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Alla difesa dei diritti di Dio?
Lefebvre e la Fraternità San Pio X
di Lawrence M.F. Sudbury
Negli ultimi vent’anni e fino a tempi recentissimi forse pochissime questioni interne alla Chiesa cattolica hanno avuto così grande risonanza esterna come il cosiddetto “caso Lefebvre”.
Eppure, a tutt’oggi, molti non hanno ancora ben chiaro quali siano le coordinate essenziali del problema, ritenendo tutta la vicenda solo frutto delle stranezze di un gruppetto di Ecclesiastici ultra-conservatori e vagamente razzisti, a lungo guidati da un Vescovo disubbidiente al Vaticano.
La realtà dei fatti è certamente più complessa e merita di essere analizzata un po’ più attentamente di quanto spesso accada sui mass media per essere compresa in tutta la sua importanza e in tutta la sua portata pre-scismatica, scismatica e post-scismatica per il Cattolicesimo, a partire già dalla figura principale che ha dato l’avvio a tutto il processo: Monsignor Lefebvre.
Nato in una famiglia di antica tradizione religiosa (con oltre una cinquantina di Consacrati di vario livello in 250 anni) e figlio di ricco proprietario di industrie tessili ed esponente di spicco della resistenza francese, incarcerato dai tedeschi 1941 e giustiziato nel lager nazista di Sonnenburg nel 1944, Marcel Lefebvre studiò al Seminario francese di Roma e si laureò in filosofia e teologia alla Pontificia Università Gregoriana, per essere ordinato Sacerdote il 21 settembre 1929.
Dopo qualche anno come Vicario in una parrocchia operaia di Lilla, entrò nella “Congregazione Missionaria dello Spirito Santo” e, nel 1932, venne inviato come Professore di Dogma e di Sacra Scrittura al Gran Seminario di Libreville in Gabon, del quale, due anni dopo, assunse la direzione: il suo lavoro di evangelizzazione fu così intenso da triplicare il numero dei Cristiani del Paese e, nel 1945 venne chiamato a dirigere il Seminario del suo Ordine a Mortain, in Francia. Due anni dopo Lefebvre venne consacrato Vescovo da Pio XII e inviato come Vicario apostolico in Senegal (e, dal 1948, come Vicario apostolico per tutta l’Africa Francese, comprendente allora ben 45 giurisdizioni ecclesiastiche in 18 Paesi), rimanendo in Africa, dal 1955 come primo Vescovo di Dakar, fino al 1962, anno in cui venne eletto Superiore Generale della Congregazione dei Padri dello Spirito Santo e Vescovo di Tulle.
Proprio in quanto Superiore Generale, nel 1962 fu chiamato a partecipare, prima nella Commissione preparatoria (essendo stato nominato da Papa Giovanni XXIII Assistente al Sacro Soglio) e poi come delegato, all’evento che cambiò radicalmente la sua esistenza: il Concilio Vaticano II.
Monsignor Lefebvre aveva passato praticamente metà della sua vita lottando per evangelizzare popolazioni pagani e islamiche in Africa: era quasi logico che non potesse accettare in nessun modo elementi quali l’ecumenismo o le modifiche liturgiche, così fondamentali nel Concilio ma che, nella sua visione, altro non potevano essere che avanguardie di uno spirito neo-modernista, atte solo alla distruzione del senso ultimo del Sacerdozio e al minamento delle basi ultime della vita religiosa.
Per questo, nel corso dei lavori conciliari, fu sempre fortemente critico verso qualunque elemento di “novità”, partecipando attivamente allo sviluppo della corrente conservatrice del “Coetus Internationalis Patrum” e, quando tale corrente risultò perdente, non accettando di sottomettersi al “nuovo corso” che considerava “devastante” per il Cattolicesimo e arrivando a firmare solo alcuni documenti finali ma rifiutando di sottoscrivere la Gaudium et Spes e la Dignitas Humanae.
Sulla stessa linea, nel 1969, fu tra i firmatari del Breve esame critico del Novus Ordo Missae dei Cardinali Ottaviani e Bacci e, risultando anche questo tentativo vano, decise di ergersi a difensore della tradizione liturgica di San Pio V e, soprattutto, di quella che vedeva come la unica e reale “Traditio Fidei” fondando, nel 1970, la Fraternità Sacerdotale San Pio X (F.S.S.P.X), creata a Friburgo (Svizzera) il 1 novembre di quell’anno con l’accordo e l’approvazione di Monsignor François Charrière, allora Vescovo della città. La Fraternità possedeva anche un proprio Seminario internazionale a Ecône (curiosamente fondato 24 giorni prima della Congregazione che lo avrebbe retto) per la formazione di giovani “Sacerdoti conservatori” e poteva contare sull’appoggio di numerose fazioni della destra francese, che, da allora in poi, non hanno mai fatto mancare al Seminario Internazionale San Pio X il loro sostegno finanziario, e di alcune alte personalità cantonali del Partito Democristiano (in particolare con l'ex Presidente della Confederazione Elvetica, Roger Bonvin) e del movimento “Pro Fide Catholica”.
A inizio 1971 la Fraternità venne ufficialmente approvata dalla Santa Sede ma, praticamente all’atto del ricevimento del riconoscimento, Monsignor Lefebvre dichiarò che tutti i Sacerdoti della F.S.S.P.X avrebbero continuato a celebrare la Messa secondo il Rito di San Pio V, non accettando il “Novus Ordo” per motivi di coscienza. Iniziò da qui un primo grande contrasto con la Conferenza Episcopale francese che, nel novembre 1972, ad una sua Assemblea plenaria, definì Ecône un “Seminario selvaggio”, nonostante la sua canonicità.
In ogni caso, il Seminario (e, conseguentemente, la Fraternità) continuò ad accogliere sempre più studenti: i dati ufficiali parlano di un’apertura con 11 studenti, di 27 seminaristi nell’ottobre 1971, 35 nell’ottobre 1972, 36 nell’ottobre 1973 e 40 nell’ottobre 1974.
E’ proprio nel 1974 che le proteste del Clero progressista francese e svizzero cominciarono ad avere i primi effetti: il 9 novembre 1974 Monsignor Lefebvre ricevette dalla Nunziatura di Berna una lettera che gli annunciava una Commissione nominata dal Papa e composta da tre Cardinali interessati al Seminario (Monsignor Garrone, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, Monsignor Wright, Prefetto di quella per il Clero, e Monsignor Tabera Prefetto di quella dei Religiosi) e di due Visitatori apostolici, Monsignor Descamps e Monsignor Onclin, che, dall’11 al 13 novembre 1974, interrogarono professori e seminaristi ed ebbero colloqui con Monsignor Lefebvre.
Si trattava di una ispezione informale (tanto che nessun verbale fu firmato e nessuna relazione venne comunicata a Monsignor Lefebvre, Rettore del Seminario), ma, ugualmente, essa risultò in una nota in cui si biasimava la formazione troppo “tradizionalista” del Clero di Ecône.
La risposta della Fraternità fu una dichiarazione di Lefebvre del 21 novembre l974 in cui il Vescovo proclamava la sua adesione “alla Roma cattolica, custode della Fede cattolica” ma affermava il suo rifiuto “di seguire la Roma di tendenza neo-modernista e neo-protestante che si è manifestata chiaramente nel Concilio Vaticano II e dopo il Concilio in tutte le riforme che ne sono seguite”.
Con ogni probabilità, questa dichiarazione non voleva essere in nessun modo una sorta di “Manifesto” dì appello allo scisma, tanto che si chiudeva con un paragrafo (per altro stranamente omesso dall’“Osservatore Romano” all’atto della pubblicazione del testo), che esprimeva la fedeltà della “San Pio X” “a tutti i successori di Pietro”, fedeltà poi riaffermata da Lefebvre in una risposta all’Abbé de Nantes del 19 marzo 1975, in cui si legge: “Sappiate che se ci sarà un vescovo che rompe con Roma questo non sarò io”.
Nel frattempo, il 25 gennaio 1975, i tre Cardinali Garrone, Wright e Tabera, in una lettera di ringraziamento per l’accoglienza ricevuta, chiedevano a Monsignor Lefebvre un ulteriore incontro per discutere “su alcuni punti che ci lasciano qualche perplessità in seguito a questa visita”. L’appuntamento venne fissato per il 15 febbraio 1975 e, in tale occasione, i Cardinali attaccarono violentemente la Dichiarazione del 21 novembre 1974, nella quale in particolare il Cardinal Tabera ravvisava gli estremi una rottura con la Chiesa. Un secondo incontro, il 3 marzo, si svolse più o meno nelle stesse condizioni e, come risultato, il 6 maggio 1975 una lettera della Commissione cardinalizia informava Monsignor Lefebvre che la sua Dichiarazione era “inaccettabile sotto tutti i punti” e, prendendo atto del suo rifiuto di ritrattarla, gli comunicava, “con la piena approvazione di Sua Santità”, le seguenti decisioni:
1)Monsignor Mamie, Arcivescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, avrebbe visto riconosciuto “il diritto di ritirare l’approvazione data dal suo predecessore alla Fraternità e ai suoi Statuti”;
2)in seguito a questa soppressione le fondazioni della Fraternità, e particolarmente il Seminario di Ecône, avrebbero perso “il diritto di esistere”;
3)nessun appoggio avrebbe potuto essere dato a Monsignor Lefebvre “sin quando le idee contenute nel Manifesto del 21 novembre 1974 saranno la legge della sua azione”.
Lo stesso giorno Monsignor Mamie scriveva a Monsignor Lefebvre: “La informo che io ritiro gli atti e le concessioni fatti dal mio predecessore per quanto concerne la Fraternità Sacerdotale San Pio X, e particolarmente il decreto di fondazione del l0 novembre 1970. [...] Questa decisione è immediatamente effettiva”.
Monsignor Lefebvre giudicò la soppressione del Seminario non valida in quanto contraria alle norme del Codice di Diritto Canonico (che, al canone 493 stabilisce che solo il Papa abbia la competenza ed il potere di togliere ad un Istituto religioso il diritto di esistere e che nessun Vescovo possa arrogarsi tale diritto) e, dunque, l’atto di Monsignor Mamie senza alcun valore, tanto che il 31 maggio 1975 scrisse a Papa Paolo VI chiedendo di essere giudicato dalla Sacra Congregazione per la Dottrina delle Fede, senza ottenere risposta. Allora, il 5 giugno, fece ricorso contro la decisione del 6 maggio, ma tale ricorso venne respinto il 10 giugno e anche un successivo appello venne rifiutato dietro proibizione del Cardinal Villot, allora Segretario di Stato.
Coerentemente con l’idea che l’idea che la soppressione della Fraternità fosse canonicamente nulla, Lefebvre non poteva accogliere l’obbedienza di astensione dall’Ordinazione sacerdotale e, il 29 giugno 1976, ordinò dodici nuovi membri della F.S.S.P.X: ventitre giorni dopo, come previsto dagli Statuti ecclesastici, ricevette la “sospensione a divinis” che, naturalmente, non accettò.
La rottura diviene completa quando, il 29 agosto 1976, a Lille, di fronte a 10.000 fedeli, il Vescovo “disobbediente” celebrò una Messa solenne che ottenne, grazie ai 400 giornalisti presenti, una risonanza enorme e, in quell’occasione, pronunciò parole durissime contro la Santa Sede: “Siamo sospesi a divinis dalla Chiesa Conciliare e per la Chiesa Conciliare, alla quale non desideriamo appartenere. Quella Chiesa Conciliare è una Chiesa scismatica, perché rompe con la Chiesa Cattolica che è sempre stata. Ha i suoi nuovi dogmi, il suo nuovo sacerdozio, le sue nuove istituzioni, il suo nuovo culto, tutti già condannati dalla Chiesa in molti documenti, ufficiali e definitivi. [...] La Chiesa che afferma tali errori è ad un tempo scismatica ed eretica. Questa Chiesa Conciliare è, pertanto, non cattolica. Nella misura in cui Papa, vescovi, preti, o fedeli aderiscono a questa nuova Chiesa, essi si separano dalla Chiesa Cattolica.”
Al di là dei proclami levebriani, comunque, il problema restava, oltre che teologico, logistico: Lefebvre continuava ad ordinare Sacerdoti in forma tecnicamente valida anche se non legittima ma tali Sacerdoti avrebbero poi dovuto essere incardinati nelle diverse Diocesi che, però, erano impossibilitate ad incardinare Presbiteri di un Seminario non riconosciuto dalla Santa Sede come quello di Ecône. Forse anche per dirimere quella che era diventata una questione di “empasse” anche pratica, il Vaticano (a cui, in sostanza, pur nella non accettazione dello “status” corrente, il Vescovo Lefebvre non aveva paradossalmente mai cessato di sentirsi legato, essendo, in realtà, l’intera sua protesta incentrata sulla difesa di una Traditio Fidei pontificia vissuta come lesa dal sistema conciliare) cercò sempre di aprire un dialogo con la Fraternità dissidente, già a partire da quel 1976 quando, l’11 settembre, Papa Paolo VI incontrò Lefebvre a Castel Gandolfo, proponendogli una ritrattazione a cui il Vescovo rifiuto di sottomettersi per motivi di coscienza.
Con l’ascesa al Sacro Soglio di un Cardinale come
Wojtyla (Papa Giovanni Paolo II), notoriamente più vicino alle istanze conservatrici dei suoi predecessori, le speranze di una ricomposizione tra le parti parvero riaccendersi e anche i toni della San Pio X, nonostante un incontro infruttuoso con il neo-eletto Papa il 18 novembre 1978, si fecero più morbidi, come possiamo notare da una
lettera di Lefebvre al Sommo Pontefice del 1980 in cui egli scriveva: “Santo Padre,[...] Per porre fine ad alcuni dubbi che circolano ora in Roma e in certi ambienti tradizionalisti in Europa e in America concernenti il mio atteggiamento e pensiero riguardo al Papa, al Concilio, e alla Messa del Novus Ordo, e temendo che questi dubbi raggiungano anche Vostra Santità, mi sia permesso di stabilire di nuovo ciò che ho sempre espresso [...] Che concordo pienamente col giudizio di Vostra Santità sul Concilio Vaticano Secondo espresso il 6 novembre 1978, alla riunione del Sacro Collegio. Che il Concilio deve essere compreso alla luce di tutta la Santa Tradizione e sulla base del costante Magistero della Santa Chiesa.[...] Riguardo alla Messa del Novus Ordo, nonostante tutte le riserve che si debbono avere su di essa, non ho mai detto che sia per se stessa invalida o eretica...”
Due elementi, però, sembravano decisamente ostare alla riapertura di un dialogo fruttuoso tra Vaticano e “moviemento disobbediente”.
Il primo elemento, da parte papale, era il sempre più deciso indirizzamento verso una politica di dialogo con le altre Religioni, tale per cui Giovanni Paolo II nel 1983 arrivò a predicare in una Cattedrale luterana e, in seguito, partecipò a Riti che la San Pio X ritenne “pagani” durante i viaggi apostolici in Togo e in India.
Il secondo elemento riguardava, invece, la Fraternità, il cui messaggio tradizionalista stava diffondendosi con sempre maggior forza. Il 29 giugno 1983 Monsignor Lefebvre lasciò l’incarico di Superiore della Fraternità a Don Franz Schmidberger, precedentemente eletto suo Vicario generale dal capitolo del 1982 e, pur rimanendo a tutti gli effetti l'indiscusso capo carismatico della San Pio X, si dedicò con particolare impegno all’opera di “ri-evangelizzazione” della Chiesa.
Quello stesso anno, il Presule brasiliano Antônio de Castro Mayer, già dai tempi del Vaticano II vicinissimo alle posizioni lefebvriane nell’Ordo Internationalis Patrum, dopo essersi dimesso nel 1981 dal suo incarico di Vescovo di Campos, nella cui funzione si era sempre rifiutato di accogliere il “Novus Ordo Missae”, ma pur mantenendo la carica di Ordinario Diocesano, istituì l'“Unione Sacerdotale San Giovanni Maria Vianney” per consentire la formazione tradizionale dei suoi 400.000 fedeli: il 21 novembre 1983 Lefebvre e de Castro Mayer scrissero al Papa una lettera aperta denunciando la condizione di avvilimento della “vera Chiesa” di fronte all’ecumenismo imperante, ma non ottennero risposta. Gli stessi argomenti espressi nella lettera andarono a formare la spina dorsale di un testo di Lefebvre del marzo 1985, Lettera Aperta ai Cattolici Perplessi, che risultò un notevole successo editoriale. Ancora nel 1985 (31 agosto), Monsignor Lefebvre e Monsignor de Castro Mayer mandarono al Papa una nuova e solenne messa in guardia e il 6 novembre successivo una lista di "Dubbi" fu rimessa alla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede ma non si ebbe alcuna risposta da parte della Santa Sede, così come nessuna risposta ottenne una nuova dichiarazione congiunta dei due Prelati del 2 dicembre 1986.
Infine, nel giugno 1987, Lefebvre pubbicò un nuovo libro, dai toni molto più duri verso il Vaticano già a partire dal titolo, Ils l’Ont Découronné, in cui, tra l’altro, si difende l’ortodossia di uno stato cattolico confessionale, e la stessa durezza di toni emerse anche in una “Lettera ai futuri Vescovi” del 23 agosto dello stesso anno in cui si legge: “La Sede di Pietro e i posti di autorità in Roma essendo occupati da anticristi, la distruzione del Regno di Nostro Signore viene condotta rapidamente anche dentro il Suo Corpo Mistico quaggiù, specialmente attraverso la corruzione della Santa Messa che è sia la splendida espressione del trionfo di Nostro Signore sulla Croce — Regnavit a Ligno Deus — sia la sorgente dell’estensione del Suo regno sulle anime e sulle società”.