Papa-aids

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LiviaGloria
00sabato 16 maggio 2009 10:08
www.missionline.org/index.php?l=it&art=1085


23/03/2009
«Il mondo volga lo sguardo all'Africa»

Benedetto XVI sta compiendo il suo undicesimo viaggio apostolico internazionale che lo ha portato per la prima volta in Africa. Il Camerun e l'Angola sono le due tappe della visita. Clicca qui per leggere dal sito della Santa Sede il programma di ciascuna delle giornate.

L'APPELLO: IL MONDO VOLGA LO SGUARDO ALL'AFRICA

La Messa celebrata domenica mattina a Luanda è stato un altro dei momenti forti del viaggio di Benedetto XVI in Africa. Pur turbata dalla morte di due giovani donne schiacciate nella calca, è stata una mattinata densa di contenuti. L'omelia della celebrazione è stata una riflessione articolata sul tema della riconciliazione, a partire dalla travagliata storia recente dell'Angola. Clicca qui per leggere il testo integrale.

Ma all'Angelus il Papa ha anche voluto con queste parole chiamare tutto il mondo a una rinnovata attenzione per l'Africa:

«La nostra preghiera sale oggi dall’Angola, dall’Africa, ed abbraccia il mondo intero. A loro volta gli uomini e le donne di ogni parte del mondo che si uniscono alla nostra preghiera, volgano i loro occhi all’Africa, a questo grande Continente così colmo di speranza, ma ancora così assetato di giustizia, di pace, di un sano e integrale sviluppo che possa assicurare al suo popolo un futuro di progresso e di pace».

A questo link al sito della Santa Sede è infine possibile leggere il testo integrale del discorso pronunciato domenica pomeriggio da Benedetto XVI sul tema della promozione della donna in Africa.

IL PAPA: IL VENTUNESIMO SIA IL SECOLO DELLA TEOLOGIA AFRICANA

Le cronache di questo viaggio del Papa in Africa continuano a essere schiacciate solo sulle questioni sociali (per gli aggiornamenti sul tema aids vedi sotto). Rischiano invece di sfuggire i veri elementi di novità. Ad esempio il passaggio che riportiamo qui sotto, tratto dal discorso tenuto in Camerun alla segreteria del Sinodo per l'Africa. Benedetto XVI ha incoraggiato la crescita di una teologia africana del XXI secolo.

«Ci troviamo attualmente in un momento storico che coincide, dal punto di vista civile, con l’indipendenza ritrovata e, dal punto di vista ecclesiale, con l’evento del Concilio Vaticano II. La Chiesa in Africa ha preparato e accompagnato durante questo periodo la costruzione delle nuove identità nazionali e, parallelamente, ha cercato di tradurre l’identità di Cristo secondo vie proprie. Mentre la Gerarchia si era a poco a poco africanizzata, a partire dall’ordinazione da parte del Papa Pio XII di Vescovi del vostro continente, la riflessione teologica cominciò a svilupparsi. Sarebbe bene che i vostri teologi continuassero oggi ad esplorare la profondità del mistero trinitario e il suo significato per la vita quotidiana africana. Questo secolo permetterà forse, con la grazia di Dio, la rinascita, nel vostro continente, ma certamente sotto una forma diversa e nuova, della prestigiosa Scuola di Alessandria. Perché non sperare che essa possa fornire agli Africani di oggi e alla Chiesa universale grandi teologi e maestri spirituali che potrebbero contribuire alla santificazione degli abitanti di questo continente e della Chiesa intera? La Prima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi ha permesso di indicare le direzioni da prendere e ha messo in evidenza, tra l’altro, la necessità di approfondire e di incarnare il mistero di una Chiesa-Famiglia».

Il Papa ha anche indicato un ambito molto concreto alla riflessione dei teologi africani: quello della riconciliazione di fornte al problema dei conflitti tra le etnie. Ha citato le parole del cardinale Bernardin gantin, che parlava di una «teologia della fraternità».

«Constatando lo sviluppo della violenza e l’emergere dell’egoismo in Africa, il Cardinale Bernardin Gantin, di venerata memoria, faceva appello, fin dal 1988, a una Teologia della Fraternità, come risposta al richiamo pressante dei poveri e dei più piccoli (cfr L’Osservatore Romano, ed. francese, 12 aprile 1988, pp. 4-5). Gli tornava forse alla memoria ciò che scriveva l’africano Lattanzio all’alba del IV secolo: "Il primo dovere della giustizia è riconoscere l’uomo come un fratello. Infatti, se lo stesso Dio ci ha fatti e ci ha generati tutti nella stessa condizione, in vista della giustizia e della vita eterna, noi siamo sicuramente uniti da legami di fraternità: chi non li riconosce è ingiusto" (Epitomé des Intitutions Divines, 54, 4-5: SC 335, p. 210). La Chiesa-Famiglia di Dio che è in Africa, già dalla Prima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi ha realizzato un’opzione preferenziale per i poveri. Essa manifesta così che la situazione di disumanizzazione e di oppressione che affligge i popoli africani non è irreversibile; al contrario, essa pone ciascuno di fronte ad una sfida, quella della conversione, della santità e dell’integrità».

IL DISCORSO A YAOUNDE': AFRICA, CONTINENTE DELLA SPERANZA

il Papa ha anche tenuto un'omelia molto forte nella Messa durante la quale a Yaoundé ha consegnato ufficialmente ai vescovi del Continente l'Instrumentum Laboris per il Sinodo di ottobre. Benedetto XVI ha parlato degli effetti in Africa della crisi della famiglia:

«I rapporti tra le generazioni si sono modificati in una maniera tale da non favorire più come prima la trasmissione della conoscenze antiche e della saggezza ereditata dagli antenati. Troppo spesso si assiste ad un esodo rurale paragonabile a quello che numerosi altri periodi umani hanno conosciuto. La qualità dei legami familiari ne risulta profondamente intaccata. Sradicati e resi più fragili, i membri delle giovani generazioni, spesso –ahimè! - senza un vero lavoro, cercano rimedi al loro male di vivere rifugiandosi in paradisi effimeri e artificiali importati di cui si sa che non arrivano mai ad assicurare all’uomo una felicità profonda e duratura. A volte anche l’uomo africano è costretto a fuggire fuori da se stesso, e ad abbandonare tutto ciò che costituiva la sua ricchezza interiore. Messo a confronto col fenomeno di una urbanizzazione galoppante, egli abbandona la sua terra, fisicamente e moralmente, non come Abramo per rispondere alla chiamata del Signore, ma per una sorta di esilio interiore che lo allontana dal suo stesso essere, dai suoi fratelli e sorelle di sangue e da Dio stesso».

In questo quadro il Papa ha invitato la Chiesa africana ad essere segno di speranza: «L’Africa è chiamata alla speranza attraverso voi e in voi! Col Cristo Gesù, che ha calpestato il suolo africano, l’Africa può diventare il continente della speranza».

Clicca qui per leggere il testo integrale del discorso di Benedetto XVI.



POLEMICHE AIDS: IL LAICO «TELEGRAPH» E L'ESPERTO DI HARVARD DANNO RAGIONE AL PAPA

È proprio vero che tutta l'Europa si straccia le vesti per le parole di Benedetto XVI sull'aids? Uno dei più prestigiosi quotidiani del Continente, il britannico Daily Telegraph, scrive che sul tema dei preservativi il Papa ha ragione. «Certo - si legge nell'articolo - l'aids pone il tema della fragilità umana e da questo punto di vista tutti dobbiamo interrogarci su come alleviare le sofferenze. Ma il Papa è chiamato a parlare della verità dell'uomo. È il suo mestiere: guai se non lo facesse». Clicca qui per leggere il testo integrale dell'articolo in inglese.

Una posizione analoga è stata espressa anche da Edward Green, il direttore dell'Aids Prevention Research Project della prestigiosa Università di Harvard, negli Stati Uniti. Clicca qui per leggere l'articolo.

L'altro aspetto sconcertante di tutta questa vicenda è che nessuno parli di quanto - preservativo o non preservativo - la Chiesa in Africa sta facendo per le vittime dell'Aids. In termini di assistenza ai malati ma anche in termini di promozione culturale su questi temi. Su questo tema può essere interessante rileggere questo articolo pubblicato su Mondo e Missione nel dicembre scorso.



IL PAPA IN CAMERUN: CHE COSA HA DETTO SULL'AIDS

In questo inizio del viaggio di Benedetto XVI in Camerun l'attenzione dei media si è subito concentrata sul tema dell'aids, a partire da una domanda a cui il Papa ha risposto durante il viaggio sull'aereo.

Al di là degli slogan, questo il testo della domanda e la risposta integrale del Papa:

Domanda del giornalista

Santità, tra i molti mali che travagliano l’Africa, vi è anche e in particolare quello della diffusione dell’Aids. La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso viene spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema, durante il viaggio?

Risposta del Papa

Io direi il contrario: penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio che fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta contro l’Aids, ai Camilliani, a tutte le Suore che sono a disposizione dei malati … Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con slogan pubblicitari. Se non c’è l’anima, se gli africani non si aiutano, non si può risolvere il flagello con la distribuzione di profilattici: al contrario, il rischio è di aumentare il problema. La soluzione può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano visibili progressi. Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l’uomo interiormente, di dare forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell’altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo ed importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno.



Mercoledì Benedetto XVI aveva rivolto anche un lungo e articolato discros ai vescovi del Camerun in cui ha affrontato i temi della famiglia, dell'evangelizzazione, dei rapporti con le Chiese indipendenti africane, delle conseguenze della globalizzazione. Clicca qui per leggere sul sito della Santa Sede il testo integrale.

GLI APPROFONDIMENTI DI MONDO E MISSIONE

Al viaggio di Benedetto XVI in Africa è dedicata la sezione orizzonti del numero di marzo 2009 di Mondo e Missione.

Le sfide della Chiesa africana. «Povertà, ingiustizia sociale, rispetto dei diritti dei cittadini, marginalizzazione, buona governance...» sono alcune delle problematiche che affliggono il Camerun, insieme alla «corruzione dilagante, la sottrazione di fondi pubblici, il tribalismo e il nepotismo», che riguardano soprattutto la classe politica locale. Sylvestre Ndoumou, caporedattore dell'Effort Camerounais, il giornale della Conferenza episcopale del Camerun, sta vivendo in prima persona queste giornate di grande fermento per l'arrivo di Benedetto XVI a Yaoundé.E per Missionline commenta le sfide aperte all'interno della società e della Chiesa del suo Paese.

La Chiesa, sottolinea Ndoumu, è chiamata oggi a riflettere e a far riflettere «sulle ragioni che possono spiegare la persistenza della miseria in un Paese dotato di tante risorse umane ed energetiche» come il Camerun. E deve cercare i mezzi e le vie per «combattere ancor di più la sofferenza del popolo camerunese, la disumanizzazione e le tensioni etniche che sono presenti nella società».

Per questo, secondo Ndoumou, i cattolici camerunesi si aspettano dal Papa uno stimolo per affrontare «l'autentica sfida di un'evangelizzazione più in profondità che dovrà necessariamente essere messa in atto in questo Paese». Una responsabilità che riguarda tutti, clero e laici, in uno sforzo congiunto per «operare un nuovo slancio missionario che possa trasformare tutta la società». Per leggere il testo integrale del commento di Ndoumu (in francese) clicca qui

«L'Africa che aspetta Bendetto XVI» è il titolo di questa intervista a Pierre Titi Nwel, laico camerunese e coordinatore del servizio Giustizia e pace della Conferenza episcopale del Camerun. L'articolo è di padre Marco Pagani, missionario del Pime a Yaoundé, che per Mondo e Missione segue quest'anno con una rubrica il cammino di avvicinamento al Sinodo di ottobre.

Padre Marco Pagani giovedì 19 alle 10 sarà ospite della diretta Rai da Yaoundé per la Santa Messa di Benedetto XVI in occasione della pubblicazione dell'Instrumentum Laboris della II Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi.

Dall'Angola, invece, Mondo e Missione rilancia la storia di Domingos das Neves, un giovane che nel 2000 a Tor Vergata raccontò davanti ai giovani della Gmg la strage subita dalla sua famiglia. E ora sogna un Centro per la «cultura dei diritti». Clicca qui per leggere l'articolo.

LiviaGloria
00martedì 2 giugno 2009 12:58
www.kattoliko.it/leggendanera/modules.php?name=News&file=article...


Aids, l'Onu si arrende alla Chiesa
di Riccardo Cascioli

Il fallimento della “politica del preservativo” spinge le agenzie internazionali a guardare ai successi delle organizzazioni cattoliche, basati sulla presenza e sull’educazione. Il caso dell’Uganda.

[Da «il Timone» n. 35 - anno VI - Luglio/Agosto 2004]

«La Chiesa cattolica e la Caritas sono risorse chiave a livello dei singoli Paesi. Quindi per favore contattate e cercate una collaborazione attiva con loro attraverso le Conferenze episcopali cattoliche e gli uffici nazionali della Caritas, e facilitate il loro inserimento negli appropriati progetti di cooperazione nel Paese». Questo ordine è stato impartito ai coordinaton nazionali dell’UNAIDS (l’agenzia dell’Onu che si occupa di lotta all’Aids) da parte del Direttore del Country & Regional Support Department, Michel Sidibe. La data del memorandum è il 31 marzo 2004 e rappresenta una svolta nell’atteggiamento dell’agenzia dell’Onu.

Finora, infatti, da UNAIDS e da altre agenzie internazionali erano venute solo velenose polemiche contro la Chiesa cattolica, accusata essenzialmente di ostacolare l’uso dei preservativi come forma di prevenzione dell’Aids. Addirittura quando nell’autunno scorso ii cardinale Alfonso Lopez Trujillo, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, affermò alla BBC che il preservativo è permeabile al virus Hiv chiedendo che ciò venisse scritto su tutte le confezioni di profilattici (come si usa per le sigarette), fu oggetto di un linciaggio mediatico senza precedenti.

UNAIDS ora invece riconosce in questa lettera che «la Chiesa cattolica è responsabile del 26% di tutti i servizi sanitari nel mondo» e che in 38 Paesi in via di Sviluppo (che vengono tutti elencati nel memorandum) ha in corso importanti programmi per la prevenzione e cura dell’Aids. Non si fa ancora marcia indietro sul preservativo, ma indirettamente si riconosce che questa forma di prevenzione — l’unica sostenuta a livello di agenzie internazionali — non dà i risultati previsti. In realtà, alcuni ricercatori si spingono più in là. Edward Green, scienziato di forrnazione liberale dell’Harvard’s Center for Population and Development Studies, nel 2002 affermava in uno studio che «dopo 20 anni di pandemia non c’è al cuna evidenza che piü preservativi portino a meno Aids». E nel 2003 lo stesso Green ha pubblicato un libro dal titolo significativo - Rethinking AIDS Prevention (Ripensare la prevenzione dell’Aids), Greenwood Press — in cui, partendo dall’esperienza sul campo e dai dati raccolti, sostiene che l’unico approccio che risulta efficace nella prevenzione deIl’Aids è quello basato sull’educazione all’astinenza e alla fedeltà coniugale. Insomma, ciò che la Chiesa cattolica ha sempre fatto e che anche l’arnministrazione Bush sta ora cercando di fare sostenendo le organizzazioni religiose che operano nei Paesi in via di Sviluppo. Per inciso, vale la pena ricordare che ii 24 maggio scorso proprio a Edward Green è stato assegnato l’importante Premio Philly Bongole Lutaaya per il suo lavoro sull’Aids in Africa.

Il caso che meglio spiega queste posizioni é quello dell’Uganda, l’unico Paese dove ci sia stata una reale diminuzione nel tasso di infezioni da HIV: secondo i dati offerti da uno studio di USAID (l’agenzia per lo sviluppo internazionale che fa capo al governo americano) c’è stata una riduzione del 75% nel gruppo di età tra i 15 e i 19 anni, del 60% tra i 20 e i 24 e del 54% nel suo complesso. E questo perché è stato ridotto del 65% ii sesso con partner casuali, grazie all’azione del governo che ha puntato soprattutto sull’educazione all’astinenza e alla fedeltà coniugale, nconoscendo al contempo il lavoro di chi già sul campo lavorava in questa direzione. Al contrario, l’arcivescovo di Nairobi, Raphael Ndingi Nzeki, ha denunciato che negli altri Paesi «l’Aids è cresciuto cosìI rapidamente a causa della disponibilità dei preservativi». Non sembn un’affermazione provocatoria: il 29 gennaio 2000 la rivista scientifica The Lancet, a proposito dell’incentivo alI’uso dei profilattici, avvertiva del pericolo di "una falsa percezione di protezione" che "induce ad aumentare i comportamenti a rischio".

E lecito a questo punto porsi una domanda: come è accaduto che la Chiesa avesse ragione mentre a livello internazionale c’e stato un abbaglio collettivo? Sostanzialmente perché mentre le agenzie Onu si sono sempre mosse sulla base di schemi ideologici, la Chiesa è presenza, la Chiesa vive il metodo della condivisione. Giuliano Rizzardini, primario di malattie infettive all’ospedale di Busto Arsizio ma con una lunga esperienza in Africa nella lotta all’Aids e consulente della Santa Sede, spiega che «la presenza permette di cogliere i reali bisogni, di creare un contesto educativo che solo permette a prevenzione e terapie di essere efficaci, di inventare modalità di intervento, di essere credibili e autorevoli nel suggerire soluzioni». Non sono parole, é un fatto, corroborato da alcuni dati: le organizzazioni cattoliche che in tutto il mondo lavorano a vario titolo per la salute sonc 110.954 e gestiscono 6.038 ospedali, 17.189 dispensari, 799 lebbrosari, 13.238 case di cura per anziani e cronici, 64.979 centri di riabilitazione, counselling, assistenza pediatnca. E nell’Uganda diventata esempio per il resto del mondo in fatto di lotta all’Aids la sanità gestita dalla Chiesa cattolica — secondo le cifre fornite dal Journal of Medicine and the Person — conta 27 ospedali (un quarto del totale) 220 unità sanitarie di primo livello e le scuole infermieri, mantenendo “un ruolo decisivo neIl’erogazione sia dei servizi di base che di alta specializzazione traman dando un prezioso ethos professionale una cultura di servizio”.

Una seconda questione importante è nella specificità di questa presenza della Chiesa: essa, infatti, nell’offrire un servizio, punta all’eclucazione della persona. I governi occidentali e le agenzie internazionali pensano che basti rendere disponibili le medicine per avere terapie di successo, e invece questo non basta. Ancora l’esperienza del dottor Rizzardini: «Le terapie hanno successo soltanto se sono inserite in un contesto educativo». Vale a dire che l’astinenza e la fedeltà coniugale, ad esempio, non sono imposizioni di morale o di igiene, ma — come nel caso dell’Uganda — sono inserite nella prospettiva di un’educazione aIl’affettività, alla responsabilità personale e al rispetto verso gli altri.
Non dobbiamo pensare che le agenzie Onu abbiano già imparato la lezione, ma la svolta dell’UNAIDS indica almeno che un primo passo nella giusta direzione è stato fatto.

Ricorda

“La vera educazione deve promuovere la formazlone della persona umana sia in vista del suo fine ultimo sia per il bene delle varie socletà, di cuii l’uomo è membro ed in cui, divenuto adulto, avrà misslonl da svolgere”. (Gravissimum Educatlonis, Dichiarazione conciliare sulI’educazione cristiana, 28 ottobre 1965, n. 1°).

Bibliografia

Angelo Scola, La Buona Salute e i luoghi della cura, Cantagalli 2002.
Gina Bramucci, Avsi e HIV/AIDS, pamphlet ordinabile solo via Internet scrlvendo a milano@avsi.org

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