Pentecostali

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LiviaGloria
00lunedì 27 marzo 2006 01:03
Un vulcano in eruzione
Viaggio in un fenomeno dai mille volti
Da alcuni decenni la diffusione delle sètte si è fatta sempre più evidente in America Latina. Clamoroso "boom" dei pentecostali. Schegge impazzite o segni da interpretare? Oggi, dopo anatemi e incomprenzioni, è tempo di svolta
(di Gerolamo Fazzini)

«Un vulcano in eruzione». Più che un titolo, era un allarme quello lanciato da un libro, dedicato al problema delle sètte in America Latina, uscito esattamente vent’anni fa, nel 1985. L’autore, don Pietro Canova - uno dei primi sacerdoti torinesi in partenza per lLatina, «dirottato» all’allora Ceial di Verona (oggi Cum) per la preparazione dei confratelli preti - non poteva trovare un’immagine più efficace. Quando oggi si parla del pullulare di nuove presenze religiose in America Latina, non dobbiamo dimenticare che il «vulcano» sta eruttando lava da decenni. Ma in quel magma, difficile da discernere, c’è una componente particolarmente viva, «calda» e dinamica nel suo sviluppo quantitativo e geografico: il pentecostalismo (meglio: il neo-pentecostalismo).

I neopentecostali e i carismatici fanno la parte del leone in quelle «Chiese indipendenti» che, secondo la World Christian Encyclopedia curata da David B. Barret, autorità mondiale in materia di statistica religiosa, rappresentano oggi un quinto dei due miliardi di cristiani di tutto il mondo.

Una vivacità che viene da lontano. Secondo le fonti del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), il tasso di crescita del movimento pentecostale nel decennio 1960-70 aveva già toccato il 101 per cento. Chiosa Canova (siamo – ricordo – nel 1985): «I Paesi ove i pentecostali costituiscono già una percentuale notevole della popolazione sono il Cile (14 per cento), il Messico e il Brasile. Quivi i centri di culto erano appena 2 all’inizio del secolo, 267 nel 1930 e 11.118 nel 1970. Secondo i dati forniti dalla Conferenza dei vescovi cattolici brasiliani (Cnbb - ndr) oggi sarebbero 13 milioni, metà dei quali apparterrebbe alle “Assemblee di Dio”».

Il problema delle sètte e della loro minacciosa esplosione fu al centro della riunione interamericana dei vescovi tenutasi a Bogotá nel 1984. In quell’occasione monsignor Boaventura Kloppenburg, invitato in qualità di esperto, se ne uscì con un’affermazione esplosiva: l’emigrazione di imponenti masse di cattolici ai movimenti settari del continente supera, dal punto di vista quantitativo, il fenomeno del passaggio dei cattolici al protestantesimo nell’Europa centrale lungo tutto l’arco del secolo Sedicesimo.

Un fenomeno epocale, insomma.

La straordinaria espansione pentecostale ha fatto scrivere a Philippe Jenkins, in La terza Chiesa. Il cristianesimo nel XXI secolo, un recente volume che sta facendo molto discutere: «Oggi fascisti e nazisti non sono facili da trovare; i comunisti potrebbero costituire una specie a rischio d’estinzione, mentre i pentecostali si stanno diffondendo in tutto il mondo. Dato che nel 1900 i pentecostali erano solo un’esigua minoranza e oggi sono alcune centinaia di milioni non è ragionevole riconoscere che forse si tratta del movimento sociale di maggiore successo del secolo passato?». E aggiunge: «In base alle proiezioni attuali, prima del 2050 il numero dei credenti pentecostali dovrebbe superare il miliardo. (…) A quel punto il numero dei pentecostali sarà più o meno pari a quello degli induisti, e doppio rispetto a quello dei buddhisti».

Se la Chiesa cattolica non è indifferente alla proliferazione neo-pentecostale (non dimentichiamo che esiste un movimento carismatico cattolico in qualche modo parallelo), in seno al mondo protestante il dibattito sui nuovi scenari che si aprono è acceso. Lo testimoniano, ad esempio, due lunghi articoli di George Reyes, pastore e biblista ecuadoregno, usciti recentemente su Signos de Vida, trimestrale delle Chiese protestanti latinoamericane aderenti al Consejo Latinoamericano de Iglesias (Clai).

Reyes parla apertamente di «sfida ermeneutica» che la proposta neopentecostale pone alle Chiese tradizionali: in altre parole, il punto sta - oltre che nel comprendere le motivazioni della crescita quantitativa del movimento - nel decifrare le basi teologiche su cui si muove tale proposta.

Quali, allora, le ragioni di tale sorprendente diffusione? Paolo Naso, uno dei nomi più significativi del mondo evangelico italiano (su Rai 2 cura da anni la celebre trasmissione Protestantesimo ed è direttore del mensile Confronti) in un recente saggio su Limes, ne ha individuate essenzialmente tre: la portabilità, la trasmissibilità e l’accessibilità. «L’evangelizzazione pentecostale non richiede grandi strutture; la predicazione può iniziare in garage riadattati o nei capannoni smessi delle grandi periferie industriali». In secondo luogo - annota Naso - il pentecostalismo si avvale di un apparato dogmatico leggero e immediatamente comprensibile, nessuna mediazione sacerdotale o istituzionale: semplicemente l’adesione dell’individuo a una nuova visione della vita illuminata dall’amore di Dio». Il terzo fattore-chiave, l’accessibilità, Paolo Naso lo illustra così: «Chi entra in una chiesa cattolica e non conosce la liturgia eucaristica finisce per imbarazzarsi o sentirsi a disagio; lo stesso accade a chi entra in un tempio presbiteriano o luterano e non ha pratica con l’innario o con il testo biblico. Non è così quando si entra in una chiesa pentecostale dove vige l’informalità, dove il rigore liturgico fa spazio al soffio dello Spirito e l’individuo si sente prontamente accolto in una comunità emotivamente coesa».

Si aggiunga il fatto che il pentecostalismo, proprio in virtù della sua semplicità riesce a farsi strada in molti contesti socialmente degradati o di povertà. Secondo alcuni studiosi i movimenti religiosi di questo tipo avrebbero particolarmente successo presso le minoranze. A dispetto di quanti leggono la penetrazione protestante come un’emanazione di un disegno politico nordamericano, c’è chi sostiene che i nuovi movimenti religiosi - e tra essi i pentecostali - hanno avuto la funzione storica di dare agli indios latinoamericani il sentimento dell’identità perduta. «La Chiesa cattolica - scrive il controverso sociologo argentino Juan José Sebreli nel libro El asedio a la modernidad - era troppo identificata con la Conquista e con il potere dei bianchi». Di qui, a suo dire, il successo dei protestanti: «Tra essi - continua Sebreli - predomina la setta dei pentecostali che costituisce il 90 per cento dei protestanti dell’America Latina e ha messo radici in molte tribù indigene in Cile, in Brasile e in Argentina. Esistono nella setta pentecostale, la più irrazionale e delirante di tutte, elementi che armonizzano bene con le religioni tradizionali indigene, per esempio, il ruolo fondamentale della danza, il canto e anche il grido nelle cerimonie. La guarigione magica e la possessione da parte degli spiriti dei pentecostali risultarono una vivificazione dello sciamanesimo già troppo screditato».

Ora, è evidente che l’analisi dei fattori di radicamento dei nuovi movimenti religiosi non può prescindere dal contesto storico e politico attraversato dall’America Latina negli ultimi decenni. La denuncia che, per anni, è stata fatta circa un appoggio economico e un sostegno politico da parte degli Stati Uniti alle sètte protestanti più aggressive, funzionali a un dominio politico dei Paesi del continente è riecheggiata recentemente sulle labbra di Josef Ratzinger.

Quand’era ancora cardinale, in un discorso al Senato italiano il 13 maggio 2004, il futuro Papa non ha usato giri di parole: «Gli Stati Uniti promuovono ampiamente la protestantizzazione dell’America Latina e quindi il dissolvimento della Chiesa cattolica ad opera di forme di chiese libere, per la convinzione che la Chiesa cattolica non potrebbe garantire un sistema politico ed economico stabile, e dunque fallirebbe come educatrice delle nazioni, mentre ci si aspetta che il modello delle chiese libere renderà possibile un consenso morale e una formazione democratica della volontà pubblica, simili a quelli caratteristici degli Stati Uniti».

Dal canto suo, don Canova dedica ben tre capitoli del suo dossier sul vulcano-sètte per spiegare «le allegre connivenze di alcune sètte con i regimi militari in America Latina» oppure «gli appoggi e finanziamenti politici Usa alle “transnazionali religiose” e alle “Chiese elettroniche” dell’America Latina».

Le letture del successo pentecostale (e, di conseguenza, le spiegazioni sulla «speculare» crisi della Chiesa cattolica) sono più d’una e talora divergono in modo sostanziale. Una corrente di pensiero spiega la virata «spiritualista» e il conseguenze aumento dei pentecostali a danno dei cattolici come una ribellione all’eccesso di politicizzazione della Chiesa cattolica sotto l’influsso di certe correnti della teologia della liberazione. Sandro Magister, vaticanista e osservatore acuto, ancorché spesso ingeneroso, su www.chiesa.espressonline.it ha scritto: «I pentecostali protestanti erano nel 1940 appena un milione in tutta l’America Latina. Oggi sono 50 milioni e circa la metà sono in Brasile, un quinto della popolazione. Qui la Chiesa cattolica non ha resistito alla sfida. Le “comunità ecclesiali di base”, su cui la gerarchia aveva inizialmente puntato, hanno ristretto invece che allargato la platea dei fedeli. La teologia della liberazione, di matrice centroeuropea, ha ispirato un’élite ancor più ristretta e autoreferenziale, agli antipodi delle correnti evangelical in strepitosa espansione tra i ceti popolari». A suo dire «oggi nella gerarchia cattolica vi sono segni di ripensamento: è significativo il percorso dell’attuale arcivescovo di San Paolo del Brasile, il cardinale Cláudio Hummes, partito da posizioni socialprogressiste e ora vicino al movimento carismatico, versione cattolica del pentecostalismo».

Un dato indiscutibile è che le nuove forme di appartenenza religiosa - in particolare i neo-pentecostali - interpellano da vicino sia le Chiese protestanti (in quanto «madri»), sia la Chiesa cattolica, interessata - come le sorelle protestanti - a proseguire sulla via del dialogo ecumenico. Ebbene: i neopentecostali sconvolgono anche gli assetti ecumenici classici. Lo denuncia lucidamente, nel saggio citato, lo stesso Naso: oggi si verifica una situazione paradossale, laddove la Chiesa cattolica dialoga con le Chiese istituzionali che, in prospettiva, sono destinate a perdere sempre più peso a vantaggio dei pentecostali, con i quali, però, i rapporti ecumenici sono tutti da costruire.

Una buona notizia in questo senso viene da Atene: per la prima volta, all’incontro promosso dal Consiglio ecumenico delle Chiese erano presenti rappresentanze di neopentecostali ed evangelical (M.M., aprile 2004, p. 24). Inoltre (come dimostra l’intervista a Manuel Quintero, a p. 52) gli stessi protestanti si dimostrano solleciti nel voler coinvolgere - per quanto possibile - negli organismi ecumenici ufficiali quelle che fino a qualche tempo fa venivano guardate come qualcosa di simile a schegge impazzite. Una prospettiva promettente, per quanto embrionale.


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