Il Likud sionista verso la sconfitta totale

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wheaton80
00domenica 6 ottobre 2013 23:14
Io, Io… che differenza può fare una telefonata. Ovviamente nessuno si aspettava che in Israele, da venerdì sera, i likudnik si agitassero in preda al panico. Avevano schierato tutta la loro intelligence per convertire il mancato intervento degli Stati Uniti contro la Siria in un prepotente soprassalto dello spauracchio sul programma nucleare iraniano. Ma l’AIPAC s’è schiantato e bruciato di nuovo. Netanyahu ha preso in giro se stesso di fronte alle Nazioni Unite, ancora una volta, cosa che tutti sanno non imbarazzarlo affatto, e sembra neppure gli israeliani. Bibi è su una nave che affonda per la sua scommessa sulla minaccia dell’Iran, perché un numero crescente di Paesi occidentali ha pubblicamente annunciato, uno per uno, di essere disposti a migliorare le relazioni con l’Iran.

Ci sono stati due eventi chiave che hanno contribuito a chiarire il percorso della telefonata della svolta. L’Unione europea ha messo il suo prestigio nella lista dei singoli Paesi che migliorano le relazioni con l’Iran. Poi c’è stato il vertice alle Nazioni Unite con il gruppo P5 +1, che ha generato commenti sulla stampa molto promettenti riguardo “la risoluzione di tutte le questioni in sospeso“, per la prossima riunione di ottobre. Le pretese della stampa statunitense hanno accreditato Obama sull’iniziativa della telefonata a Ruhani, potendo così testarne la ricezione al suo ritorno a casa, in Iran. Nel settore delle PR lo si chiama ‘messa in scena’. Ma Obama in realtà segue, e non guida. Tutte le aperture pubbliche degli altri Paesi all’Iran hanno preparato il terreno ad Obama, per poter dare a Bibi la cattiva notizia… che la bufala della minaccia nucleare dell’Iran è un cane morto. E’ giunto il momento per il mondo di andare avanti. Bibi corre a Washington per vedere Obama, lunedì. Ha anche ordinato a tutto il suo governo di imbavagliarsi, nessuno doveva commentare pubblicamente sui media ciò che dimostra la storica telefonata. Come affermato da una fonte anonima israeliana, “Netanyahu teme che si dirigano verso un pessimo accordo con l’Iran, e se è così, preferisce non ci sia alcun accordo“, ha detto la fonte.

Vorrei chiedere al torbido Netanyahu, di quale accordo sta parlando. Hanno solo accettato di parlare. Ogni accordo è ovviamente ancora in ipotesi, per ora. L’Iran è già inciampato scioccamente nella pretesa che le sanzioni siano eliminate prima di iniziare la trattativa, un grande e inutile errore da parte sua. Quello che penso di Bibi, ma non vorrei dire, è che lui e i suoi estremisti del Likud vedono che la possibilità che l’esercito e il denaro dei contribuenti statunitensi siano usati per eliminare un avversario dei sionista, stia sparendo. I Primi ministri israeliani, a lungo, hanno venduto al pubblico israeliano la loro capacità di avere l’aiuto militare e il sostegno dei contribuenti statunitensi. Le armi di distruzione di massa d’Israele rendono gli aiuti degli Stati Uniti tecnicamente illegali, ma questi continuano a mostrare che ‘una correzione’ stia ancora consolidando le proprie competenze in politica estera. Gli israeliani vedono i loro capi come se manipolassero la politica statunitense. Se ne sono anche vantati pubblicamente. Ho il sospetto che Bibi arriverà a Washington con un piano in due parti. Cercherà di far deragliare qualsiasi normalizzazione degli Stati Uniti con l’Iran, forse minacciando qualcosa come costruire altri 5000 nuovi insediamenti in Cisgiordania. Oppure potrebbe cercare di estorcere la promessa di ottenere armi nucleari statunitensi di quarta o addirittura quinta generazione, in sostituzione delle ADM che gli israeliani hanno già, come premio di consolazione.

I sionisti radicali non possono immaginare un mondo in cui non hanno una crescente forza d’attacco nucleare. E per averla, devono tirare fuori questi spauracchi fasulli, per nascondere il fatto che hanno già queste armi offensive. I babbei hanno anche testato i loro nuovi missili balistici a lungo raggio, proprio nel bel mezzo del dramma del minacciato attacco alla Siria. E poi hanno testato due missili lanciati dai sottomarini. Penso che Netanyahu senta che il vento stia cambiando, che senza una qualche minaccia esterna artificiale, non vi sia alcuna reale necessità per Israele di tenersi il suo non dichiarato arsenale di ADM. Ciò significa che è a un passo dal sentirsi chiedere di consegnare quello che ha, nell’ambito di un piano di pace regionale. Rifiuterà, naturalmente, aprendo le porte alle sanzioni, che il mondo intero sosterrebbe subito. Chi lo meriterebbe più dei sionisti? La Lega araba già appoggia questo desiderato ‘Medio Oriente libero dalle ADM’, e l’unica cosa che ha protetto Israele in tutti questi anni, è la corruzione della politica statunitense. Per avere i finanziamenti politici ebraici, nel cuore della campagna elettorale, tutti i candidati hanno dovuto giurare fedeltà alla supremazia militare totale d’Israele su tutta la regione. Questo assegno in bianco a sostegno della politica israeliana, è stato un fallimento totale e causa di tanta miseria e distruzione in Medio Oriente, solo così i politici statunitensi potevano contare sui contanti ebraici per la loro campagna.

Tutti coloro che l’hanno fatto, violavano il loro giuramento, mettendo a rischio la sicurezza nazionale statunitense per un piccolo Paese mediorientale di nessuna importanza strategica. Proprio nel bel mezzo di tutto questo, Israele ha chiesto un grosso aumento supplementare in aiuti militari statunitensi. Caspita, sembra che vogliano che gli USA gli comprino i loro ICBM, proprio quando affrontiamo la chiusura per il tetto del debito. Gli statunitensi sono sempre al passo con il registratore di cassa d’Israele. Il fascino politico dell’offensiva iraniana continua ad essere sempre più pressante, alle sessioni delle Nazioni Unite. Il ministro degli Esteri Zarif ha fatto centro rispondendo agli insulti da quattro soldi di Netanyahu sui tentativi dell’Iran per una riconciliazione. “L’offensiva del sorriso è assai meglio dell’offensiva della menzogna. Netanyahu e i suoi pari hanno detto, fin dal 1991… che l’Iran è a sei mesi dall’avere un ordigno nucleare. E sono passati quanti anni, 22? E ancora dicono che siamo a sei mesi dalle armi nucleari”. Caro Bibi, Zarif se ne fa beffe delle tue sparate, e il notiziario domenicale della ABC, pure. Sento cambiare il vento, Bibi, e penso che anche tu lo senti. Volevo controllare ciò che gli agenti dello spionaggio israeliano faranno, di lavoro straordinario la domenica. Ciò di solito comporta tirar fuori i media e think tank da loro controllati e far spargere materiale, già preparato da qualche ‘esperto’, con un documento importante o qualche intervista televisiva. Non ho avuto bisogno di aspettare molto.

Il Los Angeles Times, la Tel Aviv sul Pacifico, aveva un articolo di Paul Richter. La mia scommessa era che i sionisti avrebbero preteso il divieto totale di qualsiasi attività nucleare dell’Iran, quale unico modo con cui il mondo potrebbe essere messo al sicuro da un Paese, che non ha attaccato nessuno in 1000 anni. Avevo ragione. Mark Dubowitz della pro-sanzioni Fondazione per la Difesa delle Democrazie, pigolava che il diritto al riprocessamento dell’Iran previsto dal TNP, sia in qualche modo oggetto di soggetti estranei, come il desiderio d’Israele di annullarlo. La FDD è uno dei più grandi think tank neocon filo-israeliani che abbiamo, con personaggi famosi come l’ex-direttore della CIA James Woolsey, che vuole che Jonathan Pollard sia rilasciato quando lui e gli israeliani hanno ucciso più persone di qualsiasi uomo della CIA, nella storia. Woolsey deve essere considerato un traditore della fedele comunità dell’intelligence, che vorrebbe vederlo con Pollard a condividere la cella. L’intelligence israeliana spesso s’infiltra in questi grandi gruppi di riflessione, a fini di controllo, perché vi sono pezzi da novanta, come ex-politici e capi dipartimento, quale Loui Freeh dell’FBI, rendendo difficile investigare, se non impossibile… questo è il punto. La FDD è una copertura per le aggressive operazioni di cambiamento di regime all’estero, e sembra rappresentare una varietà di benefattori, anche degli interessi stranieri. Per esempio, sosterebbe il terrorismo di al-Qaida in Siria senza battere ciglio. Dovrebbe cambiare il nome in Fondazione per la democrazia del terrorismo. Altri articoli del LA Times affermano che qualsiasi ritrattamento nucleare iraniano serva solo a poter continuare a nascondere gli impianti per costruire la bomba.

La bufala è stata smascherata da secoli da chi segue le procedure di ispezione. Queste élite dei media e dell’impostura, dimenticano che noi contadini sappiamo leggere. L’AIEA ha confermato con i suoi controlli che non un grammo di materiale nucleare iraniano è andato disperso. Non è una novità per noi di Veterans Today, come per il nostro esperto nucleare Clinton Bastin, per 40 anni al dipartimento di Energia, che sa come come tutti i depositi siano sotto costante monitoraggio e siano in grado di rilevare qualsiasi deviazione quasi in tempo reale. Abbiamo anche altre fonti che confermano che le strutture segrete per la bomba sono un’altra beffa, con la nostra tecnologia satellitare che rileva il ritrattamento… ovunque, e potendolo fare da molto tempo. Non posso dire come o mi sparerebbero, e preferirei continuare a scrivere queste righe per voi. La gente sa in fondo che la minaccia nucleare dell’Iran è solo una grande operazione psicologica truffaldina, fin dall’inizio. E’ stata utilizzata per preparare i cittadini ad accordare fiducia a un futuro attacco all’Iran, quando quelle stesse persone non avrebbero creduto che il loro governo gli mentiva in faccia, e perché. Scriverò oltre su quali siano queste ragioni. Dovete solo fare un lungo viaggio sulla strada della memoria delle guerre passate, per scoprirne il perché.

Jim W. Dean è caporedattore di VeteranToday.com, produttore di Heritage TV Atlanta, membro della Associazione dei funzionari dei servizi segreti e dei Figli dei Veterani confederati, appositamente per New Oriental Outlook

Fonte: journal-neo.org/2013/10/06/likud-zionists-facing-total...
Traduzione di Alessandro Lattanzio
06.10.2013

aurorasito.wordpress.com/2013/10/06/il-likud-sionista-di-fronte-alla-sconfitta...
wheaton80
00martedì 8 ottobre 2013 00:37
Rivoluzione in jeans, gli iraniani rispondono a Netanyahu con l'ironia
Netanyahu aveva detto che se gli iraniani fossero liberi, avrebbero fatto già una rivoluzione in jeans, vietati nel Paese. E la rete si è scatenata


Uno dei fotomontaggi su Netanyahu apparso su twitter

In poche ore, l'hashtag #iranjeans è diventato uno dei più usati. Il motivo? I giovani iraniani si sono infuriati dopo un'intervista del premier israeliano Benjamin Netanyahu in cui si faceva riferimento al divieto di usare i popolari pantaloni nella Repubblica Islamica. Alla Bbc in farsi, Bibi aveva detto: "'Se (gli iraniani) fossero davvero liberi, avrebbero buttato giù questo regime e lo avrebbero fatto in jeans''. Pochi minuti, e la rete è stata invasa da foto, fotomontaggi e prese in giro del primo ministro israeliano.

La protesta dei jeans
''Non sa che indossiamo i jeans, come fa a sapere che l'Iran sta sviluppando armi nucleari?''. Questa una delle domande ironiche fatte dagli utenti di twitter. Tra i tweet indirizzati al premier israeliano, uno mostra un bambino in jeans e la scritta: "Ehi Netanyahu, guarda Eliraza Ahmad Roshan, il figlio di uno scienziato nucleare che tu hai ucciso. Veste blue jeans iraniani". Un altro utente ha pubblicato una foto di un mercato dove si vendono jeans e la scritta: "Mr. Netanyahu, questo è un negozio di armi di distruzione di massa''. E ancora: ''Posso mandare la mia foto a Netanyahu se le sue spie qui non hanno visto persone in jeans".

Twitter in Iran
Prima in farsi e poi in inglese, i tweet partiti dall'Iran dimostrano un ulteriore passo in avanti rispetto all'apertura della nuova leadership rispetto all'uso di Internet. Teoricamente vietato nella Repubblica islamica, Twitter viene ora usato dallo stesso presidente Hassan Rohani: l'ha usato pochi giorni fa per rispondere al fondatore del social network. Anche i suoi ministri lo usano, l'ultimo è stato il ministro degli Esteri che aveva rivolto al popolo ebraico gli auguri per il capodanno.

Teheran, 07 Ottobre 2013
www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=182295
wheaton80
00lunedì 9 marzo 2015 23:06
Iran, il capo Mossad Meir Degan irride discorso Netanyahu al Congresso USA

L'ex capo del Mossad Meir Dagan, alla guida degli 007 sionisti dal 2002 al 2010, ha criticato duramente il discorso tenuto dal premier sionista Benjamin Netanyahu martedì scorso al Congresso americano sul nucleare iraniano. In un'intervista alla TV sul Canale 2, Dagan ha liquidato come «stronzate» le affermazioni del premier secondo cui un'intesa tra Teheran e le potenze del gruppo '51' permetterebbe alla Repubblica islamica di dotarsi della bomba atomica nel giro di un anno se non di meno. «Stronzate - ha detto senza mezzi termini - ci vorrebbe molto più tempo». Il discorso del falco Netanyahu a Washington, caratterizzato dalla scelta di attaccare la politica distensiva di Obama nei confronti dell’Iran, ha provocato numerose critiche. Ma l’obiettivo era quello di mantenere alto negli israeliani il senso di insicurezza in vista delle elezioni.

07 Marzo 2015
italian.irib.ir/notizie/iran-news/item/182897-iran,-il-capo-mossad-meir-degan-irride-discorso-netanyahu-al-congr...
wheaton80
00martedì 27 ottobre 2015 12:15
Netanyahu teme l’ira di Putin e rinuncia alla riunione con i “ribelli” siriani. Catturato in Iraq un ufficiale del Mossad

Il Premier israeliano Netanyahu non parteciperà alla riunione dei denominati “ribelli siriani”, prevista a Gerusalemme questa settimana, per evitare di far infuriare il presidente Putin. “Questo non è il miglior momento per far infuriare Putin”, hanno riferito fonti israeliane rimaste anonime, citate dall’agenzia libanese Al-Ahd. A questa riunione, programmata da tempo, parteciperanno alcuni dei leaders dei gruppi denominati “ribelli siriani” e vi sarà la partecipazione del Ministro della Difesa israeliano Moshe Yaalon. Nonostante questo, la notizia di questa conferenza di tale genere da tenersi in Israele e l’informazione di una possibile partecipazione di Netanyahu rischia comunque di provocare le ire del mandatario russo e questo ha obbligato le autorità israeliane ad annullare l’evento all’ultimo momento e a richiedere ai leader dei denominati “ribelli siriani” di non partecipare all’evento. Le fonti intervistate dall’agenzia libanese riferiscono che il timore degli israeliani di suscitare una dura reazione della Russia ha spinto le autorità di Israele a domandarsi se sia il caso di continuare a manifestare pubblicamente un aperto appoggio di Israele ai “ribelli siriani”. Nonostante questo, Israele continua a mantenere stretti legami con alcuni dei gruppi di miliziani takfiri che operano in Siria e continueranno ad averli anche se sarà necessario occultare questi rapporti di collaborazione davanti all’opinione pubblica. Il denominato “Esercito Libero di Siria” (ELS) gode dell’appoggio degli USA e di Israele ed i suoi miliziani, i quali da ultimo hanno realizzato un accordo per un fronte comune con il gruppo di Al-Nusra e dell’ISIS, vengono assistiti e riforniti in Israele e lo stesso Netanyahu si è recato a visitarne i feriti ricoverati presso ospedali israeliani dove vengono ricoverati e curati dopo essere stati prelevati con gli elicotteri dalle zone dei combattimenti.


Netanyahu visita i terroristi feriti

Israele ha sempre manifestato il suo appoggio ai gruppi che combattono in Siria per rovesciare il governo di Bashar al-Assad, considerato da Israele un regime nemico dello Stato di Israele al pari dell’Iran e degli Hezbollah libanesi. Dall’inizio della crisi si calcola che oltre 1300 miliziani dei gruppi dell’ESL o di Al-Nusra sono stati ricoverati negli ospedali israeliani. L’intervento diretto russo in Siria ha bloccato questa attività ed ha creato sconcerto nelle autorità israeliane, che avevano intensificato gli sforzi per arrivare al rovesciamento di Assad. Gli israeliani vedono con sgomento che i miliziani da loro protetti e curati vengono duramente bombardati ed attaccati dalle forze congiunte russo-siriane e all’aviazione israeliana non viene consentito di sconfinare nello spazio aereo siriano per appoggiare i miliziani takfiri, come abitualmente facevano prima dell’intervento russo. Come se non bastasse, al governo israeliano è arrivata la notizia imbarazzante che un loro alto ufficiale, il generale di Brigata israeliano Yussi Elon Shahak, è stato catturato in Iraq dall’Esercito Popolare Iracheno e, dopo un attento interrogatorio, ha confessato della cooperazione esistente tra il Mossad (servizio di Intelligence di Israele) ed i dirigenti militari dell’ISIS, confermando anche come questa fantomatica organizzazione terrorista riceva aiuti logistici e finanziamenti, oltre che da Israele, anche da Paesi della coalizione come Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e Giordania. I consiglieri militari israeliani aiutano l’ISIS ad elaborare i piani strategici e militari e ne dirigono gli spostamenti sul terreno di battaglia. La notizia di questa cattura è stata trasmessa dal portale nord americano “Veterans Today”, solitamente molto informato sulle questioni strategiche e spionistiche che riguardano USA ed Israele. Questo creerà un altro grosso problema da risolvere al governo israeliano, che si muoverà decisamente per evitare che questa notizia venga diffusa.

Fonti
www.hispantv.com/newsdetail/Siria/72563/netanyahu-rebeldes-siria-furi...
www.veteranstoday.com/2015/10/21/breaking-story-israeli-general-captured-in-iraq-confesses-to-israel-isis-co...

Traduzione e sintesi: Luciano Lago
26 ottobre 2015
www.controinformazione.info/netanyahu-teme-lira-di-putin-e-rinuncia-alla-riunione-con-i-ribelli-siriani-catturato-in-iraq-un-ufficiale-del...
wheaton80
00giovedì 5 maggio 2016 13:39
11 Settembre: l’uomo di Washington accusa Israele



Accusa i neocon con nomi e cognomi: Paul Wolfowitz, allora Viceministro al Pentagono, l’israelo-americano Michael Chertoff, il rabbino Dov Zakheim (numero 3 al Pentagono) di essersi infiltrati nel governo Bush jr. e di aver organizzato, su istigazione di Israele, il mega attentato dell’11 Settembre 2001. E non è un complottista marginale: è stato un alto funzionario del Dipartimento di Stato da Nixon a Carter a Bush-padre, esperto in guerra psicologica, attore in operazioni coperte (come l’uccisione di Moro) per conto degli Stati Uniti. Membro fino al 2012 del Council on Foreign Relations, quindi dell’élite dell’Establisment. Né lo si può accusare di avere come motivazione l’antisemitismo: i suoi genitori erano ebrei russo-polacchi fuggiti alla Shoah, lui ha scritto persino una biografia di sua “mamma yiddish”, Teodora. E’ Steve Pieczenik. Una vecchia conoscenza anche per l’Italia, come vedremo. Steve Pieczenik ha detto tutto il 21 aprile 2016, intervistato da Alex Jones, creatore del sito InfoWars: il video-intervista, di 47 minuti, è stato diffuso, probabilmente non a caso, nel pieno della campagna americana per incolpare la monarchia saudita del mega-attentato dell’11 Settembre, con la minaccia di pubblicare le 28 pagine del rapporto della Commissione Senatoriale sul 9/11, segretate da Bush jr. proprio perché mostrerebbero il coinvolgimento dei sauditi ai più alti livelli. Steve Pieczenik corregge: sì, c’è stata la cooperazione di “agenti sauditi”, ma il mandante principale è Israele, insiste nell’intervista. Egli si dichiara disposto a testimoniare sotto giuramento davanti a un tribunale federale e rivelare lì le sue fonti, fra cui (dice) “un generale”.


Preferisce sue vecchie foto…

L’importanza del testimone non può essere sottovalutata. Il dottor Pieczenik (è psichiatra) fu in Italia nel marzo del 1978 e per tutti i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro da parte delle BR; speditovi dall’allora segretario di Stato Cyrus Vance, si inserì nel Comitato di Crisi allestito da Cossiga allora Ministro dell’Interno (a fianco del criminologo Franco Ferracuti, l’esperto in difesa e sicurezza Stefano Silvestri, una grafologa e il magistrato Renato Squillante); ufficialmente per dare la sua esperta assistenza al salvataggio del politico italiano e negoziare con le Brigate Rosse. In realtà, come ha rivelato in un libro nel 2008, per assicurarsi che Moro non ne uscisse vivo: gli USA avevano deciso che Moro doveva essere “sacrificato” per garantire “la stabilità dell’Italia” (nella NATO).

“Sacrificammo Aldo Moro”

Intervistato da France 5, e poi da Gianni Minoli a Mixer 24 nel novembre 2013, Steve Pieczenik ha confermato tutto: per esempio raccontando che silurò l’iniziativa di Paolo VI di raccogliere una grossa somma (pare di dieci miliardi di lire), per pagare un riscatto. “Stavamo chiudendo tutti i possibili canali attraverso cui Moro avrebbe potuto essere rilasciato. Non era per Aldo Moro in quanto uomo: la posta in gioco erano le Brigate Rosse e il processo di destabilizzazione dell’Italia”. Chiese Minoli:“Sostanzialmente, lei fin dal primo giorno ha pensato e ha detto a Cossiga: Moro deve morire”. “Evidente – rispose il consulente – Cossiga se ne rese conto solo nelle ultime settimane. Aldo Moro era il fulcro da sacrificare attorno al quale ruotava la salvezza dell’Italia”. Sic (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-11-07/caso-moro-ladu-steve-pieczenik-mix24-radio24-fino-fine-ho-temuto-che-liberassero-moro-125143.shtml?uuid=ABh3D6b). Per questo la Procura di Roma, nel 2014, ha accusato l’americano di concorso in omicidio. E Gero Grassi, Vicepresidente dei deputati PD che voleva una nuova commissione d’indagine sul caso, disse: “Steve Pieczenik stava al Ministero dell’Interno per manipolare le Brigate Rosse e arrivare all’omicidio di Aldo Moro“ (http://www.ilgiornale.it/news/cronache/consulente-usa-accusato-concorso-omicidio-nel-sequestro-aldo-1067254.html). Non è stata la sua unica impresa. Nel Dipartimento di Stato, ai tempi di Reagan, il dottore è stato incaricato di architettare il “cambio di regime” a Panama, ossia il rovesciamento di Noriega (che lo accusò apertamente di essere “un assassino” che aveva ucciso vari suoi collaboratori). Ufficialmente capo-negoziatore in una quantità di prese di ostaggi e dirottamenti (ad opera di FARC colombiane, Abu Nidal, Idi Amin, OLP), ha contribuito a creare la Delta Force, il gruppo di teste di cuoio di intervento rapido in situazioni di crisi. Ha dato le dimissioni quando fallì il tentativo di liberare gli ostaggi americani nell’ambasciata di Teheran; decisione del presidente Carter, ma probabilmente scacco suo, del dottor Pieczenik. S’è rifatto però una carriera di successo ideando trame di thriller per Tom Clancy.

“Il vero Bin Laden è morto dal 2001”
Nel 2011 è tornato sotto i riflettori per denunciare che la “cattura di Bin Laden” messa a segno ad Abbottabad in Pakistan e passata come un grande successo del Presidente Obama era stata tutta una messinscena (ne abbiamo avuto tutti il sospetto): il vero Bin Laden, secondo lui, è morto fin dal 2001, di sindrome di Marfan. Non può esser casuale il fatto che adesso, a 72 anni e a 15 dal mega-attentato, il vecchio agente del Dipartimento di Stato con le mani in pasta in tante storie oscure di destabilizzazione e sovversione, esca ad accusare Israele mentre tutta la grancassa politico-mediatica sta additando gli spregevoli sauditi. Una campagna a cui partecipa stranamente anche Seymour Hersh, il grande giornalista investigativo con “gole profonde” nel settore militare, che ha condotto inchieste scomode per lo “stato profondo” americano. Pochi giorni fa, intervistato da Alternet, Hersh ha raccontato:“Nel 2011 i sauditi hanno pagato i pakistani perché non ci dicessero [che Bin Laden si trovava ad Abbottabad, sotto la loro protezione] perché non volevano che noi (americani) interrogassimo Bin Laden perché ci avrebbe parlato – è la mia ipotesi – del loro coinvolgimento [nell’11 Settembre]”. Ma quale Bin Laden nascondevano i pakistani nel 2011, se Pieczenik dice (confermando versioni solide del tempo) che è morto nel 2001, pochi mesi dopo l’attentato alle Towers e al Pentagono? Può esserci una lotta di informazione e contro-informazione all’interno stesso dello “Stato profondo” americano? Certo è che i media americani sono scatenati in esibizioni di spregio verso i monarchi wahabiti:“Royal Scum”, feccia regale, titolava il New York Daily News qualche giorno fa. Tanto insolito “coraggio” deve essere autorizzato.



Naturalmente la “rivelazione” delle 28 pagine colpisce anche il presidente Bush jr., e la sua amministrazione, perché è evidente che se hanno coperto la parte avuta dai sauditi, sono colpevoli. Lo scandalo anti-saudita va accuratamente controllato, perché è facile che debordi e i suoi liquami schizzino a colpire proprio gli israeliani con doppio passaporto che erano al Pentagono ai tempi di Bush jr., e additati dall’agente Pieczenik: Paul Wolfowitz, rabbi Dov Zakhiem (e il terzo, ebreo anche lui, era Douglas Feith) più Michael Chertoff, capo dell’Homeland Security e grande insabbiatore-depistatore delle indagini.


L’11 Settembre sorprese in USA anche la famiglia Bin Laden. Bush jr. la fece volar via

Questo scontro interno è senza dubbio in relazione con l’ascesa del candidato imprevedibile, Donald Trump, nella lizza presidenziale. Dopo il suo discorso sul suo programma in politica estera – liquidato con rabbia dal New York Times, perché propone fra l’altro un accordo con Putin e la fine dell’interventismo – “gli americani sentono di avere, per la prima volta dopo molto tempo, una alternativa sobria e basata sull’interesse nazionale alle disastrose politiche dei neocon”, ha detto Jim Jatras, l’ex consigliere repubblicano del Senato. Con grande dispetto dell’Establishment, Trump non raccoglie voti solo tra i rozzi arretrati operai bianchi di basso reddito che odiano gli immigrati messicani e lo sentono volgare come loro. Negli exit polls delle primarie in Pennsylvania, Maryland, Delaware, Connecticut e Rhode Island – dove ha trionfato – s’è visto che hanno scelto lui la metà degli elettori repubblicani con alto titolo di studio e con reddito di 100mila dollari annui: il suo discorso di politica estera ha convinto proprio la classe media benestante. Questo per l’elettorato repubblicano. Quanto a quello democratico:“Continuo a incontrare gente che non sa decidere se votare Bernie Sanders oppure Donald Trump”, ha confessato al Baltimore Sun Robert Reich, ex Ministro del Lavoro sotto Bill Clinton e uomo molto di sinistra (nella misura statunitense). L’elettorato di “sinistra”, quello che ha favorito Sanders il “socialista”, sta pensando di votare Trump, non Hillary. Forse è proprio la grande liberazione da Israel…

Nota
Paul Wolfowitz, Vice-segretario alla Difesa dal gennaio 2001 al giugno 2005, è stato l‘allievo di Leo Strauss, il filosofo dei neocon, un interessante mix di Nietzsche e di Talmud; ha elaborato la “dottrina Wolfowitz”, che promoveva il riarmo totale della unica superpotenza rimasta e preconizzava le guerre sferrate dopo l’11 Settembre fino ad oggi. Dov Zakheim, oltre che rabbino, è stato Amministratore Delegato della ditta di armamenti System Planning Corporation, che fornisce radar militari e droni da usare come bersaglio durante le esercitazioni dei caccia. Se gli aerei che si avventarono sulle Twin Towers erano teleguidati, come si è ipotizzato, erano usciti dalla sua fabbrica. Michael Chertoff dirigeva la divisione penale del Dipartimento di Giustizia USA al momento dell’attentato dell’11 Settembre. Fu quindi lui a condurre, pilotare e “controllare” le indagini.

Maurizio Blondet
29 aprile 2016
www.maurizioblondet.it/11-settembre-luomo-washington-accusa-...
wheaton80
00sabato 21 maggio 2016 19:24
Barak:“Israele è stato infettato dai semi del fascismo”


Moshe Yaalon

"Si dovrebbe accendere una luce rossa in tutti noi su quanto sta accadendo" nel regime di Israele, ha dichiarato Barak circa le dimissioni del Ministro della Difesa di Israele, Moshe Yaalon. Lo ha riportato il quotidiano israeliano Haaretz (http://www.haaretz.com/israel-news/1.720715). Barak ha avvertito che le dimissioni di Yaalon e l'avvento al potere del nuovo Ministro, Avigdor Lieberman, è un atto pericoloso, sottolineando che questo è solo l'inizio. L’ex Primo Ministro del regime israeliano ha inoltre sostenuto che il sionismo e il fascismo non possono andare di pari passo, quindi il fascismo deve essere "abbattuto prima che ci infetti tutti" in quanto, secondo le sue dichiarazioni, nessun leader mondiale ora crede in Israele. Ehud Barak è un politico israeliano; nel 1999 è stato eletto Primo Ministro fino al 2001, quando ha perso le elezioni e si è dimesso dal suo seggio in parlamento. Venerdì scorso, Yaalon, attraverso il suo account sul social network Twitter, si è dimesso a causa di disaccordi che ha avuto con il Primo Ministro del regime israeliano, Benyamin Netanyahu.

Fonte: hispan.tv/newsdetail/oriente-medio/256279/ehud-barak-fascismo-israel-lieberman-netanyah...
21/05/2016
www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=15755
wheaton80
00lunedì 29 agosto 2016 00:23
Israele: Morto ex Ministro Difesa



E' morto a 80 anni in un'ospedale di Tel Aviv Benyamin 'Fuad' Ben-Eliezer. Più volte Ministro e Responsabile della Difesa (2001-2002) nel governo di Ariel Sharon, Ben-Eliezer è stato in quegli stessi anni Segretario del Partito Laburista Israeliano. Nato in Iraq a Bassora nel 1936 e arrivato in Israele nel 1950, Ben-Eliezer nella sua lunga carriera pubblica è stato anche Generale dell'Esercito e Capo dell'Amministrazione dei Territori Palestinesi (1983-84). Si era dimesso da deputato laburista della Knesset nel dicembre del 2014 a seguito di uno scandalo finanziario per il quale la polizia aveva chiesto la sua incriminazione con l'accusa di corruzione, frode e riciclaggio. Non è comparso davanti al magistrato in tribunale per discutere delle accuse a causa delle sue precarie condizioni di salute, ma si è sempre proclamato innocente.

28 agosto 2016
www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2016/08/28/israele-morto-ex-ministro-difesa_3fd0cc32-8963-4db8-85ca-2849e54f5...
wheaton80
00giovedì 29 settembre 2016 00:01
Come Shimon Peres rubò la bomba atomica



Shimon Peres, l’ex Presidente d’Israele, ha subìto un “infarto” qualche giorno fa, rimanendo ricoverato in ospedale in gravi condizioni (fino al decesso, il 28 settembre. NdT). È tempo di fare il punto su questa figura importante fin dalla proclamazione dell’indipendenza di Israele. Nessun altro politico israeliano, senza dubbio, ha avuto tale longevità. Peres muore mentre Israele [1] piange uno dei “padri fondatori” dello Stato, per settant’anni ininterrotti al suo servizio. Il coro di lodi sarà assordante. Le TV di certo trasmetteranno documentari con al fianco il mentore David Ben Gurion, dettagliando a volontà le gesta di questi grandi. Ma come spesso accade, la verità è altrove. Peres iniziò la carriera come tenace ed inventivo galoppino di Ben Gurion. Ciò che voleva il capo, trovava sempre modo di realizzarlo. Infine divenne il suo capo “faccendiere”, di cui si fidava nel risolvere problemi di ogni genere. Così il compito enorme di fornire l’arma nucleare ad Israele ricadde su di lui. Non fu un compito facile, e richiese enormi perseveranza, determinazione, inventiva e anche la decisa propensione al furto. Peres fu più che all’altezza del compito. Fin dal primo minuto dalla fondazione dello Stato d’Israele, Ben Gurion aspirava alle armi nucleari, che vedeva come strumento del giudizio, l’asso che avrebbe preso quando tutte le carte gli sarebbero state contro. Mentre la posizione strategica d’Israele era piuttosto solida, Ben Gurion non si stancava mai di dire il contrario. Un episodio spesso citato lo vuole in muta contemplazione davanti alla mappa del Medio Oriente appesa in ufficio, mentre esclamava a chi gli stava vicino che “non aveva chiuso occhio durante la notte a causa di questa carta”. Perché, diceva, “cos’è Israele? Una macchiolina solitaria. Come poteva sopravvivere nella vastità del mondo arabo?”.

Shimon Peres nel 1968:“Crediamo che Israele non debba introdurre armi nucleari in Medio Oriente



Nel suo piccolo libro critico “Israele, anno 20”, pubblicato subito dopo la “guerra dei sei giorni” del giugno 1967 (Marabout Université n° 144, p. 288), Claude Renglet pubblicò un’intervista con Shimon Peres (scritto Peress) che, mentre svolgeva un ruolo fondamentale nel dotare Israele di armi nucleari, nel frattempo affermava il contrario:“Se la pace non si avrà in Medio Oriente, Israele dovrà essere vigile. Pensa che l’esercito israeliano, che dovrà rafforzarsi ulteriormente e sempre, debba dotarsi di armi nucleari? Israele deve essere capace di produrre le proprie armi. Siamo stati sottoposti ad embargo nel 1948, 1956 e 1967, e questo ci porta a pensare, ma non pensiamo, che Israele dovrebbe introdurre le armi nucleari in Medio Oriente”. E sui rapporti con la Francia:“Israele deve diventare un Paese come la Svezia, cioè capace di produrre tutte le armi. Per quanto riguarda l’embargo francese, non penso che sia mantenuto con intransigenza. Siamo in polemica con la Francia, ma il divorzio non è stato pronunciato”. Fu, perlomeno, un eufemismo. Mentre il Generale de Gaulle, con parole precise, stigmatizzò le “ambizioni ardenti e di conquista” nutrite dagli “ebrei, fino ad oggi dispersi ma rimasti ciò che furono sempre, ciò che si chiama popolo d’élite, sicuro di sé e prepotente”, alcuni nell’apparato statale e militare francese erano impegnati inconsapevolmente ad incoraggiarle con tutti i mezzi.

Maggiori dettagli sull’intervista sul nucleare militare d’Israele in questo libro: dico.pourlapalestine.be/detail.php?r=28

Ciò faceva parte della strategia israeliana di presentarsi da vittima eterna, la parte vulnerabile in qualsiasi conflitto, bisognosa di sostegno morale e militare per evitare di essere distrutta. E che importanza aveva se niente di tutto questo era vero, se dopo la distruzione degli ebrei europei da parte dei nazisti, il mondo non correva il minimo rischio che qualcosa di simile si ripetesse. Così Israele divenne dal 1948, agli occhi di gran parte del mondo, il “piccolo Davide” contro il “Golia arabo”. Tuttavia, la convinzione più comune è che le sue armi di distruzione di massa fossero volte a proteggere Israele dalla distruzione imminente nel caso avesse subìto una sconfitta catastrofica, teoria falsa, nell’insieme e in dettaglio. Infatti, in alcun momento Israele subì tale minaccia. Israele ha sempre avuto la superiorità militare sui nemici in ogni scontro che ne caratterizzò la storia dal 1948 al 1967 (e successivamente). Il vero scopo di Ben Gurion nel volere le armi nucleari era politico. Voleva assicurarsi che Israele non fosse mai costretto ad impegnarsi in un negoziato che gli avrebbe fatto perdere le conquiste territoriali con la forza delle armi. Voleva un’arma da far pendere sulle teste dei nemici, garantendosi di non dover mai rinunciare a tutto ciò che apparteneva, ai suoi occhi, ad Israele. Così la bomba nucleare israeliana fu lo strumento per respingere virtualmente qualsiasi iniziativa di pace proposta dal 1967. I capi israeliani sapevano che gli Stati Uniti mai avrebbero scommesso sul fatto che non avrebbero usato le armi di distruzione di massa, se necessario. Pertanto, il successivo Presidente degli Stati Uniti aveva già una mano legata dietro la schiena nel negoziare. In una partita di carte, quando uno dei giocatori ha l’asso di picche e tutti gli altri lo sanno, non è più un gioco, no?

Gli oppositori israeliani alla bomba
Sarebbe sbagliato credere che tale visione strategica di Ben Gurion e Peres venisse idolatrata dai contemporanei. Non lo fu. L’opposizione in Israele alla “bomba israeliana” era forte, e superava i confini di partito. Tra i contrari, il futuro Primo Ministro Levi Eshkol, Pinchas Sapir, Yigal Alon, Golda Meir e il Capo dello Sviluppo delle Armi Israeliane Yisrael Galili. Anche il Capo dell’Esercito Israeliano, Chaim Leskov, si oppose alla bomba. Il professor Yeshayahu Leibowitz, fedele al suo stile profetico, creò una ONG che chiedeva di fare del Medio Oriente una zona denuclearizzata (si chiamava “Comitato Pubblico di Smilitarizzare del Medio Oriente dalle Armi Nucleari”), e fu probabilmente il primo appello del genere al mondo. E in un certo senso, sbagliò: disse che la costruzione di un reattore nucleare da parte di Israele averebbe incitato i nemici a bombardarlo. In futuro, grazie a Leibowitz, il reattore di Dimona sarebbe stato chiamato “la follia di Shimon”. I mezzi sconsiderati con cui Peres cercò di raggiungere l’obiettivo erano stupefacenti. Sfruttò il senso di colpa tedesco per finanziare il programma e reclutò Arnon Milchan quale agente illegale per organizzare il furto di uranio altamente arricchito in un deposito degli Stati Uniti. Peres negoziò con la Francia un accordo per costruire il complesso di Dimona che ad oggi produce il plutonio necessario per l’arsenale israeliano di armi di distruzione di massa. Il Direttore Generale del Ministero della Difesa spesso si recava in Francia, costruendo e mantenendo una rete politica negli ambienti di governo, per stipulare tutti gli accordi necessari per la costruzione dell’impianto di Dimona. Un giorno si recò a Parigi per firmare l’accordo definitivo, e il governo francese, in un momento in cui in Francia l’instabilità politica era permanente, fu messo in minoranza in Parlamento. Ben Gurion pensò in quel momento che tutti gli sforzi fatti da Peres fossero stati vani. Ma si rifiutò di cedere ed andò dal Primo Ministro dimissionario francese (Maurice Bourges, Primo Ministro dal 12 giugno al 30 settembre 1957) e suggerì di firmare l’accordo retrodatandolo per far finta che fosse stato concluso prima delle dimissioni del governo. Il capo francese accettò. Così la bomba israeliana fu salvata da un bluff e da documenti falsi. Quando qualcuno chiese a Peres come ebbe il coraggio di uscirsene con tale trucco, rispose:“Cosa vuoi che siano 24 ore tra amici?”.

Peres ricorse anche al furto. Infatti, se Israele avesse aspettato di poter produrre l’uranio altamente arricchito necessario per sviluppare l’arma nucleare, sarebbero passati anni. Se fosse riuscito invece a procurarsi l’uranio attraverso altri canali, avrebbe notevolmente accelerato il processo. Così Peres reclutò Arnon Milchan, in seguito divenuto produttore di Hollywood, perché rubasse diverse centinaia di chilogrammi di materiale nucleare in un deposito in Pennsylvania con la complicità di funzionari statunitensi, ebrei filo-israeliani reclutati per l’occasione. Roger Mattson ha recentemente pubblicato un libro intitolato “Il furto della bomba atomica: come occultamento e inganno armarono Israele” [2]. Questo articolo riassume le sue scoperte, tra cui quella secondo cui un gruppo di scienziati ed ingegneri ebrei statunitensi avrebbe fondato la società che probabilmente sottrasse e trasferì clandestinamente in Israele materiale nucleare sufficiente per produrre sei bombe atomiche. Diversi capi di tale azienda divennero dignitari della “Zionist Organization of America”. Uno dei fondatori della società combatté nell’Haganah nella guerra del 1948, ed era un protetto del futuro capo dei servizi segreti israeliani Meir Amit. Importanti personalità dell’Intelligence degli Stati Uniti suggerirono che la società era stata creata dai servizi segreti israeliani per rubare materiali e competenze tecnologiche negli Stati Uniti, a favore del programma israeliano per sviluppare armi atomiche. Tutto ciò significa che i capi delle principali organizzazioni della lobby pro-Israele aiutarono e incoraggiarono la creazione di un’enorme falla nella sicurezza nazionale degli Stati Uniti per concedere ad Israele la bomba nucleare. Se siete tra coloro che di solito difendono Israele, vedete forse i fautori di tutto ciò come degli eroi? Se è così, ricordatevi che Julius ed Ethel Rosenberg furono condannati a morte e giustiziati nel 1956 per aver causato molti meno danni al programma nucleare degli Stati Uniti.

Il programma segreto di finanziamento della lobby israeliana
Il programma per le armi di distruzione di massa era straordinariamente costoso. Il giovane Stato affrontava notevoli spese ospitando e sfamando milioni di immigrati, e di conseguenza non aveva i soldi per la bomba. Peres quindi si rivolse ai ricchi ebrei della diaspora, come Abe Feinberg, per i finanziamenti illegali. Feinberg fu la punta di diamante della campagna che permise di raccogliere 40 milioni (oggi pari a 260 milioni) di dollari e sfruttò i legami nel Partito Democratico per garantirsi che il Presidente Johnson rispettasse “il diritto d’Israele a non firmare il trattato di non proliferazione nucleare”. Il notiziario web israeliano Walla descrisse il geniale stratagemma inventato da Ben Gurion e Peres per avere il supporto della Francia negli sforzi per le armi nucleari. Iniziarono nel 1956 con un incontro segreto in una villa presso Parigi cui partecipavano un alto funzionario inglese e rappresentanti francesi. L’obiettivo di francesi e inglesi era in linea con quello degli israeliani, ma non del tutto. Francia e Gran Bretagna volevano vendicarsi del leader egiziano Gamal Abdel Nasser per aver osato la nazionalizzazione del canale di Suez e proposto di aiutare la resistenza algerina. Idearono un piano per attaccare Nasser e sottrarre le risorse strategiche dell’Egitto. Israele aderì con entusiasmo al complotto, ma con un proprio obiettivo, quello di avere sostegno e assistenza dalle potenze europee sul programma nucleare.


Il Primo Ministro David Ben Gurion con Shimon Peres. Sullo sfondo il Ministro della Difesa Moshe Dayan e Teddy Kollek

Dopo aver avuto il via libera da Ben Gurion, Peres contattò gli omologhi francesi annunciando che Israele aveva accettato di unirsi a ciò che divenne nota come l’“Operazione Kadesh”, ma sostenne che Israele correva un pericolo maggiore in questa avventura che non Francia o Gran Bretagna: in caso di sconfitta, l’esistenza ne sarebbe stata minacciata. Perciò aveva assolutamente bisogno di armi strategiche, per impedire qualsiasi rischio di annientamento. Continuando i negoziati, i francesi dissero agli israeliani che era loro vietato dal trattato internazionale vendere uranio. Peres superò le difficoltà trovando una di quelle soluzioni brillanti e astute, tipiche della sua personalità:“Non vogliamo che ci vendiate l’uranio, prestatecelo”, disse. “E ve lo restituiremo una volta che la missione sarà compiuta”. Iniziò così il reale sforzo per fabbricare una bomba nucleare israeliana. Il reattore fu completato nel 1960 e nel 1967 Israele ebbe la prima bomba nucleare, rudimentale, ma che avrebbe potuto essere utilizzata in caso di sconfitta nella “guerra dei sei giorni”. Per qualche strana ragione, la censura militare si oppose a ciò che il sito Walla menzionava come il bluff di Peres sulla falsa data siglata per l’accordo franco-israeliano (come se si trattasse di un atto del governo ancora maggioritario nell’Assemblea Nazionale, a cui nessuno in ogni caso chiese il parere). Nella versione censurata non vi è alcun riferimento. Non si trova più la storia della “proposta” di Peres a che la Francia “prestasse” l’uranio ad Israele, permettendo ai francesi di aggirare gli obblighi internazionali, poiché la vendita di uranio era illegale. La mia sensazione è che, data la probabile prossima scomparsa dell’ormai anziano uomo, si preferiva che la questione non ne offuscasse la reputazione più del necessario, sollevando una domanda: perché il censore dà la priorità alla preservazione della reputazione di un politico israeliano piuttosto che alla protezione della sicurezza dello Stato, che dovrebbe essere suo compito?

Note
[1] O almeno della popolazione ebraica. Per i palestinesi in Israele è molto meno certo
[2] “Stealing the Atom Bomb: How Denial and Deception Armed Israel”, Create Space Independent Publishing Platform, Febbraio 2015 – ISBN 978151508391 – 14 euro

Richard Silverstein
Fonte: www.mondialisation.ca/comment-shimon-peres-prix-nobel-de-la-paix-a-vole-la-bombe-nucleaire...

Traduzione: Alessandro Lattanzio (rivista da Wheaton80)
23 settembre 2016
aurorasito.wordpress.com/2016/09/28/come-shimon-peres-rubo-la-bomba-n...
wheaton80
00martedì 27 dicembre 2016 01:41
Risoluzione ONU: USA abbandonano il loro migliore amico Israele?

Non applicando il diritto di veto sul voto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti hanno "abbandonato" Israele, riporta l'agenzia Reuters, citando la dichiarazione del Ministro dell'Energia dello Stato ebraico Juvalja Stainiz. "Non è una risoluzione contro gli insediamenti, è risoluzione anti israeliana, una risoluzione contro il popolo ebraico e lo Stato ebraico. Gli USA oggi hanno appena perso il loro unico amico in Medio Oriente", ha detto Steinitz. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato venerdì una risoluzione che richiede ad Israele di fermare la costruzione di insediamenti nei territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est. Gli USA si sono astenuti al momento del voto e il documento è riuscito a passare. La risoluzione esorta a "fare uno sforzo collettivo, con l'obiettivo di trovare una stimolante fiducia per le trattative e per tutte le questioni riguardanti lo status finale".

24.12.2016
it.sputniknews.com/mondo/201612243836956-israele-usa-v...
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00mercoledì 4 gennaio 2017 21:33
Muore Yaakov Neeman, ex Ministro della Giustizia e delle Finanze israeliano



Il Prof. Yaakov Neeman, che ha servito come Ministro della Giustizia e delle Finanze in due governi guidati da Benjamin Netanyahu, è morto la scorsa domenica a 77 anni dopo una lunga malattia. Il suo ultimo mandato alla Giustizia è terminato nel 2013. Neeman, ebreo ortodosso e conservatore, non apparteneva ad alcun partito. Egli fu designato in virtù della sua erudizione legale e del suo talento come moderatore. Neeman è stato anche socio dell’importante studio legale di Herzog, Fox and Neeman. Lascia la moglie e sei figli.

1 gennaio 2017
beforeitsnews.com/israel/2017/01/former-minister-of-justice-and-finance-yaakov-neeman-is-dead-2470...
wheaton80
00sabato 25 marzo 2017 23:29
Avraham Sharir, diplomatico e politico israeliano, muore a 84 anni



Avraham Sharir è nato il 23 dicembre 1932 a Tel Aviv ed è morto il 24 marzo 2017. E’ stato un politico israeliano. Ha studiato legge all’Università Ebraica di Gerusalemme ottenendo l’abilitazione alla professione di avvocato. Sharir è stato Segretario della fazione dei Sionisti Generali della Knesset dal 1954 al 1964. E’ stato Direttore del Dipartimento Economico dell’Agenzia Ebraica negli Stati Uniti dal 1964 al 1967 e Direttore dell’Ufficio di Coordinamento delle organizzazioni economiche dei datori di lavoro in Israele dal 1967 al 1970. Avraham Sharir è venuto a mancare a 84 anni.

Traduzione: Wheaton80
24 marzo 2017
deadobituary.com/avraham-sharir-israeli-diplomat-and-politician-die...
wheaton80
00martedì 22 agosto 2017 20:59
Arthur Finkelstein, stratega che aiutò Netanyahu a salire al potere, muore a 72 anni


Arthur Finkelstein e Benjamin Netanyahu il 10 marzo 1999

Arthur Finkelstein, stratega di campagne elettorali per i conservatori, a cui viene largamente attribuita la salita al potere, per la prima volta, del Primo Ministro Benjamin Netanyahu, è morto all’età di 72 anni. Finkelstein, che guidò dozzine di campagne elettorali negli USA e in Israele, è morto venerdì di cancro ai polmoni, come ha dichiarato la sua famiglia. In Israele, Finkelstein guidò la campagna elettorale di Netanyahu nel 1996 e fu dietro allo slogan “Peres dividerà Gerusalemme”, che aiutò Netanyahu a sorpassare Shimon Peres, che secondo i pronostici avrebbe preso il potere sull’onda dell’assassinio di Yitzhak Rabin, avvenuto il novembre precedente. A quell’elezione fu attribuito il cambiamento di tono delle campagne elettorali israeliane, avendo introdotto nel Paese pratiche in linea con lo stile americano, più negative e aggressive. Netanyahu ha mandato una lettera di condoglianze alla famiglia, in cui ha definito Finkelstein “un vero amico, un professionista e profondamente devoto a Israele”. Finkelstein lavorò anche su una serie di successive campagne elettorali per i partiti di destra israeliani, compresa quella per il partito del Ministro della Difesa Avigdor Liberman, l’Yisrael Beytenu. Liberman gli ha reso omaggio sabato. “Arthur Finkelstein era un vero amico, un uomo dai molti talenti ed un professionista. Ma era soprattutto un fiero ebreo ed un fedele sostenitore di Israele”, ha twittato Liberman. “Ho avuto il grande onore di conoscerlo. Che la sua memoria sia una benedizione”. Finkelstein era nato a Brooklyn nel 1945 in una famiglia ebrea. Suo padre era un tassista.

twitter.com/amitsegal22/status/898983282595049475/photo/1?ref_src=twsrc%5Etfw&ref_url=http%3A%2F%2Fwww.timesofisrael.com%2Farthur-finklestein-master-campaign-strategist-dies-...

Traduzione Tweet

“Ad Arthur piacevano il suo caffé nero, le sue scarpe tolte, le sue magliette blu, le sue bistecche a cottura media (preferibilmente nel suo amato Peter Luger a Brooklyn) e i suoi Vodka Gimlet forti. Il suo saluto a tutti era “Buongiorno”, come se fosse sempre mattina da qualche parte del mondo”.

“Sospetto che sia stato Arthur Finkelstein stesso a scrivere questo passaggio nella dichiarazione di elogio pubblicata proprio ora dalla sua famiglia”
- Amit Segal

La dichiarazione della sua famiglia sottolinea che a lui fu “spesso attribuito l’aver trasformato il termine ‘liberale’ in politica in un attacco; le sue capacità nella comunicazione e nelle elezioni erano molto più raffinate rispetto ad una singola parola o frase”. “Egli aiutò brillantemente Benjamin Netanyahu a sviluppare la sua visione di una “pace sicura” e aiutò gli elettori a vedere l’interventista Generale della guerra Ariel Sharon come un leader che era anche una fidata figura paterna”. Retrocedendo agli anni ’70, Finkelstein fu anche una figura chiave dietro le quinte del Partito Repubblicano. Molti gli attribuiscono il successo di Ronald Reagan. Finkelstein, che sosteneva esclusivamente candidati conservatori, fu talvolta criticato per ipocrisia. Finkelstein era apertamente gay e ha vissuto con il suo partner di vecchia data, che successivamente sposò, e con due figli adottati. Ciò nonostante lavorò spesso negli Stati Uniti per far eleggere candidati che avevano apertamente un’agenda anti-gay.

19 agosto 2017
Traduzione: Wheaton80
www.timesofisrael.com/arthur-finklestein-master-campaign-strategist-die...
wheaton80
00lunedì 27 novembre 2017 03:16
Israele: Ministro Sanità si dimette



Come anticipato già da venerdì, il Ministro della Sanità Yaakov Litzman, che è un rabbino ortodosso, ha consegnato oggi al governo una lettera di dimissioni motivandole con le ''infrazioni al riposo sabbatico'' avvenute ieri durante lavori di manutenzione delle ferrovie. Il partito di Litzman, Torah Unita, resta tuttavia per il momento all'interno della coalizione governativa. Secondo gli analisti, Litzman si è dimesso a malincuore, su ordine di un influente rabbino ortodosso. Adesso, viene aggiunto, resta da vedere il comportamento di un secondo partito confessionale, Shas, che pure fa parte della coalizione di governo di Benyamin Netanyahu. Se anche il suo leader Arie Deri (Ministro degli Interni) seguisse l'esempio di Litzman, la stabilità del governo potrebbe risentirne.

26 novembre 2017
www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2017/11/26/israele-ministro-sanita-si-dimette_c8f58254-c9f8-4e3c-a26f-f8a1c6d31...
wheaton80
00venerdì 8 dicembre 2017 00:54
Gerusalemme capitale d’Israele? Guardate dalla parte sbagliata

Dopo 69 anni di negoziati di pace gettati alla fogna nel conflitto israelo-palestinese, per il mondo intero le speranze di vedere la fine di quella tragedia – fra l’altro uno dei carburanti principali del terrorismo (reazione) islamico contro l’Occidente – sono ormai nulle. Poi oggi Trump ha riconosciuto Gerusalemme come futura capitale d’Israele, e tutti a strapparsi i capelli. Brutta notizia per la pace, no? No. L’ho già scritto, ma lo ripeto oggi. Se si vuole capire dove sono le speranze per la pace, non dobbiamo guardare a est nel Mediterraneo, né alla Casa Bianca. Puntiamo tutti gli occhi su due fattori:

1) La comunità ebraica d’America e i loro commentatori di punta
2) Le rinnovabili

Mi sbarazzo del secondo punto in due righe, perché voglio concentrarmi sul primo. Israele non era nulla per gli USA fino all’arrivo alla Casa Bianca di Dwight Eisenhower. La politica USA neppure celebrava l’Olocausto. Col crescere della dipendenza di Washington dal petrolio del Golfo, e poi con la grande crisi del 1973, l’America decise che Israele doveva diventare la più grande base militare americana del mondo a guardia dell’oro nero. E lì, il destino dei Palestinesi fu segnato. Oggi però il mondo sta marciando alla velocità di una supernova verso le energie rinnovabili in AI, e il petrolio è destinato al cestino della Storia, e con esso molta dell’importanza d’Israele per gli USA. Traetene le conclusioni da soli, visto che Tel Aviv, senza armi e dollari USA, combatterebbe con i moschetti napoleonici e farebbe il PIL a pompelmi Jaffa (enfatizzo, ma più o meno…). Stop. La domanda centrale quindi è: cosa mai potrà portare in America il consenso politico per costringere Israele ad accettare una pace decente coi Palestinesi e coi Paesi Arabi? La risposta sta nello spiare gli opinionisti di, ad esempio, il New Yorker o il New Republic, che sono i fogli di punta dell’opinione leader degli ebrei d’America.

Solo 10 anni fa, entrambi erano integralisti fanatici pro-Israele; neppure una colite di Shimon Peres era criticabile, tutti muti! Poi… Poi semplicemente Israele, con la sua brutalità “neonazista” (citaz. Aharon Zisling, Ministro di Ben Gurion) contro i civili del Libano o contro quelli di Gaza, li ha sempre più disgustati. Le Operazioni Militari israeliane Grapes of Wrath e Cast Lead sono state mostrate in TV, e questa volta due uomini come Peter Beinart, ex Direttore del The New Republic e David Remnick, ex Direttore del The New Yorker, ebrei, hanno detto basta. Hanno vomitato anche loro. E con loro, e i loro editoriali, ha iniziato a vomitare anche l’ebraismo americano. Attenti, non accadeva dal primo minuto della nascita d’Israele nel 1948 che gli ebrei americani voltassero le spalle a quello che l’immenso dissidente ebreo Norman G. Finkelstein chiama “Lo Stato Psicotico”. Ecco oggi cosa hanno pubblicato il New Republic e il New Yorker mentre la Casa Bianca approvava Gerusalemme capitale d’Israele, e ricordate che questi furono da sempre feroci partigiani americani a priori sempre pro Tel Aviv:

New Republic, editoriale di Alex Shepard:“L’America storicamente ha assunto la posizione secondo cui la divisione di Gerusalemme come capitale dei due Stati è parte integrante ed essenziale della pace”… “L’eventuale riconoscimento di Gerusalemme come capitale indivisibile sarebbe come gettare veleno nell’acquedotto prima che vi bevano sia gli israeliani che i palestinesi”… “La posizione odierna della Casa Bianca e dei Sauditi sulla questione distrugge le promesse di pace del Presidente”… “Si tratta di una decisione che era ovvio avrebbe portato sugli USA le critiche di tutto il mondo”.

Il New Yorker affida a un’altissima personalità ebraica un raffinato ma tagliente editoriale. Parla Bernard Avishai, professore alla Dartmouth and Hebrew University, autore de “La Tragedia del Sionismo” oltre che Senior associato al Guggenheim:“In Israele la destra di Netanyahu ha controllato la realtà del Pese così a lungo che fra poco sarà inutile persino tentare di ricordare un passato che loro non hanno mai contribuito a costruire”… “La realtà che Gerusalemme Est sia, dalla guerra del 1967, territorio occupato da Israele, secondo la legalità internazionale è ovvia a chiunque al mondo, meno che a Israele”… “Un sondaggio dell’Israel Democracy Institute ci dice che il 61% degli israeliani stessi hanno accettato Gerusalemme come città divisa”… (nda: il passaggio che segue è di cruciale importanza storica)… “Gerusalemme non fu mai un luogo di adorazione atavica per l’ebraismo. Il massimo moralista della Storia ebraica moderna, Ahad Ha’am (1891), lasciò scritto il suo shock nel vedere quegli strani uomini ebrei fare mosse inconsulte al Muro del Pianto… Ha’am scrisse che le pietre di quel muro rappresentavano la distruzione della nostra terra, e quegli uomini rappresentavano la distruzione della nostra razza”.

Non so se voi lettori italiani potete capire che micidiale portata hanno parole così scritte da quelli che in America erano le lobby-megafoni telecomandate di Tel Aviv da sempre. Esse rappresentano non solo l’inizio della fine dell’Israele irragionevole, fanatico, “neonazista” nell’oppressione, ma anche le prime pietre della pace futura laggiù. Infatti pochi hanno notato che lo stesso Trump nella sua dichiarazione si è guardato bene dal sancire Gerusalemme come capitale INDIVISIBILE d’Israele. Ha infatti detto alla lettera:“Non prendo posizione sugli accordi finali, inclusi i confini finali della sovranità d’Israele a Gerusalemme… E’ una questione che devono risolvere israeliani e palestinesi”. Hey, chi gli ha scritto quelle parole nel testo? Esattamente ciò che ho scritto finora. Sa che l’ebraismo americano ora non tollera più gli eccessi dello Stato ebraico. Infatti un sondaggio nientemeno che dell’American Jewish Committee ha mostrato ieri che quasi la metà degli ebrei americani neppure arriva ad approvare lo spostamento dell’Ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme. E Trump sa che il 64% dei potentissimi ebrei americani aveva votato per la Clinton, mentre lui si era beccato un misero 18%. Conclusione: calma tutti, gli strilli lasciamoli ai fessi austeri delle TV. Là dove veramente si fanno i giochi (inclusa l’ebrea Goldman Sachs o la Coca Cola Company), la corrente è cambiata, e caro psicotico e assolutamente anti-ebraico Sig. Netanyahu, tu e i tuoi sionisti fanatici avete gli anni contati.

Paolo Barnard
7 dicembre 2017
paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=1965
wheaton80
00lunedì 18 dicembre 2017 05:26
In migliaia accusano Netanyahu di corruzione e gli chiedono di dimettersi

Decine di migliaia di persone hanno manifestato ieri sera a Tel Aviv contro il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, accusandolo d'essere corrotto. La manifestazione, denominata "marcia della vergogna", si è svolta lungo il Rothschild Boulevard, in un quartiere ricco della città. Netanyahu è oggetto di due inchieste su presunti casi di corruzione e di traffico di influenze. Gli organizzatori della manifestazione sono gli stessi che, settimanalmente, protestano davanti alla residenza del procuratore generale di Israele, Avishai Mandelblit, che accusano di non velocizzare le indagini. "Vergogna", "Bibi deve andare a casa", hanno gridato i manifestanti, chiamando Netanyahu con il suo soprannome. "Bibi e il governo stanno distruggendo il Paese. C'è troppa corruzione", ha detto uno dei manifestanti. Le accuse di corrruzione non riguardano solo Netanyahu, ma anche il suo avvocato che, insieme ad altri collaboratori del Premier, è indagato nell'indagine su presunte mazzette relative all'acquisto, da parte delle forze armate israeliane, di sottomarini di fabbricazione tedesca. Il leader dell'opposizione laburista, Isaac Herzog, ha espresso sostegno ai manifestanti attraverso la sua pagina di Facebook. "La frustrazione (...) viene dal sentimento di ingiustizia, di repulsione alla corruzione, e le obiezioni morali ad una legge su misura per una persona", ha scritto. Il parlamento israeliano in questa settimana prenderà in considerazione un disegno di legge che è considerato, da alcuni, come un modo indiretto per proteggere il Primo Ministro. Netanyahu, 67 anni, continua a dire che "non accadrà nulla, perché nulla è accaduto'', denunciando un tentativo di "colpo di stato" per mano di stampa e sinistra.

3 dicembre 2017
www.globalist.it/world/articolo/2015786/in-migliaia-accusano-netanyahu-di-corruzione-e-gli-chiedono-di-dimette...
wheaton80
00giovedì 21 dicembre 2017 19:35
L'Assemblea Generale ONU boccia Gerusalemme capitale di Israele. Nikki Haley:“USA ricorderanno questo voto”

NEW YORK - L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha bocciato la decisione di Donald Trump di spostare l'ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme, con l'implicito riconoscimento della Città Santa quale capitale di Israele. Contro la risoluzione USA, che avevano esplicitamente minacciato di rappresaglia i Paesi che si sarebbero espressi contro di loro, hanno votato in 128, tra cui l'Italia, mentre in 9 hanno votato a favore e 35 si sono astenuti. Sul tabellone di conteggio dei voti si legge che hanno votato a favore della risoluzione: Guatemala, Honduras, Isole Marshall, Micronesia, Nauru, Palau, Togo e ovviamente Israele e Stati Uniti. Contro, tutti i principali Paesi UE, a partire da Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna. Tra i 35 astenuti: Australia, Canada, Argentina, Polonia, Romania, Filippine e Colombia. Tra gli astenuti ci sono Argentina, Australia, Benin, Butan, Bosnia-Erzegovina, Canada, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Messico, Paraguay, Polonia, Romania, Sud Sudan. Il voto dell'Assemblea Generale, a differenza di quelli del Consiglio di Sicurezza, non è in alcun modo vincolante ma ha un forte impatto politico. “E' una vittoria per la Palestina”, ha dichiarato un portavoce del Presidente palestinese, Mahmoud Abbas.

La convocazione dell'Assemblea Generale è stata richiesta dai rappresentanti di Turchia e Yemen, a seguito del veto posto il 19 dicembre dagli Stati Uniti a una bozza di risoluzione simile proposta dall'Egitto al Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Nell'Assemblea Generale, nessuno dei 193 Stati rappresentati possiede il potere di veto, a differenza del Consiglio di Sicurezza, dove i membri permanenti Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti possono bloccare con un solo voto qualsiasi risoluzione. L'ambasciatore dello Yemen, Khaled Hussein Mohamed Alyemany, presentando il testo della risoluzione, ha definito l'azione di Trump “una palese violazione dei diritti del popolo palestinese e delle Nazioni arabe, e di tutti i musulmani e cristiani nel mondo”. Duro e persino minaccioso intervento dell'ambasciatrice USA all'ONU, Nikki Haley:“L'America sposterà la sua ambasciata a Gerusalemme, ed è questa la cosa giusta da fare. Nessun voto alle Nazioni Unite farà la differenza. Ma questo è un voto che gli Stati Uniti ricorderanno, ricorderanno il giorno in cui sono stati attaccati per aver esercitato il loro diritto come Nazione sovrana. Questo voto farà la differenza su come gli americani guarderanno l'ONU e i Paesi che ci mancheranno di rispetto.

Ricorderemo questo voto”. A seguire, il Ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu:“Prima di questo incontro, uno Stato membro delle Nazioni Unite ha minacciato tutti gli altri membri, è stato chiesto a tutti di votare 'no' per non affrontare conseguenze. Questo è bullismo. Non ci lasceremo intimidire; il mondo è più grande di cinque Nazioni (i membri permanenti al Consiglio di Sicurezza ONU). Potete essere forti, ma ciò non vuol dire che abbiate ragione”. L'ambasciatore israeliano Danny Danon:“Questo voto finirà nel secchio della spazzatura della storia. Nessuna risoluzione dell'Assemblea Generale ci farà uscire da Gerusalemme”. Il Ministro degli Esteri palestinese, Riyad al Maliki, ha aperto il suo discorso sottolineando come “la decisione degli Stati Uniti non influenzerà lo status di Gerusalemme, ma colpisce la condizione degli Stati Uniti come mediatore di pace”. “Gerusalemme è la chiave per la pace e per la guerra”, ha ricordato il diplomatico palestinese. “Gli Stati Uniti hanno perso un'opportunità per rivedere la decisione e unirsi alla comunità internazionale ponendo fine al suo isolamento nel mondo. La decisione di Washington invece serve il governo israeliano e incoraggia l'estremismo e il terrorismo nella regione”. “Questa decisione ribadisce ancora una volta che la giusta causa palestinese gode del sostegno della comunità internazionale e che nessuna decisione da qualsiasi parte può cambiare la realtà: Gerusalemme è un territorio occupato in base alla legge internazionale”.

Lo ha detto il portavoce del Presidente Abu Mazen, Nabil Abu Rudeineh. “Continueremo i nostri sforzi all'ONU e nelle organizzazioni internazionali per mettere fine all'occupazione e stabilire il nostro Stato di Palestina con Gerusalemme est sua capitale”, ha concluso. “A nome mio e del popolo palestinese voglio ringraziare l'Italia e tutti i Paesi che hanno votato per lo Stato della Palestina e la causa della pace. Il mio cuore è pieno di gioia e speranza per il voto all'ONU che riconosce il diritto legittimo del popolo palestinese sulla terra occupata, compresa Gerusalemme est”, ha affermato Anton Salman, sindaco cristiano di Betlemme. “Gerusalemme è fondamentale per il processo di pace, città santa per tutti i credenti, simbolo nazionale per i palestinesi e chiave per la pace. L'imposizione di una sola parte non porterà la pace ma risentimento, odio e intensificazione del conflitto”, ha proseguito Salman, chiedendo a tutti di “usare dialogo e negoziato per risolvere il conflitto e giungere a una pace lungamente attesa”. Prevedendo la probabile approvazione della risoluzione da parte dell'Assemblea Generale, il Premier israeliano Benjamin Netanyahu ha definito le Nazioni Unite “la casa delle bugie”. “Israele respinge il voto ancor prima del suo esito”, le parole del Premier. “La dichiarazione di Trump del 6 dicembre (l'annuncio dello spostamento dell'ambasciata USA in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, ndr) si distacca da decenni di politica USA basata sulla convinzione, e con il consenso internazionale, che la sorte di Gerusalemme può essere decisa da un negoziato. Gerusalemme è la capitale di Israele, qualunque sia il risultato del voto all'ONU”.

21 dicembre 2017
www.repubblica.it/esteri/2017/12/21/news/israele_gerusalemme_capitale_assemblea_onu_vota_risoluzione184820122/?ch_id=sfbk&src_id=8001&g_id=0&atier_id=00&ktgt=sfbk8001000&...
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00giovedì 15 febbraio 2018 02:47
Israele, la polizia chiede l’incriminazione di Netanyahu

La polizia israeliana raccomanderà l’incriminazione per corruzione del Premier Benyamin Netanyahu. Lo anticipa l’emittente Canale 10 e anche altri media, mentre si attende il comunicato ufficiale della polizia, che dovrebbe avvenire entro le prossime ore. Netanyahu sotto inchiesta per due vicende. La prima è il “caso 1000”, nel quale il Premier è accusato di aver ricevuto casse di sigari e champagne da facoltosi uomini d’affari in cambio di favori nei loro confronti. C’è poi il “caso 2000”, che verte su un presunto accordo fra Netanyahu e Arnon Mozes, editore del quotidiano Yedioth Ahronot, per sfavorire il quotidiano rivale Israel Hayom in cambio di una copertura favorevole al governo. Netanyahu ha sempre smentito tutto, dicendosi vittima di una “caccia alle streghe”. La settimana scorsa ha duramente attaccato il capo della polizia Roni Alshiekh, accusandolo di parzialità. Alshiekh aveva dichiarato in televisione che persone “potenti” stavano mandando investigatori privati in cerca di elementi per screditare gli agenti impegnati nelle indagini su Netanyahu. “E’ scioccante scoprire che il capo della polizia ripete false e ridicole insinuazioni a proposito del Primo Ministro Netanyahu che manda investigatori privati contro i poliziotti impegnati a indagare sul suo conto”, ha risposto Netanyahu su Facebook. “Ogni persona corretta si chiederà come persone che dicono cose simili sul Primo Ministro possano indagare obiettivamente su di lui e fare raccomandazioni imparziali”.

13 febbraio 2018
www.secoloditalia.it/2018/02/israele-la-polizia-chiede-lincriminazione-di-ne...
wheaton80
00mercoledì 21 febbraio 2018 06:01
Israele, nuova inchiesta su Netanyahu: sette arresti per il "caso 4.000"


Shlomo Filber e Shaul Elovitch

TEL AVIV – L’ex portavoce di Bibi Netanyahu, Nir Efez, e il Direttore Generale del Ministero delle Comunicazioni, Shlomo Filber, sono i due uomini vicini al Premier arrestati dalla polizia israeliana nella nuova inchiesta battezzata “caso 4.000”. In tutto la polizia ha portato in carcere sette persone legate alla compagnia telefonica israeliana Bezeq, con cui Netanyahu ha avuto rapporti quando è stato Ministro delle Comunicazioni ad interim dal 2015 al 2017. Questo “caso 4.000” arriva dopo che la polizia ha già chiesto di incriminare il Premier per i casi “1.000” e “2.000” e sta continuando a lavorare a un “caso 3.000”. In questa nuova indagine la polizia vuole chiarire i rapporti fra la compagnia dei telefoni Bezeq, proprietari anche del sito di giornalistico Walla, e il Ministero delle Comunicazioni. Il sospetto è che, in cambio di benefici da parte del Ministero al maggiore azionista di Bezeq, Shaul Elovitch (anche lui arrestato), la compagnia abbia assicurato a Netanyahu una copertura favorevole sul sito Walla. Ma per Efez e Filber ci sarebbero anche le accuse di corruzione, come dire che ad uomini del Primo Ministro il proprietario di Bezeq avrebbe fatto anche dei versamenti di denaro.

A questo punto, secondo il Jerusalem Post, dopo gli arresti, la polizia avrebbe intenzione di interrogare direttamente Netanyahu: il Primo Ministro la settimana scorsa aveva reagito con un durissimo discorso televisivo alla richiesta di incriminazione per i casi 1.000 e 2.000. Nel primo caso Netanyahu è accusato di aver accettato circa 230mila euro in sigari e champagne da due imprenditori miliardari, in cambio di favori non sempre conclusi ma comunque richiesti da chi gli ha fatto i regali. Nel caso 2.000 Netanyahu invece ha negoziato con l’editore del giornale Yedioth Ahronoth una copertura più favorevole, in cambio di leggi e provvedimenti punitivi contro il giornale concorrente Israel Hayom, un quotidiano free press. Ieri Netanyahu ha reagito attaccando la polizia:«Ancora un'indagine a vuoto, dietro pressione dei mass media; la battuta di caccia mediatica prosegue con tutta la forza». Per il momento il Premier continua ad andare avanti nella sua missione politica, ma non è chiaro cosa accadrà quando la polizia chiuderà il cerchio anche nel “caso 3.000”. Qui i poliziotti cercano le prove di tangenti pagate per la vendita di sommergibili della tedesca Thyssenkrupp a Israele, un affare di un miliardo e 800 milioni di dollari. Un caso potenzialmente molto più serio di tutti gli altri messi assieme.

Vincenzo Nigro
20 febbraio 2018
www.repubblica.it/esteri/2018/02/20/news/netanyahu_nuova_inchiesta_arresto_portavoce18...
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00giovedì 1 novembre 2018 04:42
Israele, ai laburisti le grandi città

I laburisti vincono a Tel Aviv e Haifa, mentre il Likud, partito del Premier Benyamin Netanyahu, perde a Gerusalemme. Nella prima città si conferma alla guida, con il 44% dei voti, l'uscente Ron Huldai, sfidato dal suo ex vice Asaf Zamir. A Haifa vittoria secca per la laburista Einat Kalish-Rotem, che detronizza il sindaco uscente Jona Yahav, primo cittadino negli ultimi 15 anni. A Gerusalemme invece lo spoglio dei voti ha confermato la sconfitta del candidato del Likud Zeev Elkin. Al ballottaggio, il 13 novembre, andranno l'indipendente Ofer Berkovitch e Moshe Lion, sostenuto da due liste di destra. “Le elezioni”, ha detto Avi Gabbay, segretario dei laburisti, riferendosi al fatto che il Likud non ha alcun candidato vincente nelle grandi città del Paese, “indicano che gli israeliani vogliono un cambiamento".

31 ottobre 2018
www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2018/10/30/israele-alviaelezioniamministrative_02e0f9ba-a679-417c-a04b-40e924264...
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00mercoledì 14 novembre 2018 18:55
Il laido Avigdor Lieberman si é dimesso. Vittima 'eccellente' della determinata e potente risposta di Gaza all'attacco sionista



Il Ministro della Guerra dell'entità illegale sionista, Avigdor Lieberman, ha annunciato le sue dimissioni a causa di 'contrastanti opinioni' sul cessate il fuoco a cui israhell è addivenuto con la Resistenza Palestinese. Dopo l'incursione omicida sionista, seguita da bombardamenti indiscriminati sul lager di Gaza, la poderosa rappresaglia palestinese iniziata lunedì ha costretto i sionisti ad accettare i termini proposti dall'Egitto (https://palaestinafelix.blogspot.com/2018/11/gaza-sotto-attacco-si-difende.html). Durante una conferenza stampa, Lieberman ha criticato oggi l’accordo di cessate il fuoco mediato dall’Egitto e approvato dal resto dell'occupazione sionista, definendolo una «resa al terrorismo». Motivando la sua decisione, Lieberman ha parlato poi di alcune altre scelte, secondo lui troppo morbide, fatte dal governo di Israele su Gaza:«Se fossi rimasto al mio posto, non avrei potuto guardare negli occhi le famiglie dei soldati morti i cui corpi sono nelle mani di Hamas».

Suleiman Kahani
14 novembre 2018
palaestinafelix.blogspot.com/2018/11/il-laido-avigdor-lieberman-si-e-dimesso.html?fbclid=IwAR09bfMP3So-RieLgzngu2DZBvX6dKBYptEbMCK9kaipmwKSDgy...
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00venerdì 14 dicembre 2018 00:40
Rete sionista gestiva turismo sessuale per pedofili in Colombia. Molteplici arresti, sequestrati beni e valori per decine di milioni di dollari

Certe "elette" attività suscitano la riprovazione e l'intervento persino dei peggiori e più corrotti narco-regimi filo-yankee dell'America Latina. Le forze dell'ordine in Colombia hanno smantellato una rete di 12 cittadini dell'entità illegale sionista che gestivano una rete di traffico sessuale minorile insieme a due colombiani. L'Ufficio del Procuratore Generale della Colombia ha dichiarato che otto dei sospettati sono stati arrestati, compresi sei sionisti. Il presunto anello per il traffico sessuale forniva ai viaggiatori di Tel Aviv "pacchetti turistici" che includevano prostitute minorenni, che ricevevano tra 200.000 pesos ($ 63) e 400.000 pesos ($ 126) in cambio di servizi sessuali. Tra le accuse contro i membri del gruppo di trafficanti ci sono omicidio, cospirazione, traffico di esseri umani, traffico di minori, produzione di droga, fornitura di servizi di prostituzione e riciclaggio di denaro. Il leader del 'clan' era Mor Zohar, riferiscono i media in Colombia, mentre uno degli arrestati è un poliziotto colombiano. L'Ufficio del Procuratore Generale ha dichiarato che durante l'inchiesta sono stati sequestrati 150 miliardi di pesos ($ 47,3 milioni) tra valori e immobili, compresi alberghi, ostelli e altre attività legate al turismo. L'indagine è iniziata dopo l'omicidio del sionista Shai Azran a Medellin nel giugno 2016. La polizia in Colombia sospetta che l'assassino sia Assi Ben-Mosh, un altro sionista di 44 anni che ha operato in Colombia dal 2009. Ben-Mosh è stato arrestato nel 2003 nei Paesi Bassi con l'accusa di guidare una rete internazionale di traffico di droga. Le autorità colombiane monitorarono le attività di Ben-Mosh nella Nazione sudamericana e scoprirono che possedeva un hotel a Santa Marta, l'Hotel Benjamin, e che offriva "pacchetti turistici" e feste organizzate in cui la droga e il sesso sarebbero stati venduti in collaborazione con Zohar. La rete è sospettata di operare in un certo numero di città in Colombia, tra cui la capitale Bogotà, Medellin, Cartagena e Santa Marta.

Suleiman Kahani
11 dicembre 2018
palaestinafelix.blogspot.com/2018/12/retesionistagestivaturismosessuale.htmlfbclid=IwARzjIQ7ZZ4dRHwWpeyBW-xKMVm9vqbbM7Kbxo6vxMoqyaC4mX8...
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00giovedì 6 giugno 2019 16:45
Crisi politica in Israele: Netanyahu caccia due ministri in vista del voto anticipato


Naftali Bennett e Ayelet Shaked

Il Premier israeliano Benjamin Netanyahu ha cacciato dall’esecutivo (che traghetterà il Paese alle nuove elezioni anticipate di settembre) due ministri di primo piano. Il provvedimento conferma la situazione di crisi e le profonde spaccature politiche, anche all’interno della stessa coalizione di maggioranza, in una Nazione chiamata due volte al voto in meno di un anno. Una fonte ufficiale vicina al gabinetto di governo del Primo Ministro Netanyahu conferma, dietro anonimato, che i destinatari del provvedimento sono il Ministro dell’Istruzione Naftali Bennett e il titolare della Giustizia Ayelet Shaked. Al momento non vi sono maggiori informazioni sulle ragioni che hanno determinato la frattura. Bennet e Shaked sono entrambi politici di destra, rivali dell’attuale Premier, e si sono allontanati dal partito di governo Likud a inizio anno. Il loro nuovo schieramento, posizionato anch’esso a destra, non è riuscito a conquistare voti sufficienti per superare la soglia di sbarramento e fare il suo ingresso in Parlamento (la Knesset). Al momento non è confermata una loro nuova partecipazione alle elezioni del 17 settembre. I due (ormai ex) ministri hanno diffuso una nota in cui confermano la sostituzione e ringraziano i cittadini israeliani, senza fornire maggiori dettagli. Nelle scorse settimane il Premier incaricato Netanyahu non è riuscito a formare un governo entro la scadenza prevista, il 30 maggio. Per non rischiare di essere estromesso dalla leadership a favore di rivali sempre più agguerriti, egli ha deciso di rischiare il tutto per tutto e indire nuove elezioni. La mossa ha, di fatto, tolto al Presidente Reuven Rivlin la possibilità di affidare ad altri il mandato esplorativo per la nascita di un esecutivo. In passato Netanyahu e Bennet si sono più volte scontrati per vicende legate alla vita politica e sociale del Paese; tuttavia, ad oggi non sono chiare le ragioni alla base del licenziamento. Entrambi in passato hanno fatto parte del comitato di sicurezza di Netanyahu. Il Jerusalem Post ha rilanciato fonti vicine al Primo Ministro, secondo cui il loro ruolo non aveva più ragione di essere, in seguito alla sonora bocciatura da parte degli elettori. Il loro licenziamento consente infine a Netanyahu di utilizzare i posti vacanti in un’ottica di contrattazione pre-elettorale.

03/06/2019
asianews.it/notizie-it/Crisi-politica-in-Israele:-Netanyahu-caccia-due-ministri-in-vistadelvoto-anticipato-47...
wheaton80
00giovedì 21 novembre 2019 23:49
Israele: Benjamin Netanyahu è stato incriminato in tre casi

Il Procuratore Generale di Israele Avichai Mandelblit ha incriminato Benjamin Netanyahu in tutti e tre i casi aperti da tempo sul Premier, accusato di corruzione, frode e abuso d'ufficio. Quella di Mandeblit è una decisione storica: è la prima volta che un Primo Ministro israeliano in carica viene incriminato per corruzione. Nelle 63 pagine del documento Netanyahu viene accusato di avere accettato centinaia di migliaia di euro in regali di lusso da amici miliardari e di aver concesso favori ad alcuni dei principali media israeliani affinché parlassero positivamente di lui. Netanyahu è accusato di frode e abuso di ufficio nel Caso 1000 (regali da facoltosi uomini di affari) e 2000 (rapporti con l'editore di Yediot Ahronot Arnon Mozes), ma è per il Caso 4000, in cui c'è anche l'accusa di corruzione, che il Premier rischia di più. Stando agli inquirenti Netanyahu avrebbe concesso una serie di favori normativi del valore di circa 1,8 miliardi di shekel (circa 450 milioni di euro) a Bezeq, la principale azienda israeliana nel settore delle telecomunicazioni. In cambio il Premier e sua moglie avrebbero ricevuto un trattamento di riguardo nelle notizie pubblicate da Walla, uno dei siti di informazione della compagnia, controllata ai quei tempi da Shaul Elovitch. Un 'do ut des' per cui sono indagati anche Elovitch e sua moglie. “È una giornata dura e triste per il popolo israeliano e per me personalmente”, ha detto Mandelblit spiegando l'incriminazione. “Ho deciso con cuore pesante, ma in piena coscienza. Questo era il mio dovere di fronte ai cittadini di Israele”. Mandelblit ha poi sottolineato di aver agito solo in base a considerazioni legali ed evidenze:“Nessuna altra considerazione mi ha influenzato”.

Netanyahu:"Tentativo di golpe"
La replica del Premier non si è fatta attendere. "C'è un tentativo di ribaltamento di potere nei confronti del Primo Ministro", ha detto Netanyahu. “Io ho molto rispetto per la magistratura ma bisogna essere ciechi”, ha spiegato, “per non vedere che lì succede qualcosa di non buono”. Netanyahu ha poi detto che la decisione di Mandelblit è resa nota in un "momento politico delicato di Israele". Il Premier si riferisce al fallimento dei negoziati per la formazione di un nuovo esecutivo condotti dal leader del partito Blu Bianco, Benny Gantz, al quale il Presidente Reuven Rivlin aveva affidato l'incarico, dopo la debacle dello stesso Netanyahu. Il rischio ora è che si torni nuovamente al voto, per la terza volta in 12 mesi. E in questo caso, per la prima volta in due decadi, Bibi potrebbe non essere più uno dei protagonisti della scena politica.

21/11/2019
it.euronews.com/2019/11/21/israele-benjamin-netanyahu-e-stato-incriminato-in-...
wheaton80
00martedì 24 dicembre 2019 19:38
Uno Stato criminale sotto indagine

Le notizie che si leggono sui media israeliani di questo fine settimana mostrano che lo Stato Ebraico teme la decisione della Corte Penale Internazionale (ICC) di aprire un’inchiesta volta ad accertare se Israele abbia commesso crimini di guerra nei territori palestinesi. Un’indagine del genere potrebbe portare gli attuali ed ex funzionari governativi e il personale militare ad un’incriminazione da parte del tribunale internazionale. L’ICC indagherà sulla politica israeliana di insediamento dei propri cittadini in Cisgiordania, sulle azioni compiute a Gaza durante la guerra del 2014 e sulla risposta alle proteste palestinesi al confine con Gaza a partire dal marzo dello scorso anno. L’ICC esaminerà anche gli attacchi indiscriminati di Hamas e di altri gruppi palestinesi all’interno delle città israeliane.

Israele ha in previsione di rifiutarsi di collaborare con l’ICC, anche se una mossa del genere potrebbe mettere a rischio di arresti internazionali una lunga lista di funzionari israeliani, compreso probabilmente il Primo Ministro, i Ministri della Difesa, i capi dell’IDF, i capi del servizio di sicurezza Shin Bet, vari ufficiali militari ed anche soldati semplici, se, in assenza di una risposta da parte dello Stato israeliano, l’ICC procedesse con l’incriminazione dei singoli individui per i reati loro contestati. La reazione israeliana alla decisione del Procuratore Capo dell’ICC, Fatou Bensouda, di aprire le indagini è assai istruttiva. Invece di rispondere con argomentazioni etiche e dimostrare la volontà di difendere le proprie azioni, Israele si nasconde dietro giustificazioni teologico-talmudiche, allo scopo di confutare la legittimità dell’ICC e rifiutare la sua giurisdizione su Israele e sui criminali di guerra israeliani. La difesa del Procuratore Generale israeliano Avichai Mandelblit si basa sulla presunta “assenza di giurisdizione”.

Sabato scorso, Mandelblit ha affermato che Israele “è uno Stato di diritto democratico, obbligato ed impegnato a rispettare il diritto internazionale e i valori umanitari. Questo impegno è rimasto saldo per decenni, in tutti i tempi difficili e rischiosi che Israele ha dovuto affrontare. È radicato nel carattere e nei valori dello Stato di Israele ed è garantito da un sistema giudiziario forte ed indipendente… In una situazione del genere non c’è spazio per un intervento giudiziario internazionale”. È davvero una descrizione accurata di Israele? Se Israele è lo “Stato democratico della legge” che aderisce ad un sistema di valori universale, come afferma Mandelblit, perché Israele ha così paura che l’ICC possa indagare sul suo comportamento? La realtà di Israele contraddice la posizione di Mandelblit. Abbiamo a che fare con uno Stato criminale, responsabile di una pulizia etnica a livello istituzionale, che usa tattiche barbariche, segregando milioni di persone nel più grande carcere a cielo aperto mai conosciuto dall’uomo.

Giusto per dimostrare quanto non sia etico lo Stato Ebraico, il Ministro dei Trasporti israeliano, Bezalel Smotrich, ha invitato il Primo Ministro Benjamin Netanyahu a dare all’Autorità Palestinese un ultimatum di 48 ore per ritirare la petizione all’ICC o vedere “abbattuta” l’autorità politica di Ramallah. Anche il Presidente del Partito Blu e Bianco, Benny Gantz, ha attaccato la decisione dell’ICC. Citando i suoi decenni di servizio militare, compreso il fatto di essere stato il 20° Capo di Stato Maggiore dell’IDF, Gantz ha dichiarato senza mezzi termini che “l’IDF è uno degli eserciti più morali del mondo”. Gantz ha dimenticato di menzionare di essere lui stesso un sospetto criminale di guerra e che potrebbe essere messo sotto accusa dall’ICC. Nel 2016 avevamo saputo che il tribunale distrettuale dell’Aja aveva tenuto un’udienza preliminare per decidere se aprire o meno un procedimento per crimini di guerra contro Gantz, in relazione alle sue decisioni come comandante durante la guerra di Gaza del 2014. L’ex Ministro della “Giustizia,” Ayelet Shaked, ha definito la mossa “una decisione politica, ipocrita e prevedibile”. Shaked ha affermato che l’ICC “non ha l’autorità” di aprire un’indagine. Ha esortato il governo a “combattere la corte con tutti gli strumenti a sua disposizione”.

Il Primo Ministro Netanyahu ha definito l’annuncio dell’ICC “un giorno oscuro per la verità e la giustizia”. Verrebbe da chiedersi come potrebbe essere per Netanyahu un momento brillante per la verità e la giustizia. Come ora vediamo e avremmo potuto prevedere, la risposta ufficiale israeliana in opposizione all’indagine dell’ICC è legalistica, piuttosto che etica. I funzionari israeliani hanno reso pubblica l’opinione legale di Mandelblit, sostenendo che il tribunale [dell’Aja] non è competente a condurre un’indagine. Invece di tentare di confutare la sostanza della denuncia, Israele e i suoi funzionari negano compatti la giurisdizione della corte. La logica dell’arroganza israeliana è abbastanza ovvia. Gli uomini di potere israeliani sono abbastanza intelligenti da rendersi conto del risultato potenziale di una tale indagine. Annullerebbe tutto quello che resta della volontà dei militari israeliani di impegnarsi in azione. I combattenti israeliani, soldati di fanteria, piloti, operatori di droni, comandanti, saprebbero che le loro azioni hanno conseguenze legali e, in pratica, potrebbero essere riluttanti ad eseguire certi ordini militari.

L’ICC potrebbe aver chiuso la porta alle opzioni militari e alla strategia di Israele. Per un Paese che sopravvive con la spada e investe nella “Guerra tra le Guerre”, l’indagine dell’ICC è una minaccia letale. Non mi faccio troppe illusioni sul fatto che l’ICC riesca a svolgere il proprio operato. Prevedo intensi sforzi della Lobby per interferire con il lavoro della corte. Tuttavia, ormai sappiamo che un tentativo del potere ebraico di mettere a tacere l’opposizione al potere ebraico, può essere realizzato solo attraverso una manifestazione di tale potere. In Gran Bretagna, ad esempio, la lobby israeliana e i suoi tirapiedi all’interno della politica e dei media si sono smascherati da soli con la loro implacabile guerra contro Corbyn e il suo partito. Quando Corbyn e il suo partito sono stati letteralmente spazzati via, gli inglesi si sono resi conto di chi comanda veramente nel loro Paese. La Lobby è la benvenuta quando tira fuori i suoi denti aguzzi e interferisce con il lavoro dell’ICC. Potrebbe distruggere l’ICC, ma Israele non verrà scagionato dai crimini commessi contro i Palestinesi, poiché questi crimini sono stati commessi alla luce del sole, davanti agli occhi di tutti.

Gilad Atzmon
22.12.2019
comedonchisciotte.org/uno-stato-criminale-sotto-indagine/
wheaton80
00martedì 4 febbraio 2020 19:47
Il “deal del secolo”

Il documento diffuso nei giorni scorsi dalla Casa Bianca, Peace to Prosperity, va inteso per quel che è: una proposta di lavoro su nuove basi, non un piano definitivo di pace. Secondo Thierry Meyssan, invece di protestare, bisognerebbe esaminare il progetto. Si tratta di un’occasione per sbloccare una situazione che s’incancrenisce da un quarto di secolo

Quando alla conferenza dell’Aia del 1899 furono poste le basi del diritto internazionale, il problema era prevenire le guerre tra Stati attraverso l’arbitraggio. Quando l’impero britannico decolonizzò la Palestina ed esplose così il conflitto arabo-israeliano, il diritto internazionale non servì affatto, dal momento che non esistevano né uno Stato palestinese né uno Stato ebraico. Si raffazzonarono alla bell’e meglio regole incoerenti, che erroneamente continuiamo a considerare immutabili. I principi che gli Stati fondatori dell’ONU, fra cui la Siria, elaborarono con il piano di divisione della Palestina furono respinti da entrambe le parti. Quando l’Yishuv proclamò unilateralmente lo Stato d’Israele e mise immediatamente in atto una vasta pulizia etnica, la Nakba, l’ONU riconobbe il nuovo Stato, ma inviò il conte Folke Bernadotte per verificare la situazione sul campo. Il mediatore dell’ONU, constatati i crimini israeliani, raccomandò di limitare a due terzi il territorio assegnato allo Yishuv, ma venne assassinato dalla Lehi di Yitzhak Shamir prima di poter presentare il proprio rapporto a New York. Dopo oltre 700 risoluzioni dell’Assemblea Generale, nonché 100 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, il conflitto s’è aggravato senza che all’orizzonte s’intravvedano soluzioni. Il Presidente Trump si è prefisso la quadratura del cerchio prima del termine del mandato. Sin dalla sua elezione è stato a torto considerato filo-israeliano; è invece solo un uomo d’affari del Nuovo Mondo. Trump è partito dalle seguenti constatazioni:

– Israele ha fatto una pulizia etnica sui territori che si è auto-attribuito nel 1948. Ha altresì vinto la guerra che ha scatenato nel 1967
– I palestinesi hanno fatto guerra nel 1970 alla Giordania, nel 1973 a Israele, nel 1975 al Libano, nel 1990 al Kuwait e nel 2012 alla Siria: le hanno perse tutte

Nessuna delle due parti intende però assumersi le conseguenze delle proprie azioni. La discussione è distorta da quando Yasser Arafat, non volendo essere messo ai margini dalla Conferenza di Madrid, abbandonò il progetto di Stato bi-nazionale, fondato sulla parità fra arabi ed ebrei, e violò il piano di spartizione del 1948 firmando gli Accordi di Oslo. Il principio che sottostà alla “soluzione dei due Stati”, immaginata da Yitzhak Rabin, ex alleato del regime sudafricano dell’apartheid, altro non è che la creazione di bantustan palestinesi, ossia l’estensione di quanto il Presidente Jimmy Carter ha definito «apartheid israeliano». Trump ha studiato un piano di pace che da due anni ha cominciato a far applicare senza clamore. Il 6 dicembre 2017 ha riconosciuto Gerusalemme capitale d’Israele, senza tuttavia precisarne i confini, sperando invano che l’Autorità palestinese traslocasse da Ramallah a Gerusalemme Est. Ha revocato il finanziamento USA all’UNRWA per obbligare la comunità internazionale a smettere di sponsorizzare lo status quo. Così facendo ha provocato l’ira dell’Autorità palestinese e la rottura delle relazioni diplomatiche tra Ramallah e Washington. In quanto discendente dal popolo che sottrasse agli indiani le loro terre, ha riconosciuto la conquista del Golan siriano, sperando di aprire un negoziato con Damasco, raccogliendo però solo la condanna di 193 Stati. Ha segretamente negoziato un accordo tra Israele e Hamas, che ha portato al pagamento dei funzionari di Gaza da parte del Qatar.

Il documento pubblicato dalla Casa Bianca è presentato dagli stessi autori come inapplicabile perché non sostenuto dalle due parti (pag.10). Vi si espone un processo della durata di quattro anni, ossia lungo quanto il prossimo mandato presidenziale USA. È perciò un documento per uso elettorale negli Stati Uniti, non un piano definitivo di pace. Invece che lamentarci e denunciare il fatto compiuto, dovremmo sforzarci di capire dove vuole arrivare la Casa Bianca, tanto più che rifiutiamo la sovranità israeliana sul Golan. Da uomo d’affari, Donald Trump ha messo sul tavolo un piano inaccettabile in modo da ottenere molto meno, ma di arrivare alla pace. È discepolo di Andrew Jackson, il Presidente che sostituì alla guerra la negoziazione con gli indiani. Sicuramente l’accordo che Jackson firmò con i Cherokee fu sabotato dal suo stesso esercito e diede origine all’atroce deportazione del Sentiero delle Lacrime. Oggi però i Cherokee sono l’unico popolo amerindo sopravvissuto come tale all’immigrazione europea. Il documento pubblicato era anche una trappola in cui Benjamin Netanyahu è cascato in pieno. Senza aspettare, il Primo Ministro israeliano si è rumorosamente felicitato per il piano, in modo da eclissare il rivale, Generale Benny Gantz. Gli è andata male. Tutti gli Stati della Lega Araba hanno fatto fronte comune, compreso il Qatar, che aveva tuttavia partecipato in segreto alla stesura del piano. Anni di sforzi d’Israele per rompere il fronte arabo, appoggiandosi su Arabia Saudita, Qatar, Giordania e Oman, sono andati in fumo.

Thierry Meyssan
4 febbraio 2020

Traduzione: Rachele Marmetti
www.voltairenet.org/article209104.html
wheaton80
00martedì 17 marzo 2020 04:03
Il vento in Israele sta cambiando. Netanyahu: tra processi e spallate politiche

Il vento sta girando in Israele, ed è un vento che piace per nulla al Premier uscente Bibi Netanyahu. Che in poche ore è passato dalla più fragorosa euforia post elettorale al timore (praticamente terrore) di essere incredibilmente finito in un vicolo cieco, proprio lui che delle battaglie, con vittoria finale, ha fatto una leggenda. Lunedì scorso, al termine delle ennesime elezioni parlamentari in Israele (le terze in meno di un anno), il Premier più longevo (è in carica dal 2009, più un mandato di 3 anni dal 1996 al 1999) si era lasciato andare all’entusiasmo:«E’ la più grande vittoria della mia vita», l’aveva definita quando lo spoglio dei voti, ancora parziale, gli assegnava seggi a un soffio dalla maggioranza assoluta in Parlamento (61 seggi su 120). Maggioranza che avrebbe significato due cose, entrambe per lui di fondamentale importanza: possibilità di formare ancora una volta un governo e libertà di approvare una legge ad hoc che impedisse di processare un Premier in carica, rinviando tutto alla fine della legislatura. Perché il baratro, per Netanyahu, si sta avvicinando: il prossimo 17 marzo comincerà il processo a suo carico, con l’accusa di corruzione (sono 3 i procedimenti aperti). E’ la prima volta nella storia d’Israele che un capo di governo entrerà in tribunale come imputato.

E oramai non riuscirà a evitarlo. Perché il conteggio degli ultimi voti, rallentato per via del coronavirus (oltre 5mila i voti espressi dagli elettori che lunedì 2 marzo si trovavano, per varie ragioni, in quarantena), ha riservato una brutta sorpresa a King Bibi. Vittoria confermata, ma alla fine il blocco del Likud, più i partiti conservatori e ultrareligiosi, ha ottenuto 58 seggi, 3 in meno del necessario per guidare la Knesset. I centristi Blu-Bianco di Benny Gantz, con il blocco di sinistra, ne hanno 55, compresi i 15 della Lista Unita degli arabo-israeliani. La destra laica di Israel Beytenu 7. Insomma, il solito stallo. Ma Gantz ha spinto improvvisamente sull’acceleratore, proponendo una legge che impedisca a un politico sotto processo di ricevere l’incarico a formare un nuovo governo. E Avigdor Lieberman, leader di Israel Beytenu ed ex allegato di Netanyahu, ha detto un doppio sì: alla proposta di legge e all’incarico da conferire non a Netanyahu ma a Benny Gantz. I numeri ci sono: 55 seggi del blocco di centrosinistra più i 7 di Lieberman fa 62. Una maggioranza che difficilmente si tradurrà in un potenziale governo (Lieberman ha dichiarato che mai farà parte di un esecutivo del quale facciano parte i partiti arabi, ma neanche di uno a guida Netanyahu), ma sufficiente a tagliare la strada al Premier uscente. E se Bibi fosse costretto a farsi da parte (anche se resta il leader più popolare e apprezzato dagli elettori), non è da escludere che Gantz possa proporre la formazione di un governo di unità nazionale. Fuori Bibi, tutti gli altri dentro.

Società laica e stop al piano “di pace” americano
Lieberman aveva posto cinque condizioni per sostenere la candidatura a Premier di Benny Gantz, tutte indirizzate alla laicizzazione della società. Tutte accettate da Gantz. Una sfida aperta a Netanyahu che è invece il più autorevole e fidato rappresentante dei partiti ultrareligiosi. Il piano potrebbe andar bene anche alla Joint List dei partiti arabi, nonostante la dichiarata incompatibilità di Lieberman e, in maniera più sfumata, di Blu-Bianco: perché così facendo spazzerebbero via il loro principale nemico ed eviterebbero l’applicazione del piano di pace americano, presentato da Trump come “l’Accordo del secolo” (che prevede tra l’altro l’annessione di ampie zone della Cisgiordania da parte dello Stato ebraico), uno degli argomenti chiave che ha comunque permesso a Netanyahu, nonostante tutto, di vincere ancora una volta le elezioni. Ma Gantz deve anche affrontare un accenno di “ribellione” interna, deputati che proprio nulla vogliono condividere con i partiti arabi, nemmeno come appoggio esterno.

E il pallino è nelle mani del Presidente israeliano Reuven Rivlin: entro il prossimo 17 marzo (coincidenza di date) dovrà affidare, dopo un brevissimo giro di consultazioni, a un membro della Knesset l’incarico di formare un nuovo governo. Trovare la quadra, come sempre, sarà un’impresa. Scrive Shlomo Ben-Ami, ex Ministro degli Esteri israeliano nel governo laburista di Ehud Barak e attuale vicepresidente del Centro Internazionale per la Pace di Toledo:«E’ questo il vero, storico messaggio di queste elezioni. Se una battaglia per l’anima di Israele si sta svolgendo oggi, è tra la coalizione di estrema destra di Netanyahu e la Arab Joint List, non la sinistra ebraica o i centristi di Blu-Bianco. I sionisti liberali saranno in grado di arginare la crescente ondata di nazionalismo sfrenato solo attraverso un'alleanza condivisa con gli arabi israeliani».

Tra proposte di Premier a rotazione e minacce di morte
Un futuro fosco per l’ex Premier: e ora Netanyahu è una furia. Appena fiutato il cambio di vento ha cominciato a ringhiare:«E’ un attacco alla democrazia», ha gridato nel commentare il probabile accordo tra Lieberman e Gantz, «un tentativo illegittimo di falsare le elezioni». Il suo team di avvocati ha immediatamente presentato una richiesta di rinvio di 45 giorni dell’udienza del 17 marzo, per non aver ricevuto nei termini e nei modi previsti il materiale su cui si basa l’accusa: un cavillo procedurale usato solo per prendere tempo. Appena saputo dell’appoggio di Israel Beytenu, il Likud ha inoltre richiesto un’indagine sullo stesso Lieberman, per un vecchio caso di corruzione. Ma, sottotraccia, ha fatto pervenire a Blu-Bianco una proposta per formare una maggioranza con Premier a rotazione (in Israele non è una novità): Netanyahu Primo Ministro per il primo anno, seguito da due anni di Gantz e poi chiunque sarebbe stato il leader Likud al servizio dell'ultimo anno.

Proposta, per ora, rifiutata. Ma c’è di più. Il Parlamento israeliano ha appena rafforzato la scorta a protezione di Benny Gantz, oggetto nelle ultime ore di “credibili” minacce di morte. Gantz, come riporta The Guardian, ha rivelato che un uomo ha cercato di aggredirlo sabato 7 marzo, durante un incontro pubblico, e che i sostenitori di Netanyahu continuano a minacciarlo online. Uno di loro, in un post, si augurava che Gantz fosse “eliminato come l'ex Primo Ministro Yitzhak Rabin”, assassinato da un ultranazionalista ebreo il 4 novembre 1995. In un altro post è stata pubblicata un’immagine ritoccata del leader di Blu-Bianco con indosso un copricapo arabo: fotomontaggi simili erano stati realizzati con il volto di Rabin, pochi giorni prima del suo omicidio. «Israele rischia di restare prigioniera di un passato fatto di divisione e di odio», ha recentemente dichiarato Noa Rothman, la nipote del Premier laburista Yitzhak Rabin. «Quel passato che non passa ha il volto di Benjamin Netanyahu».

Andrea Gaiardoni
ilbolive.unipd.it/it/news/vento-israele-sta-cambiano-netanyahu-...
wheaton80
00venerdì 22 gennaio 2021 19:03
Con la morte di Sheldon Adelson, Netanyahu perde il suo principale sostenitore



Martedì il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha pianto la scomparsa del magnate americano dei casinò Sheldon Adelson, uno dei più fedeli sostenitori americani di Netanyahu, lodando i suoi sforzi per rafforzare i legami tra Stati Uniti e Israele che hanno contribuito a guidare la politica pro-Israele sotto l'Amministrazione Trump. Con la morte di Adelson, Netanyahu perde un fondamentale sostenitore statunitense, che negli ultimi quattro anni ha avuto l'attenzione del Presidente americano e ha lavorato instancabilmente per promuovere le priorità di Israele alla Casa Bianca e al Congresso. Ha anche salutato un importante attore dietro le quinte della politica israeliana che ha finanziato un influente quotidiano gratuito che fungeva da portavoce non ufficiale di Netanyahu. "Le grandi azioni di Sheldon per rafforzare la posizione di Israele negli Stati Uniti e per rafforzare i legami tra Israele e la diaspora saranno ricordate per generazioni", ha detto Netanyahu in una dichiarazione, aggiungendo di aver ricevuto la notizia della morte di Adelson con "profondo dolore e con il cuore spezzato". "Ricorderemo per sempre Sheldon e il suo grande contributo a Israele e al popolo ebraico". In una successiva dichiarazione più personale in inglese, Netanyahu ha detto che Adelson era "un meraviglioso amico per noi personalmente", dicendo che "il calore del suo cuore, la chiarezza del suo pensiero e la risolutezza delle sue azioni erano davvero eccezionali". I legislatori israeliani di tutto lo spettro politico così come altri personaggi pubblici si sono affrettati a lodare Adelson e il suo sostegno a Israele e alle cause ebraiche. Gideon Saar, che sta sfidando Netanyahu nelle prossime elezioni, ha detto che Adelson "ha dedicato il suo tempo e le sue energie a parlare a favore di Israele, presentando la causa di Israele ai decisori statunitensi e rafforzando i legami tra Israele e gli Stati Uniti". Isaac Herzog, un ex leader dell'opposizione e ora a capo dell'Agenzia Ebraica, un'organizzazione che lavora per rafforzare i legami tra Israele e la diaspora, ha definito Adelson "uno dei leader del popolo ebraico della nostra generazione, uno dei pilastri dell'educazione ebraica nel mondo".

Adelson, figlio di immigrati ebrei, è stato un convinto sostenitore di Netanyahu e una forza trainante nel promuovere il forte programma pro-Israele del Presidente Donald Trump, inclusa la controversa mossa del trasferimento dell'ambasciata americana da Tel Aviv alla contestata Gerusalemme. Adelson era seduto in prima fila quando l'Amministrazione Trump ha inaugurato l'ambasciata di Gerusalemme nel maggio 2018 e ha partecipato alla presentazione del piano di Trump per il Medio Oriente alla Casa Bianca lo scorso gennaio, che ha favorito in modo schiacciante Israele rispetto ai palestinesi. Più di recente, secondo quanto riferito, ha acquistato l'anno scorso la residenza ufficiale dell'ambasciatore degli Stati Uniti vicino a Tel Aviv per circa 67 milioni di dollari in una mossa che è stata vista come un aiuto per impedire all'ambasciata di trasferirsi di nuovo a Tel Aviv dopo che Trump avesse lasciato l'incarico. Solo poche settimane fa, Adelson ha fornito un aereo privato a Jonathan Pollard, un ex analista dell'Intelligence statunitense che ha trascorso 30 anni in prigione per spionaggio per conto di Israele, per trasferirsi in Israele dopo la fine della sua libertà vigilata. Las Vegas Sands ha detto che il funerale di Adelson si terrà in Israele. Il suo attaccamento a Israele è durato tutta la vita ed era così profondo che una volta ha detto che avrebbe voluto che il suo servizio militare fosse stato in uniforme israeliana piuttosto che americana. Gli amici delle Forze di Difesa Israeliane, un gruppo che sostiene i soldati israeliani, hanno detto che Adelson è stato uno dei maggiori sostenitori dell'organizzazione e che aveva "adottato" tre brigate militari israeliane come parte di uno dei suoi programmi. Adelson era anche attivo nella politica israeliana, avendo lanciato un giornale gratuito chiamato Israel Hayom, che fungeva da portavoce non ufficiale di Netanyahu. Il giornale ha svolto un ruolo centrale nella politica israeliana, promuovendo esclusive e fughe di notizie dal suo ufficio e persino aiutando a innescare le elezioni nazionali nel 2015, quando un rivale di Netanyahu aveva cercato di approvare una legge che limitasse la sua influenza. È anche collegato a uno degli scandali di corruzione per cui Netanyahu è sotto processo.

Netanyahu è accusato di aver promesso all'editore di un giornale rivale che avrebbe limitato l'influenza di Israel Hayom in cambio di una copertura più positiva nel quotidiano dell'editore, Yediot Ahronot. Adelson e sua moglie sono elencati come testimoni dell'accusa contro Netanyahu, che nega qualsiasi reato. "Il popolo israeliano non stava ottenendo una visione equa ed equilibrata delle notizie e delle opinioni ed è per questo che abbiamo fondato Israel Hayom", ha detto ai giornalisti durante una visita in Israele nel 2013. "Andate a leggere Yediot con tutti i suoi attacchi contro Bibi. Lo attaccano e basta. È questa una visione giusta ed equilibrata?". Bibi è il soprannome di Netanyahu. Dopo l'annuncio della morte di Adelson, il sito WEB di Israel Hayom era pieno di foto di Adelson, con il sito che pubblicava quattro articoli su di lui, incluso un necrologio scritto da sua moglie. Adelson ha sostenuto alcune cause legate al movimento degli insediamenti israeliani, tra cui l'Università di Ariel, l'unica università israeliana nel territorio occupato, così come la Città di David, un controverso parco archeologico situato in un quartiere arabo a Gerusalemme est. Adelson è stato anche un importante donatore per numerose e celebri cause, e la sua fondazione è stata una prolifica donatrice per gruppi ebrei e israeliani, incluso il Memoriale Nazionale dell'Olocausto di Israele, Yad Vashem. La dichiarazione dei redditi della sua fondazione di famiglia per il 2018 mostrava donazioni di 34 milioni di dollari alla Birthright Israel Foundation di New York, un programma che porta giovani ebrei da tutto il mondo in viaggi gratuiti in Israele. Elenca anche una donazione di 10,7 milioni di dollari alla Maccabbee Task Force Foundation. Il gruppo afferma sul suo sito WEB che si dedica alla lotta all'antisemitismo in generale e al movimento guidato dai palestinesi nei campus universitari che promuove boicottaggi e sanzioni contro Israele in particolare. Il ritorno di Adelson prevede anche contributi più modesti, come 10.000 dollari, alla comunità ebraica caraibica. Negli Stati Uniti, Adelson ha contribuito a sottoscrivere viaggi del Congresso in Israele, ha contribuito a costruire una nuova sede per il gruppo di lobbying American Israel Public Affairs Committee (AIPAC) e in seguito è stato uno dei principali sostenitori del Consiglio Israelo-Americano, le cui conferenze hanno attratto repubblicani e democratici.

Tia Goldenberg
12 gennaio 2021
Traduzione: Wheaton80

apnews.com/article/sheldon-adelson-israel-benjamin-netanyahu-9e6fb531f3ac4f52a16e0d12...
wheaton80
00martedì 15 giugno 2021 01:16
Israele: approvato il governo Bennett-Lapid, la fine dell’era Netanyahu

Il Parlamento israeliano ha approvato, con 60 voti a favore e 59 voti contro, un nuovo governo guidato da Naftali Bennett, in coalizione con il centrista Yair Lapid, mettendo fine a 12 anni di Benjamin Netanyahu come Primo Ministro. A seguito dell’approvazione da parte della Knesset, il Parlamento israeliano, il nuovo governo potrà prestare giuramento e insediarsi. L’ultranazionalista Bennett servirà come Primo Ministro per due anni, prima che Lapid subentri. Guideranno un esecutivo di partiti che rappresentano tutto lo spettro politico. L’estrema destra è rappresentata dalla coalizione “Yamina”, con Bennett come leader, dal partito “Nuova Speranza”, guidato dall’ex Likud Gideon Saar, e da “Israel Beytenu”, con a capo Avigdor Lieberman. Al centro, invece, c’è il partito “Blue and White”, guidato dall’ex vicepremier, Benny Gantz, e in cui è confluito il partito centrista e laico, Yesh Atid, di Lapid. Invece, a sinistra, troviamo “Ha’Avoda”, il partito laburista, “Meretz”, un partito politico di ispirazione laica e socialdemocratica, e la “United Arab List”, conosciuta in ebraico come “Raam”, un partito arabo che rappresenta parte dei palestinesi israeliani. Quest’ultimo è fuoriuscito il 28 febbraio 2021 dalla “Joint List”, un’alleanza politica degli altri quattro principali partiti politici palestinesi in Israele. La United Arab List, da sola, ha totalizzato il 3.79% delle preferenze e ha ottenuto 4 seggi. La Joint List ha preso il 4.81% dei voti e ha ottenuto 5 seggi. Il Primo Ministro designato Bennett ha tenuto un discorso di fronte alla Knesset prima del voto di fiducia e ha ringraziato il Premier uscente, Netanyahu, per i suoi “molti anni di servizio, ricchi di successi, per il bene dello Stato di Israele”. Tuttavia, ha gioito per questo “momento speciale” di cambiamento per il Paese. Lapid, rivolgendosi al capo di Stato israeliano, ha assicurato che il nuovo governo si impegnerà per unire le componenti della società israeliana, mettendosi a servizio di tutto il Paese, anche di chi non sostiene il nuovo esecutivo, i quali verranno comunque rispettati. Il 2 giugno, il leader centrista, Yair Lapid, alla guida del partito Yesh Atid, aveva annunciato ufficialmente di aver raggiunto un’intesa con le altre forze politiche israeliane per la formazione di un nuovo governo di unità nazionale. Lapid aveva informato il Presidente israeliano, Reuven Rivlin, di essere riuscito a trovare una maggioranza per un nuovo esecutivo. Già il 30 maggio, Bennett, a nome della coalizione Yamina, si era detto disposto a formare un governo di unità nazionale con Yesh Atid, dando nuovo impulso alle negoziazioni in corso. In totale, la nuova coalizione pensava di contare sul sostegno di 61 parlamentari; alla fine sono stati 60, con una risicata maggioranza nel Knesset e ricoprendo un ampio spettro politico.

Maria Grazia Rutigliano
13 giugno 2021
sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/06/13/israele-approvato-governo-bennett-lapid-la-fine-dellera-ne...
wheaton80
00martedì 23 novembre 2021 01:46
Il Mossad israeliano scosso per le dimissioni di alti funzionari

I servizi segreti esteri israeliani stanno assistendo a uno shock “di una pericolosa dimensione strategica”, dopo che tre generali, membri dei Capi di Stato Maggiore e Capi di tre divisioni centrali, hanno presentato le proprie dimissioni per protestare contro i cambiamenti fondamentali apportati dal nuovo capo dell'agenzia, David Barnea. Ex funzionari del Mossad hanno avvertito delle conseguenze di questi cambiamenti e del loro impatto sulle operazioni pianificate a breve termine. Secondo fonti ben informate, le divisioni che hanno visto dimettersi i loro capi includono la Tecnologia, la Guerra al Terrore e la Tsumet, che è responsabile dell'operatività degli agenti. Anche il Capo della Divisione Guerra Strategica dovrebbe dimettersi. Molti credono che gli ultimi sviluppi lascerebbero effetti devastanti e minerebbero le operazioni strategiche. Secondo un'ex fonte di alto rango dell'apparato, almeno due dei generali dimissionari erano considerati tra i principali candidati alla guida del Mossad in futuro, cioè dopo la fine del mandato di Barnea. L'ex capo del Mossad, Yossi Cohen, aveva stabilito forti relazioni amichevoli all'interno dell'apparato, ed è stato in grado di concentrare la maggior parte degli sforzi sulle operazioni estere, in particolare quelle effettuate sul suolo iraniano per combattere il progetto nucleare. Barnea, che era stato nominato alla carica dall'ex Primo Ministro Benjamin Netanyahu e si era insediato all'inizio di giugno, ha deciso di apportare cambiamenti fondamentali all'interno del Mossad, cancellando diversi dipartimenti, che considerava vecchi e non utili, e unendone altri. Di conseguenza, un gran numero di alti ufficiali perderà il lavoro e dovrà lasciare il servizio, mentre altri generali perderanno i loro poteri, scatenando una grande rabbia nei loro ranghi.

Traduzione: Wheaton80
13 novembre 2021
english.aawsat.com/home/article/3302061/israeli-mossad-shaken-resignation-senior-o...
wheaton80
00venerdì 28 luglio 2023 14:13
Le aziende tech stanno scappando da Israele

In Israele, Wix e Wiz sono l'emblema delle aziende di successo. Fondata nel 2010, Wiz è una piattaforma per costruire siti WEB, oltre che una delle società tecnologiche più note del Paese e tra quelle con valutazione più alta del settore. Wiz invece è una società di cybersicurezza molto quotata: lanciata un decennio dopo Wix, ha raggiunto una valutazione di 10 miliardi di dollari nel giro di due anni, quasi la metà del tempo impiegato da aziende come Uber e Snapchat. Oggi però le due società stanno imboccando strade diverse: Wix sta aumentando il suo impegno in Israele, mentre Wiz sta tagliando i ponti con il Paese. Negli ultimi sette mesi, Israele è attraversato da una crisi politica. A gennaio, Benjamin Netanyahu, arrivato al suo sesto mandato come Primo Ministro e sostenuto da una coalizione che comprende partiti di estrema destra, ha presentato un disegno di legge che punta a indebolire i poteri della Corte Suprema Israeliana. I sostenitori dell'iniziativa sostengono che è necessaria per evitare le ingerenze politiche del massimo tribunale israeliano. I critici sostengono che la riforma indebolirebbe la democrazia israeliana garantendo al governo un potere incontrollato. Nonostante le grandi proteste, questa settimana i legislatori israeliani hanno approvato la prima parte della riforma giudiziaria. Il conflitto è percepito in modo particolarmente accentuato nella "Startup Nation", il nome con cui è stato ribattezzato l'influente settore tecnologico israeliano. In Israele molti lavoratori tech hanno partecipato alle proteste contro la riforma giudiziaria e i dirigenti delle aziende hanno espresso apertamente i loro timori per i possibili effetti sulla stabilità economica e sociale del Paese. Prima del voto sul disegno di legge, circa 200 aziende tecnologiche si erano impegnate ad aderire alle proteste. All'indomani del voto, un gruppo chiamato Movimento di protesta Hi-Tech Protest ha comprato degli spazi pubblicitari su almeno quattro diversi giornali, oscurandone le prime pagine, per sottolineare il "giorno nero per la democrazia". "L'industria israeliana dell'alta tecnologia è molto coinvolta, molto impegnata in ciò che sta accadendo", afferma Merav Bahat, Amministratore Delegato della società di sicurezza informatica Dazz, che racconta di sostenere i dipendenti che si sono assentati dal lavoro per scioperare o partecipare alle proteste.

Tra opposizione e fuga
I dati pubblicati nello scorso fine settimana da Start-Up Nation Central, un'organizzazione no-profit che promuove la tecnologia israeliana all'estero, mostrano che quasi il 70 per cento delle startup israeliane si sta adoperando per allontanarsi dal proprio Paese, ritirando denaro o spostando la propria sede legale. Wix dice che resterà in Isreale:"Rimarremo qui e combatteremo per ciò che è giusto", ha dichiarato a maggio Nir Zohar, cofondatore e direttore operativo dell'azienda, in un'intervista a Wired UK. Questo mese Wix ha confermato la sua posizione. Ma Zohar dice che la riforma giudiziaria ha introdotto incertezza non solo per gli investitori, ma anche per le persone che vogliono vivere in Israele all'insegna dei valori liberali. Zohar definisce la situazione "spaventosa" ed evidenzia "l'enorme impatto sul tipo di talenti che popolano l'industria tecnologica". Questa settimana, i dipendenti di Wix hanno aderito a uno sciopero generale per protestare contro l'esito del voto. Le società che scelgono di rimanere però sono sempre più rare. Secondo un rapporto di maggio dell'Israel Innovation Authority, più del 50 per cento delle nuove aziende fondate nel marzo 2023 (lo stesso mese in cui la legge è stata approvata dal parlamento israeliano) sono state costituite come società straniere, anziché israeliane.

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Meno startup israeliane significa un gettito fiscale più basso per il governo, ha aggiunto l'Israel Innovation Authority. In Israele il settore tecnologico è responsabile di oltre la metà delle esportazioni e il Paese incassa 50 miliardi di shekel (circa 12 miliardi di euro) all'anno dal comparto. Wiz è tra i soggetti che stanno prendendo le distanze dal proprio Paese. Da tempo le aziende israeliane operano con un piede in Israele e l'altro in mercati più grandi, come gli Stati Uniti, dove possono accedere a maggiori finanziamenti e un bacino di clienti più ampio. Ma secondo quanto riportato da Reuters, a febbraio Wiz ha ritirato decine di milioni di dollari da Israele. Quando nello stesso mese l'azienda ha raccolto 300 milioni di dollari, il suo Amministratore Delegato ha dichiarato che nemmeno una parte del denaro sarebbe stato investito in Israele:"Data l'incertezza sull'indipendenza delle istituzioni in Israele e in seguito a una valutazione del rischio, terremo i fondi nelle banche statunitensi", ha dichiarato il cofondatore dell'azienda, Assaf Rappaport, al Times of Israel.

I timori delle imprese
Alcuni imprenditori hanno criticato apertamente la legge e il Governo Netanyahu. Quando nel 2016 Eynat Guez ha fondato l'azienda di gestione di buste paga Papaya Global, era orgogliosa di essere la cofondatrice di un'azienda israeliana. Oggi prenderebbe la stessa decisione? "No al 10 per cento", dice. "Se avessi la possibilità di cambiare questa decisione, lo farei". In una lettera aperta inviata agli investitori lunedì 24, Guez ha scritto che il suo Paese è stato "sabotato da un gruppo di fanatici" e che Netanyahu è disposto a "sacrificare la democrazia israeliana" per garantire la propria sopravvivenza politica. "In seguito a questa revisione politica, gli imprenditori israeliani creeranno delle società all'estero", si legge nella lettera. "E' semplicemente troppo rischioso esporre gli investitori a un sistema giudiziario ambiguo, privo di una vera supervisione, in cui non hanno alcuna protezione e nessun modo di ricorrere a vie legali".

www.calcalistech.com/ctechnews/article/hywhelh52

A gennaio la società ha annunciato che avrebbe trasferito tutto il suo denaro fuori da Israele e Guez ha dichiarato a Wired UK che Papaya non gestisce più alcun fondo di investimento nel Paese. Per Guez, il problema è che fare impresa in Israele lascia la proprietà intellettuale dell'azienda alla mercé di un governo che ora non può più essere controllato dai tribunali. Guez sostiene che gli investitori sono già spaventati:"Eravamo un luogo in cui gli investitori e le multinazionali di venture capital arrivavano a cadenza settimanale", racconta. La situazione è cambiata drasticamente da gennaio, quando il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha presentato le sue riforme:"Bastano meno di 10 dita per contare gli investitori che sono arrivati in Israele quest'anno", commenta Guez. Il 25 luglio, Morgan Stanley ha declassato il rating di Israele, mentre la società di valutazione del rischio Moody's ha evidenziato un "rischio significativo" legato alle tensioni politiche nel Paese. La notte precedente, migliaia di persone hanno partecipato alle manifestazioni, dove la polizia ha sparato acqua sulla folla. I riservisti dell'esercito hanno minacciato di non prestare servizio. Ci si aspetta che la legge del governo venga contestata anche dalla stessa Corte Suprema, i cui poteri sono destinati a essere limitati. Nel frattempo, i manifestanti si sono impegnati a continuare a lottare. Tra loro ci sono molti lavoratori del settore tecnologico. "Nessuno di noi credeva che questo momento sarebbe davvero arrivato", dice Guez. 2Dobbiamo adattarci all'economia che cambia e alla situazione che cambia”. Per alcuni questo significa aiutare a fare pressione sul governo, per altri elaborare piani di emergenza. Per il settore tech israeliano si tratta di una battaglia per la propria sopravvivenza, in cui sono in gioco la democrazia, ma anche il talento del settore e il sostegno degli investitori. "Dobbiamo continuare a essere una democrazia liberale per continuare a essere uno dei luoghi più attraenti per i giovani talenti che hanno altre possibilità", dichiara Nadav Zafrir, cofondatore e AD della società di venture capital per la cybersecurity Team8. "Dobbiamo far parte della società delle nazioni che sono democrazie liberali, perché questi Paesi sono i nostri investitori, soprattutto Europa e Stati Uniti".

Morgan Meaker
28 luglio 2023
www.wired.it/article/israele-aziende-tecnologiche-fuga-p...
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