La natura anticattolica della Rivoluzione francese

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Ghergon
00giovedì 1 giugno 2006 14:39
La natura anticattolica della Rivoluzione francese


di Corrado Gnerre




La Rivoluzione francese è un evento chiave per capire la modernità. Più precisamente dovremmo dire che la Rivoluzione francese traduce nella politica tutti i presupposti e gli sviluppi della modernità stessa.

Per modernità s’intende il tentativo di rendere il pensiero dell’uomo fondamento di tutto, nell’illusione di fare dell’uomo il dio di se stesso. Pertanto, la modernità è una categoria filosofica del tutto alternativa e inconciliabile con la concezione cristiana dell’uomo.

Ritorniamo alla Rivoluzione francese. Si tratta, dunque, di un evento che ha tradotto politicamente la modernità. C’è però chi dice che questo evento non fu essenzialmente anticristiano e anticattolico, ma prevalentemente antimonarchico e antiaristocratico; sarebbe diventato poi anticattolico in quanto il “vecchio regime” era troppo legato alla tradizione cattolica. Invece fu prevalentemente anticristiano e anticattolico, proprio perché evento illuministico e moderno. Eppure – si può obiettare – i testi scolastici non dicono così. Ma questi testi, spesso, non dicono il vero.

Vediamo adesso di convincere il lettore che l’essenza della Rivoluzione francese fu l’anticattolicesimo. E per far questo diremo cose che solitamente non ci sono sui “buoni” manuali su cui studiano i nostri figli.

Pochi sanno che il primo moto insurrezionale di questa rivoluzione non fu la presa della Bastiglia – su cui peraltro ciò che si dice ufficialmente necessita di correzione, in quanto non si trattò di una “presa” ma di un ingresso dalla porta, aperta per ordine del governatore –, ma il saccheggio e la distruzione, compresi la biblioteca e il laboratorio di fisica, della casa religiosa di San Lazzaro a Parigi, fondata da san Vincenzo de’ Paoli. Saccheggio e distruzione avvenuti il giorno prima della più famosa presa della Bastiglia, cioè il 13 luglio 1789. La sera dello stesso giorno, il cronista del Nuits de Paris, Restif de la Bretonne, per poco non veniva massacrato perché scambiato per un prete.

Ovviamente la Rivoluzione francese mostra la sua essenza primariamente anticattolica non solamente con questo episodio.

Lo storico Donald Greer ha calcolato che tra le vittime della Rivoluzione francese i nobili furono solo l’8,5%, mentre il restante 91,5% apparteneva al popolo. Inoltre oggi sappiamo che, malgrado il fenomeno dell’emigrazione, la grande maggioranza delle famiglie nobili non fu affatto colpita dalla Rivoluzione: su circa 400.000 nobili viventi nel 1789, si riscontrano 1.158 esecuzioni, cioè lo 0,03% e soltanto 16.431 emigrati, cioè il 4%. Non è paradossale affermare che i nobili non patirono poi tanto la Rivoluzione. Ha scritto lo storico francese Jean Dumont: «Di fatto i nobili, durante tutto il periodo rivoluzionario, continuano a vivere nei loro castelli, che sono colpiti soltanto raramente. è il caso del marchese di Ferrières, a Marcay, nel Poitou, e del conte Dufort de Cheverny, a Cheverny, nel Blésois. Quest’ultimo ospita addirittura a cena, nel suo sontuoso castello, i rappresentanti della Convenzione in missione. [...] La Rivoluzione protegge espressamente i loro castelli, come esige un decreto della Convenzione nel mese di febbraio del 1794, in pieno Grande Terrore, che sancisce “il rispetto di tutti gli immobili che portavano in precedenza il nome di castelli”, fatto assolutamente dimenticato [...]. Peraltro, la Rivoluzione ha usato verso i grandi proprietari nobili l’“enorme liberalità”, secondo la formula di Luigi XVI stesso, della soppressione della decima: una cifra fra 80 e 100 milioni di lire versata fino ad allora alla Chiesa, ora finisce ogni anno nelle tasche dei proprietari, a fronte di un bilancio statale di 500 milioni di lire». Lo stesso dicono anche storici molto famosi come Furet, Richet, Vovelle ed Hampson.

Il fatto che la Rivoluzione francese abbia avuto come avversario primario il Cristianesimo e non la monarchia e l’aristocrazia è confermato dalla data della condanna a morte di Luigi XVI. Il Re fu condannato solo quando decise di opporsi decisamente alla scristianizzazione della Francia. Infatti, quando Luigi XVI, nell’agosto del 1790, firmò la Costituzione Civile del Clero (la pretesa che il clero francese dovesse dapprima giurare fedeltà allo Stato, Costituzione condannata da papa Pio VI), gli uomini della Rivoluzione pensavano ancora ad una monarchia costituzionale. Poi, quando nel 1791 il Re si rifiutò di firmare il decreto di proscrizione per i preti refrattari (cioè quei preti che avevano voluto conservare la fedeltà al Papa e quindi rifiutare la Costituzione Civile del Clero), cominciarono ad uscire i primi opuscoli repubblicani. Poi, nel 1793, dopo che il Re si era opposto alla deportazione nelle colonie dei preti refrattari, avverrà il regicidio. Lo stesso papa Pio VI scrisse nella sua allocuzione sul martirio di Luigi XVI: «Ma il principale rimprovero levato contro di lui (si riferisce a Luigi XVI) verteva sull’inalterabile fermezza con la quale rifiutò di approvare e di sanzionare il decreto di deportazione dei preti e sulla lettera che scrisse al vescovo di Clermont per annunciargli che era assolutamente deciso di ristabilire il culto cattolico in Francia appena avesse potuto».

Chi vuole affermare la tesi secondo cui la Rivoluzione francese fu un evento non primariamente anticattolico, fa appello a presunte cause economiche, come la situazione di grande povertà in cui si sarebbe trovato il popolo francese alla fine del XVIII secolo. Ma anche questa si è dimostrata infondata. Lo storico dell’economia, Luzzato, scrive: «è un errore da lunghi anni ampiamente confutato dalla storia e dalla statistica il ritenere che la Rivoluzione del 1789 sia scoppiata in Francia per la intollerabilità della situazione economica in cui era precipitata la grande massa, borghese e proletaria, della popolazione, sia cittadina che rurale. I dati statistici, [...] per ciò che riguarda il commercio estero, dimostrano che le condizioni economiche generali avevano nell’ultimo ventennio dato prove sicure di un risveglio assai promettente, attestato [...] dall’aumento rapido e cospicuo del commercio internazionale, dal miglioramento delle strade, dal sorgere di qualche grande industria, con impiego ancora limitato, ma crescente, di macchine, con la costituzione, per impulso di Turgot, nel suo breve passaggio al Ministero, della prima banca pubblica, la “Caisse d’Escompte”».

è vero che la vita dei contadini del tempo appariva povera, ma è pur vero – come ha dimostrato Pierre Gavotte – che si trattava di povertà non reale, ma ostentata per fini ben precisi, cioè per evitare di pagare le tasse e scongiurare l’oppressivo sistema fiscale.


Certamente la Rivoluzione francese non può essere ridotta a pura persecuzione nei confronti del Cristianesimo. Va detto, infatti, che il contributo di questo evento nel corso della modernità – intendendo per modernità il rifiuto della cultura cristiana e il rifiuto della traduzione nel sociale di questa cultura, ovvero la cristianità – è più sul piano politico-economico che non su quello religioso, nel senso che già il Protestantesimo aveva segnato una tappa importante nel processo di secolarizzazione della civiltà europea con la rottura dell’unità dei cristiani che aveva caratterizzato l’età medioevale. Ma ciò che è chiaro è che il contributo sul piano politico ed economico che la Rivoluzione francese fornisce allo sviluppo della modernità – ci riferiamo ad una società individualistica, spogliata di quei vincoli di dipendenza socio-politica che costituivano un riferimento ad una dipendenza dell’uomo nei confronti del suo Creatore – è comunque effetto di una convinzione di eliminazione di Dio dalla vita teorica e pratica dell’uomo.



La natura essenzialmente anticattolica della Rivoluzione francese è attestata anche da un rivoluzionario del tempo, il prelato Henri Gregoire (che tradì la Chiesa come primo firmatario della Costituzione Civile del Clero), il quale, all’Assemblea del 1794, dovette ammettere che il vero scopo della Rivoluzione era stato quello di decattolicizzare la Francia. «La libertà di culto – disse – esiste in Turchia, non esiste in Francia: il popolo è privato di un diritto che si ha pure negli stati dispotici, perfino nelle reggenze del Marocco e d’Algeria [...]. È permesso ad ogni cittadino di praticare il culto in casa propria [...]. Già! La dichiarazione dei diritti, la costituzione e le leggi pubblicate con tanta solennità avrebbero per unico scopo di decidere che io possa fare quello che mi pare nella mia camera! Se è permesso sragionare, che non lo si faccia in modo tanto grossolano. Non ricorderò che uno spionaggio tirannico è stato esercitato fino in seno alle famiglie e che la libertà dei cittadini è stata oltraggiata nel cuore stesso dei nostri focolai. Se foste in buona fede, ammettereste che la vostra intenzione, chiara fino all’evidenza, è stata distruggere il cattolicesimo».

Don Luigi Negri, docente all’Università Cattolica di Milano, oggi vescovo di San Marino, ha scritto: «Perché infatti sono state giustiziate le suore di clausura? Perché sono stati distrutti monumenti della Francia cristiana? Perché è stato sostituito al culto religioso cattolico il culto della dea ragione? Perché il vero nemico non era la nobiltà, ma la Chiesa. Bisognava distruggere le basi religiose dell’antico ordine, sostituendole con basi totalmente razionali su cui fondare un nuovo ordine. La Rivoluzione francese è, dunque, il primo tentativo consistente di distruggere l’Europa cristiana e di sostituirla con l’Europa atea, espressione della modernità».

Per comprendere l’essenza anti-cattolica della Rivoluzione francese, bisogna anche sapere che prima dell’evento rivoluzionario furono diffusi in ambienti illuministici e massonici centinaia di opuscoli e libelli, nei quali, per deformare le coscienze, e quindi prepararle benevolmente a ciò che di importante sarebbe av­venuto di lì a poco, si espo­ne­va­no calunnie sulla Chie­sa Cat­tolica. Tutto questo materiale è ancor oggi consultabile presso la Biblioteca Nazionale di Parigi.

Tra queste calunnie contro la Chiesa Cattolica spicca quella diffusissima sulla “corruzione nei conventi religiosi”. Fu celebre in quel tempo il romanzo di Denis Diderot, La Religieuse, il cui messaggio si presentava fortemente ideologizzato, cioè a servizio di questa polemica anticattolica. Ha scritto in proposito Massimo Introvigne: «Come è stato ampiamente dimostrato, Denis Diderot elabora il tema di La religieuse a partire dalla storia vera di una certa suor Delamarre, che aveva intentato, dopo diciasette anni di convento, un processo nel 1757 per ottenere l’annullamento dei suoi voti. Ma nella realtà dei fatti suor Delamarre non era né giovane né bella né desiderosa di avventure galanti come la protagonista del romanzo di Denis Diderot. Si trattava, al contrario, di una suora di mezza età che rivendicava non tanto la libertà, quanto piuttosto una congrua eredità ed una dichiarazione di discendenza, sia pure illegittima, dalla casa di Orléans. Tanto poco suor Delamarre desiderava di essere liberata dal convento che, persa la causa e la speranza di entrare in possesso della sua eredità, non darà corso ad ulteriori azioni e rimarrà tranquillamente nel suo monastero fino a che questo non verrà soppresso, trent’anni dopo, dalla Rivoluzione. Non si trattava, del resto, di una prigione, ma dell’abbazia di Longchamp, conosciuta come un triste esempio di lassismo e di indisciplina, dove suor Delamarre esercitava l’ufficio di portinaia, con ogni facilità di allontanarsi se solo lo avesse desiderato. Mistificazione, quindi, sul caso Delamarre; ma mistificazione – più in generale – sulle “suore per forza”. Gli specialisti di storia monastica hanno da tempo dimostrato che, al di là di qualche caso rarissimo, vera “eccezione che conferma la regola”, la costrizione ai voti era pressoché inesistente nel Settecento al di fuori dei romanzi degli autori illuministici, e del resto le leggi ecclesiastiche e civili permettevano tutta una serie di ricorsi per liberarsi da impegni che non corrispondessero a reali vocazioni. L’assenza, poi, di vocazioni realmente forzate, e la relativa facilità di lasciare i conventi, rendono ancora più attendibili le conclusioni di commissioni di inchiesta ecclesiastiche e civili del tempo e di viaggiatori stranieri anche prevenuti: nei conventi francesi del Settecento vi erano certamente, qua e là come in ogni epoca, singoli casi di religiosi e di suore infedeli ai loro voti, ma non vi era assolutamente nulla che giustificasse o spiegasse in una qualche misura l’abbondanza della letteratura pornografica che attribuiva a frati e a monache ogni sorta di perversioni e di nefandezze sessuali. Per una tragica ironia della storia, sarà la stessa Rivoluzione francese a fornire una prova inconfutabile della falsità del mito anti-monastico. Alle suore, come ai religiosi, la Rivoluzione offrirà subito la “libertà” dai conventi, e perfino premi e riconoscimenti in caso di rinuncia spontanea ai voti e di matrimonio. Nella stragrande maggioranza dei conventi, soprattutto femminili, si risponderà con fierezza e fermezza che la più grande “libertà” per un’anima religiosa è quella di poter rimanere nella regola del proprio monastero. A Parigi su 80 conventi femminili, con 2.523 religiose, soltanto 12 suore accettano la “libertà” offerta dal governo rivoluzionario. Le autorità giacobine ricorreranno allora alla forza: e si vedranno così le suore e i frati, che la propaganda illuministica aveva dipinto come immersi nella mollezza e nella corruzione, salire eroicamente al patibolo piuttosto che rinnegare i loro voti; molti saranno anche elevati agli onori degli altari come martiri».

Lo storico irlandese, contemporaneo alla Rivoluzione francese, Edmund Burke, protestante, certamente non interessato a fini apologetici, mette in evidenza, in contrasto con la propaganda illuministica del tempo, i meriti spirituali e sociali del clero regolare: «[Gli ordini religiosi] alimentavano – scrive – una schiera di uomini di natura tutt’affatto speciale, consacrati al benessere collettivo e tali che agivano soltanto secondo principi e relazioni di interesse pubblico; uomini che non avevano alcuna possibilità di convertire il patrimonio comune in altrettante fortune private; uomini che rinnegavano ogni principio di egoismo e che, quand’anche peccassero d’avarizia, commettevano tale peccato ai fini della comunità; uomini per i quali la povertà individuale costituiva un titolo d’onore ed accoglievano il dovere dell’obbedienza in luogo dei diritti di libertà».


L’essenza anti-cristiana ed anti-cattolica della Rivoluzione francese fu evidente anche nelle “invenzioni” religiose, nelle grandi feste rivoluzionarie: il Giorno delle abiure, la Festa della Dea Ragione e la Festa dell’Ente Supremo. Famosa fu soprattutto la seconda, dove la Dea Ragione venne impersonata da una ballerina-prostituta, il tutto nella Cattedrale di Notre-Dame.



Che la Rivoluzione francese abbia voluto porsi in senso anti-cristiano è testimoniato anche dal fatto che essa cercò di automitizzarsi. Se l’Illuminismo si pone come movimento per il raggiungimento di un’età perfetta, la Rivoluzione francese stessa si presenta come inizio di un mondo nuovo, in cui il 1789 si pone miticamente. Possiamo dire che la Rivoluzione francese non è stata solo vittima di una mitizzazione, ma si è resa essa stessa protagonista di un evidente processo di automitizzazione, basti solo pensare al nuovo calendario. La Rivoluzione è l’anno zero di un mondo nuovo non più edificato sulla tradizione cristiana, ma completamente alternativo a questa tradizione.

La decattolicizzazione doveva toccare la vita quotidiana e i costumi. Si istituì il divorzio, furono aboliti i registri parrocchiali, furono abolite finanche le campane, i cui suoni ritmavano in precedenza la vita degli uomini, e che poi furono fuse e destinate alla produzione di cannoni. La Rivoluzione francese provvide anche a confiscare monasteri e conventi.

Lo storico irlandese, contemporaneo della Rivoluzione francese, Edmund Burke, malgrado non interessato alla difesa del Cattolicesimo perché protestante, si rivolse ad un gentiluomo parigino a proposito del fatto che queste leggi anti-cristiane, che la Rivoluzione immediatamente promulgò, costituissero il segno di un intento primariamente anti-cristiano. «A farla breve – egli scrisse –, mio caro signore, sembrami che questa nuova costituzione ecclesiastica sia soltanto un provvedimento transitorio per preparare un atto ulteriore di abolizione totale, formulata come si voglia, della religione cristiana; cosa che si compirà quando la coscienza degli uomini sarà pronta per quest’ultimo colpo».

La Rivoluzione francese si rese, inoltre, protagonista di distruzioni di edifici significativamente cristiani, come i portali delle cattedrali romaniche e gotiche. Finanche la splendida Abbazia di Cluny, nel 1792, fu dichiarata cava di pietre, e da essa, per anni, si attinse materiale per costruire case civili.

Quando verrà istituito il nuovo calendario si incarcereranno le persone che si rifiuteranno di lavorare di domenica, si ordinerà ai sacerdoti di prender moglie, si vieterà loro di indossare la talare fuori delle chiese. In seguito verrà imposto ai preti di rinunciare alle funzioni liturgiche, accusandoli di aver ingannato il popolo, e le chiese verranno chiuse. Sugli ingressi dei cimiteri verrà incisa la frase: la morte è un sonno eterno. Poi si arriverà al grottesco: si proibirà di vendere il pesce nei giorni di astinenza, per costringere i cristiani a mangiare comunque la carne.

La Rivoluzione francese non mancò nemmeno di tanti atti sacrileghi. A Quimper, di fronte a tanti fedeli, l’agente di dipartimento Dagorn, in una chiesa fa saltare il Tabernacolo a colpi di rivoltella, si impadronisce dei sacri calici e li usa come orinatoi davanti a tutti. Questo gusto della profanazione, esito di un incitamento organizzato, si era già avuto durante le cosiddette guerre di religione, si ripeterà poi in Spagna, in Messico, durante la Rivoluzione sovietica. È comunque certo che durante la Rivoluzione francese le profanazioni diventano un fenomeno frequente e sistematico. A Reims, sul luogo dove era avvenuta la consacrazione del Re, vengono organizzati roghi e su uno di essi vengono bruciati vivi due sacerdoti. E questo è solamente una anticipazione della terribile sorte che toccherà a tanti preti refrattari.










[Modificato da Ghergon 01/06/2006 15.34]

LiviaGloria
00giovedì 1 giugno 2006 17:10
Ghergon
Complimenti!Bellissimo articolo.
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