, è legato il libero ar­bitrio; per la qual cosa non possono meri­tare, perduto che hanno il tempo. Se essi finiscono in odio colla colpa del peccato mortale, sempre per divina giustizia sta legata l'anima col legame dell'odio, e sempre sta ostinata, in quel male ch'ella ha, rodendosi in se medesima e aumentando la sua pena colle pene di quelli per cui ella fu causa di dannazione.

« Il ricco malvagio chiedeva di grazia che Lazzaro andasse a' suoi fratelli i quali erano rimasti nel mondo ad annunziare le pene sue. Questo già non faceva per carità, nè per com­passione dei fratelli, perocchè egli era privato della carità, e non poteva desiderare bene nè in onore di me, nè in salute loro. Perchè già t'ho detto che ì dannati non possono voler alcun bene al prossimo e mi bestem­miano, perchè la loro vita finì nell'odio di me e della virtù.

« Ma perchè dunque il faceva? Facevalo, perchè egli era stato il maggiore e avevali nutriti nelle miserie; in cui egli era vissuto. Sicchè egli era cagione della dannazione loro e temeva di vedersi crescere la sua pena, dovendo i loro tormenti aggiungersi a' suoi; perchè quelli che muoiono nell'odio eterna­mente si divorano fra loro nell'odio » (Dia­logo, c. xr.).

20. Rabbia dei dannati gli uni contro gli altri.

Dio Padre, parlando dell'inferno a santa Maria Maddalena de' Pazzi, le disse: « Fra i dannati regna un odio eterno, perchè ciascuno di essi conosce colui che lo portò ad offendermi e che fu per conseguenza la causa della sua dannazione. Perciò quanto più cresce il loro numero, tanto maggiormente si accrescono le loro pene, perchè i nuovi ve­nuti non fanno che aumentare la rabbia che li anima gli uni contro gli altri » (Parte IV, cap. xi).

21. Supplizi di coloro che non amarono mai il loro Dio.

S. Matilde, stando in orazione, vide sotto di sè l'inferno aperto e dentro una miseria e un orrore infinito: come serpenti e rospi, leoni e cani e ogni sorta di bestie feroci che si laceravano crudelmente fra loro. Allora ella disse: O Signore, chi sono quei disgra­ziati? - E il Signore a lei: « Sono coloro che mai non si sono ricordati dolcemente di me, nemmeno per un'ora » (P. V, c. xx).

22. L'Inferno. Visioni di S. Veronica Giuliani.

S. Veronica Giuliani ebbe più volte visioni dell'inferno; noi crediamo utile riprodurle, come una conferma degl'insegnamenti di Dio a S. Caterina da Siena. Leggendole bisogna senza dubbio tener conto del simbolismo che sotto immagini materiali rappresenta supplizi spirituali, di cui noi non potremmo altrimenti farci una minima idea. Pare anche proba­bile che vi siano dei dannati che soffrano rneno di quelli di cui ella vide le orribili tor­ture; può anche darsi che il castigo, pur es­sendo eterno, non abbia sempre il medesimo grado d'acutezza. Ma il certo si è che nostro Signore nel Vangelo parla del fuoco e d'un fuoco eterno e che la sciagura della danna­zione oltrepassa tutto quello che noi possiamo immaginare.

Il 14 febbraio 1694, ella vide l'inferno aperto; vi cadevano molte anime ch'erano così turpi e così nere ch'era uno spavento a vederle. Si precipitavano una dietro al­l'altra e scomparivano tra le fiamme. Dal mezzo del fuoco che le inghiottiva si solle­vavano dei pugnali, dei rasoi e degli stru­menti di supplizio di varie sorta che poi ricadevano con tutto il loro peso per schiac­ciare quei miseri. La Santa chiese al Si­gnore se fra le anime ch'ella aveva veduto cadere si trovasse qualche religioso o reli­giosa. E il Signore le fece conoscere che fra le anime religiose ce n'erano che vi erano precipitate - e che l'avevano davvero meritato, perchè non avevano mantenuto quello che avevano promesso e perchè si erano rese colpevoli di tante violazioni delle loro regole.

Il 1° aprile 1696, S. Veronica fu condotta alla bocca dell'inferno. Ella udì le grida e

le bestemmie dei dannati, ma a tutta prima non notò altro che tenebre e puzza orribile; il fuoco era nero e fitto. Poi ella vide molti demonii ch'erano come vestiti di fuoco e che si eccitavano a percuotere; e le si fece sa­pere che picchiavano dei dannati.

Il 5 dicembre del medesimo anno, ebbe una visione simile. Nel medesimo tempo il Sal­vatore si mostrò a lei flagellato, coronato di spine e con una pesante croce sulle spalle, e le disse: « Guarda bene questo luogo che non avrà mai fine. Qui si esercita la mia giu­stizia e il mio terribile sdegno ».

Il 30 giugno 1697, fu detto alla Santa che ella stava per passare attraverso nuove pene. Fu come una partecipazione ai supplizi del­l'inferno ch'ella sopportò per un'ora a più riprese. In quel giorno ella si sentì posta in una fornace ardente e provò pene atroci, come lance che la trafiggevano, ferri che la bruciavano, piombo bollente che le era ver­sato su tutto il corpo.

Il primo luglio, al mattino, ella si ritrovò in quel luogo di terrore; vedevasi come ab­bandonata da Dio, incapace di raccomandarsi nè al Signore, nè ai Santi; non già ch'ella non avesse il pensiero di Dio, tutt'all'op­posto; ma ella lo vedeva senza misericordia e tutto giustizia.

Il 4 luglio, l'inferno le parve così vasto che tutta la macchina del mondo, dice ella, non sarebbe nulla al confronto. Vide una ruota - come una macina - di grandezza smisurata, che ad ogn'istante cadeva sui dan­nati, poi si sollevava per ricadere ancora.

Il 16 luglio sentì tutte le sue ossa strito­late da ruote che giravano tutt'intorno a lei. Nel medesimo tempo ella ebbe il sentimento della perdita di Dio, pena sì atroce, dice ella, che non si può spiegare. Tutti gli altri tor­menti sembrano poca cosa in confronto di questo.

Il 19 luglio, durante quello ch'ella chia­mava l'ora d'eternità, sentivasi ora punta da spilli ed aghi, ora arsa da lastre roventi, ed ora lacerata nelle carni da strumenti da taglio.

Il 6 febbraio 1703, il suo confessore aven­dole comandato di pregare per la città ove ella dimorava, il Signore le fece vedere come un immenso incendio che divorava la città; molte persone andavano a gettarsi nelle fiamme, altre sul punto di gettarvisi ritor­navano addietro. Fu rivelato alla Santa che quelle fiamme rappresentavano il peccato di impurità a cui s'abbandonava un numero troppo grande de' suoi concittadini; ma altri, violentemente tentati, sapevano resistere. E il Signore le disse; « Di' a colui che tiene il mio posto, al tuo confessore, che t'ha or­dinato di chiedermi in che cosa sono io più offeso, ch'io sono offeso in tutti i modi, ma particolarmente coi peccati della carne. Vi sono pure fra questo popolo delle inimicizie che m'offendono grandemente e molte anime per questo motivo vanno all'inferno per tutta l'eternità ».

Il 27 gennaio 1716, Maria, comparendo a S. Veronica, chiamò i due angeli che la servi­vano da custodi e loro ordinò di condurla in spirito all'inferno; ella la benedì e le disse: « Figlia mia, non temere, io sarò con te e t'aiuterò ». Ad un tratto, racconta la Santa, mi trovai in un luogo oscuro, profondo e fetente, udii mugghii di tori, ragli d'asino, ruggiti di leone, sibili di serpenti, ogni sorta di voci confuse e spaventose e grandi rombi di tuono che riempivano di terrore. Vidi lampi e fumo molto denso. Scorsi una gran montagna tutta coperta di serpenti, di vipere e di basilischi fra loro attorcigliati in numero incalcolabile. Udendo uscire di sotto a loro delle maledizioni e voci orrende, chiesi a' miei angeli che voci fossero quelle, ed essi mi risposero che lì si trovavano molte anime nei tormenti. Infatti quella gran montagna ad un tratto s'aprì ed io la vidi tutta ripiena d'anime e di demonii. Quelle anime erano tutte avvinghiate insieme, per modo che formavano una sola massa; i de­monii le tenevano così legate a se stessi con catene di fuoco; ogni anima aveva parecchi demonii attorno a sè. Di là fui trasportata ad un'altra montagna ove si trovavano dei tori e dei cavalli furiosi che mordevano come cani arrabbiati. Loro usciva fuoco dagli occhi, dalla bocca e dal naso, i loro denti parevano lance acutissime e spade taglienti, che riducevano in frantumi in un istante tutto ciò che afferravano. Compresi che morde­vano e divoravano anime. Vidi altre mon­tagne ove si praticavano dei tormenti più crudeli, ma mi è impossibile descriverli. Al centro di tal soggiorno infernale si erge un trono altissimo; in mezzo a quel trono vi è un seggio formato dei demonii che sono i capi e i principi. Là siede Lucifero, spa­ventoso, orribile. O Dio che figura orrenda; sorpassa in orrore tutti gli altri demonii. Sembra avere una testa formata di cento teste e piena di lance, a capo di ciascuna delle quali vi è come un occhio che proietta frecce infiammate che infiammano tutto l'inferno. Benchè il numero dei demonii e dei dannati sia incalcolabile, tutti veggono quella testa orribile e ricevono tormenti sopra tormenti da quello stesso Lucifero. Esso li vede tutti e tutti lo vedono. Qui i miei angeli mi fecero comprendere che, come in cielo la vista di Dio rende beati tutti gli eletti, così nell'in­ferno l'orribile figura di Lucifero, orrendo mostro infernale, è un tormento per tutti i dannati. La loro maggior pena è l'aver per­duto Iddio. Questa pena Lucifero la sente per il primo, e tutti vi partecipano. Egli be­stemmia, e tutti bestemmiano; maledice e tutti maledicono; soffre ed è torturato, e tutti sof­frono e sono torturati.

In quel momento i miei angeli mi fecero osservare il cuscino ch'era sul seggio di Lu­cifero e su cui stava seduto; era l'anima di Giuda. Sotto i piedi di Lucifero vi era un cuscino molto grande, tutto lacero e coperto di segni; mi si fece capire ch'erano anime di religiosi. Allora il trono fu aperto e, in mezzo ai demonii che stavano sotto il seggio, vidi un gran numero d'anime. Chi sono que­ste? domandai a' miei angeli; ed essi mi ri­sposero ch'erano dei prelati, dei dignitari della Chiesa, dei superiori d'anime consacrate a Dio.

Io credo che se non fossi stata accompa­gnata da' miei angeli ed anche, come penso, invisibilmente fortificata dalla mia buona Ma­dre, io sarei morta di spavento. Tutto ciò ch'io ne dico non è nulla e tutto ciò che udii dire dai predicatori non è nulla in paragone di quello ch'io vidi (Diario, alle date indicate).

23. Visione del Ven. Bernardo Francesco de Hoyos.

Il 9 gennaio 1730, il Ven. Bernardo Fran­cesco, che faceva gli esercizi spirituali ed era giunto alla meditazione dell'inferno, ne ebbe una visione terribile. D'improvviso si vide in un vasto campo; per ordine di Dio il suo angelo custode lo condusse fino all'orlo del­l'abisso infernale che s'aprì a' suoi piedi: Vieni, gli diss'egli, e ti mostrerò questo grande spettacolo. Io vidi, scrive il santo giovane, un'immensa caverna piena di fuoco; da quel fuoco usciva un fumo così denso che offuscava la luce. Io dirigevo il mio sguardo su quella immensa distesa di fuoco, ma non ne vedevo la fine. Vidi certi dannati che, spinti dalla rabbia, uscivano fuori dalle fiamme, ma tosto vi ricadevano, precipitati dai demonii e tra­scinati verso l'abisso come una pietra verso il suo centro.

Il mio angelo si volse a me e mi disse: Fai ben attenzione. Allora vidi quali erano i castighi particolari per gl'impudici, per gli avari, per quelli che portano odio. Pieno d'or­rore per quel che vedevo, stordito dalle be­stemmie che udivo vomitare contro Dio e la sua santa Madre, spaventato dalla vista dei mostri che m'apparivano, distolsi gli sguardi e non distinsi più nulla. Avendo così percorso alla cieca un grande spazio, il mio angelo mi disse: Vieni e vedi, e scrivi ciò che vedrai.

Allora il sentiero ch'io seguivo s'aprì e mi trovai in un'altra cavità sopra la prima e più orribile. Là si tenevano i sacerdoti in­degni che - avevano avuto l'audacia di ricevere sacrilegamente nelle loro mani e nel loro cuore il Figlio della Vergine. Quei miserabili soffrivano tali torture che tutte quelle di cui ho parlato non sono nulla al loro confronto. Erano tormentati specialmente nelle parti del loro corpo che avevano toccata l'ostia consacrata; pel dolore si facevano scoppiare le mani ch'erano divenute come carboni ardenti; le loro lingue erano come fatte a pezzi e penzo­lavano fuori della loro bocca per significare i loro sacrilegi; tutto l'interno del loro corpo e specialmente il loro cuore era divorato dal fuoco e in preda ad orribili dolori. Là io vidi drizzarsi, come un serpente che vuol saltare, un cattivo sacerdote ch'io conobbi e che era morto subitaneamente dopo aver dato gravi scandali. Mi fissò con rabbia e subito ricadde nel più profondo della fornace (cap. x).

V. - IL CIELO.

39. L'entrata d'un eletto in Paradiso.

Il Figlio di Dio, dando a S. Brigida le sue istruzioni, le parlò in questi termini d'un generoso cavaliere che aveva praticato le virtù cristiane: «Quando quest'amico del mio Cuore fu arrivato all'estremo della sua vita e l'anima sua si separò dal corpo, cinque legioni d'angeli furono inviate incontro a lui. Si udirono allora in cielo voci melodiose che risonavano soavemente e dicevano: O Si­gnore e Padre, questi non è forse colui che aderì fortemente ai vostri voleri e che perfet­tamente li compì? Poi una voce da parte della Divinità gli disse: Io ti creai e ti diedi il corpo e l'anima. Tu sei mio figlio e facesti la volontà del Padre tuo. Ora vieni dunque al tuo Creatore onnipotente e al tuo Padre amantissimo. L'eredità eterna ti è dovuta, poiché tu sei figlio e fosti obbediente. Vieni dunque, o mio dolcissimo figlio, io ti rice­verò con gioia ed onore.

« Una seconda voce, ch'era quella del­l'Uomo Dio, gli disse: Vieni al tuo fratello, perché io mi sono offerto per te, ho versato il mio sangue per amor tuo. Vieni a me, per­ché hai seguito la mia volontà; vieni a me, perché hai versato sangue per sangue, hai dato vita per vita e morte per morte. Dunque tu che m'hai seguito, vieni alla mia vita, alla mia gioia che non finirà mai.

« Una terza voce parlò da parte dello Spi­rito Santo: Vieni, o mio cavaliere, che m'haì tanto desiderato e in cui io mi sono compia­ciuto di stabilire la mia dimora. Per le fa­tiche del tuo corpo, entra nel riposo; in cambio delle tribolazioni del tuo spirito, entra nelle consolazioni ineffabili; in ricompensa della tua carità e delle tue generose lotte, entra in me stesso; io rimarrò in te e tu rimarrai in me.

« Poi le cinque legioni d'angeli fecero echeggiare la loro voce. La prima diceva: andiamo incontro a questo generoso soldato e portiamo davanti a lui le sue armi; cioè presentiamo al nostro Dio la fede ch'egli con­servò senza vacillare e che difese contro i suoi nemici.

« La voce della seconda legione disse: por­tiamo davanti a lui il suo scudo e mostriamo al nostro Dio la sua pazienza; benchè ella sia a Dio nota, più gloriosa ne sarà per la nostra testimonianza.

« La terza legione disse: Andiamo in­ contro a lui e presentiamo a Dio la sua spada, cioè l'obbedienza ch'egli praticò, tanto nelle cose penose quanto in quelle facili.

« La quarta: andiamo e rendiamo testimo­nianza alla sua umiltà, perchè l'umiltà prece­deva e seguiva tutte le sue buone opere.

« La quinta voce disse: diamo testimo­nianza del suo desiderio divino, per cui egli sospirava a Dio. Ad ogni ora a lui pensava nel cuor suo; egli l'aveva sempre in bocca, sempre nelle sue opere; lo desiderava sopra tutte le cose; per amor di lui, egli sempre si mostrò come morto al mondo.

« Ecco come il mio amico viene a me e con qual premio è ricompensato. E, quantun-

que non tutti abbiano versato il loro sangue per amore del mio nome, pure riceveranno le medesime ricompense, se essi hanno la volontà di dar la loro vita per amor mio, quando se ne offriranno il tempio e l'occasione. Vedi quanti beni reca la mia volontà. (1. II, cap. xi).

40. Accoglienza fatta dal Signore all'anima glorificata.

Il nostro buon Signore, racconta Giuliana di Norwich, mi disse: «Io ti ringrazio di ciò che facesti per me, e specialmente d'avermi consacrata la tua giovinezza». Poi Dio mi mostrò tre gradi di beatitudine in cielo per quell'anima che lo servì di buon animo: il primo, quando il Signore la ringrazia alla sua uscita dal purgatorio, ringraziamento così ele­vato e così glorioso ch'ella si sente ricolma e sufficientemente ricompensata. Il secondo è che tutta la corte celeste ne è testimonio, perchè Dio fa conoscere a tutti gli eletti i servizi che gli furono resi. Il terzo è che la gioia data all'anima nel momento in cui è così ringraziata deve durare per tutta l'eter­nità (VI Rivelazione, c. xiv).

« Quanto più avrai sofferto, disse l'eterna Sapienza al beato Enrico Susone, tanto più sarai ricevuto con riguardi e dignità. Qual gioia produce quest'onore come l'anima e il cuore sono inondati di felicità vedendosi lo­dati e glorificati da me dinanzi al Padre mio e a tutto il celeste esercito. Io li loderò d'aver sofferto tanto in questa vita, d'aver combat­tuto tanto, d'aver riportate tante vittorie (L'Exemplaire, Trattato II, c. XII).

Nostro Signore ci dichiara ancora nel Van­gelo ch'egli farà l'elogio degli eletti: « Ve­nite, benedetti del Padre mio; io ebbi fame e mi deste da mangiare, ecc. - Coraggio, servo buono e fedele, tu fosti fedele nelle piccole cose. - Chi mi avrà confessato da­vanti agli uomini io lo confesserò davanti al Padre mio. - Allora, dice l'Apostolo san Paolo, ognuno riceverà dal Signore la lode che gli sarà dovuta » (I Cor., Iv, 5).

41. Quello che perdono coloro che non hanno amore.

Una volta, racconta S. Teresa, per lo spazio d'un'ora e più, nostro Signore, tenendosi sempre vicino a me, m'aveva scoperto cose meravigliose. Poi mi disse: « Vedi, figlia mia, quello che perdono coloro che sono contro di me. Non mancar di dirlo loro » (Vita, e. XXXVIII).

S. Caterina da Siena, che rimase morta per quattro ore e ritornò poi a vita, aveva veduto e le pene dei peccatori nell'altro mondo e la gloria degli eletti. E il Signore le disse: « Tu vedi di qual gloria sono privati e con quali pene sono puniti coloro che m'offen­dono. Ritorna dunque a loro per mostrare ad essi il loro errore, il loro pericolo e il torto che fanno a se stessi » (Vita, del B. Rai­mondo, Parte II, c. vi).

Parole simili furono dette a Francesca di Bona dopo ch'ella fu favorita d'un conosci­mento elevatissimo della SS. Trinità: « Figlia mia, io volli farti vedere di qual bene si pri­vano i peccatori che muoiono nel loro pec­cato » (lib. III, c. xiv).

42. La gloria di Dio veduta in lui, in noi e in tutto, ecco il cielo.

S. Caterina da Bologna (1413-1483) ebbe una visione, in cui nostro Signore le apparve, circondato d'angeli e di Santi, che cantavano queste parole d'Isaia (Lx, 2) : « E la sua gloria sarà veduta in voi ». Il Salvatore con­dusse S. Caterina presso il suo trono e le disse: « Figlia mia, ascolta questo canto e intendi bene il senso di queste parole: E la sua gloria sarà veduta in voi » (Piccoli Bol­landisti, 9 marzo).

43. Dio tutto in tutti.

In una visione, racconta S. Geltrude, in cui l'anirna rnia ben sentiva, in slanci d'una gioia perfetta, ch'ella ora arricchita dei gaudii del suo Diletto, io intesi il senso di queste parole così piene di dolcezza: « Dio sarà tutto in tutti » (I Cor., xv, 28). L'anima mia beveva, con un'avidità insaziabile, queste parole che il cielo presentava in una pozione deliziosa all'ardore della sua sete: « Com'io sono la figura della sostanza di Dio, mio Padre, nella Divinità stessa, così tu sarai la figura della mia sostanza nell'umanità e, come l'aria riceve la chiarezza dei raggi del sole, così tu riceverai nell'anima tua deificata le emanazioni della mia divinità; allora penetrata fino al midollo dai raggi della mia luce, tu diventerai capace d'una più familiare unione con me » (lib. II, c. vi).

Mentre S. Paolo della Croce, meditando sui novissimi, considerava le gioie del para­diso, udì il Signore che gli diceva: « Mio figlio, in cielo, il beato non sarà unito a me com'è un amico all'amico suo, ma come il ferro penetrato dal fuoco » (Vita, c. iv).

44. Dio in cielo ama di esser lodato ne' suoi eletti.

Dopo la morte di S. Matilde, Geltrude vide tre raggi che partivano dal Cuore di Dio e passavano per l'anima della sua santa amica per dirigersi su tutti i Santi che, essendo mirabilmente illuminati e rallegrati, si misero a lodare per lei il Signore, dicendo: noi vi lodiamo per l'incantevole bellezza della vo­stra sposa, per l'amabile compiacenza che ri­ponete in lei, per l'unione perfetta che la fece una sola cosa con voi. E vedendo Geltrude che il Signore si pigliava un gran piacere in quelle lodi, gli disse: Perchè, mio Signore, godete tanto d'esser lodato in quest'anima? Egli rispose: « Perchè nella sua vita ella desiderava sopra tutto di vedermi lodato; ella ha conservato questo desiderio ed io voglio saziarla colla mia lode incessante » (P. VII, cap. xvi).

45. Le nostre buone opere in cielo cantano la lode di Dio.

Suor Matilde aveva un fratello chiamato Balduino, che era domenicano. Il Signore, parlandole di questo fratello, ch'era assai vir­tuoso e zelante, le disse: « Ho saputo e ve­duto tutte le fatiche a cui si sobbarca, le let­ture che fa e i libri che scrive: tutto quello ch'egli fa canterà un cantico d'amore a mia lode davanti alla mia eterna famiglia e dirà: Dio grande, eterno, forte, ammirabile, alle­luia! Ed io esalterò il suo capo e tutte le sue forze, come feci per te, non solo nell'ordine della natura, ma ancora in quello della gra­zia » (lib. II, c. xxi).

46. Come Cristo fu glorificato nel suo corpo.

Mentre Matilde pregava il Signore Gesù di rendere grazie a Dio della sua risurrezione futura, il Signore le disse: « Io lo faccio pre­sentemente per te e per ognuno de' miei così volentieri come per me stesso, perchè consi­dero la gloria de' miei membri come la mia stessa e l'onore che loro è reso come tribu­tato a me stesso. L'anima per cui io compio così queste lodi e questi ringraziamenti, men­tre ella è ancora sopra la terra, ne rice­verà una gran gloria e una gran gioia ne' cieli ». E, poichè Matilde cercava in se stessa ciò che era stata la glorificazione dell'u­manità di Cristo nel momento della sua ri­surrezione, il Signore le disse: « La glori­ficazione del mio corpo consistette in questo, che mio Padre mi diede ogni potere in cielo e in terra, per modo ch'io fossi onnipotente nell'umanità, come nella divinità, per ricom­pensare, elevare e colmare i miei amici delle testimonianze del mio amore, secondo tutta la generosità de' miei desideri. La glorifica­zione de' miei occhi e dei miei orecchi mi diede modo di poter penetrare fino in fondo a tutti i bisogni e a tutte le tribolazioni de' miei fedeli, udire ed esaudire i loro voti e le loro preghiere. Tutto il mio corpo ha al­tresì ricevuta questa gloria ch'io possa essere da per tutto nell'umanità compio sono nella divinità con tutti e con ciascuno de' miei amici, dovunque io voglio; ciò che nessun altro, per potente che sia, non ha mai potuto e mai non potrà». (Parte I, c. xrx; ediz. lat., pag. 67).

47. La misura dell'amor meritorio è la misura dell'amor beatificato.

Ascoltiamo Iddio che a S. Caterina da Siena dice: « L'anima giusta che finisce la vita in affetto di carità è eternamente legata in amore. Ella non può più crescere in virtù, perchè è venuto meno il tempo, ma può sempre amare coll'ardore ch'ella ebbe per venire a me, e quest'ardore è la misura della sua felicità. Sempre desidera me e sempre ama, onde il suo desiderio non è vuoto, ma avendo fame è saziato, e saziatosi ha fame, senza mai provare la noia della sazietà nè la pena della fame.

« Gli eletti dell'amore godono nell'eterna mia visione, partecipando quel bene ch'io ho in me medesimo, ognuno secondo la misura sua, e questa misura è l'amore ch'essi avevano venendo a me. Perchè sono stati nella carità mia e in quella del prossimo, e uniti insieme colla carità comune e colla particolare, ch'esce pure da una medesima carità. Godono ed esultano, partecipando l'uno il bene dell'altro, con l'affetto della carità, oltre al bene universale, ch'essi hanno tutti insieme. E go­dono ed esultano cogli angeli, coi quali i Santi sono collocati, secondo le varie virtù, le quali principalmente ebbero nel mondo, essendo legati tutti nel legame della carità (Dialogo, c. XLI).

48. Partecipazione alla felicità di quelli che noi abbiamo amato di più sopra la terra.

« Ed hanno una singolare partecipazione con coloro, coi quali strettamente d'amor sin­golare s'amavano nel mondo. Quest'amore era un mezzo d'aumentare in essi la virtù: erano gli uni per gli altri occasione di glorificare il mio nome in essi e nel prossimo loro e, siccome l'amore che li univa non è distrutto in cielo, essi ne godono con maggior abbon­danza, e tal amore accresce la loro felicità. « E non vorrei però che tu credessi che gli eletti soli godessero della loro felicità particolare; perchè essa è partecipata da tutti quanti i beati abitanti del cielo, dagli an­geli e da' miei diletti figliuoli. Onde quando l'anima giunge a vita eterna, tutti parteci­pano il bene di quell'anima, e l'anima del bene loro. Non già che il vaso suo, nè il loro, possa crescere, nè che abbia bisogno di empirsi, perocchè egli è pieno, e perciò non può crescere, ma hanno un'esultazione, una giocondità, un giubilo, un'allegrezza, che si rinfresca in loro per il conoscimento, che han trovato in quell'anima. Veggono che per mia misericordia ella è levata dalla terra, colla plenitudine della grazia; e così esultano in me, nel bene che quell'anima ha ricevuto dalla mia bontà. E quell'anima gode in me, e nelle anime, e negli spiriti beati, vedendo in loro e gustando la bellezza e la dolcezza della mia carità » (Dialogo, c. XLI).

49. Gli eletti infiammati di carità hanno sete della salute delle anime.

« I loro desideri sempre gridano dinanzi a me per la salvezza di tutto quanto il mondo; e perchè la loro vita finì nella carità del pros­simo, questa carità non li ha abbandonati, anzi con essa passeranno per la porta dell'U­nigenito mio Figliuolo, per lo modo che di sotto ti dirò. Sicchè vedi che con quel legame dell'amore in che finì la loro vita, con quello permangono ed esso dura eternamente » (Ibi­dem).

50. Unione perfetta alla volontà di Dio.

« Essi sono tanto conformati alla mia vo­lontà, che non possono volere se non quello ch'io voglio; perchè l'arbitrio loro è legato nel legame della carità, per siffatto modo che venendo meno il tempo alla creatura che ha in sè ragione, morendo in stato di grazia non può più peccare. E in tant
LiviaGloria
00mercoledì 18 aprile 2007 12:57
51. Desideri degli eletti sempre saziati.

« Il desiderio dei beati è di vedere l'onore mio in voi viandanti e quali siete peregrini, che sempre correte verso il termine della morte. Nel desiderio del mio onore desiderano la salute vostra, e perciò sempre mi pregano per voi. Il qual desiderio è adempito da me dalla parte mia, colà dove voi ignoranti non recalcitrate alla mia misericordia. Hanno de­siderio ancora di riavere la dote del corpo loro; e questo desiderio non li affligge, non avendolo attualmente, ma godono gustando per certezza, ch'essi hanno ad avere il loro desiderio pieno, onde non li affligge, perocché non avendolo, non manca loro beatitudine, e perciò loro non dà pena » (Ibid.).

« Sai tu qual è il più singolar bene che hanno i beati? E' avere la volontà loro piena di quel che desiderano. Desiderano me; e de­siderando me, essi mi hanno e mi gustano, senz'alcuna ribellione, perocchè hanno lasciata la gravezza del corpo, il quale era una legge che impugnava contro lo spirito... Ma poichè l'anima ha lasciato il peso del corpo, la volontà sua è piena; perocchè desiderando di vedere me, ella mi vede; nella qual visione sta la vostra beatitudine. E vedendo conosce, e co­noscendo ama, e amando gusta me, sommo ed eterno Bene, e gustando sazia e adempie la volontà sua, cioè il desiderio ch'egli ha di vedere e conoscere me. Onde desiderando ha, e avendo desidera. E com'io ti dissi, allonta­nata è la pena dal desiderio, e il fastidio dalla sazietà » (Dialogo, c. xLv).

52. Gloria e beatitudine del corpo.

« Non ti pensare che la beatitudine del corpo, dopo la risurrezione, dia più beatitu­dine all'anima. Che se questo fosse, seguite­rebbe che infino che non avessero il corpo, avrebbero beatitudine imperfetta, la qual cosa non può essere, perchè in loro non manca alcuna perfezione. Sicchè non è il corpo che dia beatitudine all'anima, ma l'anima darà beatitudine al corpo; perocchè darà dell'ab­bondanza sua, rivestita, nell'ultimo dì del giu­dizio, del vestimento della carne che aveva lasciata.

« Come l'anima è fatta immortale, fermata e stabilita in me, così il corpo in quell'unione diventa immortale, e, perduta la gravezza, è fatto sottile e leggero. Onde sappi che il corpo glorificato passerebbe per lo mezzo del muro; nè il fuoco nè l'acqua non l'offende­rebbe non per virtù sua, ma per virtù del­l'anima, la quale virtù; è mia data a lei per grazia e per l'amore ineffabile, col quale io la creai alla immagine e similitudine mia. L'occhio dell'intelletto tuo non è sufficiente a vedere, nè l'orecchio a udire, nè la lingua a narrare, nè il cuore a pensare il bene loro.

« O quanto diletto hanno in vedere me, che sono ogni bene! O quanto diletto avranno, essendo col corpo glorificato il quale bene ora non avendo fino al giudizio generale, non hanno pena, perchè non manca loro beatitu­dine; perocchè l'anima è piena in sè; la quale beatitudine parteciperà col corpo, come ti ho detto » (Dialogo, c. XLI).

53. La comunione celeste, ossia l'unione deli­ziosa dei corpi gloriosi al corpo glorificato di nostro Signore Gesù Cristo.

« Che dire di quella gioia ineffabile dei corpi glorificati nell'umanità glorificata del­l'Unigenito mio Figliuolo, che vi dà la cer­tezza della vostra risurrezione! Ivi esulteranno nelle sue piaghe, le quali sono rimaste fre­sche, e conservate le cicatrici nel corpo suo, le quali gridano continuamente misericordia: per voi a me sommo ed eterno Padre, e tutti saranno conformi con lui in gaudio e giocon­dità. Sì, per i vostri occhi, per le vostre mani, per il vostro corpo tutto quanto voi sarete uniti agli occhi, alle mani, al corpo del dolce Verbo mio Figliuolo. Essendo in me, voi sarete in lui, perchè egli è una me­desima cosa con me » (Dialogo, c. XLI).

54. Sempre avidi e sempre sazi.

« Quando l'anima è separata dal corpo, ha pieno il desiderio suo, e però ama senza pena. Allora è saziata, ma senza fastidio, perchè es­sendo saziata ha sempre fame, senza aver la pena della fame; ribocca d'una felicità perfetta e nulla può desiderare senza averlo. Desidera di veder me e mi vede a faccia a faccia; desidera di veder la gloria del mio nome ne' miei Santi e la vede nella natura angelica e nella natura umana » (Dialogo, ca­pit. LXXIX).

55. Gli eletti veggono risplendere la gloria di Dio sopra la terra ed anche nell'inferno.

« La vista dell'anima beata è tanto perfetta che vede la gloria e l'onore del mio nome non solo nei cittadini che sono a vita eterna, ma anche nelle creature mortali. Voglia o non voglia, il mondo mi rende gloria. Vero è che non me la rende come dovrebbe, amando me sopra ogni cosa; ma dalla parte mia io traggo dagli uomini gloria e lode al nome mio, poi­chè in loro brillano la mia misericordia e la grandezza della mia carità.

« Io loro lascio il tempo e non comando alla terra d'inghiottirli per i loro difetti; anzi io li aspetto, e alla terra comando, che loro doni i frutti suoi, al sole, che li scaldi e dia loro la luce e il caldo suo, al cielo che si muova, e spando la mia misericordiosa bontà su tutte le cose che sono fatte per loro. Non solo io non le sottraggo da essi per i difetti loro, ma ancora le do a1 peccatore come al giusto, ed anche spesse volte più al pecca­tore che al giusto, perchè il giusto può sof­frire ed io lo privo dei beni della terra per dargli più abbondantemente i beni del cielo. Così la mia misericordia e la mia carità bril­lano sopra di essi.

« Alcuna volta le persecuzioni che i servi del mondo fanno sopportare a' miei servi, provano la loro pazienza e la loro carità; esse non servono che a farmi offrire da loro umili e continue preghiere: così ridondano a gloria e ad onore del nome mio; sicchè voglia o non voglia, l'iniquo salva la mia gloria, anche con ciò ch'egli fa per offendermi » (Dialogo, C. LXXX).

« I peccatori stanno in questa vita ad au­mentare la virtù ne' servi miei, così come i demònii stanno nell'inferno, in qualità di miei giustizieri e aumentatori, cioè facendo giu­stizia dei dannati. Essi servono altresì alle mie creature, che, nel loro terreno pellegri­naggio, desiderano d'arrivare a me, loro fine. Servono loro esercitando la loro virtù con molte molestie e tentazioni in diversi modi, esponendoli alle ingiurie ed alle ingiustizie degli altri, a fine di far loro perdere la ca­rità; ma volendo spogliare i miei servi, essi li arricchiscono esercitando la loro pazienza, la loro fortezza e la loro perseveranza. Per que­sto modo rendono gloria e lode al nome mio » (Dialogo, C. LXXXI).

56. La vista dei peccati cagiona compassione, ma non tristezza, nel cuore degli eletti.

« L'anima, in cielo, vede l'offesa che mi è fatta; ella non può più, come un tempo, sentirne dolore, ma ne prova solo compas­sione; ama senza pena e prega sempre con carità perchè io faccia misericordia al mondo. In lei la pena è passata, ma non la carità. Il Verbo, mio Figliuolo, vide finire, nella morte dolorosa della croce, la pena del desiderio della vostra salute che lo tormentava, ma il desiderio della vostra salute non è cessato colla pena.

« Parimenti i Santi, che hanno la vita eterna, conservano il desiderio della salute delle anime, ma senza averne la pena; la pena si spense nella loro morte, ma non l'ar­dore della carità. Essi sono come inebriati del sangue dell'Agnello immacolato e rivestiti della carità del prossimo. Passarono per la porta stretta, tutti inondati del sangue di Gesù Crocifisso, e, in me, oceano della pace, si trovano liberati dall'imperfezione, cioè dalla pena del desiderio, perchè sono arrivati a quella perfezione in cui sono saziati d'ogni bene » (Dialogo, c. Lxxxii).

La beata Osanna da Mantova, all'età di dodici anni fu rapita in cielo, ové le fu dato di contemplare lo splendore dei Santi. Quello spettacolo accese il suo cuore d'un tale amore che avrebbe desiderato di non più ritornare sopra la terra. L'Onnipotente le disse: « Figlia mia carissima, io volli farti intravedere la gloria dei vergini e dei martiri, affinchè il ricordo di questa incomparabile felicità ti pre­servi da ogni immondezza e ti renda fedele e diligente nel mio servizio ».

57. L'anima immersa nella gioia celeste.

Dio Padre diede a S. Maria Maddalena de' Pazzi quest'istruzione sulla felicità del cielo « Vedi, figlia mia, la differenza che corre fra un uomo che beve un bicchier d'acqua e un altro che si bagni nel mare. Si dice del primo che l'acqua entra in lui, perchè essa dalla bocca passa nello stomaco per rinfrescarlo; ma del secondo si dice ch'entra nel mare, perchè la quantità d'acqua che lo compone è così grande che eserciti interi possono en­trarvi e perdervisi, senza che ne resti la menoma traccia. Così è dell'anima. Le con­solazioni ch'ella riceve in questo mondo non fanno altro che entrare in lei, come l'acqua in un ristrettissimo vaso, per modo ch'ella non può riceverle se non in una misura assai limitata. Il che faceva dire ad una di tali anime, ricolma di dolcezze, deplorando la pic­ciolezza del suo vaso che non poteva conte­nerne quanta avrebbe voluto: basta, Signore, basta. Dovechè nel cielo si entra nella gioia del Signore, ci si immerge in un oceano senza fondo di dolcezze e di consolazioni ineffabili, cioè in Dio stesso, che sarà tutto in tutti. Dentro di voi, fuori di voi, sopra di voi, at­torno a voi, davanti a voi e dietro a voi, tutto sarà gioia, allegrezza, dolcezze e consolazioni, perchè da ogni lato troverete Iddio. Erit Deus omnia in omnibus » (P. I, c. XYII).

58. Dio si compiace ne' suoi eletti e gli eletti si compiacciono in Dio.

« Nel cielo, disse ancora l'Eterno Padre alla medesima Santa, le anime beate non ces­sano di godere nella compiacenza della sua divina essenza. Esse trovano in tale compia­cenza un piacere inenarrabile ed una grande gloria, il che fa si che anch'io mi compiaccia grandemente in esse; e siffatta compiacenza reciproca di me in loro e di loro in me produce, negli angeli, ineffabili trasporti d'al­legrezza e forma la felicità di tutto il para­diso » (P. IV, c. xiii).

59. Dolcezze corrispondenti ai dolori dell'esilio.

Il Signore disse a Geltrude a proposito di un'eletta: « Perchè il suo più gran dolore fu nel suo braccio, ella mi tiene abbracciato con una sì grande gloria di beatitudine che desidererebbe d'aver sofferto cento volte di più » (lib. V, e. III).

Una volta, dopo la Comunione, racconta Maria Amata, nostro Signore mi mostrò che un giorno si vedrebbero nelle anime tutti i pensieri della loro vita, tutti i loro sentimenti, affetti ed intenzioni (Vita, c. xvui).

60. Ciascun genere d'opere virtuose avrà una speciale ricompensa.

Il Signore diede un giorno a S. Geltrude questa istruzione: « In quella guisa che il corpo si compone di risolti membri fra loro uniti, così l'anima è costituita da diversi af­fetti, come il timore, il dolore, la gioia, l'a­more, la speranza, l'odio, il pudore. Secondo che l'uomo si sarà esercitato per la mia gloria in ciascuno di questi affetti egli ritro­verà in me altrettante gioie ineffabili e ine­stimabili. Nel dì della risurrezione quando questo corpo mortale rivestirà l'incorruttibi­lità, ciascun membro riceverà una ricompensa speciale per ciascuna delle opere che avrà compiute, e per ciascuno degli esercizi prati­cati in mio nome e per mio amore. Ma l'a­nima riceverà una ben più nobile ricompensa per ciascun movimento di santo affetto, che per mio amore l'avrà animata o penetrata di compunzione » (lib. III, c. Lxix).

Un giorno, festa di Tutti i Santi, S. Gel­trude ebbe la visione del cielo. Poi il Signore le mostrò sparsi e mescolati fra i Santi del cielo tutti i fedeli militanti ancora sopra la terra, ciascuno secondo i meriti suoi. Per esempio quelli che, vivendo onestamente nel matrimonio, si esercitano in buone opere nel timore di Dio apparivano aggiunti ai santi patriarchi. Quelli che meritano di conoscere i segreti di Dio sembravano riuniti ai profeti. Quelli che si dedicano alla predicazione e all'insegnamento della santa dottrina erano riuniti agli apostoli e così degli altri. Vide altresì che i martiri avevano nelle loro file i religiosi che vivono sotto l'obbedienza. I santi martiri, nella parte del loro corpo dove soffrirono per il Signore, ricevevano uno splendore speciale e una dilettazione d'una potenza inestimabile. Similmente i religiosi per tutte le delicatezze che rifiutarono a se stessi nei sensi della vista, del gusto, dell'u­dito, nel passeggio o nella conversazione, o per altri simili sacrifizi, hanno in cielo la medesima ricompensa dei martiri » (lib. IV, cap. Lv).

61. « I giusti brilleranno come il sole nel regno del Padre mio ».

Parole del Signore a S. Matilde: « Il corpo, nella sua risurrezione, sarà sette volte più brillante del sole, e l'anima sette volte più brillante del corpo, cui ella ripiglierà come un vestimento, spandendo la luce in tutte le sue membra come il sole in un cristallo. Ed io penetrerò tutte le parti più intime dell'a­nima con una luce ineffabile e così, nel ce­leste soggiorno, brilleranno corpo ed anima, per sempre » (Parte V, c. xiv).

62. Gli eletti nei cori degli angeli.

Il Signore disse a Margherita da Cortona: « Tu mi pregasti per Gilia, ebbene io per amor tuo e per le sue opere virtuose la col­locherò in paradiso nell'ordine dei Cherubini » (cap. VIII, § 6). E qualche tempo dopo: « Oggi rallegrati con Frate Giunta (France­scano, confessore della santa penitente e autore della sua vita) di vedere la sua cara figlia Gilia, ammessa, secondo la mia promessa, nel coro dei Cherubini » (cap. ix, § 31). Gilia era un'amica intima della santa peni­tente. Il Signore un giorno disse a questa: « Tu sai che Giovannello e Gilia, tua com­pagna, per imitare la tua vita penitente, vol­lero mortificare il loro corpo all'eccesso e abbreviarono così la loro vita » (c. x, § 14). Poichè Margherita pregava per Gilia morta allora, un angelo le disse: « Ella starà per un mese in purgatorio, non vi soffrirà che pene leggere, per essersi lasciata trascorrere all'ira per eccesso di zelo ». Il Signore inviò quattro angeli per liberarla dal purgatorio (cap. ix, § 30 e 31).

63. Ciascun eletto gode della felicità di tutti.

« Nel cielo, figlia mia, disse l'Eterno Padre a S. Maria Maddalena de' Pazzi, ogni beato non si rallegra meno della gloria degli altri che della sua propria, perchè l'amore, come sai, mette tutto in comune, e il cielo è il sog­giorno del sincero e perfetto amore. Dirò di più: la perfezione di quest'amore è così grande che un'anima, vedendo un'altra rive­stita di una gloria più fulgida della sua, per­chè ebbe sulla terra una carità più grande, si rallegra più di quella gloria estranea che della sua propria. Così s'aumenta la gloria di ciascun'anima beata, a misura che la sua carità si dilata, poichè ella partecipa della gloria di tutte le altre, così come di quella degli angeli e di tutti gli spiriti da me glo­rificati nel cielo. Vedi, figlia mia, quale abisso di gloria! » (Parte I, c. xxiii).

Il Signore disse a Matilde: « Loda la mia bontà nei Santi, ch'io rimunerai con una tal beatitudine ch'essi abbondano di tutti i beni, non solo in se stessi, ma la gioia dell'uno si accresce ancora colla gioia dell'altro, a tal segno che uno gode della felicità dell'altro più che una madre dell'elevazione dell'unico suo figliuolo, o che un padre del trionfo e della gloria del suo figlio. Così ognuno di loro gode dei meriti particolari di tutti in una dolce carità » (Parte I, c. xxxiv).

APPENDICE
Dal libro: "INVITO ALL'AMORE" Messaggi a: Josefa Menendez + 1923 4 settembre 1922

L'inferno delle anime consacrate è spaventoso, Josefa vi si crede immersa e vede in un lampo tutta la sua vita: Grazie, colpe, aiuti ... la confusione è terribile.

Come nelle precedenti discese in inferno, Josefa non accusa in sè alcun peccato che abbia potuto condurla a tale sventura. Nostro Signore vuole sol­tanto che ella ne provi le conseguenze come se fos­sero meritate: "In un istante mi trovai in inferno, ma senza esservi trascinata come le altre volte. L'anima vi si precipita da se stessa, vi si getta come se desideras­se sparire dalla vista di Dio per poterLo odiare e maledire.

- L'anima mia si lasciò cadere in un abisso di cui non si poteva vedere il fondo perchè è immenso!

... Subito udii altre anime rallegrarsi vedendomi negli stessi tormenti. È già un gran martirio udire quelle terribili grida, ma credo non vi sia tormen­to da paragonare alla sete di maledizione che inva­de l'anima; e più si maledice, più questa sete au­menta! Non avevo mai provato questo tormento. Altre volte l'anima mia era rimasta affranta dal dolore udendo quelle orribili bestemmie, pur non potendo produrre alcun atto d'amore. Ma oggi era tutto il contrario!

"Ho visto l'inferno come sempre: i lunghi cor­ridoi, gli antri, il fuoco ... ho inteso le stesse ani­me gridare e bestemmiare, poichè, anche se non si vedono forme corporali, i tormenti straziano come se i corpi fossero presenti e le anime si riconosco­no. E gridano: "Olà, eccoti quaggiù! Tu, come noi! Eravamo libere di fare e non fare i voti ... ma adesso! ...

E maledicevano i voti.

“Allora fui spinta in una nicchia di fuoco e schiacciata come tra piastre scottanti, e come se dei ferri e delle punte aguzze arroventate s'infig­gessero nel mio corpo!".

Quindi Josefa espone i molteplici tormenti che non risparmiano alcun membro: "Ho sentito co­me se si volesse, senza riuscirvi, strapparmi la lin­gua, cosa che mi riduceva agli estremi, con un atroce dolore. Gli occhi mi sembravano uscir dall'orbita, credo a causa del fuoco che li bruciava orrendamente. Non c'è neppure un'unghia che non soffra un orribile tormento. Non si può nè muovere un dito per cercare sollievo, nè cambiare posizione; il corpo è come compresso e piegato in due. Le orecchie sono stordite dalle grida confuse che non cessano un solo istante. Un odore nausea­bondo e ripugnante asfissia e invade tutto, come se si bruciasse carne in putrefazione con pece e zolfo ... una miscela che non può essere paragona­ta a cosa alcuna del mondo.

"Tutto questo l'ho provato come le altre volte, e sebbene questi tormenti siano terribili, sarebbe­ro un nulla se l'anima non soffrisse. Ma essa soffre in un modo indicibile. Fino ad ora, quando di­scendevo in inferno, soffrivo intensamente perchè credevo di essere uscita dalla religione, e di essere perciò dannata. Ma questa volta, no! Ero in infer­no col segno speciale di religiosa, di un'anima che ha conosciuto ed amato il Suo Dio, e vedevo altre anime di religiosi e religiose che portavano lo stes­so segno. Non saprei dire da che cosa si riconosce­vano: forse dai particolari insulti che i demoni e i dannati scagliavano contro di loro. Anche molti sacerdoti erano là! e non posso spiegare che cosa sia stata questa sofferenza, assai diversa da quella che ho provato altre volte, poichè, se è terribile la pena di un'anima del mondo, è poca cosa in con­fronto di quella dell'anima religiosa. Senza posa, queste tre parole: Povertà, Castità, Obbedienza, si stampano nell'anima come un rimorso strug­gente.

"Alcune anime maledicevano la vocazione che avevano ricevuta ed a cui non avevano corrisposto ... la vocazione che avevano perduta, perchè non si sentivano di vivere sconosciute e mortificate ...

"Vidi molti sacerdoti, religiosi, religiose che maledicevano i voti, il loro Ordine, i loro superiori e tutto quello che avrebbe dovuto dar loro la luce e la grazia che avevano perduta ...

"Ho visto anche dei prelati ... Uno tra essi, si accusava di aver adoperato illegittimamente i beni che non gli appartenevano ...

“Alcuni sacerdoti maledicevano la loro lingua che aveva consacrato, le loro dita che avevano so­stenuto Nostro Signore, le assoluzioni che avevano impartite, senza saper salvare se stessi ... l'occasio­ne che li aveva precipitati nell'inferno ...

“Un sacerdote diceva: Ho mangiato veleno, mi sono servito del denaro che non mi apparte­neva ... " e si accusava di aver adoperato il denaro delle offerte per Messe che non aveva celebrate.

"Un altro diceva che apparteneva ad una socie­tà segreta nella quale aveva tradito la Chiesa e la religione, e che per aver denaro aveva facilitato or­ribili sacrilegi e profanazioni".

"Un altro diceva che si era dannato per aver as­sistito a spettacoli profani dopo i quali non avreb­be dovuto celebrare la Messa ... e che era vissuto così per sette anni! ...

4 ottobre 1922

"Oggi ho visto precipitare in inferno un gran numero di anime: credo che fossero persone del mondo. Tra esse vi era una fanciulla di quindici anni che malediceva i genitori perchè non le ave­vano insegnato a temere Dio, nè che c'è un inferno! Essa diceva che la sua vita, benchè così breve, era stata piena di peccati, poichè si era concesse tutte le soddisfazioni che il suo corpo e le sue pas­sioni esigevano. Essa si accusava soprattutto di aver letto libri cattivi ...

"Il demonio gridava: "Ora il mondo è a buon punto per me! ... so quale è il mezzo migliore per impadronirmi delle anime! ... quello di eccitare in loro il desiderio del piacere e quello di primeg­giare ... " io la prima in tutto! - ... e soprattutto niente umiltà, ma godere! Ecco ciò che mi assicura la vittoria, che le fa cadere qui in abbondanza!­

“Intesi il demonio, a cui un'anima era sfuggita allora allora, costretto a confessare la sua impo­tenza:

"Confusione! Confusione! ... come sfuggono tan­te anime? eppure erano mie ... (ed enumerava i loro peccati). Lavoro senza tregua e tuttavia mi sfuggono ... Ciò avviene perchè c'è qualcuno che soffre e ripara per esse!".

5 novembre 1922

"Ho visto cadere le anime a gruppi serrati ... in certi momenti è impossibile calcolarne il nume­ro! ...

Rimane sconvolta e insieme sfinita.

"Senza un aiuto speciale non sarei più capace nè di lavorare, nè di far niente".

Quella domenica, dopo una notte terribile di espiazione, le appare Nostro Signore. Josefa non può contenere il suo dolore e gli parla di quel

numero incalcolabile di anime perdute per sem­pre. Gesù l'ascolta col volto improntato a grande tristezza: poi, dopo un istante di silenzio:

"Tu hai visto quelle che cadono, ma non hai ancora visto quelle che salgono!".

"Allora scorsi una fila interminabile di anime strette le une alle altre. Entravano in un luogo spazioso, sconfinato, pieno di luce, e si perdevano in quella immensità—.

Il cuore di Gesù si infiammò ed Egli disse:

“Queste anime sono quelle che hanno accet­tato con sottomissione la croce del mio amore e della mia volontà".

Qualche minuto dopo ritorando sulla parte di espiazione e di riparazione di cui intende farle do­no, Gesù gliene spiega il valore così:

“In quanto al tempo in cui ti faccio speri­mentare t 'dolori dell'inferno non lo credere inuti­le e perduto! Il peccato è un'offesa fatta alla Mae­stà infinita e grida vendetta e riparazione infinita.

"Quando tu scendi nell'abisso, le tue sofferen­ze impediscono la perdita di molte anime, la divi­na Maestà le accetta in soddisfazione degli oltraggi che riceve da quelle anime e tn riparazione delle pene che l 'loro peccati hanno meritato. Non di­menticare mai che è il mio grande amore per te e per le anime che permette queste discese! ".

3 febbraio 1923

"Questa notte non sono stata all'inferno, ma sono stata trasportata in un luogo senza luce, tranne che nel centro, dove vi era una specie di fuoco ardente e rosso. Fui stesa e legata senza che potessi fare alcun movimento. Attorno a me stavano sette od otto persone nude, il cui corpo nero veniva ri­schiarato solo dai riflessi del fuoco; stavano sedute e parlavano. Una diceva: "Bisogna agire con pre­cauzione, perchè non si conosca la nostra mano, perchè altrimenti ci scoprono—.

Il demonio rispondeva: "Potete entrare col sentimento della indifferen­za ... sì, credo proprio che voi potete, dissimulan­dovi, perchè non se ne accorgano, rendere indiffe­renti al bene o al male queste persone e gradata­mente inclinare la loro volontà verso il male. Gli altri tentateli di ambizione, che non cerchino altro che il loro interesse ... l'accrescimento delle loro sostanze, senza preoccuparsi se lecitamente o no. "Quegli altri istigateli all'amore del piacere, alla sensualità! Fate che si accechino nel vizio! (Qui pronunziò parole oscene).

"Quegli altri, infine ... prendeteli per il cuore ... voi sapete a che cosa tende il loro cuore ... an­date ... andate con sicurezza: fateli amare! app as­sionarsi! Fate bene il vostro lavoro, senza tregua e senza pietà ... bisogna perdere il mondo ... e che le anime non mi sfuggano!".

Gli ascoltanti rispondevano di tanto in tanto: "Siamo i tuoi schiavi ... lavoreremo senza ripo­so. Sì, molti ci combattono, ma noi lavoreremo giorno e notte, senza riposo ... Riconosciamo la tua potenza!".

Parlavano insieme e quello che credo fosse il demonio pronunziava parole orribili. Intesi in lonta­nanza come un rumore di coppe e di bicchieri ed esso gridava: "Lasciateli gozzovigliare! ... dopo, tutto ci sarà più facile! finiscano il loro banchetto, essi che amano tanto godere! ... Quella è la porta per cui entrerete! ...

Aggiunse cose così orribili, che non si possono nè dire, nè scrivere. Poi, come sprofondandosi nel fumo, sparirono.

Il demonio gridava rabbiosamente per un'ani-ma che gli sfuggiva:

"Istigatela al timore! Fatela disperare! Ah! se essa si affida alla misericordia di quel ... (e be­stemmiava Nostro Signore), sono perduto! Ma no! riempitela di timore ... non lasciatela un istante e soprattutto fatela disperare!".

Allora l'inferno fu pieno di un grido unico di rabbia quando il demonio mi cacciò fuori da quell'abisso e continuò a minacciarmi. Diceva tra le altre cose: "È dunque possibile? ... Sarebbe mai vero che delle deboli creature abbiano più potere di me che sono tanto forte? Ma mi nasconderò per passare inosservato ... mi basta il più piccolo angolo per collocarvi una tentazione: dietro l'orecchio, nelle pagine di un libro, sotto un letto ... Qualche ani­ma non fa caso di me, ma io, io parlo, parlo ... e a forza di parlare, qualche parola resta ... Sì, saprò nascondermi là, dove non potrò essere scoperto!".

Dal libro "SANTA BRIGIDA DI VADSTENA" di Giovanni Joergensen

Il 13 di maggio Brigida entrò in Gerusalemme per la Porta di Giaffa. Pagò alla guardià maomet­tana i nove ducati che costava l'entrata in "EI Qods", anche per i musulmani una città santa. Ella aveva già fatto il suo programma; esso com­prendeva soltanto i luoghi dove Nostro Signore Gesù Cristo era nato, era stato battezzato, aveva patito ed era morto. Il Signore le era apparso e le aveva detto: “Ci sono anche altri luoghi ove io mossi i miei passi, ma a causa della tua debolezza ti basti di visitare i più vicini. Perciò quando tor­nerete dal Giordano, pensate al ritorno. Perchè ci sono ancora molte cose che devi scrivere e manda­re al Papa”. La missione di Brigida non era ancora compiuta: ella doveva condurre la lotta contro Pietro per farlo tornare, il Papa, da Avignone a Roma, fino alla fine.

Da quando aveva lasciato Napoli, un pensiero fisso l'aveva seguita, un tarlo roditore che non l'abbandonava un istante: la sorte dell'anima di suo figlio Carlo. Durante la traversata, mentre giù nella stiva udiva le onde sciabordare contro le mu­rate, e non poteva dormire, veniva l'angoscia e le opprimeva il petto come un incubo: dove è ora Carlo? Egli avrebbe dovuto seguirla in Terrasanta, avrebbe dovuto insieme al fratello essere creato cavaliere del Santo Sepolcro; e se la malattia di cui soffriva veramente era mortale avrebbe potuto tro­vare l'estremo riposo nella valle di Giosafat, ed es­sere tra la primizia della resurrezione il giorno del giudizio ... Ma le cose erano andate ben altrimen­ti, e fu tra le braccia di Giovanna che egli aveva consumate le sue ultime forze! "Oh Maria, tu che egli amava così profondamente, pensa Tu a lui ora nella sua grande miseria!".

E Maria ascoltò la preghiera di Brigida: venne al suo giaciglio sulla nave dondolante, come una vol­ta molti anni prima era accorsa al suo letto quando doveva partorire l'ottavo figlio. E Maria venne a dirle che Ella aveva assistito Karl sul suo letto di morte “come una donna che assiste un'altra don­na nel parto, ed aiuta il bambino affinchè non sia soffocato nell'uscire alla luce, nè anneghi nel san­gue ... E lo difende se ci sono nemici in casa”. Così Maria ha fatto la guardia al morente Karl, e non appena l'anima era uscita dalla strettoia della morte, la prese sotto la sua guardia contro i diavoli che si precipitarono su di essa e volevano inghiot­tirla.

Tanto e non di più potè venir a sapere Brigida, l'anima di Karl era sotto il manto della Vergine: e di ciò dovette per allora accontentarsi. Ma passaro­no soltanto pochi giorni ed ella fu nuovamente ra­pita in estasi, e vide allora quella sala dall'alta vol­ta, che di mano in mano le era diventata familia­re, ove Gesù sedeva sul trono cinto della corona imperiale, circondato dalla corte celeste. "E ac­canto stava la Sua Santa Madre in ascolto". Davanti al giudice è l'anima di Karl "come un bam­bino appena nato che non può ancora vedere". A destra dell'anima un angelo, a sinistra un diavolo. Questo ultimo ha la parola e invoca la giustizia di Dio. Non è giusto che “questa donna, tua Madre”, dice egli, venga qui e presenti quest'ani­ma che deve essere giudicata, e la prenda sotto la sua protezione. Maria risponde che è nel suo dirit­to, perchè Karl durante la vita, spesso recitò una preghiera insegnatale dalla madre, questa: "O Maria, io gioisco quando penso che Dio ti ha più cara di tutte le altre creature, e questa gioia vale di più per me che tutti i terreni godimenti. E se si potesse pensare che tu potessi perdere un solo rag­gio della tua celeste bellezza, e allontanarti tanto quanto è un passo da Dio, piuttosto che ciò potes­se succederti, preferirei essere tormentato nell'in­ferno per l'eternità".

Raramente la devozione mariana medioevale si è espressa in modo più forte che in questa pre­ghiera, ed è stata questa preghiera che ha toccato il cuore di Maria. Anche il diavolo è sopraffatto; tanta abnegazione lui non l'avrebbe stimata possi­bile. "Non est mei juris", conviene egli. Però, però, perchè non provare a rivolgersi a Dio in per­sona? La sentenza definitiva non è ancora stata pronunziata! Lo fa, come al solito, con una rispet­tosa riverenza: "lo so, o Signore, che tu sei la stes­sa giustizia, e che tu sei egualmente giusto verso un povero diavolo come verso un angelo! Dammi perciò quest'anima!" E l'eterna Giustizia non re­spinge puramente e semplicemente la richiesta del diavolo, ma gli chiede di esporre le sue pretese. II diavolo non domanda di meglio: ha un sacco ri­colmo di peccati di Karl, e li ha tutti notati in un libro.

Ed ora si svolge un dialogo che Brigida segue con ansia ed angoscia. Non appena Karl mise i primi peli sul labbro, si diede con ardore ai diver­timenti mondani e ai godimenti carnali, dice il diavolo. Vero, risponde l'angelo, ma in compenso sua madre ha pregato molto per lui, così che ogni volta che peccava correva tosto a confessarsi. Il dia­volo non si lascia mettere a tacere da ciò: egli vuo­le entrare nei particolari e si accinge a raccontare qualcuna delle colpe più grosse di Karl. Ma im­provvisamente accade un fatto strano: il diavolo è colto da amnesia, e non può più ricordare i pecca­ti. E non basta, il registro dei peccati è sparito, ed egli non riesce più a rammentare nulla di quello che c'era scritto. Ora ha proprio ragione di lagnar­si e gridare, che è stato defraudato del risultato del suo lavoro diligente di tanti anni! Sì, dice l'ange­lo, questo hanno operato le lagrime di sua madre! Il diavolo non ha più il suo libro, possiede però ancora il sacco con tutti i peccati che Carlo ha con­fessati, ma per i quali non ha fatto penitenza: per questi ora il diavolo lo punirà! Con fine ironia ri­sponde l'angelo: "Apri pure il sacco!". Il diavolo non se lo fa dire due volte, ma subito emette un grido come fosse impazzito: "Sono stato deruba­to, sono stato derubato!": il sacco è vuoto!

Sono ancora le lagrime di Brigida che hanno la­vorato. Il diavolo però non si dà per vinto: ci sono ancora i peccati veniali di Karl. L'angelo spiega che essi sono cancellati dalla buona volontà da lui dimostrata lasciando casa, patria, parenti e amici per recarsi in pellegrinaggio. "Sì, ma questi pec­cati sono innumerevoli come la rena del mare, os­serva il diavolo, migliaia e ancora migliaia: li ho tutti sulla punta della lingua!” "Fuori la lingua!" è la risposta. Il diavolo apre la bocca, ma la lingua è scomparsa! Le buone opere di Brigida hanno cancellato tutte le mancanze e paralizzato la lin­gua del diavolo. Il maligno può tuttavia borbotta­re ancora qualche cosa: Karl ha commesso un pec­cato che è proprio contro lo spirito di sua madre: si è appropriato ingiustamente di beni che non ha più restituiti! Risponde l'angelo che egli aveva la migliore intenzione di restituirli, ma che la morte glielo impedì. E i suoi eredi adempiranno i suoi obblighi.

Finalmente il diavolo parla dei peccati di omis­sione: il bene che Karl avrebbe potuto fare e non ha fatto. Sì, dice l'angelo, ma, in compenso, sua madre per quanti anni ha fatto azioni misericor­diose, ed ha versato molte migliaia di lagrime per Karl, affinchè Iddio, alla fine, si degnasse di in­viargli lo Spirito Santo! Ciò che avvenne: perchè quando egli partì da casa, fu con l'intenzione di andare a combattere contro gli infedeli, e contri­buire affinchè la Terrasanta e il Sepolcro del Si­gnore tornassero in potere dei cristiani. Dopo ciò il diavolo non ha più nulla da dire; e mugghia: “Povero me, che non ricordo più nulla di quello che quest'uomo ha fatto, anzi non ne ricordo nemmeno più il nome! Maledetta la vecchia scrofa di sua madre e tutte le sue lagrime! " Ma dall'eter­no empireo suona una voce chiara e tranquilla: "Ora egli si chiama qui il figlio delle lagrime!".

"Questa Rivelazione ebbe luogo nella chiesa del Santo Sepolcro", è detto nel vecchio titolo di questo capitolo delle Revelationes di Brigida.

APPENDICE

QUADERNI DEL 1944 di Maria Valtorta - Ed. Pisani.

SULL'ALDILA
La visione dura, nella sua fase finale, ancora mentre io scrivo. Scrivo sotto lo sguardo di tanti esseri celesti che vedono come io dico unicamente ciò che vedo, senza aggiungere particolari o porta­re modifiche. Ed ecco la visione.

Non appena ricevuto Gesù, mi sentii la Mam­ma, Maria, al lato sinistro del letto che mi abbrac­ciava col braccio destro attirandomi a sè. Era col suo abito e velo bianco come nelle visioni della Grotta, in dicembre. Nello stesso tempo mi sen­tii avvolta da una luce d'oro e da un soave, inde­scrivibilmente soave colore, e gli occhi del mio spirito cercavano la sorgente di esso che sentivo piovere su me dall'alto. Mi parve che la mia came­ra, pur rimanendo camera come è nel pavimento e nelle 4 pareti e nelle suppellettili, non avesse più soffitto ed io vedessi gli azzurri sconfinati di Dio.

Sospesa in questi azzurri, la Divina Colomba di fuoco stava a perpendicolo sul capo di Maria, e na­turalmente sul mio capo, perchè io ero appoggiata gota a gota a Maria. Lo Spirito Santo aveva l'ali aperte e posizione eretta, verticale. Non si muove­va, eppure vibrava, e ad ogni vibrazione erano on­de, lampi, scintille di fulgore che si sprigionava­no. Da Esso scaturiva un cono di luce d'oro il cui vertice partiva dal petto della Colomba e la cui ba­se fasciava Maria e me. Eravamo raccolte in questo cono, in questo manto, in questo abbraccio di lu­ce gaudiosa. Una luce vivissima eppure non abba­gliante, perchè comunicava agli occhi una forza nuova che aumentava ad ogni bagliore che si spri­gionava dalla Colomba, aumentando sempre il bagliore già esistente ad ogni vibrazione di Essa. Sentivo l'occhio come dilatarsi in una potenza so­vrumana, quasi non fosse più occhio di creatura ma di spirito già glorificato.

Quando raggiunsi la capacità di vedere oltre, per merito dell'Amore acceso e sospeso sopra di me, il mio spirito venne chiamato a guardare più in alto. E contro l'azzurro più terso del Paradiso vidi il Padre. Distintamente, per quanto la sua fi­gura fosse a linee di luce immateriale. Una bellez­za che non tento descrivere perchè è superiore alle capacità umane. Egli mi appariva come su un tro­no. Dico così perchè mi appariva seduto con infi­nita maestà. Ma non vedevo trono, poltrona o bal­dacchino. Nulla di quanto è forma terrena di sedi­le. Egli mi appariva dal lato alla mia sinistra (verso la direzione del mio Gesù crocifisso, tanto per dar­le una indicazione, e perciò a destra del suo Figlio) ma ad una altezza incalcolabile. Eppure lo vedevo nei più minuti dei suoi luminosissimi trat­ti. Guardava verso la finestra (sempre per darle una indicazione delle diverse posizioni). Guarda­va con sguardo di infinito amore.

Seguii il suo sguardo e vidi Gesù. Non il Gesù­ Maestro che vedo di solito. Il Gesù-Re. Bianco ve­stito ma di una veste luminosa e candidissima co­me è quella di Maria. Una veste che pare fatta di luce. Bellisimo. Aitante. Imponente. Perdetto. Sfolgorante. Colla mano destra - era in piedi - teneva il suo scettro che è anche il suo vessillo. Una lunga asta, quasi un pastorale, ma ancora più alto del mio altissimo Gesù, che non finisce con il ricciolo del pastorale ma in una asta traversa, che forma perciò una croce fatta così (1)),

(1) Qui la scrittrice disegna una croce latina molto allungata.

dalla quale pende, sostenuto dall'asta più corta, un gonfalone di luminosissima, candida seta, fatto così (2)),

(2) Qui la scrittrice disegna, rozzamente, una specie di scudo crociato.

e se­gnato da ambo i lati da una croce purpurea; sul gonfalone è scritto a parole di luce, quasi fosse scritto con diamanti liquidi, la parola: “Gesù Cristo”.

Vedo molto bene le piaghe delle mani poiché la destra tiene l'asta in alto, verso il gonfalone, e la sinistra accenna alla ferita del costato, che però non vedo altro che come un punto luminosissimo da cui escono raggi che scendono verso terra. La ferita a destra è proprio verso il polso e pare un ru­bino splendentissimo della larghezza di una mo­neta da 10 centesimi. Quella di sinistra è più cen­trale e vasta, ma si allunga poi così (3))

(3) Qui la scrittrice disegna un piccolo cerchio ellittico e allun­gato a punta verso destra.

verso il polli­ce. Splendono come carbonchi vivi. Non vedo al­tre ferite. Anzi il Corpo del mio Signore è bellissi­mo e integro in ogni sua parte.

Il Padre guarda il Figlio alla sua sinistra. Il Fi­glio guarda sua Madre e me. Ma le assicuro che se non guardasse con amore non potrei sostenere il fulgore del suo sguardo e del suo aspetto. È pro­prio il Re di tremenda maestà di cui è detto.

Più la visione dura e più si aumenta in me la fa­coltà di percepire i più minuti particolari e di ve­dere sempre più in vasto raggio.

Infatti dopo qualche tempo vedo S. Giuseppe (presso all'angolo dove è il Presepio). Non è tanto alto, su per giù come Maria. Robusto. Brizzolato nei capelli, che sono ricciuti e corti, e nella barba tagliata quadrata. Naso lungo e sottile, aquilino. Due rughe incidono le guance partendo dagli an­goli del naso e scendendo a perdersi ai lati della bocca, fra la barba. Occhi scuri e buonissimi. Ri­trovo in essi lo sguardo amorosamente buono di mio padre. Tutto il volto è buono, pensoso senza essere mesto, dignitoso, ma tanto, tanto buono. È vestito di una tunica blu-violacea come i petali di certe pervinche ed ha un manto color pelo di cam­mello. Gesù me lo addita dicendomi: “Ecco il pa­trono di tutti i giusti”.

Poi la Luce mi richiama lo spirito dall'altro lato della camera, ossia verso il letto di Marta (4) Si riferisce, quando dice Marta a Marta Diciotti. e vedo il mio angelo. È in ginocchio, volto verso Maria che pare venerare. Biancovestito. Le braccia messe a croce sul petto con le mani che toccano le spalle. Ha il capo molto curvo, per cui poco lo vedo in vi­so. È in atto di profondo ossequio. Vedo le belle ali lunghe, candidissime, pontute, vere ali fatte per trasvolare rapide e sicure da Terra a Cielo, ora raccolte dietro alle spalle. Mi insegna, col suo at­teggiamento, come si dice: "Ave, Maria".

Mentre ancora lo guardo, sento che qualcuno è presso a me dal lato destro e che mi posa una ma­no sulla spalla destra. È il mio S. Giovanni col suo volto splendente di ilare amore.

Mi sento beata. E mi raccolgo in mezzo a tanta beatitudine credendo aver toccato il culmine. Ma un più vivo sfavillare dello Spirito di Dio e delle piaghe di Gesù, mio Signore, aumenta ancora la capacità di vedere. E vedo la Chiesa celeste, la Chiesa trionfante! Tento descrivergliela.

In alto, sempre, il Padre, il Figlio, ed ora anche lo Spirito, alto sopra i Due, framezzo ai Due che collega coi suoi fulgori.

Più in basso, come fra due pendici azzurre, di un azzurro non terreno, raccolta in una beata val­le, la moltitudine dei beati in Cristo, l'esercito dei segnati col nome dell'Agnello, una moltitudine che è luce, una luce che è canto, un canto che è adorazione, una adorazione che è beatitudine.

A sinistra le schiere dei confessori. A destra quelle dei vergini. Non vidi la schiera dei martiri, e lo Spirito mi fa capire che i martiri sono aggrega­ti ai vergini poiché il martirio riverginizza l'anima come fosse pur mo creata. Mi paiono tutti vestiti di bianco, sia i confessori che i vergini. Quel bian­co luminoso della veste di Gesù e Maria.

Luce emanata dal suolo azzurro e dalle azzurre pareti della valle sante quasi fossero di zaffiro ac­ceso. Luce emanano le vesti di diamante tessuto. Luce, soprattutto, i corpi ed i volti spiritualizzati. E qui mi industrio a descriverle ciò che ho notato nei diversi corpi.

Corpo di carne e spirito vivo, pulsante, perfet­to, sensibile al tatto e contatto, è unicamente quello di Gesù e Maria: due corpi gloriosi ma real­mente "corpi". Luce dalla forma di corpo, tanto perchè possa esser percepibile a questa povera ser­va di Dio, l'Eterno Padre, lo Spirito Santo e l'an­gelo mio. Luce già più compatta S. Giuseppe e S. Giovanni, certamente perchè ne devo udire la pre­senza e la parola. Fiamme bianche, che sono corpi spiritualizzati, tutti i beati che formano la molti­tudine dei Cieli.

Fra i confessori non si volta nessuno. Guardano tutti la Santissima Trinità. Fra i vergini si volge qualcuno. Distinguo gli apostoli Pietro e Paolo perché, per quanto luminosi e bianco-vestiti come tutti, hanno il volto già più distinguibile degli al­tri: un caratteristico volto ebraico. Mi guardano con benignità (meno male!).

Poi tre spiriti beati, che comprendo essere di donne, che mi guardano, accennano e sorridono. Si direbbe che mi invitano. Sono giovani. Ma già mi pare che i beati abbiano tutti una stessa età: giovanile, perfetta, ed una uguale bellezza. Sono copie minori di Gesù e Maria. Chi siano queste tre creature celesti non posso dire, ma poichè due portano le palme e una solo dei fiori - le palme sono l'unico segno che distingue i martiri dai ver­gini - credo di non errare nel dire che sono Agnese, Cecilia e Teresa di Lisieux.

Quel che, nonostante il mio buon volere, non le posso dire, è l'Alleluia di questa moltitudine. Un'Alleluia potente e pure soave come una carez­za. E tutto ride e splende più vivo ad ogni osanna della moltitudine al suo Dio.

La visione cessa e nella sua intensità si cristalliz­za in questa sua forma. Maria mi lascia e con Lei Giovanni e Giuseppe, prendendo la prima il suo posto di fronte al Figlio e gli altri il loro nella schiera dei vergini.

Ed ora cerco descrivere.

Ho rivisto il Paradiso. E ho compreso di cosa è fatta la sua Bellezza, la sua Natura, la sua Luce, il suo Canto. Tutto, insomma. Anche le sue Opere, che sono quelle che, da tant'alto, informano, re­golano, provvedono a tutto l'universo creato. Co­me già l'altra volta, nei primi del corrente anno, credo, ho visto la Ss. Trinità. Ma andiamo per ordine.

Anche gli occhi dello spirito, per quanto molto più atti a sostenere la Luce che non i poveri occhi del corpo che non possono fissare il sole, astro si­mile a fiammella di fumigante lucignolo rispetto alla Luce che è Dio, hanno bisogno di abituarsi per gradi alla contemplazione di questa alta Bel­lezza.

Dio è così buono che, pur volendosi svelare nei suoi fulgori, non dimentica che siamo poveri sprirti ancor prigionieri in una carne, e perciò in­deboliti da questa prigionia. Oh! come belli, luci­di, danzanti, gli spiriti che Dio crea ad ogni atti­mo per esser anima alle nuove creature! Li ho visti e so. Ma noi ... finchè non torneremo a Lui non possiamo sostenere lo Splendore tutto d'un colpo. Ed Egli nella sua bontà ce ne avvicina per gradi.

Per prima cosa, dunque, ieri sera ho visto come una immensa rosa. Dico “rosa” per dare il concet­to di questi cerchi di luce festante che sempre più si accentravano intorno ad un punto di un insoste­nibile fulgore.

Una rosa senza confini! La sua luce era quella che riceveva dallo Spirito Santo. La luce splendi­dissima dell'Amore eterno. Topazio e oro liquido resi fiamma ... oh! Non so come spiegare! Egli raggiava, alto, alto e solo, fisso nello zaffiro im­macolato e splendidissimo dell'Empireo, e da Lui scendeva a fiotti inesausti la Luce. La Luce che pe­netrava la rosa dei beati e dei cori angelici e la fa­ceva luminosa di quella sua luce che non è che il prodotto della luce dell'Amore che la penetra. Ma io non distinguevo santi o angeli. Vedevo solo gli immisurabili festoni dei cerchi del paradisiaco fiore.

Ne ero già tutta beata e avrei benedetto Dio per la sua bontà, quando, in luogo di cristallizzarsi co­sì, la visione si aprì a più ampi fulgori, come se si fosse avvicinata sempre più a me permettendomi di osservarla con l'occhio spirituale abituato ormai al primo fulgore e capace di sostenerne uno più forte.

E vidi Dio Padre: Splendore nello splendore del Paradiso. Linee di luce splendidissima, candidissi­ma, incandescente. Pensi lei: se io lo potevo di­stinguere in quella marea di luce, quale doveva es­sere la sua Luce che, pur circondata da tant'altra, la annullava facendola come un'ombra di riflesso rispetto al suo splendere? Spirito... Oh! Come si vede che è spirito! È Tutto. Tutto tanto è perfetto. È nulla perchè anche il tocco di qualsiasi altro spi­rito del Paradiso non potrebbe toccare Dio, Spiri­to perfettissimo, anche con la sua immaterialità: Luce, Luce, niente altro che Luce.

Di fronte al Padre Iddio era Dio Figlio. Nella veste del suo Corpo glorificato su cui splendeva l'abito regale che ne copriva le Membra Ss. senza calarne la bellezza superindescrivibile. Maestà e Bontà si fondevano a questa sua Bellezza. I car­bonchi delle sue cinque Piaghe saettavano cinque spade di luce su tutto il Paradiso e aumentavano lo splendore di questo e della sua Persona glorifi­cata.

Non aveva aureola o corona di sorta. Ma tutto il suo Corpo emanava luce, quella luce speciale dei corpi spiritualizzati che in Lui e nella Madre è in­tensissima e si sprigiona dalla Carne che è carne, ma non è opaca come la nostra. Carne che è luce. Questa luce si condensa ancor di più intorno al suo Capo. Non ad aureola, ripeto, ma da tutto il suo Capo. Il sorriso era luce e luce lo sguardo, luce trapanava dalla sua bellissima Fronte, senza feri­te. Ma pareva che, là dove le spine un tempo ave­vano tratto sangue e dato dolore, ora trasudasse più viva luminosità.

Gesù era in piedi col suo stendardo regale in mano come nella visione che ebbi in gennaio, credo.

Un poco più in basso di Lui, ma di ben poco, quanto può esserlo un comune gradino di scala, era la Ss. Vergine. Bella come lo è in Cielo, ossia con la sua perfetta bellezza umana glorificata a bellezza celeste.

Stava fra il Padre e il Figlio che erano lontani tra loro qualche metro. (Tanto per applicare pa­ragoni sensibili). Ella era nel mezzo e, con le mani incrociate sul petto - le sue dolci, candidissime, piccole, bellissime mani - e col volto lievemente alzato - il suo soave, perfetto, amoroso, soavissi­mo volto - guardava, adorando, il Padre e il Figlio.

Piena di venerazione guardava il Padre. Non di­ceva parola. Ma tutto il suo sguardo era voce di adorazione e preghiera e canto. Non era in ginoc­chio. Ma il suo sguardo la faceva più prostrata che nella più profonda genuflessione, tanto era ado­rante. Ella diceva: "Sanctus!", diceva: "Adoro Te!" unicamente col suo sguardo.

Guardava il suo Gesù piena di amore. Non di­ceva parola. Ma tutto il suo sguardo era carezza. Ma ogni carezza di quel suo occhio soave diceva: "Ti amo!". Non era seduta. Non toccava il Figlio. Ma il suo sguardo lo riceveva come se Egli le fosse in grembo circondato da quelle sue materne brac­cia come e più che nell'Infanzia e nella Morte. El­la diceva: "Figlio mio!", "Gioia mia!", "Mio amore!" unicamente col suo sguardo.

Si beava di guardare il Padre e il Figlio. È ogni tanto alzava più ancora il volto e lo sguardo a cercare l'Amore che splendeva alto, a perpendicolo su Lei. E allora la sua luce abbagliante, di perla fatta luce, si accendeva come se una fiamma la in­vestisse per arderla e farla più bella. Ella riceveva il bacio dell'Amore e si tendeva con tutta la sua umiltà e purezza, con la sua carità, per rendere ca­rezza a Carezza e dire: "Ecco. Son la tua Sposa e ti amo e son tua. Tua per l'eternità". E lo Spirito fiammeggiava più forte quando lo sguardo di Ma­ria si allacciava ai suoi fulgori.

E Maria riportava il suo occhio sul Padre e sul Figlio. Pareva che, fatta deposito dall'Amore, di­stribuisse questo. Povera immagine mia! Dirò me­glio. Pareva che lo Spirito eleggesse Lei ad essere quella che, raccogliendo in sè tutto l'Amore, lo portasse poi al Padre e al Figlio perchè i Tre si unissero e si baciassero divenendo Uno. Oh! gioia comprendere questo poema di amore! E vedere la missione di Maria, Sede dell'Amore!

Ma lo Spirito non concentrava i suoi fulgori uni­camente su Maria. Grande la Madre nostra. Se­conda solo a Dio. Ma può un bacino, anche se grandissimo, contenere l'oceano? No. Se ne em­pie e ne trabocca. Ma l'oceano ha acque per tutta la terra. Così la Luce dell'Amore. Ed Essa scende­va in perpetua carezza sul Padre e sul Figlio, li stringeva in un anello di splendore. E si allargava ancora, dopo essersi beatificata col contatto del Padre e del Figlio che rispondevano con amore all'Amore, e si stendeva su tutto il Paradiso.

Ecco che questo si svelava nei suoi particolari... Ecco gli angeli. Più in alto dei beati, cerchi intorno al Fulcro del Cielo che è Dio Uno e Trino con la Gemma verginale di Maria per cuore. Essi hanno somiglianza più viva con Dio Padre. Spiriti perfet­ti ed eterni, essi sono tratti di luce, inferiore uni­camente a quella di Dio Padre, di una forma di bellezza indescrivibile. Adorano ... sprigionano armonie. Con che? Non so. Forse col palpito del loro amore. Poichè non son parole; e le linee delle bocche non smuovono la loro luminosità. Splen­dono come acque immobili percosse da vivo sole. Ma il loro amore è canto. Ed è armonia così subli­me che solo una grazia di Dio può concedere di udirla senza morirne di gioia.

Più sotto, i beati. Questi, nei loro aspetti spiri­tualizzati, hanno più somiglianza col Figlio e con Maria. Sono più compatti, direi sensibili all'oc­chio e - fa impressione - al tatto, degli angeli. Ma sono sempre immateriali. Però in essi sono più marcati i tratti fisici, che differiscono in uno dall'altro. Per cui capisco se uno è adulto o bam­bino, uomo o donna. Vecchi, nel senso di decrepi­tezza, non ne vedo. Sembra che anche quando i corpi spiritualizzati appartengono ad uno morto in tarda età, lassù cessino i segni dello sfacimento della nostra carne. Vi è maggior imponenza in un anziano che in un giovane. Ma non quello squal­lore di rughe, di calvizie, di bocche sdentate e schiene curvate proprie negli umani. Sembra che il massimo dell'età sia di 40, 45 anni. Ossia virilità fiorente anche se lo sguardo e l'aspetto sono di di­gnità patriarcale.

Fra i molti ... oh! quanto popolo di santi! ... e quanto popolo di angeli! I cerchi si perdono, di­ventano scia di luce per i turchini splendori di una vastità senza confini! E da lungi, da lungi, da que­sto orizzonte celeste viene ancora il suono del su­blime alleluia e tremola la luce che è l'amore di questo esercito di angeli e beati...

Fra i molti vedo, questa volta, un imponente spirito. Alto, severo, e pur buono. Con una lunga barba che scende sino a metà del petto e con delle tavole in mano. Le tavole sembrano quelle cerate che usavano gli antichi per scrivere. Si appoggia con la mano sinistra ad esse che tiene, alla loro volta, appoggiate al ginocchio sinistro. Chi sia non so. Penso a Mosè o a Isaia. Non so perchè. Penso così. Mi guarda e sorride con molta dignità. Null'altro. Ma che occhi! Proprio fatti per domi­nare le folle e penetrare i segreti di Dio.

Lo spirito mio si fa sempre più atto a vedere nel­la Luce. E vedo che ad ogni fusione delle tre Perso­ne, fusione che si ripete con ritmo incalzante ed incessante come un pungolo di fame insaziabile d'amore, si producono gli incessanti miracoli che sono le opere di Dio.

Vedo che il Padre, per amore del Figlio, al qua­le vuole dare sempre più grande numero di segua­ci, crea le anime. Oh! che bello! Esse escono come scintille, come petali di luce, come gemme globu­lari, come non sono capace di descrivere, dal Pa­dre. È uno sprigionarsi incessante di nuove anime... Belle, gioiose di scendere ad investire un corpo per obbedienza al loro Autore. Come sono belle quando escono da Dio! Non vedo, non lo posso vedere essendo in Paradiso, quando le spor­ca la macchia originale.

Il Figlio, per zelo per il Padre suo, riceve e giu­dica, senza soste, coloro che, cessata la vita, torna­no all'Origine per esser giudicati. Non vedo que­sti spiriti. Comprendo se essi sono giudicati con gioia, con misericordia, o con inesorabilità, dai mutamenti dell'espressione di Gesù. Che fulgore di sorriso quando a Lui si presenta un santo! Che luce di mesta misericordia quando deve separarsi da uno che deve mondarsi prima di entrare nel Regno! Che baleno di offeso e doloroso corruccio quando deve ripudiare in eterno un ribelle!

È qui che comprendo ciò che è il Paradiso. E ciò di che è fatta la sua Bellezza, Natura, Luce e Can­to. È fatta dall'Amore. Il Paradiso è Amore. L l'Amore che in esso crea tutto. L l'Amore la base su cui tutto si posa. L l'Amore l'apice da cui tutto viene.

Il Padre opera per Amore. Il Figlio giudica per Amore. Maria vive per Amore. Gli angeli cantano per Amore. I beati osannano per Amore. Le ani­me si formano per Amore. La Luce è perchè è l'Amore. Il Canto è perchè è Amore. La Vita è perchè è l'Amore. Oh! Amore! Amore! Amore!... Io mi annullo in Te. Io risorgo in Te. Io muoio, creatura umana, perchè Tu mi consumi. Io nasco, creatura spirituale, perchè Tu mi crei.

Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, Terza Persona! Sii benedetto, benedetto, bene­detto, Amore, che sei amore delle Due Prime! Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, che ami i Due che ti precedono! Sii benedetto Tu che mi ami. Sii benedetto da me che ti amo perchè mi permetti di amarti e conoscerti, o Luce mia...

Ho cercato nei fascicoli, dopo aver scritto tutto questo, la precedente contemplazione del Paradi­so. Perchè? Perchè diffido sempre di me e volevo vedere se una delle due era in contraddizione con l'altra. Ciò mi avrebbe persuasa che sono vittima di un inganno.

No. Non vi è contraddizione. La presente è an­cor più nitida ma ha le linee essenziali uguali. La precedente è alla data 10 gennaio 1944'). E da al­lora io non l'avevo mai più guardata. Lo assicuro come per giuramento.

Dice a sera Gesù:

«Nel Paradiso che l'Amore ti ha fatto contem­plare vi sono unicamente i "vivi" di cui parla Isaia nel cap. 4, una delle profezie che saranno lette do­mani l'altro. E come si ottiene questo esser "vi­vi" lo dicono le parole susseguenti. Con lo spirito di giustizia e con lo spirito di carità si annullano le macchie già esistenti e si preserva da novelle corru­zioni.

Questa giustizia e questa carità che Dio vi dà e che voi gli dovete dare, vi condurranno all'ombra

del Tabernacolo eterno. Là il calore delle passioni e le tenebre del Nemico diverranno cosa innocua poichè saranno neutralizzate dal Protettore vostro Ss., che più amoroso di chioccia per i suoi nati vi terrà al riparo delle sue ali e vi difenderà contro ogni soprannaturale assalto. Ma non allontanatevi mai da Lui che vi ama.

Pensa, anima mia, alla Gerusalemme che ti è stata mostrata. Non merita ogni cura per posse­derla? Vinci. lo ti attendo. Noi ti attendiamo. Oh! questa parola che vorremmo dire a tutti i creati, almeno a tutti i cristiani, almeno a tutti i cattolici, e che possiamo dire a tanto pochi!

Basta perchè sei stanca. Riposa pensando al Pa­radiso”.

Dice Gesù:

"Una volta ti ho fatto vedere il Mostro d'abisso. Oggi ti parlerò del suo regno. Non ti posso sempre tenere in paradiso. Ricordati che tu hai la missione di richiamare delle verità ai fratelli che troppo le hanno dimenticate. E da queste dimenticanze, che sono in realtà sprezzi per delle verità eterne, provengono tanti mali agli uomini.

Scrivi dunque questa pagina dolorosa. Dopo sa­rai confortata. È la notte del venerdì. Scrivi guar­dando al tuo Gesù che è morto sulla croce fra tor­menti tali che sono paragonabili a quelli dell'in­ferno, e che l'ha voluta, tale morte, per salvare gli uomini dalla Morte.

Gli uomini di questo tempo non credono più all'esistenza dell'Inferno. Si sono congegnati un al di là a loro gusto e tale da essere meno terroriz­zante alla loro coscienza meritevole di molto casti­go. Discepoli più o meno fedeli dello Spirito del Male, sanno che la loro coscienza arretrerebbe da certi misfatti, se realmente credesse all'Inferno così come la Fede insegna che sia; sanno che la lo­ro coscienza, a misfatto compiuto, avrebbe dei ri­torni in se stessa e nel rimorso troverebbe il penti­mento, nella paura troverebbe il pentimento e col pentimento la via per tornare a Me.

La loro malizia, istruita da Satana, al quale sono servi o schiavi (a seconda della loro aderenza ai voleri e alle suggestioni del Maligno) non vuole questi arretramenti e questi ritorni. Annulla per­ciò la fede nell'Inferno quale realmente è e ne fabbrica un altro, se pure se lo fabbrica, il quale non è altro che una sosta per prendere lo slancio ad altre, future elevazioni.

Spinge questa sua opinione sino a credere sacri­legamente che il più grande di tutti i peccatori dell'umanità, il figlio diletto di Satana, colui che

era ladro come è detto nel Vangelo, che era con­cupiscente e ansioso di gloria umana come dico lo,1'Iscariota, che per fame della triplice concupi­scenza si è fatto mercante del Figlio di Dio e per trenta monete e col segno di un bacio - un valore monetario irrisorio e un valore affettivo infinito - mi ha messo nelle mani dei carnefici, possa redi­mersi e giungere a Me passando per fasi successive.

No. Se egli fu il sacrilego per eccellenza, lo non lo sono. Se egli fu l'ingiusto per eccellenza, Io non lo sono. Se egli fu colui che sparse con sprezzo il mio Sangue, Io non lo sono. E perdonare a Giuda sarebbe sacrilegio alla mia Divinità da lui tradita, sarebbe ingiustizia verso tutti gli altri uomini, sempre meno colpevoli di lui e che pure sono pu­niti per i loro peccati, sarebbe sprezzo al mio San­gue, sarebbe infine venire meno alle mie leggi.

Ho detto, Io Dio Uno e Trino, che ciò che è destinato all'Inferno dura in esso per l'eternità, perchè da quella morte non si esce a nuova resur­rezione. Ho detto che quel fuoco è eterno e che in esso saranno accolti tutti gli operatori di scandali e di iniquità. Nè crediate che ciò sia sino al momen­to della fine del mondo. No, chè anzi, dopo la tremenda rassegna, più spietata si farà quella di­mora di pianto e tormento, poichè ciò che ancora

è concesso ai suoi ospiti di avere per loro inferna­le sollazzo - il poter nuocere ai viventi e il veder nuovi dannati precipitare nell'abisso - più non sarà, e la porta del regno nefando di Satana sarà ri­battuta, inchiavardata dai miei angeli, per sem­pre, per sempre, per sempre, un sempre il cui nu­mero di anni non ha numero rispetto al quale, se anni divenissero i granelli di rena di tutti gli ocea­ni della terra, sarebbero meno di un giorno di questa mia eternità immisurabile, fatta di luce e di gloria nell'alto per i benedetti, fatta di tenebre e orrore per i maledetti nel profondo.

Ti ho detto che il Purgatorio è fuoco di amo­re. L'inferno è fuoco di rigore.

Il Purgatorio è luogo in cui, pensando a Dio, la cui Essenza vi è brillata nell'attimo del particolare giudizio e vi ha riempito di desiderio di posseder­la, voi espiate le mancanze di amore per il Signore Dio vostro. Attraverso l'amore conquistate l'Amore, e per gradi di carità sempre più accesa lavate la vostra veste sino a renderla candida e lu­cente per entrare nel regno della Luce i cui fulgori ti ho mostrato giorni sono.

L'Inferno è luogo in cui il pensiero di Dio, il ri­cordo del Dio intravveduto nel particolare giudi­zio non è, come per i purganti, santo desiderio, nostalgia accorata ma piena di speranza, speranza piena di tranquilla attesa, di sicura pace che rag­giungerà la perfezione quando diverrà conquista di Dio, ma che già dà allo spirito purgante un'ila­re attività purgativa perchè ogni pena, ogni atti­mo di pena, li avvicina a Dio, loro amore; ma è ri­morso, è rovello, è dannazione, è odio. Odio verso Satana, odio verso gli uomini, odio verso se stessi.

Dopo averlo adorato, Satana, nella vita, al po­sto mio, ora che lo posseggono e ne vedono il vero aspetto, non più celato sotto il maliardo sorriso della carne, sotto il lucente brillio dell'oro, sotto il potente segno della supremazia, lo odiano perchè causa del loro tormento.

Dopo avere, dimenticando la loro dignità di fi­gli di Dio, adorato gli uomini sino a farsi degli as­sassini, dei ladri, dei barattieri, dei mercanti di immondezze per loro, adesso che ritrovano i loro padroni per i quali hanno ucciso, rubato, truffato, venduto il proprio onore e l'onore di tante creatu­re infelici, deboli, indifese, facendone strumento al vizio che le bestie non conoscono - alla lussu­ria, attributo dell'uomo avvelenato da Satana - adesso li odiano perchè causa del loro tormento.

LiviaGloria
00mercoledì 18 aprile 2007 12:58
Dopo avere adorato se stessi dando alla carne, al sangue, ai sette appetiti della loro carne e del loro sangue tutte le soddisfazioni, calpestando la Leg­ge di Dio e la legge della moralità, ora si odiano perchè si vedono causa del loro tormento.

La parola "Odio" tappezza quel regno smisu­rato; rugge nelle fiamme; urla nei chachinni dei demoni; singhiozza e latra nei lamenti dai danna­ti; suona, suona, suona, suona come una eterna campana a martello; squilla come una eterna buc­cina di morte; empie di sé i recessi di quella carce­re; è, di suo, tormento, perchè rinnovella ad ogni suo suono il ricordo dell'Amore per sempre per­duto, il rimorso di averlo voluto perdere, il rovello di non poterlo mai più rivedere.

L'anima morta, fra quelle fiamme, come quei corpi gettati nei roghi o in un forno crematorio, si contorce e stride come animata di nuovo da un movimento vitale e si risveglia per comprendere il suo errore, e muore e rinasce ad ogni momento con sofferenze atroci, perchè il rimorso la uccide in una bestemmia e l'uccrrione la riporta al rivive­re per un nuovo tormento. Tutto il delitto di aver tradito Dio nel tempo sta di fronte all'anima nell'eternità; tutto l'errore di aver ricusato Dio nel tempo sta per suo tormento presente ad essa per l'eternità.

Nel fuoco le fiamme simulano le larve di ciò che adorarono in vita, le passioni si dipingono in ro­venti pennellate coi più appetitosi aspetti, e stri­dono, stridono il loro memento. "Hai voluto il fuoco delle passioni. Ora abbiti il fuoco acceso da Dio il cui santo Fuoco hai deriso". Fuoco risponde a fuoco. In Paradiso è fuoco di amore perfetto. In Purgatorio è fuoco di amore purificatore. In Inferno è fuoco di amore offeso. Poichè gli eletti amarono alla perfezione, l'Amore a loro si dona nella sua Perfezione. Poichè i pur­ganti amarono tiepidamente, l'Amore si fa fiam­ma per portarli alla Perfezione. Poichè i maledetti arsero di tutti i fuochi, men che del Fuoco di Dio, il Fuoco dell'ira di Dio li arde in eterno. E nel fuo­co è gelo.

Oh! che sia l'Inferno non potete immaginare. Prendete tutto quanto è tormento dell'uomo sulla terra: fuoco, fiamma, gelo, acque che sommergo­no, fame, sonno, sete, ferite, malattie, piaghe, morte, e fatene una unica somma e moltiplicatela milioni di volte. Non avrete che una larva di quel­la tremenda verità.

Nell'ardore insostenibile sarà commisto il gelo siderale. I dannati arsero di tutti i fuochi umani avendo unicamente gelo spirituale per il Signore Iddio loro. E gelo li attende per congelarli dopo che il fuoco li avrà salati come pesci messi ad arro­stire su una fiamma. Tormento nel tormento questo passare dall'ardore che scioglie al gelo che condensa.

Oh! non è un linguaggio metaforico, poichè Dio può fare che le anime, pesanti delle colpe commesse, abbiano sensibilità uguali a quelle di una carne, anche prima che quella carne rivesta­no. Voi non sapete e non credete. Ma in verità vi dico che vi converrebbe di più subire tutti i tor­menti dei miei martiri anzichè un'ora di quelle torture infernali.

L'oscurità sarà il terzo tormento. Oscurità mate­riale e oscurità spirituale. Esser per sempre nelle tenebre dopo aver visto la luce del paradiso ed esser nell'abbraccio della Tenebra dopo aver visto la Luce che è Dio! Dibattersi in quell'orrore tenebro­so in cui si illumina solo, al riverbero dello spirito arso, il nome del peccato per cui sono in esso orro­re confitti! Non trovare appiglio, in quel rimestìo di spiriti che si odiano e nuocciono a vicenda, altro che nella disperazione che li rende folli e sempre più maledetti. Nutrirsi di essa, appoggiarsi ad es­sa, uccidersi con essa. La morte nutrirà la morte, è detto. La disperazione è morte e nutrirà questi morti per l'eternità.

Io ve lo dico, Io che pur l'ho creato quel luogo: quando sono sceso in esso per trarre dal Limbo co­loro che attendevano la mia venuta, ho avuto or­rore, lo, Dio, di quell'orrore; e, se cosa fatta da Dio non fosse immutabile perchè perfetta, avrei voluto renderlo meno atroce, perchè sono l'Amo­re e di quell'orrore ho avuto dolore.

E voi ci volete andare.

Meditate, o figli, questa mia parola. Ai malati viene data amara medicina, agli affetti da cancri vie­ne cauterizzato e reciso il male. Questa è per voi, malati e cancerosi, medicina e cauterio di chirurgo. Non rifiutatela. Usatela per guarirvi. La vita non du­ra per questi pochi giorni della terra. La vita inco­mincia quando vi pare finisca, e non ha più termine.

Fate che per voi scorra là dove la luce e la gioia di Dio fanno bella l'eternità e non dove Satana è l'eterno Suppliziatore."


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