La Shoah e la voce di Pietro

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LiviaGloria
00lunedì 25 dicembre 2006 22:12
La Shoah e la voce di Pietro

di Marco Roncalli

Nel suo studio a 360 gradi sul Vaticano e la questione ebraica, Alessandro Duce passa in rassegna tutte le prese di posizione, edite e inedite, della Santa Sede sul razzismo nazista e sulla difesa della pace Tra Hitler e la Chiesa tensione fin dai primi anni. Poco nota ma illuminante la reazione del governo filotedesco della Slovacchia alle proteste del nunzio: «Anche voi siete servi dell’elemento giudaico».

[Da «Avvenire», 24 ottobre 2006]


Se c vero che non mancano opere sull’atteggiamento della Santa Sede verso la questione ebraica concentrate su periodi specifici, singole aree geografiche, temi particolari, c anche vero che non sono molti i libri nati dall’ambizione di tracciare ampie sintesi senza rinunciare a ricchezza di dettagli su quanto realmente ha fatto il Vaticano. Non solo parte di questa produzione editoriale non supera il rischio di approcci strumentali, analizzando - per lodarli o condannarli tout court - testi e gesti ora di Pio XI, ora di Eugenio Pacelli-Pio XII, o di questo o quel nunzio, vescovo, sacerdote. C quello che non fa Alessandro Duce nel suo nuovo volume La Santa Sede e la questione ebraica 1933-1945 (Studium, pagine 430, euro 39,00), che sarr presentato domani alle 17,30 all’associazione Stampa estera in Italia (via dell’Umiltr 83/c, Roma) da Achille Silvestrini, Giulio Andreotti, Clemente Mastella, Giorgio Sacerdoti e Andrea Riccardi. Valorizzando fonti diplomatiche vaticane, italiane, internazionali, fondi archivistici relativi all’attivitr della Santa Sede negli anni Trenta, Duce analizza il drammatico confronto della Chiesa cattolica con il regime hitleriano sin dall’alba del nazionalsocialismo. Come osserva nell’introduzione Danilo Veneruso, la Chiesa, per il solo fatto di essere diversa e indipendente dalla Germania e dal nazionalsocialismo, rischiava «di diventare ostaggio e vittima della persecuzione di Hitler» e nello stesso tempo «di essere considerata condiscendente da coloro che lottano contro il nazionalsocialismo». E i documenti citati da Duce ci mostrano un cardinal Pacelli deluso e adirato per l’«ignobile comportamento tedesco» (con l’unica alternativa di una rottura del Concordato e la conseguente persecuzione religiosa), poi le reazioni dei vescovi tedeschi mentre la Santa Sede prende coscienza della gravitr del problema (gir segnalato da Edith Stein in una vibrante lettera a Pio XI) e arriva l’enciclica Mit brennender Sorge del ’37. Vengono poi analizza ti i pronunciamenti papali del ’38 sull’incompatibilitr tra razzismo e cristianesimo (che bloccano la saldatura completa col fascismo italiano), quindi - con Pacelli eletto Pio XII - si seguono i molteplici (e vani) tentativi prima per attirare la Germania nell’orbita della pace, poi per mitigare gli effetti delle leggi razziali, favorire l’espatrio dei non ariani (anche contro la volontr di esponenti politici cattolici locali filo-tedeschi), per salvare ebrei (specie convertiti al cattolicesimo). Tentativi falliti ai quali segue - per tutta la durata della guerra - il «silenzio pubblico» considerato necessario per mantenere contatti con tutti i contendenti (cosa possibile solo osservando imparzialitr), ma anche a lavorare segretamente per lenire le ferite laceranti di cin che non c piu «solo» devastazione bellica. Larga attenzione c dedicata a Pio XII, al lavoro dei suoi nunzi, delegati apostolici, incaricati d’affari, piu o meno coraggiosi. Nella consapevolezza che, verso la conclusione del conflitto, la diplomazia si trasforma in attivitr quotidiana di assistenza, dove i protagonisti hanno piu a che fare con i volti delle vittime dell’orrore che con dispacci o carte: c la «crociata della caritr». Diversi i tasselli inediti o poco noti del mosaico composto dall’autore. Spicca il resoconto di un incontro dell’aprile ’43 tra il nunzio Burzio dopo che ha appreso che con i corpi degli ebrei massacrati si fabbrica sapone e Tuka, capo del governo slovacco (mentre capo dello Stato era il sacerdote Tiso). Alle denunce di Burzio, Tuka risponde frasi come: «Monsignore, non comprendo che ha da vedere il Vaticano con gli ebrei della Slovacchia. Fate comunicare alla Santa Sede che io respingo questo passo. Non comprendo perché mi si vuole impedire di portare a compimento la mia missione che c quella di sbarazzare la Slovacchia da questa peste. Anche i vescovi e il clero slovacco si sono immischiati oltre il bisogno in questo affare e prendono le difese degli ebrei: questo di mostra che l’elemento ebraico c ancora molto influente». Ma spicca anche la critica al Vaticano del prefetto delle cerimonie pontificie: al cardinale Maglione monsignor Respighi, nel maggio ’43, indica quella che definisce «aspirazione universale»: «che il Papa parli per far cessare la distruzione -ovunque - dell’umanitr e delle opere di natura e di arte irreparabili! Si sappia da tutti che il Papa fa proposte perché cin abbia termine. Si saprr forse che le proposte non sono accettate; ma il Papa le ha fatte e i responsabili saranno oggetto di esecrazione universale». Quasi a rispondere a questo argomento, dirr il 2 giugno ’43 Pio XII ai cardinali: «Ogni parola, da Noi rivolta alle competenti Autoritr, e ogni Nostro pubblico accenno, dovevano essere da Noi seriamente ponderati e misurati nell’interesse dei sofferenti stessi, per non rendere, pur senza volerlo, piu grave ed insopportabile la loro situazione».

© Avvenire


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