Primato di Pietro

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LiviaGloria
00martedì 6 luglio 2010 21:05
Margherita GUARDUCCI
Le prove indiscutibili. San Pietro in Vaticano
tratto da: in 30 Giorni, agosto/settembre 1991, p. 66-69.

Le ossa di San Pietro Vaticano
Dopo quasi 40 anni di studi, Margherita Guarducci traccia un bilancio delle sue scoperte
Ecco le prove che dicono: «Pietro è qui»


Da molti secoli la Chiesa cattolica proclama l'esistenza della tomba di Pietro in Vaticano e considera questa tomba come suo fondamento e come garanzia del suo primato. Si capisce allora come la presenza di questa tomba sia ben presto divenuta oggetto di contraddizione per gli avversari della Chiesa di Roma. Alcuni anzi, per tagliare l'ostacolo alla radice, hanno addirittura negato che Pietro abbia mai messo piede nell'Urbe. Quest'ultima radicale opinione è andata via via perdendo terreno, ma restano ancora taluni che mettono in forse la reale presenza della tomba di Pietro in Vaticano.

Per parte mia, credo di avere chiaramente dimostrato, grazie ad un intenso lavoro durato non pochi anni dal 1952 in poi, che nei sotterranei della Basilica Vaticana non soltanto esiste la tomba di Pietro ma si conserva anche - clamorosa eccezione - una cospicua parte dei suoi resti mortali. La mia dimostrazione, sempre intonata al più rigoroso metodo scientifico e sempre corredata di prove e riprove suggerite da varie discipline, si è ormai fatta strada. Ma certe resistenze permangono, specialmente per quanto riguarda le reliquie dell'Apostolo. Tali resistenze si manifestano (incredibile ma vero) soprattutto nell'ambito del Vaticano, e ciò - si noti - in pieno contrasto col riconoscimento ufficiale delle reliquie stesse, proclamato da Paolo VI nel 1968 e successivamente da lui più volte e sempre più chiaramente confermato.

Stando così le cose, mi è sorto il desiderio o, per dir meglio, mi si è imposto il dovere di riassumere per sommi capi e con la maggior limpidezza possibile il grande problema, al quale (non si può negarlo) tanta parte dell'umanità è interessata. Il mio scopo è quello di chiarire all'evidenza ch'esso è ormai definitivamente risolto e in pieno accordo con la tradizione della Chiesa.

Pietro venne a Roma, vi morì martire durante il regno di Nerone e vi fu sepolto sul colle Vaticano, presso il luogo del suo martirio.

Di ciò esiste anzitutto una prova indiretta: nessuna comunità cristiana, eccetto quella di Roma, si vantò mai di possedere la tomba di Pietro. Ci sono, d'altra parte, prove dirette che a vicenda s'illuminano e si completano. Si tratta di fonti letterarie e di dati archeologici ed epigrafici. V'è anche, specialmente per quanto riguarda le reliquie dell'Apostolo, l'apporto delle scienze sperimentali.

Tra la fine del I secolo d. C. e l'inizio del III fonti letterarie ineccepibili convergono ad attestare la tradizione della Chiesa. Alla fine del I secolo, Clemente, capo della comunità cristiana di Roma, inquadra Pietro (e Paolo) nel racconto della persecuzione neroniana e degli orrendi spettacoli svoltisi nel Circo di Nerone in Vaticano, spettacoli dei quali autorevolmente e più ampiamente parla anche Tacito, il grande storico di Roma. Nella prima metà del II secolo seguono due scritti "apocalittici", l'«Ascensione d'Isaia» e l'«Apocalisse di Pietro», dalla cui testimonianza congiunta risulta che Pietro - unico dei dodici Apostoli di Gesù - morì a Roma, vittima della persecuzione neroniana del 64. Più tardi, a cavallo fra il II e il III secolo, in un passo riportato da Eusebio storico della Chiesa, un presbitero romano di nome Gaio parla per la prima volta della tomba gloriosa («trofeo») di Pietro in Vaticano. Scendendo ancora nel corso del tempo, le attestazioni circa l'esistenza della tomba di Pietro in Vaticano si susseguono numerose.

Piena conferma alle fonti letterarie viene dall'archeologia. Da secoli i fedeli sapevano che la tomba di Pietro si trovava nella Basilica Vaticana sotto l'altare della Confessione; ma i papi che si succedevano al timone della Chiesa non osavano indagare a fondo, sia per un timore reverenziale che non è difficile comprendere, sia anche per l'ovvia paura di una eventuale risposta negativa, che sarebbe stata di estrema gravità. Soltanto nel 1939 Pio XII, animato com'era da un eroico amore della verità, decise di aprire alla scienza i misteriosi sotterranei della Basilica. Così avvenne che fra il 1940 e il 1949 avessero luogo gli scavi. Questi furono eseguiti, come altrove ho dimostrato, in modo assai discutibile, ma portarono almeno ad alcune importanti constatazioni. Eccole in breve.

Si scoprì anzitutto che sotto il pavimento della Basilica esistevano i resti di un'antica necropoli pagana costruita nel II e nel III secolo e interrata ai tempi dell'imperatore Costantino per creare il piano su cui doveva sorgere la prima Basilica in onore di Pietro (circa 321-326). Ciò rilevava la presenza in quest'area di un punto fisso di suprema importanza, punto che non poteva essere stato se non la tomba dell'Apostolo.

Un secondo risultato di grande peso fu la scoperta sotto l'altare della Confessione di una serie di monumenti più antichi l'uno sopra l'altro, o dentro l'altro, donde risultava una secolare continuità di culto in onore di Pietro. Ecco, cominciando dall'alto, cioè risalendo il corso del tempo, questa serie di monumenti:
1) altare di Clemente VIII (1594), che è ancora l'altare papale;
2) altare di Callisto II (1123); dentro di esso,
3) altare di Gregorio Magno (590-604);
4) monumento eretto da Costantino in onore di Pietro (circa 321-326).

Dentro il monumento costantiniano erano racchiusi tre precedenti manufatti: tratto di un antico muro, poi convenzionalmente chiamato «muro g» (seconda metà del III secolo), coperto di una fittissima rete di graffiti cristiani, scritti tra la fine del III e la seconda decade del IV secolo, donde risultava la fervida venerazione tributata a questo luogo; una piccola edicola funeraria, il primo monumento eretto in onore di Pietro, identificabile col «trofeo» ricordato da Gaio, addossato ad un tratto di muro rivestito di intonaco rosso (il cosiddetto muro rosso) e con esso databile intorno al 160. Nel pavimento dell'edicola funeraria un chiusino rivelava la presenza di una tomba terragna, la quale non poteva essere stata se non l'originaria tomba di Pietro. Ma al disotto del chiusino il terreno era sconvolto. Delle attese spoglie di Pietro non rimaneva alcuna traccia. Come più tardi toccò a me di appurare, i resti mortali dell'Apostolo erano stati trasferiti, all'età di Costantino, in un loculo appositamente apprestato dentro il già ricordato «muro g» e perciò inclusi nel monumento costantiniano.

Dopo gli scavi (anormali, lo ripeto) del periodo 1940-1949, e dopo la relativa pubblicazione (1951) erano rimaste, circa la tomba di Pietro, tre grosse lacune che impedivano di giungere alla definitiva soluzione del problema:
1) non era stato riconosciuto, in alcuna parte della zona scavata, il nome di Pietro;
2) non erano stati decifrati se non in minima parte, e non senza errori, i graffiti del «muro g»;
3) nulla si sapeva circa la sorte delle reliquie dell'Apostolo, che avrebbero dovuto trovarsi sotto l'edicola funeraria del II secolo nell'antica tomba terragna e che invece non c'erano.

Le tre lacune furono colmate da me, durante l'intenso lavoro che svolsi dal 1952 in poi.

Il nome di Pietro riconosciuto da me sia in uno dei mausolei dell'antica necropoli (quello della gens Valeria) occupato prima dell'interramento da genti cristiane, sia, e molte volte, tra i graffiti del «muro g».
Tutti i graffiti di questo muro furono decifrati e rivelarono, oltre il nome di Pietro, preziose notizie per la conoscenza della spiritualità cristiana a Roma fra il III ed il IV secolo. Apparvero, fra l'altro, numerose acclamazioni alla vittoria di Cristo, Pietro e Maria e, grazie ad un sistema - ben conosciuto a quei tempi - di crittografia mistica, numerose sigle esprimenti l'intima unione di Cristo e Pietro, simboli trinitari, invocazioni a Cristo come luce, pace, principio e fine dell'universo, allusioni alla mistica chiave di Pietro. Non manca un suggestivo ricordo della vittoria che Costantino ottenne nel 312 presso il Ponte Milvio e del segno di Cristo ch'egli ritenne annunzio e garanzia dello storico evento.

Dentro il loculo appositamente incavato nel «muro g» erano state deposte, come ho detto, le reliquie di Pietro. Ma gli addetti agli scavi del periodo 1940-1949 non le videro. Per uno strano groviglio di circostanze imputabili all'irregolarità di quegli scavi, i preziosi resti furono prelevati da persone inconsapevoli e deposti in un vicino ambiente umido e oscuro, dove, dentro una cassetta di legno, rimasero ignorati per una decina di anni. Rinvenuti da me nel settembre del 1953 e sottratti all'umidità che di lì a poco li avrebbe disfatti, essi però non furono subito riconosciuti per quello che erano. Soltanto più tardi essi divennero oggetto di lunghi esami e di approfondite riflessioni da parte mia e di specialisti di scienze sperimentali da me chiamati a consulto. Di particolare importanza si rivelarono gli esami dell'antropologo Venerando Correnti. La certezza dell'identificazione fu da me raggiunta nel 1964; la mia prima pubblicazione uscì nel 1965; il primo annuncio ufficiale dell'avvenuto riconoscimento fu dato da Paolo VI nel 1968 e poi da lui più volte confermato fino al 1978, anno della sua morte.

A questo punto, non sarà inutile ripetere, con qualche aggiunta, una ben meditata sintesi, da me già pubblicata, di argomenti che convergono a dimostrare l'identificazione delle reliquie di Pietro.

1) Il monumento eretto da Costantino in onore di Pietro era considerato a quei tempi, sepolcro dell'Apostolo (come tale lo definisce Eusebio vescovo di Cesarea, che conobbe personalmente Costantino).

2) Nell'interno del monumento esiste un loculo, uno solo.

3) Questo loculo fu scavato e foderato di marmo all'epoca di Costantino.

4) Il loculo rimase inviolato dall'epoca di Costantino fino all'inizio degli scavi (circa 1941).

5) Dal loculo provengono, con documentabile certezza, le ossa ritrovate nel 1953.

6) Le ossa provenienti dal loculo sono dunque quelle che Costantino e i suoi contemporanei ritenevano ossa di Pietro.

7) Le ossa deposte nel loculo marmoreo del «muro g» erano avvolte in un drappo di porpora intessuto d'oro (gli avanzi di questo drappo rinvenuti fra le ossa risultarono all'analisi di autentica porpora di murice e di oro purissimo).

8) La dignità regale dell'oro e della porpora s'intona a quella del porfido che adorna l'esterno del monumento eretto da Costantino in onore di Pietro.

9) L'esame antropologico delle ossa (in complesso, circa metà dello scheletro) le ha dimostrate appartenenti ad un solo individuo di sesso maschile che, per età (60-70 anni), coincide con quanto sappiamo di Pietro all'epoca del suo martirio.

10) La terra incrostata alle ossa dimostra ch'esse provengono da una tomba terragna, e tale era appunto la primitiva tomba di Pietro sotto l'edicola del II secolo.

11) L'esame petrografico di questa terra l'ha dimostrata sabbia marnosa, identica alla terra del luogo, mentre in altre zone del Vaticano si trovano argille azzurre e sabbie gialle.

12) L'originaria tomba di Pietro sotto l'edicola del II secolo fu trovata sconvolta e vuota e ciò s'accorda con la presenza delle ossa ravvolte nella porpora e nell'oro all'interno del monumento-sepolcro eretto da Costantino.

13) Nell'interno del loculo, sulla parete occidentale, un graffito greco, tracciato in età costantiniana, prima della chiusura del loculo stesso, dichiara: «Pietro è (qui) dentro».

14) Risulta con certezza che il loculo del «muro g» determinò -nell'asse della prima basilica- uno spostamento verso nord rispetto all'asse dell'edicola funeraria del II secolo, che secondo la norma avrebbe dovuto essere seguito; e lo spostamento si ripercosse via via nei monumenti successivi fino alla cupola di Michelangelo e al baldacchino bronzeo del Bernini. Ciò è innegabilmente indizio dell'enorme importanza che i contemporanei di Costantino attribuivano al contenuto del loculo.

15) Tutto ciò concorre a dimostrare che il loculo marmoreo del «muro g» può essere ragionevolmente considerato come la seconda e definitiva tomba di Pietro e che le ossa riposte in quel vano con l'onore dell'oro e della porpora sono davvero i resti mortali del Martire.

Le reliquie di Pietro esistenti nella Basilica Vaticana sono, a ragion veduta, le uniche sicuramente autentiche di un personaggio cristiano del I secolo che abbia conosciuto Cristo, ne abbia ascoltato la parola, ne abbia veduto i miracoli. Altre non ve ne sono, né in Oriente né in Occidente. E non è un puro caso che questa eccezione riguardi per l'appunto Pietro, il primo dei Dodici, colui sul quale Cristo dichiarò di voler fondare la sua Chiesa. Come ho avuto l'occasione di scrivere recentemente nel mio libro “Il primato della Chiesa di Roma”, è ragionevole credere che l'antica universalità di Roma si prolunghi nel tempo col primato spirituale della Chiesa cattolica, cioè per definizione "universale", che a Roma ha il suo centro e che, motivo e garanzia di questa straordinaria continuità, di questa perenne vitalità, sia l'eccezionale presenza a Roma, nella Basilica Vaticana, dell'autentica tomba di Pietro e delle sue autentiche reliquie.





www.storialibera.it/epoca_antica/cristianesimo_e_storicita/tomba_di_pietro/articolo.php...
Heleneadmin
00sabato 29 gennaio 2011 16:34
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IL PRIMATO DI PIETRO


“Non sono pochi, anche tra i cattolici, quelli che mettono in dubbio il Primato della Chiesa romana, basato sul mandato che Cristo stesso affidò a Simon Pietro: "E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa" (Mt 16,18). Eppure, esistono documenti extrabiblici che attestano e testimoniano come, sin dalla fine del primo secolo, nelle comunità cristiane fosse viva la consapevolezza di una Chiesa strutturata gerarchicamente, con al vertice il vescovo di Roma, ovvero il Papa. La prova sta in una lettera di Papa Clemente I, scritta sul finire del primo secolo, pervenutaci sia attraverso il Codice Biblico Alessandrino (V sec.), sia attraverso il Codice Greco 54 (XI sec.), custodito a Gerusalemme. Ecco i fatti. Nella comunità di Corinto alcuni fedeli avevano sollevato una sedizione contro i capi della Chiesa locale e l'eco di tali disordini, sfociati nella ingiusta rimozione di alcuni presbiteri, era arrivata sino alla Chiesa di Roma, che stava subendo la persecuzione di Domiziano. La lettera di Clemente I si riferisce proprio a questa persecuzione, da poco terminata quando il Papa mette mano allo scritto, per giustificare il fatto di "aver troppo tardato a dirimere alcune questioni che sono in discussione tra voi". Come potrebbe dirimere alcunché - ci domandiamo chi non ha la necessaria autorità? E perché mai dovrebbe farlo il vescovo di Roma, se ha già i suoi bravi problemi dovuti alle continue persecuzioni? La Chiesa di Corinto, oltretutto, si trovava molto lontana da Roma, ma evidentemente il Papa avverte il suo intervento come un dovere. Dovere che, a nostro avviso, nasce dalla consapevolezza di sedere sulla cattedra di Pietro e di possedere, per ciò stesso, una indiscussa autorità sulla Chiesa universale. Sta di fatto che il vescovo di Roma, sicuro di essere ascoltato, richiama all'ordine i ribelli e li ammonisce, ricordando loro la responsabilità che hanno di fronte a Cristo: "Ma se qualcuno non obbedisce a ciò che per nostro tramite Egli [Cristo] dice, sappiamo che si vedrà implicato in una colpa e in un pericolo non indifferente. Noi però saremo innocenti di questo peccato". Il richiamo all'obbedienza da parte del Papa è significativo al pari delle minacce spirituali riservate a chi disobbedisce. Siamo di fronte, indubbiamente, ad un gesto di correzione fraterna da parte di chi deve confermare i suoi fratelli nella fede, ma anche alla consapevolezza della propria responsabilità sulla Chiesa intera. Da Eusebio di Cesarea (Historia Ecclesiastica, IV, 23, 11) sappiamo che tale avvertimento pontificio venne accolto, ascoltato e messo in pratica, con ciò confermando 1'autorità normativa e disciplinare di chi aveva pronunciato tale monito. Che importanza ha per noi questo documento? Enorme. Se da un lato ci dimostra che sin dalle origini e persino in comunità fondate direttamente dagli apostoli (Corinto) esistevano dissidenti e teste calde, d'altro lato questa epistola riveste il valore di prova che alla Chiesa di Roma e al suo Vescovo veniva riconosciuto il Primato sia giuridico che di governo rispetto alle altre chiese.” (cfr, Il Timone di Settembre ’99, Gianfranco Nicotra)
Ma esistono molte altre prove storiche che rispondo alla classica domanda:

PIETRO FU DAVVERO A ROMA?

Una tradizione, assai antica, ha creduto che Pietro sia andato a Roma, dove avrebbe subito il martirio sotto la persecuzione di Nerone. Per secoli questa fu la fede della Chiesa. Solo nel XIV secolo, Marsilio da Padova avanzò dubbi sul fatto che Pietro fosse stato vescovo di Roma. In seguito, larga parte del protestantesimo tentò di mettere in dubbio anche la venuta di Pietro a Roma con evidenti finalità polemiche verso la chiesa cattolica ed il vescovo di Roma.
Sebbene il Nuovo Testamento non parli chiaramente del martirio romano di Pietro, nel saluto finale della sua prima epistola Pietro dice: "La chiesa che è in Babilonia, eletta come voi, vi saluta" (1 Pietro 5, 13). Poiché l'antica Babilonia giaceva distrutta da molti secoli e in Mesopotamianon esisteva una comunità cristiana ma solo di una colonia giudaica, Babilonia deve essere per forza il nome
simbolico di Roma, nome peraltro assai amato nell'apocalittica giudaica e cristiana (Apocalisse 17-18-19).
Romano (ca. 96 d.C.) per primo parla della morte di Pietro e di Paolo, dicendo: "Per l'invidia e gelosiafurono perseguitate le più grandi e più giuste colonne le quali combatterono sino alla morte. Poniamoci dinanzi agli occhi i buoni apostoli. Pietro che per l'ingiusta invidia soffrì non uno, ma numerosi tormenti nella grande Babilonia, e così col martirio raggiunse il posto della gloria. Fu per effetto di gelosia e discordia che Paolo mostrò come si consegua il premio della pazienza …." (Clemente, 1 Corinzi V, 2-5)
Ignazio, vescovo di Antiochia, verso il 110 d.C. durante il suo viaggio verso Roma per subirvi il martirio, pur non ricordando il martirio dell'apostolo, scrive alla chiesa ivi esistente di non voler impartire loro "degli ordini come Pietro e Paolo" poiché essi "erano liberi, mentre io sono schiavo" (Ignazio, Ai Romani 4, 3).Pietro non scrisse alcuna lettera ai Romani, si deve dedurre che egli avesse loro impartito dei comandi di presenza, cioè a voce, come solevano fare gli Apostoli.
Papia di Gerapoli, verso il 130 d.C. afferma che Pietro scrisse da Roma la sua lettera (Papia in Eusebio, Storia Ecclesiastica II, 15, 2), usando il termine figurato di Babilonia per indicare Roma.
Origene (185-254) è il primo a ricordarci che Pietro fu crocifisso a Roma con il capo all'ingiù. Egli infatti scrive: "Si pensa che Pietro predicasse ai Giudei della dispersione per tutto il Ponto, la Galazia, la Bitinia, la Cappadocia e l'Asia e che infine venisse a Roma dove fu affisso alla croce con il capo all'ingiù, così infatti aveva pregato di essere posto in croce". (Origene in Eusebio, Storia Ecclesiastica III, 1, 2).
Dionigi, vescovo di Corinto, verso il 170 d.C., in una lettera parzialmente conservata da Eusebio, attribuisce a Pietro e Paolo la fondazione della chiesa di Corinto e la loro predicazione simultanea in Italia dove assieme subirono il martirio. "Con la vostra ammonizione voi (Romani) avete congiunto Roma e Corinto in due fondazioni che dobbiamo a Pietro e Paolo. Poiché ambedue, venuti nella nostra Corinto hanno piantato e istruito noi, allo stesso modo poi, andati in Italia, insieme vi insegnarono e resero testimonianza (con la loro morte) al medesimo tempo" (Dionigi in Eusebio, Storia Ecclesiastica II, 25).
Clemente Alessandrino (150-215) ricorda che, "quando Pietro ebbe predicato pubblicamente la Parola a Roma e dichiarato il Vangelo nello Spirito, molti degli ascoltatori chiesero a Marco, che lo aveva seguito da lungo tempo e ricordava i suoi detti, di metterli per iscritto." (Eusebio, Storia Ecclesiastica VI, 14).
Tertulliano (160-240) ripete che Pietro fu crocifisso a Roma durante la persecuzione neroniana, dopo aver ordinato Clemente, il futuro vescovo romano (Scorpiace XV; Sulla prescrizione degli eretici XXXII); lo stesso Tertulliano ricorda anche il martirio comune di Pietro e Paolo a Roma, sottolineando come Pietro avesse sofferto lo stesso martirio di Gesù e come Paolo fosse stato ucciso come Giovanni Battista (Sulla prescrizione degli eretici XXXVI).
Ireneo, vescovo di Lione (140-202), ricorda che "Matteo... compone il suo Vangelo mentre Pietro e Paolo predicavano e fondavano la chiesa …" e parla "… della chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo …. con questa chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve essere necessariamente d'accordo ogni chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte ….la chiesa nella quale per tutti gli uomini sempre è stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli …" (Contro le eresie III, 1-3)
Eusebio di Cesarea (260-337) ricorda come, sotto il regno di Claudio, la Provvidenza condusse Pietro a Roma per porre fine al potere di Simon Mago (Eusebio, Storia Ecclesiastica, II, 14). Egli inoltre ricorda come, a Roma, sotto l'impero di Nerone, Paolo venne decapitato e Pietro crocifisso (Eusebio, Storia Ecclesiastica, II, 25).
Girolamo (347-420) scrive che "Simon Pietro venne a Roma per debellare Simon Mago …occupò a Roma la cattedra episcopale per 25 anni, fino all'ultimo anno di Nerone …..fu crocifisso con il capo all'ingiù e i piedi rivolti verso l'alto, dichiarandosi indegno di venir crocifisso come il suo Signore" (Gli uomini illustri I).
Circa il martirio di Pietro e Paolo a Roma, le testimonianze materiali come quelle letterarie sono numerose. Clemente Romano terzo Papa, nella sua lettera ai Corinzi del 96, porta l’esempio di pazienza degli Apostoli che furono catturati a causa di invidie gelosie e discordie, quindi processati e uccisi "insieme ad una folla di eletti". Pietro, secondo lo storico Eusebio sulla base di uno scritto di Origene, venne crocifisso come gli altri cristiani nel circo di Caligola sulle pendici del colle Vaticano tra il 64 e il 67, crocifisso a testa in giù e sepolto in una tomba terragna nella necropoli esistente lungo il circo. Paolo venne decapitato nella stessa persecuzione sulla via Ostiense e sepolto nella necropoli sulla quale nel 386 venne costruita la basilica costantiniana.
Sulla tomba dei due apostoli sorse subito un piccolo monumento, una memoria, di cui parla il prete Gaio nel II secolo: "In Vaticano e sulla Via Ostiense, ti mostrerò i trofei (tombe gloriose) di coloro che hanno fondato questa Chiesa". Un discorso che è criterio guida per individuare la linea della retta tradizione mentre esprime la coscienza che la Chiesa di Roma si fonda sulla testimonianza e sul martirio dei due apostoli.
S.Pietro- scavi – Tomba di Pietro (Trofeo di Gaio sec II)

Il monumento di Pietro su cui, era convinzione comune, fosse sorta la Basilica elevata da Costantino, venne realmente trovato negli scavi condotti per volere di Pio XII tra il 1939 e il 1949. Vi si rinvenne anche un bollo recanti i nomi di Marco Aurelio e Faustina Augusta sua moglie, databile intorno al 146-161. Il piccolo monumento costruito sopra la tomba terragna di Pietro, era costituito da un’edicola con una nicchia e due colonnine, era addossato ad un "muro rosso" e diviso in due da una lastra orizzontale di travertino. In seguito era stata aggiunta, a lato dell’edicola, un piccolo ambiente di culto; nel muro superstite (detto muro "g") venne ricavato un loculo rivestito di marmo, per deporvi i resti di Pietro. In corrispondenza del loculo, sul "muro rosso", negli anni ’40 il P.Ferrua aveva trovato un frammento graffito con la scritta "Petr…eni" tradotto "Pietro è qui". Le successive ricerche di Margherita Guarducci tra il 1953-58, portarono al rinvenimento di alcune ossa di un uomo di circa 60 anni sepolto nel loculo del muro "g". Su questo muro i fedeli avevano inciso innumerevoli crittografie mistiche, preghiere e invocazioni a Cristo a Maria a Pietro, decifrati dalla stessa Guarducci (M. Guarducci – La tomba di Pietro - Rusconi 92)

LE OSSA DI SAN PIETRO SONO ANCOR OGGI NELLA SUA TOMBA SOTTO L'ALTARE PAPALE DELLA BASILICA VATICANA

Dal punto di vista storico non sono mai esistiti dubbi sulla venuta di San Pietro a Roma, sulla sua crocifissione e sulla sua sepoltura nella necropoli vaticana, a breve distanza dal luogo del martirio.Egli era giunto a Roma nell'anno 41, al tempo dell'imperatore Claudio e vi rimase, salvo una breve interruzione, fino alla morte che subì nell'anno 64, all'inizio della persecuzione di Nerone.Questo pazzo imperatore che aveva già fatto avvelenare il fratello, assassinare la madre Agrippina, la moglie Ottavia e aveva ucciso personalmente la seconda moglie Poppea in un raptus di pazzia mise a fuoco
la città di Roma.Quindi, come afferma lo storico Tacito, (per distogliere da sé l'ira del popolo ne fece ricadere la colpa sui cristiani scatenando contro di essi una feroce persecuzione.Fu durante questa persecuzione che, secondo la testimonianza di Clemente romano (Ad Chorinthios, 1, 56), nell'anno 64 Pietro subì il martirio per crocifissione proprio nel circo di Nerone che sorgeva sul colle Vaticano.Lo storico Eusebio di Cesarea ci informa che Pietro, non ritenendosi degno di morire come il suo Maestro, chiese ed ottenne di essere crocifisso con il capo all'ingiù.Il suo corpo fu seppellito nello stesso colle Vaticano, in un cimitero vicino al luogo del martirio e sulla sua tomba, divenuta subito oggetto di venerazione, i cristiani innalzarono, nel II secolo, un "trofeo" (detto di "Gaio", dal nome dello scrittore cristiano del II secolo che ne parla, come ci riferisce lo storico Eusebio) in base agli scavi effettuati negli anni '40.
Rimandando gli interessati alla lettura della ampia documentazione storica circa la tomba di Pietro a Roma, ritorniamo alle riflessioni prettamente bibliche, che mirano a chiarire Bibbia alla mano il primato di Pietro.
I profeti costituiscono con gli Apostoli la generazione dei primi testimoni che hanno ricevuto la rivelazione del piano divino e che hanno predicato il Vangelo (Lc 11,49; Mt 23,34; Mt 10,41).
Tutta la Chiesa è detta “Colonna e sostegno della Verità”.
Il non voler accettare che Pietro fu costituito “roccia” da Gesù, significa alterare pregiudizialmente e irreparabilmente tutta la realtà intorno a Cristo ed alla Sua Chiesa.
Il voler dimenticare i poteri così larghi concessi da Cristo al Primo degli Apostoli (Mc 3,13-19; Mt 10,1-4;Lc 6,12-16), è quanto meno fazioso.
Matteo dice chiaramente che Pietro è il primo degli Apostoli: “I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, 3Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo, 4Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, che poi lo tradì.” (Mt 10,2), è alterare il significato della Parola e la volontà del Signore Gesù.”

Se oggigiorno si devono elencare ad esempio i componenti di una squadra di calcio, si pronunciano i numeri associati ai nomi dei giocatori, ma in questo caso se nominiamo il portiere non diciamo “primo” ma il “numero uno” poi nominiamo il “numero due” (cioè il terzino destro) e così via, si capisce chiaramente che il numero uno del portiere non gli conferisce alcuna autorità sugli altri giocatori, infatti in una squadra di calcio chi ha più autorità è il “capitano”;
nel caso degli Apostoli, non veniva menzionato il capitano ma “il primo”, Matteo avrebbe potuto elencare semplicemente i dodici nomi degli Apostoli, senza usare la parola “primo” invece preferisce usare la parola “primo” proprio per indicarci il primato di Pietro, del resto in tutto in N.T. notiamo che Pietro è sempre il primo in quasi tutti gli episodi dove vengono nominati gli Apostoli, i suoi compagni nutrivano rispetto nei suoi confronti, ad esempio quando Giovanni e Pietro corsero al sepolcro di Gesù, Giovanni (che era più giovane) arrivò per primo ma non entrò, preferì aspettare Pietro, e fu Pietro ad entrare per primo nel sepolcro.
Il non voler accettare l’autorità della Chiesa cattolica, significa spodestare la Chiesa di Dio dalla sua naturale divina autorità conferitale dal suo Divino Fondatore.
Mai si deve fare torto alla Bibbia, nella quale troviamo una grande ricchezza di espressioni. Nessuno è autorizzato a servirsi della Bibbia per distruggere la Parola di Dio; e questo avviene quando dei gruppi di credenti ricorrono ad interpretazioni parziali ed arbitrarie che la stessa Parola di Dio non consente.
Le metafore ricordate indicano la funzione di pietra fondamento benché in modo analogico.
E sappiamo che l’analogia comporta una somiglianza oggettiva, non una identità, nell’essere e nell’agire di due o più soggetti.
Infatti:
Jahvè è roccia in quanto costituisce il primo fondamento della Chiesa, di cui l’antico Israele era tipo e figura. In Lui, ossia sulla sua bontà e fedeltà poggiava la fede e la speranza dell’Israele secondo la carne; in Lui poggiano la fede e la speranza del “Nuovo Israele” (Rm 9,6-8; Gal 3,6-9,29; 4,21-31;6,8)
Cristo è Roccia in quanto, a livello storico e visibile, è la pietra d’angolo (=principale) e fondamento della comunità di salvezza, ossia della “Sua” Chiesa.
Infine la Chiesa tutta intera è detta fondamento: “Voglio che tu sappia come comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno (=fondamento) della verità” (1 Tm 3,14-15).

“Rileggiamo e analizziamo la frase di Gesù, Matteo 16:18:

Ed io dico a te che tu sei pietra e su questa pietra....

Ed io dico a te: E' Gesù che parla rivolgendosi a SIMONE;

che tu: sarebbe SIMONE;

sei pietra: sarebbe SIMONE;

e su questa pietra: non sapendo chi è, lo analizzeremo con la grammatica:

-e : congiunzione;

- su : preposizione;

- questa : Aggettivo dimostrativo. Indica persona o cosa vicina, materialmente o logicamente, a chi parla;

- pietra : Nome comune di cosa o di persona.

Come avete visto, "questa", taglia la testa al toro.

Ripetiamo la grammatica su "questa".
"Questa": indica personao cosa...

Nel nostro caso "questa" cosa indica?
Naturalmente: indica "PIETRA" ;

Poi la grammatica continua: "vicina, materialmente o logicamente,a chiparla.

Chi stava parlando in Matteo 16:18?
E' chiaro e senza ombra di dubbio che chi parlava era sicuramente: "GESU' ".

Siccome si legge anche: "Vicina,...,a chi parla".
La persona vicina a chi parlava (Gesù) chi era?
Materialmente e logicamente era:"SIMONE" quindi"PIETRA " (Cefa = Kefa):

Quindi come avete letto e sicuramente capito, senza ombra di dubbio la grammatica ci informa che " QUESTA PIETRA " è riferita a "SIMONE " e non a "GESU' ". Se fosse stato, per come mi avete riferito, GESU' , la grammatica avrebbe citato:"QUESTOindica la persona che parla ". - Ma non è così.
Inoltre, se per caso Gesù si riferiva a se stesso, nelverso su indicato (Matteo 16:16-19) avrebbe detto:"...Ed io dico a te, che tu sei Simone, e su di me edificherò la mia Chiesa":

Ma secondo voi, che senso avrebbe avuto che Gesù su se stesso avrebbe edificato la Sua Chiesa? Non solo, ma non avrebbe avuto nessun significato (sempre se ‘QUESTA’ si riferiva a Gesù) la frase seguente:

E a te darò le chiavi del Regno dei Cieli; e qualunque cosa avrai legata sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa avrai sciolta sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli.
Per cui se la "pietra di fondamento" era Gesù, non c'era bisogno di dare "le chiavi del regno dei cieli " a Pietro.
Da premettere ancora che la "pietra angolare" è solo Gesù e non Pietro:

Ora che sappiamo e abbiamo la prima ‘pietra di fondamento’ (‘Simone’) possiamo iniziare a costruire la Chiesa di Cristo.
Mettiamo la prima "pietra di fondamento" (Simone). Però, prima di alzare le mura della Chiesa, dobbiamo completare il fondamento e rinsaldarlo per bene. Siccome manca il resto delle "pietre di fondamento" con la "pietra angolare" che deve tenere ben saldo, altrimenti si sfalda tutto. Dove li troviamo? Li troviamo in Efesini 2:20:

...edificati sopra il fondamento degli Apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. ‘

Ecco che il "fondamento" è già fatto, e come avrete accertato, Gesù non è la ‘pietra di fondamento’ ma la ‘pietra angolare’ e questo conferma ancora che ‘questa pietra’ non è riferito a Gesù, ma a Pietro (che naturalmente non è la "pietra angolare").

Andiamo avanti con la costruzione, dato che il fondamento è stato fatto, per innalzare le mura per la Chiesa di Gesù Cristo, (1° Pietro 2:4-5):

‘Stringendovi a lui pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale "

Ecco che abbiamo trovato il resto delle ‘pietre vive’ (il resto dei cristiani) e ‘la pietra viva ‘ o ‘pietra angolare’ (1° Pietro 2:6-7). Possiamo innalzare l'edificio (la Chiesa di Cristo) con la ‘pietra angolare" che lo trattiene, altrimenti crolla tutto. In sostanza senza la ‘PIETRA ANGOLARE’ (GESU') le fondamenta con la Chiesa non si possono fare.” (cf, testi del fratello Paolo Blandini)

Dopo avere illustrato la metafora di “roccia”, sarà bene soffermarsi un po’ su quella delle “chiavi”: “A te darò le Chiavi del Regno dei Cieli”.
Le Chiavi (Mt 16,18-20). C’è qui, oltre quello della guida sicura per raggiungere il regno dei cieli, il senso della giusta interpretazione dell’autorità di cui è investito Pietro. Infatti da Mt 23,13-16 abbiamo: “Guai a voi ipocriti, maestri della legge e farisei. Voi chiudete agli uomini la porta del Regno dei Cieli: non entrate voi e non lasciate entrare quelli che vorrebbero entrare, ecc..”
Da Lc 11,52 abbiamo: “Guai a voi, maestri della legge, perché avete portato via la chiave della vera scienza, voi non siete entrati e non avete lasciato entrare quelli che avrebbero voluto”
Tenere presente che i maestri di Israele non avevano assicurata l’infallibilità, mentre i “mandati da Dio”, e solo quelli mandati, come i veri profeti annunciavano veramente la Parola di Dio. Le esigenze della casistica rabbinica rendevano impossibile l’osservanza della legge. Da 10 precetti,
i rabbini erano arrivati a comandarne 613!
Inoltre da 1 Tm 6,3-5, ricaviamo la stessa dottrina vista in Matteo e Luca: “Se qualcuno insegna diversamente, se non segue le sane parole di Gesù Cristo nostro Signore e l’insegnamento della nostra religione (=Chiesa cattolica) è un superbo ed un ignorante, un malato che va in cerca discussioni e vuol litigare sulle parole, ecc..”.
Gesù sapeva che la Sua Chiesa doveva affrontare e combattere tante eresie nel corso dei secoli, quindi era logico che stabilisse un organo che vigilasse e difendesse la verità, altrimenti la Chiesa sarebbe stata distrutta in pochissimo tempo dai tanti eretici.
La Sua Chiesa doveva avere delle regole, che garantissero l’esatta interpretazione delle Scritture, altrimenti come potevano i veri cristiani controbattere gli eretici?
Dovevano poter dimostrare, Bibbia alla mano, il suo corretto significato.
Gesù stesso non affidò la Sua Chiesa a tutti i discepoli indistintamente, ma stabilì dodici Apostoli, affinché predicassero e vigilassero con autorità incontestabile. Loro potevano dimostrare di essere stati scelti direttamente dal Cristo, e anche i loro successori poterono dimostrare la discendenza apostolica, se così non fosse stato gli eretici gli avrebbero riso in faccia, e chiunque avrebbe potuto prendere il comando della Chiesa e dirigerla verso qualunque lido eretico.
Fin dai primi secoli del cristianesimo gli eretici tentarono dunque di contestare le verità bibliche cercando di sovvertirle (non riuscendovi); mai però fu messa in dubbio la discendenza apostolica dei vescovi, perché essa risultava chiara da documenti inoppugnabili. La Chiesa ha sempre potuto dimostrare la sua discendenza apostolica, da vescovo in vescovo fino ai nostri giorni. Solo negli ultimi tempi alcuni gruppi protestanti osano voler vanificare la discendenza apostolica dei vescovi cattolici romani, perché nel mondo protestante evangelicale ad esempio non si dà nessuna importanza alla storia quando questa parla a favore della Chiesa latina, la si esalta invece quando questa mostra alcuni errori che la Chiesa di Roma ha commesso nel corso dei secoli; provocando nei fedeli un’avversità molto marcata in tutto quello che è cattolico romano, perché così facendo i fedeli si trovano a conoscere bene gli errori della Chiesa romana, ignorando totalmente la sua gloriosa storia millenaria e la sua discendenza apostolica.
Gesù dunque conferisce a Pietro un carisma unico ed individuale: “Conferma i tuoi fratelli” nella fede
(Lc 22,31-32). Ossia, chi non è d’accordo con Pietro non è nella verità.

Heleneadmin
00sabato 29 gennaio 2011 16:37
A tutte queste prerogative personali Gesù ne aggiunge un’altra con la quale colma ogni incertezza e completa l’autorità vicariale di Pietro. Ciò avviene quando, dopo la resurrezione, con parole solenni, inequivocabili e incontrovertibili, dice a Pietro per tre volte: “pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle…” (Gv 21,15-17).
Qualche pastore pentecostale afferma le tre volte significano il perdono di Gesù ai tre rinnegamenti di Pietro, e in chiave esegetica potrebbe anche darsi, ma in maniera ancora più semplice spieghiamo che la triplice domanda con triplice risposta era infatti il modo classico di giurare a quel tempo, Gesù quindi fece giurare Pietro, gli fece promettere che avrebbe di sicuro pasciuto le Sue pecorelle.
Pietro dunque, senza equivoco alcuno, è nominato il pastore supremo di tutto il “gregge” di Cristo.
Cristo ha mandato Pietro e gli altri Apostoli dando loro ogni potere, così come il Padre ha mandato Gesù dandogli ogni potere.
E’ bene sapere che l’evangelista Giovanni scrive tali parole non meno di 30-40 anni dopo la morte di Pietro. Ciò significa che esse (parole) ormai riguardano, sì, Pietro, ma nei suoi successori.
Perché è impensabile che dopo la morte di Pietro, la Chiesa dovesse restare senza una guida (terrena) autorevole, perché se Gesù avesse voluto guidare di persona la Sua Chiesa non avrebbe stabilito nemmeno gli Apostoli. Ma dalla Bibbia traspare che come prima Dio Padre si servì di uomini come Mosè, David, e altri per guidare il suo popolo così Gesù si servì di Pietro e degli Apostoli per guidare la Sua Chiesa. E’ semplicemente impensabile che la Chiesa dovesse finire con la morte degli Apostoli, eppure i fratelli separati (pentecostali e altri) affermano che il potere di legare e di sciogliere Gesù lo diede solo agli Apostoli, e questo potere non era trasmissibile.
Queste affermazioni sono talmente insensate che si smentiscono da sole; ma come è possibile che la Chiesa con la morte degli Apostoli non dovesse avere più una guida autorevole?
Se con la morte degli apostoli tutti i discepoli avevano pari voce in capitolo per amministrare e vigilare sulle verità di fede, il cristianesimo non sarebbe mai arrivato fino ai nostri giorni, sarebbero scoppiate guerre fratricide all’interno delle comunità, perché ognuno poteva dire la propria su qualunque verità di fede. Dalla stessa Bibbia apprendiamo che Paolo si preoccupava di scegliere uomini fidati e di fede provata, per affidargli il ministero della Parola, imponendogli le mani e conferendogli così la stessa sua autorità in materia di fede, Timoteo, Filemone e Tito sono degli esempi.
Se questi tre vescovi sopra citati non avessero avuto una piena autorità per dirigere la loro Chiesa locale, quanto sarebbero durati?
I loro successori a loro volta dovevano avere anche loro autorità altrimenti i fedeli ribelli gli avrebbero riso in faccia, prendendoli a calci nel sedere. La loro autorità veniva riconosciuta da tutta la Chiesa, e se c’era qualche fratello che sbagliava gravemente il vescovo comandava agli anziani di buttare fuori dalla Chiesa il fratello che si era macchiato di una grave colpa.
Ne abbiamo esempio da Paolo, che ordina agli anziani di estromettere dalla Chiesa il fratello che si era macchiato di incesto.
Paolo avendo ricevuto da Gesù il potere di legare e di sciogliere, lo sta esercitando, comandando di allontanare quel fratello peccaminoso.
Ecco che allo stesso modo la Chiesa cattolica romana esercita il suo potere conferitogli da Cristo tramite la successione apostolica.

In Mt 16,18-20 Gesù fonda la sua Chiesa sulla “roccia”, ossia sulla stabilità, sulla sicurezza, sulla indefettibilità, assicurandole che né il tempo né l’errore avrebbero avuto su di essa
il sopravvento:”le porte degli inferi non prevarranno…” .
Chi può dubitare delle divine parole di Cristo?

Nella traduzione interconfessionale le parole di Cristo sono recate così: “e su di te, come su una pietra, edificherò la mia Chiesa”.
Dunque Pietro è la “roccia” ma la roccia di Pietro poggia sulla Pietra Angolare che è Cristo, e quando Gesù dice “la mia Chiesa”, vuol dire che essa è “una ed unica”. Tutte le altre associazioni che si dicono “chiese” non sono la Chiesa fondata da Cristo, e perciò non possono garantire l’autenticità dell’interpretazione biblica. Ricordiamo che a Pietro (al suo primo incontro con Gesù) viene dato il nome Kefa=roccia (Gv 1,42; Mc3,16)
Roccia è un metafora, un simbolo che sta a significare sicurezza. Infatti leggiamo in 2° Sam 22,2: “Jahwè è la roccia di Israele”; prima di Davide Mosè aveva detto: “Jahwè è roccia” (Dt 32,4); Isaia additava Jahwè come “unica roccia”; anche nei Salmi (144,1 e 95,1) è detto: “Benedetto Jahwè” mia roccia”.
Nel N.T. Gesù applica a Sé il Salmo 117,22 e si qualifica come “pietra d’angolo”, ossia la pietra principale nella edificazione del “Nuovo Israele”, che è la Chiesa, la “Sua Chiesa”, come è scritto in Mt 21,42-44: “…la pietra scartata…è divenuta testata d’angolo.. chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà. Il Signore ha fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri”.
Per i Giudei, che non hanno creduto alla divinità di Cristo, questa pietra è divenuta motivo d’inciampo e di rovina (Rm9,33; 1 Pt 2,7-8; Is 8,14; 28,16) Ma per i discepoli di Cristo, Egli è la Roccia Spirituale fonte di salvezza, prefigurata nella roccia da cui Jahwè fece scaturire acqua abbonante per dissetare l’Israele secondo la carne (1 Cor 10,3-4; Es 17,5-6; Nm 20,10-11).
E’ chiaro che l’essere Roccia di Cristo non vanifica l’essere roccia di Jahwè. Solo bisogna saper conciliare le due esplicite testimonianze della S. Scrittura. Roccia è detto pure nella Bibbia Simone, figlio di Giona. Fu Gesù stesso a imporgli questo nuovo nome, pietre vive sono pure tutti i credenti (1 Pt 2,4-5)
Ai fratelli separati risulta difficile capire che l’essere “roccia” di Pietro non vanifica l’essere roccia di Cristo e l’essere roccia di Jahwè, loro mirano a annullare il primato di Pietro, quindi negano che il papa abbia autorità apostolica in quanto successore di Pietro, alcuni loro arrivano perfino a negare che Pietro sia stato a Roma, quando invece esistono documenti storici che lo provano.
Fondamento è prima di tutto, Gesù Cristo: “Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra (successione apostolica). Ma ciascuno stia attento come vi costruisce. Infatti, nessuno può porre un fondamento diverso da quello che giù vi si trova, che è Gesù Cristo” (Cor 3,10 -11). Assieme a Cristo S. Paolo chiama fondamento anche gli Apostoli e i Profeti (Ef 2,19-20): si tratta qui dei profeti del N.T. (Ef 3,5;4,11)
“In questo tempo alcuni profeti scesero ad Antiochia da Gerusalemme. E uno di loro, di nome Agabo, alzatosi in piedi, annunziò per impulso dello Spirito che sarebbe scoppiata una grave carestia su tutta la terra. Ciò che di fatto avvenne sotto l’impero di Claudio” (At 11,27).

Quindi nella traduzione biblica interconfessionale le parole di Cristo sono recate così:”e su di te, come una pietra, edificherò la mia Chiesa”. Dunque, Pietro è la “roccia”. E quando Gesù dice “la mia Chiesa”, vuol dire che essa è “una ed unica”. Tutte le altre associazioni che si dicono “chiese”, non sono la Chiesa fondata da Cristo, e perciò non possono garantire l’autenticità dell’interpretazione biblica.
< San Tommaso d'Aquino ha chiamato i sacramenti "reliquie dell'Incarnazione". Tutto l'ordine sacramentale è come una continuazione, un lascito dell'Incarnazione. Tutti gli aspetti della vita di Gesù e della sua persona ci sono stati lasciati. Anche l'autorità. Gesù infatti aveva autorità. Entrato a Cafarnao si mette a insegnare nella sinagoga e la gente rimane stupita "perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi" (Mc 1,22). Il fatto che la concepisse come servizio non toglie nulla al suo essere una autorità. Nell'ultima cena, davanti allo spettacolo degli apostoli che litigano per i posti a tavola, compie un gesto simbolico: "Si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto" (Gv 13,4-5). Al gesto segue la spiegazione: "Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi" (13-15). Servizio qui non significa negazione dell'autorità, ma è l'autorità stessa ("Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono") che è offerta come servizio. Vuol dire che l'autorità non ha come fine l'affermazione della propria potenza e l'ottenimento del proprio comodo: "I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere" (Mt 20,25). Il fine dell'autorità di Gesù è quella di condurre gli uomini alla salvezza, di unirli a sé in un unico "mistico" corpo di cui lui è il Capo.
La mentalità del nostro tempo ci ha disabituati a vedere l'autorità come un dono. Eppure gli uomini ne hanno un estremo bisogno. Anche un'operazione banale come il trasporto di un tavolo da una stanza all'altra richiede che uno diriga le operazioni. Più si è numerosi e più questo bisogno si fa impellente, perché è necessario che i diversi atti dei singoli non si disperdano in direzioni disparate, ma trovino l'unità nel dirigersi verso il fine. C'è un qualcosa di più che i molti da soli non sono in grado di darsi. Questo "di più" è il proprio dell'autorità: non è un caso che il termine autorità venga dal latino augere, cioè aumentare. Se il liberalismo e l'individualismo hanno corroso intrinsecamente la nozione di autorità, facendone solo un inevitabile male, i totalitarismi e gli autoritarismi moderni hanno contribuito a discreditarla e a falsificarne l'immagine.
Alla luce di queste premesse è possibile allora comprendere nel loro vero senso le famose parole di Gesù a Cesarea di Filippo, in cui parla della Chiesa come di un edificio in costruzione e della roccia su cui deve poggiare e da cui deve trarre stabilità e coesione. Innanzitutto il Maestro imposta con gli apostoli il problema della sua identità; Il Verbo si è fatto carne, perciò ormai sull'identità della sua persona tutto si fonda. "La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?" (Mt 18,13). Al che essi lo informano delle voci che girano sul suo conto: c'è chi lo considera alla stregua di un nuovo Giovanni Battista. Altri parlano di Elia o di Geremia o di un altro profeta. Non c'è affatto bisogno di scomodare la concezione della reincarnazione per capire un tale modo di esprimersi. La reincarnazione è assolutamente estranea alla mentalità biblica: si tratta piuttosto di una eredità spirituale. Allora Gesù pone direttamente la domanda agli apostoli: "Voi chi dite che io sia?" ed è Pietro a rispondere.
Sono circa 171 i passi del Nuovo Testamento in cui a Pietro è attribuito un posto preminente. Pietro ricollega la persona di Gesù non a una qualche missione profetica o eredità spirituale dell'antica profezia, ma la pone immediatamente al centro stesso della vita intima di Dio, nell'origine assoluta: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Allora Gesù, davanti a questa perfetta professione di fede pronuncia le parole decisive. Pietro ha parlato ed è al solo Pietro che si rivolge: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché nè la carne nè il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli. e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli".
Il passo è ricco di aramaismi e di espressioni simboliche ebraiche e ha quindi tutta la freschezza di un evento della vita terrena di Gesù. Secondo la concezione ebraica Dio ha fondato il mondo sulla roccia come una pietra angolare e su di essa è poggiato anche il Tempio. In particolare su questa roccia è situato il Santo dei Santi. La moschea di Ornar, che attualmente si erge sulla spianata del Tempio proprio nel luogo corrispondente al Santo dei Santi e all'altare dei sacrifici, è chiamata "Cupola della roccia ". Questa roccia sacra era anche considerata come il coperchio che trattiene le acque caotiche dell'oceano primordiale e insieme anche la porta del regno dei morti. La Chiesa è come il nuovo e definitivo Tempio, non più fatto di pietre ma composto di uomini.
Come il Tempio sta saldo sulla roccia, così il nuovo Tempio che è la Chiesa trae stabilità e unità dal ministero di Pietro. È sempre questo ministero che impedisce alle forze disgreganti di dissolvere l'unità della Chiesa e alle potenze del male di trionfare su di essa. Noi sappiamo che la pietra angolare è Cristo (cfr. Ef 2,20), ma questo non impedisce che Cristo stesso attribuisca questa prerogativa a Pietro perché vi partecipi intimamente, così come accade per altre prerogative, come ad esempio quella di maestro.
Gesù si rivolge a Pietro. La prerogativa di "legare e sciogliere", cioè di esercitare una autorità dottrinale è attribuita anche all'insieme degli apostoli (cfr. Mt 18,18), ma al solo Pietro è dato di essere roccia e di avere le chiavi del regno. Anche gli apostoli dunque partecipano della suprema autorità nella Chiesa, ma al solo Pietro è dato di essere il principio dell'unità e della stabilità. D'altra parte l'insieme (il "collegio") degli apostoli non è tale senza Pietro.
Dobbiamo pensare che tutto questo riguardi il solo Pietro e i soli apostoli in modo tale che si estingua con loro? Sarebbe un vero e proprio controsenso. L'edificio quanto più cresce in altezza e complessità tanto più ha bisogno di coesione. Si sarebbe piuttosto tentati di pensare in senso contrario che proprio nell'immediatezza della presenza di Gesù e del suo vivo ricordo non se ne doveva sentire tanto l'esigenza. Infatti constatiamo che questo dono, che Gesù ha fatto alla Chiesa di tutti i tempi già con tutta la pienezza delle sue prerogative si è sviluppato nel corso del tempo e attraverso una lunga storia ha progressivamente manifestato le sue potenzialità. In modo sempre più accentuato nella misura in cui le esigenze dei tempi lo rendevano necessario. Ma se questo dono non riguardava solo il tempo della vita terrena di Gesù o quello della fondazione della Chiesa, dove ritrovare la sua continuità? Abbiamo degli ottimi argomenti di carattere storico e archeologico per affermare che l'apostolo Pietro ha soggiornato a Roma, lì ha fondato e presieduto una comunità cristiana, lì ha suggellato con il martirio la sua vita terrena e che lì riposano le sue spoglie mortali. La continuità del Primato andrebbe dunque cercata senza esitazione nella successione dei vescovi di Roma, successori di san Pietro. C'è però un argomento ancora più semplice ed evidente. Se infatti per ipotesi il primato non sussistesse nella sede episcopale di Roma non lo si potrebbe più ritrovare da nessun'altra parte, perché solo Roma ha avanzato nella storia questa rivendicazione. Se non fosse lì le acque caotiche e dissolvitrici dell' "oceano primordiale" avrebbero inghiottito la roccia! Lo sviluppo di questa prerogativa ha trovato nella definizione dogmatica del concilio ecumenico Vaticano I (1870) il suo culmine e la sua chiara espressione. In quell'occasione la Chiesa ha definito che il vescovo di Roma, in quanto successore di Pietro, ne ha ereditato il primato. Il senso del primato viene precisato per eliminare definitivamente tutti i fraintendimenti che si sono affacciati nel corso della sua lunga storia. Si precisa così che non è solo un primato di onore, ma di vera e propria giurisdizione. Che questo primato di giurisdizione comporta una potestà universale, piena, suprema, immediata e ordinaria.
Non sono "aggiunte" alla semplice nozione di primato, ma esplicitazioni di quello che esso deve essere per non vanificarsi. Se si trattasse di onore soltanto sarebbe qualcosa di estrinseco, di giustapposto. Si onora una persona perché in lui si riconosce qualcosa che è degno di questo onore. Il primato di onore presuppone un primato di altra natura che lo fonda. Se questo si riducesse al crudo fatto che la sede di Roma nell'antichità era la sede della capitale dovremmo arrivare all'assurda conseguenza che è un fatto politico o culturale a fondare l'autorità nella Chiesa. La potestà deve essere piena, cioè tale da estendersi a tutta la vita della Chiesa, come compete al fondamento che tutto regge. Deve essere suprema, cioè non avere altro limite che nella sua natura di fondamento della Chiesa, quindi nel diritto naturale e divino, cioè nella Rivelazione che ci è stata donata in Cristo, che implica anche le verità naturali necessario per la nostra salvezza. Se non fosse suprema il fondamento dovrebbe appoggiarsi su qualcosa d'altro. Dev'essere universale cioè tale da estendersi a tutti i membri della Chiesa, pastori e fedeli. Immediata, perché è ricevuta immediatamente da Cristo e può essere esercitata immediatamente su tutti i fedeli di Cristo. Si dice anche che la potestà del Papa è ordinaria, nel senso che è una componente intrinseca della sua funzione, non è "delegata" e la può esercitare tutte le volte che lo ritiene opportuno senza dover aspettare condizioni esterne che la legittimino.
Tutte queste caratteristiche che troviamo nel Vaticano I sono recepite dal Vaticano II e raccolte in sintesi dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Al di là del loro tono giuridicamente compassato esse ci aiutano ad accogliere questa importantissima funzione nella Chiesa come espressione della continua presenza del Risorto in mezzo a noi. Nel Papa infatti riconosciamo e veneriamo "il dolce Cristo in terra".>> (cfr, di Don Pietro Cantoni)
Ricordiamo che a Pietro (suo primo incontro con Cristo) viene dato il nome Kefa = roccia (Gv 1,42; Mc 3,16).
Roccia è una metafora, un simbolo che sta a significare sicurezza. Infatti leggiamo in 2 Sam 22,2:” Jahwè è la roccia di Israele”; prima di Davide Mosè aveva detto: “Jahwè è roccia” (Dt 32,4);
Isaia additava Jahwè come “unica roccia”; anche nei Salmi (144,1 e 95,1) è detto “Benedetto Jahwè mia roccia”.
Nel N.T. Gesù applica a Sé il Salmo 117,2 e si qualifica come “pietra d’angolo” ossia la pietra principale nella edificazione del “Nuovo Israele”, che è la Chiesa, la “Sua Chiesa”, come è scritto in Mt 21,42-44: “…la pietra scartata.. è diventata testata d’angolo.. chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà. Il Signore ha fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri”.
Per i Giudei che non hanno creduto alla divinità di Cristo, questa pietra è divenuta motivo d’inciampo e di rovina (Rm 9,33; 1 Pt 2,7-8; Is 8,14; 28,16). Ma per i discepoli di Cristo, Egli è la Roccia Spirituale, fonte di salvezza, prefigurata nella roccia da cui Jahwè fece scaturire acqua abbondante per dissetare l’Israele secondo la carne (1 Cor 10,3-4; Es17,5-6; Nm 20,10-11).
E’ chiaro che l’essere Roccia di Cristo non vanifica l’essere roccia di Jahwè. Solo bisogna saper conciliare le due esplicite testimonianze della S. Scrittura. Roccia è detto nella Bibbia pure Simone , figlio di Giona. Fu Gesù stesso a imporgli questo nuovo nome; pietre vive sono pure tutti i credenti.
Fondamento è prima di tutto Gesù Cristo: “Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra (successione apostolica). Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti, nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (Cor 3,10-11).
Assieme a Cristo, Paolo chiama fondamento anche gli Apostoli e i Profeti (Ef 2,19-20) si tratta qui dei profeti del N.T. (Ef 3,5;4,11; At11,27). Costituiscono con gli Apostoli la generazione dei primi testimoni che hanno ricevuto la rivelazione del piano divino e che hanno predicato il Vangelo (Lc 11,49; Mt 23,34; Mt 10,41).
Tutta la Chiesa è detta fondamento “Colonna e sostegno della Verità” (1Tm 3,15).
Il voler vanificare la funzione dell’uomo-roccia, posto da Cristo a fondamento visibile della “Sua Chiesa”, significa alterare pregiudizialmente e irreparabilmente tutta la realtà intorno a Cristo ed alla Sua Chiesa. Il voler dimenticare i poteri così larghi concessi da Cristo al Primo degli Apostoli (Mc 3,13-19; Mt 10,1-4; Lc 6,12-16) significa spodestare la Chiesa di Dio dalla sua naturale divina autorità conferitale dal suo Divino Fondatore.
Questo delitto di mutilazione è non solo contro quanto stabilito da Cristo, ma anche contro gli stessi credenti in Lui, i quali resterebbero privi delle prerogative più necessarie alla vita della Chiesa.
La Chiesa non poteva e non può essere abbandonata al caos.
Nessuno è autorizzato a servirsi della Bibbia per distruggere la Parola di Dio; e questo avviene quando dei gruppi di credenti ricorrono a interpretazioni parziali ed arbitrarie che la stessa Parola di Dio non consente.
Le metafore ricordate indicano la funzione di pietra, fondamento benché in modo analogico;
e sappiamo che l’analogia comporta una somiglianza oggettiva, non una identità, nell’essere e nell’agire di due o più soggetti.
Infatti:

Jahvè è roccia in quanto costituisce il primo fondamento della Chiesa, di cui l’antico Israele era tipo e figura. In Lui, ossia sulla sua bontà e fedeltà poggiava la fede e la speranza dell’Israele secondo la carne; in Lui poggiano la fede e la speranza del “Nuovo Israele” (Rm 9,6-8; Gal 3,6-9,29; 4,21-31; 6,8).è Roccia in quanto, a livello storico e visibile, è la pietra d’angolo (=principale) e fondamento della comunità di salvezza, ossia la “Sua Chiesa”.la Chiesa tutta intera è detta fondamento: “Voglio che tu sappia come comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno (=fondamento) della verità” (1 Tm 3,14-15).


Quando Gesù ha chiamato a se i dodici Mt 10,1 diede a loro il potere di……. ,
non a tutti i discepoli, Matteo poi usa la parola “per primo” per indicare che Pietro era il primo fra gli Apostoli, è bene notare che nonostante i protestanti vogliano negare questo primato, Matteo lo sottolinea, e i fedeli protestanti farebbero bene a notare che Matteo scrive il suo Vangelo intorno all’anno 70 d.C. quindi già esistevano le prime comunità cristiane, esistevano le prime Chiese locali con i loro ordinamenti, le Chiese locali fin dal principio non sono mai vissute nel disordine, ma sono state sempre organizzate per meglio accudire ai bisogni dei fedeli di ogni singola realtà locale,
quindi Matteo aveva visto e conosceva le Chiese e chi le guidava, e quando menziona la lista dei dodici Apostoli non lo fa in modo casuale (come vogliono far credere i pastori protestanti), a Matteo non gli “è scappata la penna di mano”, scrive e sa quello che scrive, i protestanti che vanno a citare Giovanni cap.1,40 dimostrano ulteriormente la loro ignoranza biblica.
Non è mai bastevole sottolineare che “ignorante” non viene detto in senso offensivo, eppure appena ci si sente etichettare così molti si offendono.
Nella Bibbia quando vengono elencati i dodici Apostoli, Pietro è sempre il primo, Pietro è sempre il primo a farsi avanti, non lo potete negare, fratelli separati!
Il pastore di mia conoscenza non si dovrebbe permettere di dire (insegnare ai suoi fedeli) che Pietro viene considerato dalla Chiesa cattolica il capo della Chiesa, (di conseguenza anche il papa, capo, in quanto suo successore) perché sono andato a guardare nel catechismo della Chiesa cattolica romana, (edizione Piemme) a pag. 53 paragrafo 194 dice che Pietro fu il primo tra gli Apostoli, in un'altra pagina dice che Pietro fu il capo degli Apostoli, ma mai dice che fu il capo della Chiesa, (al posto di Cristo) nel senso assoluto della parola come accusano i protestanti.
Alcuni pastori pentecostali non si dovrebbero permettere di lanciare accuse false contro la Chiesa cattolica, perché si mettono contro la Chiesa di Cristo.
Molti fratelli separati si dovrebbero preoccupare di andare a leggere la dottrina cattolica, per constatare se quello che gli racconta il pastore corrisponde alla verità.
Ma nell’animo umano c’è spesso una molla che fa irrigidire gli atteggiamenti, come a dire:”io sono intelligente, io ho studiato la Bibbia per tanto tempo, ora viene questo cattolico da quattro soldi,
e vuole farmi credere che gli insegnamenti (e le accuse) protestanti sono sbagliati, ma che cosa ne capisce lui più di me?”
“Io sono certamente più preparato di lui, e comunque sento di essere nella verità, quindi non c’è alcun bisogno che vada a verificare quello che dice questo cattolico; sono contento di stare nella chiesa protestante e tanto mi basta!”. Se poi consideriamo i pentecostali, questi sono ancor più risoluti e sicuri di essere nella piena verità perché basano la loro certezza sulla “glossolalia” cioè sul dono delle lingue, o presunto tale. Essi si considerano i veri cristiani perché “parlano” in lingue, mentre chi non parla il lingue (secondo loro) non ha ricevuto il battesimo nello Spirito Santo.
Questo comportamento condiziona psicologicamente molti fratelli pentecostali, che fino a quando non parlano in lingue si sentono come dei cristiani inferiori (tranne qualche caso particolare), molti di loro si sforzano di chiedere il dono delle lingue, si sforzano di parlare in lingue, come se questo dono fosse indispensabile per un cristiano.

Molti fratelli pentecostali pertanto si sentono gli unici a conoscere la verità, (se qualche pentecostale non è d’accordo indichi quale altra confessione cristiana è nella piena verità) e quindi rifiutano di fare confronti seri e dispendiosi, in termini di tempo, perché per loro è tempo sprecato l’andare a immergersi in lunghi studi e confronti con il cattolicesimo romano. Poi però divulgano il loro opuscolo “Cento domande per i cattolici di buona volontà” e libri simili.
No, fratelli, la vita è un continuo confronto, e non bisogna sottrarsi al confronto, se ogni uomo non si confronterebbe con i suoi simili la razza umana si sarebbe estinta, se ogni uomo non si confronterebbe con la legge non ci sarebbe giustizia, ogni buon cristiano si deve confrontare con la Parola di Dio ascoltando gli altri fratelli cristiani, verificando le loro affermazioni, cercando le prove pro o contro, l’obiettivo di ogni buon cristiano è quello di essere nella piena verità, e non ci devono essere dubbi di nessun genere “esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” 1(Ts 5,21)
Non si può rispondere arrogantemente: “a me quello che dici tu non interessa…”.
Se qualcuno si oppone alle nostre tesi, è giusto che si valutino seriamente le sue affermazioni, verificandole in modo serio e scientifico, cercando le prove di quanto si sente o si legge, i testi autorevoli di certo non mancano, piuttosto manca forse la volontà di andare a fare ricerche che richiedono parecchio tempo, questo scoraggia la maggior parte dei fratelli separati (ma anche cattolici) che quindi preferiscono continuare nella loro raggiunta tranquillità, credendosi nella verità , quando in effetti non lo sono, né mai il protestantesimo lo è stato.
La Chiesa cattolica insegna che: il capo supremo della Chiesa è Cristo, il solo ed unico capo, questo è verificabile da chiunque abbia un po’ di buona volontà e voglia leggersi la dottrina cattolica.
L’autorità di Pietro fu decisiva per ammettere i gentili alla fede (At 11,18) essa è ancora più manifesta e solenne, nel Concilio di Gerusalemme.
Il discorso di Pietro decise in modo inappellabile la controversia tanto dibattuta sulla circoncisione (At 15,12), Giacomo parlò per primo in quanto era vescovo di Gerusalemme, luogo in cui si tenne il concilio, ma subito dopo parlò Pietro, non uno qualunque degli Apostoli, ma Pietro;
perché proprio lui? Perché lui era considerato la maggiore autorità, il primo degli Apostoli.
“Ma il più grande di voi si faccia umile servo, solo così entrerete nel regno dei cieli” così disse Gesù, e cosi faceva Pietro, si faceva umile, era umile ma la sua autorità contava molto nella Chiesa nascente.
E’ sorprendente come i fratelli separati prestino particolare attenzione alla figura di Pietro per demolirne la sua autorità.
Da cattolico che seguendo per un periodo (un anno circa) gli insegnamenti protestanti-pentecostali, ero quasi terrorizzato ad aprire il libro dottrinale della Chiesa cattolica romana, temevo di scoprire che tale Chiesa cattolica era veramente come la dipingeva il pastore, è cioè maestra di perdizione, e in definitiva Chiesa satanica, appurai che il pastore enfatizzava certi punti dottrinali, e fra questi la questione del primato di Pietro, calunniando gratuitamente la Chiesa Cattolica.
Lo stupore è cresciuto in me, quando ho scoperto che in realtà era il pastore a raccontarmi falsità ed accusare falsamente la Chiesa cattolica. La mia è una reazione istintiva, umana, ma la Chiesa mi insegna che non bisogna adirarsi contro i fratelli, ma bisogna amarli, dialogando con loro fraternamente, con calma e serenità, più facile a dirsi che a farsi, ma in ogni caso un buon cristiano si deve sforzare di farlo.
Anche molti pastori, che citano spesso il Concilio di Trento attribuendogli insegnamenti mai pronunciati, come quello che (secondo loro) la Chiesa cattolica insegna che “nemmeno i più perfetti cristiani (nei limiti umani) vanno direttamente in paradiso, ma devono necessariamente passare dal purgatorio”.
La delusione cresce, ed è la delusione di uno che è stato ingannato; resta il fatto che in definitiva avrei tanto a cuore che tutti i cristiani si riunificassero, per lodare insieme il Signore, senza controversie e errori teologici.
Come vorrei tanto mettere davanti agli occhi del pastore il catechismo della Chiesa cattolica, non in privato però, ma davanti a tutti i suoi fedeli; e poi dovrebbe negarmi pubblicamente, se nei suoi studi biblici non ha detto (tra le tante accuse) che” la Chiesa cattolica considera il papa come capo della Chiesa, capo al posto di Cristo” queste parole le ha dette durante uno studio, davanti ad almeno cinquanta fedeli, il pastore di mia conoscenza. Non odio questo pastore, lo stimo nella sua vita privata, come persona privata, ma non condivido per nulla quello che insegna.
Vorrei fargli notare che fino a quando “capo” è sinonimo di guida, allora si può usare questo termine riferito alla Chiesa, ma quando con la parola “capo” qualcuno intende sostituire la figura del papa al posto di Cristo, allora questa è eresia e calunnia.
Heleneadmin
00sabato 29 gennaio 2011 16:38
Io Incardona Salvatore ho sentito dire più volte queste parole, lo confermo al prezzo della mia stessa vita, il pastore le ha dette, usando un tono “sfottente” e deridente, ho ancora davanti agli occhi il suo sorrisino ironico.
Tanti e tanti altri versetti vengono manipolati dai pastori protestanti e propinati ai fedeli.
La tattica di estrapolare solo alcune frasi dal contesto o da un discorso è molto usata in ambito protestante, infatti quando citano la dottrina cattolica lo fanno solo in parte, stravolgendo così il pensiero degli autori. La correttezza intellettuale e cristiana indica che quando si cita un discorso lo si deve fare per intero, o almeno nelle sue parti più significative, ma senza stravolgerne il significato eliminando alcune parti significative e fondamentali.
Ad esempio nel catechismo cattolico al punto 85 viene detto che “l’ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo Magistero vivente della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo, e cioè ai Vescovi in comunione con il successore di Pietro, il Vescovo di Roma. Ecco che qui in uno dei primissimi punti della dottrina cattolica viene chiaramente detto che il papa è successore di Pietro, e non di Cristo come il pastore di mia conoscenza ha detto (e dice) più volte, anzi lo fa dire (ingiustamente) alla Chiesa cattolica.
Pietro nella sua seconda lettera ai versetti 1,19-20 ci dice che la Scrittura non è soggetta a privata interpretazione e che perciò quelli che vogliono fare di testa propria, sono dei deboli ed inesperti, e stravolgono le Lettere di S. Paolo al pari delle altre Scritture, e l’interpretazione che ne danno risulta “a loro propria perdizione” (2 Pt 3,15-16).
Dobbiamo convincerci tutti, che l’assistenza dello Spirito Santo è stata promessa e data da Gesù alla “Sua Chiesa” e non al singolo fedele. Se si ammettesse l’interpretazione privata delle Sacre Scritture, bisognerebbe anche accettare come giusto e logico (?!..) il detto: “Quante teste, tante sentenze!”.
Solo la Chiesa ha l’autorità di custodire, interpretare e spiegare la Parola di Dio.
Soffermiamoci ora a considerare la Chiesa nella sua totalità, come l'assemblea di tutti i discepoli di Cristo: qual è la struttura che di essa ci offre la Bibbia? Citiamo e spieghiamo brevemente un testo dell'Apocalisse molto significativo.
1 “L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande ed alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele (...). Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello” (Apocalisse 21, 10-14, CEI).
1 - La città santa, Gerusalemme, che l'angelo mostra a Giovanni, è certamente la Chiesa universale, “tutto l'Israele di Dio” (Galati 6, 16). Di essa fa parte il popolo dell'Antico Testamento, come fa chiaramente capire la menzione dei nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. Ma fa parte soprattutto il popolo della Nuova Alleanza, rappresentato dai nomi dei dodici apostoli dell'Agnello.
2 - Qui interessa mettere in rilievo come le mura della città santa Gerusalemme, che è la Chiesa, poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello. Giovanni dunque, presentando la struttura della Chiesa universale, assegna ai dodici apostoli la funzione di fondamento (cfr. anche Efesini 2, 20).
Se si tiene presente che le fondamenta sono insostituibili nella struttura d'un edificio, ne segue che la funzione dei dodici apostoli è essenziale e di primaria importanza per la solidità e stabilità della vera Chiesa di Cristo. San Giovanni non poteva essere più chiaro: la vera Chiesa di Cristo deve essere apostolica, altrimenti non è la vera Chiesa di Cristo.
Si ha qui un illustrazione plastica del pensiero di san Paolo che, riferendosi a tutti i credenti in Cristo, dice: “Siete concittadini dei santi e membri della casa di Dio, sopraedificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti con lo stesso Cristo Gesù quale pietra angolare” (Efesini 2, 19-20).
La vera Chiesa di Cristo, nella sua universalità, non poggia su uno scritto, ma su uomini, testimoni e messaggeri di quello scritto, la Bibbia è autorevole ma è stata scritta da uomini ispirati, quindi sono gli uomini le pietre vive e gli apostoli le fondamenta, se non ci fossero stati loro (e i loro successori) la Bibbia non sarebbe durata intatta fino ai nostri giorni.
- Ricordiamo infine che Giovanni nell'Apocalisse presenta la Chiesa di tutti i tempi, la Chiesa di ieri, di oggi, di sempre, come procede nel tempo tra lotte e trionfi, eroismi e tradimenti, coraggio e viltà. Questa Chiesa poggia sulle solide fondamenta dei dodici Apostoli.
Le fondamenta dei dodici Apostoli non vanificano l’essere fondamento di Gesù, perché Gesù è la pietra d’angolo, cioè la pietra principale, la pietra fondamentale senza la quale le altre fondamenta non potrebbero reggere il peso dell’edificio, tutte le fondamenta danno il loro contributo perché poggiano sulla pietra d’angolo.
La fede di Pietro poggia su Cristo, la pietra sulla quale Cristo edificò la Sua Chiesa poggia su Cristo stesso, senza il quale la Chiesa non potrebbe esistere, Pietro ha da Gesù un carisma unico: “…conferma i tuoi fratelli nella fede” (Lc 22,31-32).
E’ significativo notare che nel N.T. l’apostolo sarà chiamato 154 volte Pètros e 9 volte Kèfa
(da parte di Paolo), mentre solo 27 col suo nome originario Simeòn! Simoòn, associato però sempre a Pètros. Ebbene solo a Cristo (ad esempio in 1Cor 3,11) e a Pietro è riservata l’applicazione della pietra di fondazione. Pietro, dunque, rende visibile nella storia la fondazione primaria e trascendente di Cristo nei confronti delle Chiesa. “Dandole un fondamento”, scriveva Ortensio da Spinetoli nel suo commento al Vangelo di Matteo (Cittadella 1973), “Gesù non ha inteso lasciare i suoi seguaci isolati e dispersi, ma ha voluto raccoglierli in una comunità organizzata”. (cf Gianfranco Ravasi Jesus n.7 Luglio 2002)
Inoltre Gesù gli dona l’ampio potere delle “Chiavi”. Pietro è l’elemento di unità della Chiesa di Cristo e non accettarlo o mettersi contro di lui significa non accettare la volontà di Dio e rompere l’unità voluta da Cristo e per la quale Egli ha più volte accoratamente pregato.
Le “chiavi” sono il simbolo del potere e della signoria su una casa, una città, un regno, nonché sull’interpretazione di un testo (la “chiave” di lettura”) o di una musica. Significativo è il parallelo presente in un passo di Isaia ove si descrive un cambio di vertice nel palazzo reale: al ministro Sebnà subentra Eliakim (22,15-24). Di quest’ultimo di dichiara, in occasione dell’investitura ufficiale: “Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide; se egli apre, nessuno chiuderà e se egli chiude, nessuno potrà aprire. (22,22). In Pietro quindi si esercita un’autorità giuridica, ma anche di insegnamento all’interno della comunità.
Poi perché Gesù cambiò il nome a Simone chiamandolo Pietro?
Forse perché Simone in ebraico significa “canna”, quindi era sinonimo di instabilità di fronte al vento impetuoso delle eresie?
Allora come mai non lo cambiò pure all’altro apostolo Simone lo zelota?
Perché i fratelli non cattolici debbono per forza cercare cavilli per dare forza alle loro spiegazioni errate? Spesso non si accorgono che cadono in contraddizione, come in questo caso, motivano che il nome fu cambiato perché Simone significava “canna” e poi dimenticano che c’era anche una altro apostolo con lo stesso nome! Perché si deve cercare di negare l’evidenza?
Pietro fu chiamato così proprio in vista dell’affidamento del suo ministero pastorale e della sua funzione di prima Pietra, proprio a lui infatti Gesù dice di confermare i suoi fratelli nella fede.
Per negare il primato di Pietro ci vuole molto coraggio e molta incoscienza, di questo non biasimo i comuni fratelli separati, ma i loro pastori, ci sono talmente tanti indizi e tante prove schiaccianti che confermano il primato di Pietro che non ci sarebbe nemmeno bisogno di citarle, eppure con molto amore e fraternità mi soffermo a spiegarle, a far riflettere i fratelli non cattolici su tali prove, pregandoli di non indurire i loro cuori ma di prestare amorevole attenzione a quanto leggono in queste pagine.
E’ impossibile non riconoscere all’apostolo Pietro una parte di primo piano nei Vangeli.
Questa sua preminenza risulta anzitutto da alcuni lievi indizi:
Pietro non solo fa parte dei tre discepoli che accompagnano il Salvatore quando opera la risurrezione della figlia di Giairo (Mt 5,37), nella trasfigurazione (Mc 9,1) e nell’agonia degli orti degli Ulivi (Mc 14,33), ma in ognuno di questi casi è citato per primo.
Così pure, egli sta in testa a tutti i cataloghi del collegio apostolico (Mc 3,16-19); Mt 10,2-4;
Lc 6,14-16), e nel Vangelo di Matteo è detto espressamente: “il primo, Simone, chiamato Pietro”.
Nessuna meraviglia, quindi, se in parecchie circostanze, questo Apostolo occupa il primo posto.
Quando i discepoli si mettono alla ricerca di Gesù, Marco dice semplicemente: “Simone e i suoi compagni” (Mc 1,36)si tratta di rivolgere domande al Salvatore, spesso è Pietro a prendere l’iniziativa parlando a nome di tutti. Infatti leggiamo:

Mc 10,28: Pietro allora disse: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”.11,21: Allora Pietro, ricordandosi gli disse: “Maestro, guarda il fico che hai maledetto si è seccato…”15,15…: “…Pietro allora gli disse: spiegaci questa parabola. Ed Egli rispose: “Anche voi siete ancora senza intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fogna?...Dal cuore invece provengono…”16,16-22: “Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio Vivente…”. Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai…”18,21…:”Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: “Signore, quante volte dovrò perdonare..? Fino a sette volte?... E Gesù…: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”.19,27-30: “Allora Pietro prendendo la parola disse: “ecco, noi abbiamo lasciato tutto…” E Gesù disse loro: “In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. Chiunque avrà lasciato… riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”. Molti dei primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi”.12,41 “Allora Pietro disse: Signore questa parabola la dici per noi o anche per tutti?” (Gesù aveva detto la parabola del padrone di casa che se sapesse che viene il ladro non si lascerebbe scassinare la casa).6,68-69 “Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”.13,6-10: “…Signore, tu lavi i piedi a me?”. Rispose Gesù: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”. Gli disse Simon Pietro: “non mi laverai mai i piedi!”. Gli rispose Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Gli disse Simon Pietro: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani ed il capo!”. Soggiunge Gesù: “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti”.

Questi sono alcuni passi che dimostra come in effetti Pietro era sempre il primo a parlare il primo a farsi avanti ed il primo ad essere menzionato, e non stiamo a riferire i numerosi passi, nei quali Pietro appare come l’oggetto di una particolare attenzione da parte del Maestro:

Gesù gli dà un soprannome simbolico. “Cefa”, che significa “pietra” (Gv 1,42);Cafarnao alloggia nella sua casa (Mc 1,29);lago di Tiberiade insegna dalla barca di Pietro (Lc 5,3);beneficia di una pesca miracolosa (Lc 5,3-10) che prefigura la pesca miracolosa che Pietro operò il giorno di Pentecoste quando si convertirono oltre tremila persone;permette di camminare sui flutti (Mt 14,27-36);gli esattori del didramma (pezzo di moneta greca d’argento, del valore di due dracme = al mezzo siclo giudaico) si volgono a Pietro come alla persona più in vista del collegio apostolico, Gesù ne fa un suo associato con un titolo eccezionale, e gli dice: “Và al mare, getta l’amo ed il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te”. (MT 17,24-27).ù manda Pietro, con Giovanni, a preparare l’ultima cena. (Lc 22,8).

Si nota che a mano a mano che procediamo, la figura di Pietro si va meglio delineando ed il suo studio sembra diventare più interessante. Continuiamo:

Dopo la risurrezione, l’angelo, parlando con le donne, ha un particolare ricordo per lui: “Ora, andate, dite ai discepoli e a Pietro che Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto” (Mc 16,7).ù lo degna di un’apparizione personale, come si rileva da Lc 24,34 e da 1 Cor 15,5: “…davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone…;” “…e che apparve a Cefa e, quindi, ai dodici”.

Nella vita della Chiesa nascente, Pietro assume una importanza sempre più spiccata di fronte agli altri Apostoli:

Discorso ai fratelli per l’elezione di Mattia (At 1,15-22);e secondo discorso di Pietro ai Giudei con la conseguente conversione di migliaia di persone (At 2,14 e ss.);guarisce uno storpio (At 3,1-11);al Sinedrio Pietro parla con coraggiosa franchezza nel nome di Gesù Cristo Nazareno, come nello stesso nome aveva detto allo storpio: “Alzati e cammina” (At 1,15-22);’episodio di Anania e Saffira è Pietro che interviene a correggerli e, per le sue parole ispirate, i due coniugi subiscono l’esemplare e terrificante punizione della morte subitanea che consente di scuotere ed aprire gli occhi a tutti i fedeli e agli stessi Apostoli presenti al fatto (At 5,1-11);davanti al Sinedrio “Pietro e gli altri Apostoli risposero: bisogna obbedire piuttosto a Dio che agli uomini” (At 5,29);Simon Mago, Pietro risponde: “Va in perdizione tu ed il tuo denaro” (At 8,18-24);Pietro l’angelo invia il centurione Cornelio e, con la visione di Joppe, Dio gli “ha insegnato a non considerare come profano e immondo nessun uomo” (At 10,28);circoncisi di Gerusalemme Pietro dà istruzioni circa la volontà di Dio di accettare tutti gli uomini nella Chiesa fondata da Cristo. Dopo le parole di Pietro i giudei cristiani “rimasero persuasi e resero gloria a Dio” (At c. 11).Cap. 12,1-9 degli Atti è raccontato l’episodio della miracolosa liberazione dalla prigione e l’interesse di tutti i fedeli oranti per Pietro prigioniero;questione della circoncisione sorse una grande discussione tra gli Apostoli e gli Anziani, e fu Pietro che autorevolmente risolse il caso con queste parole: “Fratelli, voi sapete che Dio già da tempo scelse me tra di voi affinché per bocca mia i gentili udissero la parola del Vangelo e credessero...” (Atti 15,1-35).

Nella soluzione dettata da Pietro sulla spinosa questione della circoncisione, viene narrata la storia del primo Concilio ecumenico della Chiesa avvenuto in Gerusalemme nell’anno 51 (At 1,1-35). Qui si nota come l’azione singolare di Pietro, al momento giusto, è integrata dal collegio apostolico.
E’ quello che tutt’ora si verifica nella Chiesa Cristo. La frase sconvolgente pronunciata dall’Assemblea di Gerusalemme per la prima volta, è giunta da Concilio a Concilio fino ad oggi: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi!”

E’ tale il prestigio di Pietro che la S. Scrittura ci fa notare:
Che i fedeli ponevano all’ombra del passaggio di Pietro gli ammalati perché fossero guariti (At 5,15);Paolo va a rapporto da Pietro. Egli dice: “dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni” (Gal 1,18).
Inoltre, Pietro ci dice che non è permessa l’interpretazione personale (soggettiva) della S. Scrittura (2 Pt 1,19-20);
e che ci sono persone ignoranti e poco mature che deformano il significato di alcune cose delle Lettere di Paolo, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina” (2 Pt 3,15-16).

In S. Paolo ci sono alcuni passi che, letti bene e nella loro indole, ci mostrano anch’essi la superiorità di Pietro sugli altri Apostoli, (superiorità solo di primato, “perché il più grande tra voi si faccia servitore…”). Per esempio 1Cor 1,12-13: “Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: “Io sono di Paolo”, “io sono di Apollo”, “E io sono di Cefa”, “E io sono di Cristo”. Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati?” (anche 1 Cor 3,4-9 e 1 Cor 3,21-23).
Le divisioni nella Chiesa toccano l’essenziale, mostrano che non si è capito il Vangelo. Paolo interviene energicamente per stroncarle. E’ vero che in quel tempo gli spiriti colti si mettevano al seguito dei filosofi di loro gradimento. I cristiani di Corinto stanno imitando i pagani e seguono anch’essi delle correnti…Paolo ed Apollo sono delle figure prestigiose e colte del cristianesimo primitivo (pur non appartenendo al collegio apostolico) mentre Pietro è soltanto un rozzo pescatore di Galilea. Se ha un seguito, se è ritenuto un Capo, è perché sono note ai fedeli le sue prerogative conferitegli e tutte le preferenze che Gesù ha avuto per lui.
In conclusione: la Chiesa è di Cristo e nessuno ha il diritto di distruggerla in base alle sue umane preferenze. Il seguire Pietro è obbedire a Cristo che gli ha conferito il potere delle Chiavi, gli ha ingiunto di confermare i fratelli nella fede e gli ha affidato il compito di “pascere il Suo gregge”.
Quello che meraviglia invece è il modo di ragionare di molti pastori protestanti, infatti poco prima di essere messi con le spalle al muro essi cercano di svincolarsi dicendo: “va bene, anche se dalla Bibbia si potrebbe dedurre che Pietro era il primo degli apostoli ciò non vuol dire che il suo primato sia trasmissibile, il potere conferitogli da Gesù era suo personale, quindi di conseguenza Pietro non ha successori, e il papa non ha alcun potere e nessun primato ereditato da S. Pietro”.
Queste frasi che ho citato non me le sono inventate ma le ho sentire dire al pastore pentecostale di mia conoscenza; se ci soffermiamo un momentino sul suo modo di ragionare (condiviso da molti altri protestanti) ci accorgiamo che in effetti non c’era bisogno di farmi perdere tempo nel dimostrare il primato di Pietro, se poi in fondo lui stesso (il pastore) lo conosceva e lo “riconosce”, (si potrebbe dedurre che Pietro…) allora perché ogni volta che si menziona il primato di Pietro non si parte dalla seconda fase (cioè se il primato di Pietro è o non è trasmissibile) invece di ripartire sempre dalla prima fase in cui il pastore tenta inizialmente di negare il primato di Pietro?
E’ lecito pensare che il pastore in questo caso faccia un inutile ostruzionismo?
Cioè, prima sta a vedere se io sono in grado di dimostrare il primato di Pietro, se vede che sono impreparato mi affonda con alcuni versetti imparati a memoria; diversamente se si accorge che sto per metterlo in difficoltà mostrandogli le prove del primato, un attimo prima che venga messo con le spalle al muro si divincola lanciando un’altra frecciata, e cioè comincia a dire che può anche darsi che Pietro era il primo degli apostoli, ma questo non dimostra che il suo primato sia trasmissibile ai vari papi che l’hanno succeduto.
Badate che questa sceneggiata si ripete ogni volta seguendo lo stesso preciso ciclo.
Mi spiego meglio, il pastore che ha affrontato questo argomento con me per non essere incastrato dalle mie dimostrazioni veritiere, si svincola tentando di insinuare che il primato non è trasmissibile teoricamente se ad esempio mio fratello Enzo in un’altra occasione gli pone le stesse mie domande il pastore dovrebbe partire dalla non “dimostrabilità” della successione del primato petrino, invece il pastore riparte sempre dalla prima fase, come da copione.
E’ come se riavvolgesse la sua musicassetta e la facesse ripartire sempre da capo.
Questa è serietà?
Usando questi termini sono forse troppo pungente?
Cosa dovrei dire riguardo a questo modo di ragionare?
Che è corretto? No, non è corretto, piuttosto è vergognoso e riprovevole; se i fratelli pentecostali che leggeranno queste mie righe ricorderanno bene le pesanti frasi che il loro pastore lancia spessissimo contro la Chiesa cattolica, se ricorderanno bene le sue battute contro la Chiesa cattolica, se ricorderanno bene l’atteggiamento dei loro pastori verso la Chiesa cattolica, allora si accorgeranno che le mie frasi non sono poi così taglienti come potrebbero essere, io non attacco i pastori come meriterebbero di essere attaccati, ma mi limito a ribadire acutamente ma amorevolmente il loro modo di ragionare e il loro modo di raccontare i fatti ingannando chi li ascolta.
Ricordo benissimo quel pomeriggio quando stavo scendendo a Palermo (per motivi lavorativi), per caso stavo ascoltando Radio Evangelica di Palermo (quella che dirige il pastore Chinnici) quando sentii un pastore che predicava sopra un palco davanti ad una grande platea di fedeli, ha cominciato a imitare le prediche dei preti cattolici, scimmiottandoli, imitando la voce grossa e rallentata di qualche prete anziano, e in sottofondo si sentivano le risate dei fedeli protestanti, e subito dopo anche quelle di questo pastore (comico) che si prendeva gioco dei preti cattolici e del loro modo di predicare.
Non mi meraviglia più di tanto visto che anche il pastore di mia conoscenza ogni tanto fa il comico ai danni della Chiesa cattolica, mentre scrivo provo un irrefrenabile voglia di fargli un applauso, bravi veramente bravi, peccato che alcuni pastori non si accorgono che forse era meglio se si dedicavano al cabaret, una grande carriera li attendeva.
Fratelli non cattolici non vi offendete leggendo queste parole, perché non sono rivolte a voi, ma solo ad alcuni dei vostri pastori, e comunque vi ricordo che le battute dei pastori sono molto più pesanti delle mie, perché se rileggete le mie frasi vi accorgerete che mi limito solo a puntualizzare, non faccio sfilze di accuse e di offese nei loro confronti, non li chiamo “idolatrici, collaboratori di satana, maestri di perdizione” come fanno loro nei confronti dei preti cattolici.
Ma se non uso questo tipo di vocaboli non è certo perché li considero maestri, dottori, profeti della Chiesa, ma solo perché la Chiesa cattolica mi esorta a non offendere i fratelli separati.
Conosco bene i termini che si potrebbero addire a coloro che vanno contro la Chiesa di Cristo, ma evito di usarli per obbedienza alla Chiesa.
Io non mi permetto di usare parole offensive, mi limito solo ad evidenziare il loro comportamento e il loro modo di accusare e prendersi gioco della Chiesa cattolica, molti pastori invece ci vanno pesante con gli aggettivi, infatti usano definire la Chiesa cattolica come satanica, idolatrica, dipingono il papa come il collaboratore di satana, definiscono la Chiesa cattolica madre di perdizione, chiamano noi cattolici “quelli del mondo” ecc. ecc.; vi esorto fratelli ad aprire gli occhi, valutate serenamente il mio modo di esporre la verità e confrontatelo gli insegnamenti di molti vostri pastori, noterete che questi ultimi sono infarciti di frecciate contro la Chiesa cattolica, le mie sono infarcite di amore, di ricerca del dialogo, le mie obiezioni sono acute ma non offensive. Tutta la Chiesa vi aspetta fratelli, ritornate!
Alcuni fratelli pentecostali mi hanno scritto criticando il mio “zelo” nell’attaccarli, costoro però dimenticano i loro tanti libri anticattolici che vengono divulgati quasi per dovere cristiano, quindi non capisco come possano criticare me di “attaccare” quando in verità mi limito solo a rispondere.
E poi ribadisco che io non attacco le persone ma le dottrine, e le molteplici calunnie anticattoliche.
Riguardo alla trasmissibilità del potere apostolico faccio notare (e ripeto) che se il potere degli apostoli non fosse stato trasmissibile la Chiesa sarebbe morta con loro, non ci sarebbe stato più nessuno autorizzato a guidare la Chiesa di Cristo, invece la stessa Bibbia ci dice che non è così, Paolo ci dice che non è così, la stessa logica umana ci dice che la Chiesa doveva continuare ad avere un guida autorevole; non poteva essere lasciata in mano a dei “saputelli”, o di chiunque si sentisse “ispirato”,
se fosse stato così la Chiesa non sarebbe durata per più di 2000 anni.
Dopo tutte le citazioni riportate, si potrà discutere su questo o quel particolare, si potrà arzigogolare sul valore di questa o quella frase, ma bisognerà convenire che tutto l’insieme ha una forza probativa decisiva. Gesù ha riconosciuto Pietro a un posto preponderante tra i discepoli.
Pietro è l’Apostolo principale.
La debolezza dei sistemi di tutti i non cattolici, che si oppongono alla esegesi cattolica sui vari testi surriferiti, consiste appunto nel fatto che sono dei sistemi in cui ognuno dispone la propria fantasia per portare a termine il congegno premeditato o già predisposto. Ma a quale prezzo?

Qui, interpretazione compiacenti, tendenziose, alambiccate;à, soluzioni, a dir poco, oziose che eliminano senz’altro i passi fastidiosi, spesso servendosi della stessa Bibbia per eliminare le verità scottanti!..si ricorre alle ipotesi più fragili e grossolane. Insomma, una critica frettolosa, arbitraria, angusta, che non ha niente in comune col sano metodo storico.quello che nella Bibbia, come pure nella Tradizione apostolica, interessa la fede e i costumi e serve alla edificazione della vera e sana dottrina cristiana è oggetto essenziale e primario del magistero ecclesiastico e può essere oggetto del suo insegnamento ordinario oppure delle sue definizioni infallibili.

La conservazione, l’esatta interpretazione del dato rivelato implica, per il magistero pontificio, l’obbligo e, dunque, il diritto e il dovere, di controllare e all’occorrenza, definire ogni verità che pur senza essere rivelata, anche implicitamente, si deduce come una conseguenza logica delle premesse poste dalla rivelazione.
Quando Gesù disse agli apostoli “Ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo” )Mt 28,16-20); “Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi sempre…” (Gv 14,16-18); è troppo chiaro il pensiero espresso da Cristo: Egli e lo Spirito Santo saranno sempre con Pietro e con gli Apostoli sino alla fine del mondo. Ed è chiaro, chiarissimo che quando Gesù parlava agli Apostoli, più che alle loro persone, voleva riferirsi alla loro missione che si sarebbe perpetuata in Pietro, nei suoi successori e nei vescovi, successori degli Apostoli… se Gesù promette agli Apostoli che sarà con loro fino alla fine del mondo, voleva forse dire che gli Apostoli dovevano vivere sulla terra fino alla fine del mondo? Oppure è più logico (e giusto) pensare che Gesù con quelle parole ha promesso che sarà con la Sua Chiesa fino alla fine del mondo? E’ logico che la Sua Chiesa doveva avere una guida nella figura del successore del primo degli Apostoli, coadiuvata dai successori degli altri Apostoli oppure con la morte degli Apostoli doveva regnare il caos?
Le obiezioni in merito mi sembrano così puerili, che non ritengo opportuno continuare ulteriormente la contestazione…
Fratelli, vi parlo con cuore sincero, le mie parole non portano odio o rancore, ma amore e fraternità, se finora non avete avuto modo di riflettere su questi argomenti biblici, fatelo ora, dedicate un po’ del vostro tempo allo studio dei versetti da me citati, se lo fate vi raccomando di sforzarvi di mettere da parte i pregiudizi contro la Chiesa cattolica, studiate con obiettività, ponetevi come motivazione la ricerca dell’unica verità che ogni buon cristiano deve attuare, impegnandosi con animo sincero, senza pregiudizi.
Fratelli io sono convinto che la stragrande maggioranza di voi è in buona fede, si fida così ciecamente degli insegnamenti dei pastori che non trova utile andare a verificare di persona; fatelo fratelli! Verificate di persona, vi accorgerete che alcuni insegnamenti dei vostri pastori non sono corretti.
La storia del papato ha duemila anni di vita: ha avuto una navigazione anche burrascosa, ma la “prua” è stata sempre diretta nella direzione giusta che non mancherà di farla approdare al lido agognato (“…e le porte degli inferi non prevarranno…”). Nel papa, nei vescovi, nei sacerdoti c’è la visibile rappresentazione dell’Unicoinvisibile, l’Unico che esiste e dura per il riscatto del mondo. Nel papa ed in Cristo, indubbiamente i titoli dell’autorità sono assai diversi; il papa, capo per delega, per missione vicaria, Egli, Cristo, Capo per natura. Nell’uomo (papa) Gesù prolunga visibilmente la sua azione. Conoscere meglio il papa (e i suoi insegnamenti), significa conoscere meglio ed amare Gesù Cristo sotto uno degli aspetti in cui Egli continua la Sua missione.
Per quanto riguarda la presenza e la funzione di Pietro a Roma, c’è chi obietta: “si sa che la Chiesa romana ha avuto degli evangelizzatori prima di Pietro, quindi egli non è il fondatore della Chiesa di Roma”. Rispondiamo: è questione soltanto di parole. Da testi assai chiari risulta che il termine fondare un Chiesa, può estendersi a persone che venute dopo i primi evangelizzatori, hanno esercitato l’autorità episcopale o apostolica trai i primi neofiti. S. Pietro non è certamente il primo missionario di Antiochia, come dimostrano gli Atti (11,19-26; 13,1) che ci danno anche i nomi dei suoi primi evangelizzatori; tuttavia i primi storici, tra cui Eusebio e Girolamo, danno a S. Pietro il titolo di fondatore della Chiesa di Antiochia. Del resto è logico attribuire a Pietro la paternità dei tale Chiesa, infatti se per esempio alcuni fratelli vanno ad evangelizzare in un città dell’Africa, non si può certo dire che essi abbiamo formato una Chiesa, per farlo è richiesta l’autorità del vescovo, serve una persona autorevole per fondare ufficialmente una Chiesa, altrimenti chiunque può fondare Chiese ovunque gli pare.
Eusebio e Girolamo dicono che Pietro dopo aver fondato la Chiesa di Antiochia, venne a Roma.
S. Ireneo presenta Pietro e Paolo fondatori della Chiesa Romana. I due apostoli non furono i primi ad andare a Roma, tuttavia furono proprio essi che vi esercitarono un’autorità episcopale ed apostolica, per cui sono stati riconosciuti dai primi cristiani e dagli storici i fondatori della Chiesa romana.
Nell’antichità il sacerdote Gaio, discutendo con un eretico, gli disse: “sono visibili da tutti i trofei (tombe) dei fondatori della Chiesa Romana, uno al Vaticano (sepolcro di Pietro) e l’altro sulla via Ostiense” (sepolcro di Paolo).
Perché Gesù ha cambiato il nome proprio e solo a Pietro?
Come mai visto che Simone significa "canna" non cambiò pure il nome a Simone lo zelota?
I fratelli separati si sono mai accorti che il nome Pietro prima di quel giorno non era mai stato usato nella Bibbia?
Pietro non era un nome comune di quei tempi, anzi non esisteva nemmeno, lo coniò Gesù, e Cristo non faceva gesti casuali e senza senso. Gesùun nome ben preciso e con un preciso significato a Simone, "Pietro" simboleggia sicurezza, stabilità, resistenza, questo nessuno lo può negare!
Heleneadmin
00sabato 29 gennaio 2011 16:54
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