Rivoluzione francese

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LiviaGloria
00sabato 1 luglio 2006 21:54
Merlino leggi bene...ci sono punti in cui si vede i veri motivi della rivoluzione...cioé non pagare tasse...e si vede anche che i poteri non erano passati al popolo...ma con cavilli li volevano tenere per se. [SM=g27823]

Storia
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1770 -1787: crisi finanziaria
Tutto ebbe inizio quando il re Luigi XVI di Francia affrontò una crisi nelle finanze reali. La corona francese, che era fiscalmente una cosa sola con lo stato, era profondamente indebitata. Durante i regni di Luigi XV e Luigi XVI diversi ministri, soprattutto Turgot, proposero senza successo di rivedere il sistema di tassazione francese per tassare i nobili. Tali misure incontrarono una consistente resistenza da parte dei parlements (alte corti giudiziare), che la nobiltà dominava.

Il bisogno di aumentare le tasse pose il re in disaccordo con la nobiltà poiché i suoi ministri delle finanze erano tipicamente uomini rampanti, generalmente di origine non nobile. Turgot, Chrétien de Malesherbes, e Jacques Necker, l'uno dopo l'altro cercarono di rivedere il sistema di tassazione e di introdurre nuove riforme, come per il tentativo di Necker di ridurre la prodigalità della corte reale. Ognuno di questi venne rifiutato.

Per contro, Charles Alexandre de Calonne, nominato ministro delle finanze nel 1783, inizialmente ripristinò le spese dissolute reminescenti dell'età di Luigi XIV, ma successivamente il problema si presentò in tutta la sua portata; vene perciò elaborato un progetto di tassazione indipendente dagli ordini sociali. Nel momento in cui Calonne riunì un'assemblea di notabili al fine di approvare tale progetto evitando la convocazione degli Stati generali, il 22 febbraio 1787, per descrivere la situazione finanziaria, la Francia era in bancarotta: nessuno voleva prestare al Re fondi sufficienti per andare incontro alle spese del governo e della corte. Secondo Mignet, i prestiti ammontavano a "milleseicentoquarantasei milioni... e... c'era un deficit annuale di quarantasei milioni (presumibilmente di livres)". [1] Calonne venne sostituito dal suo principale critico, Etienne Charles de Loménie de Brienne, arcivescovo di Sens, ma la situazione sostanziale restò immutata: il governo non aveva credito. Per cercare di porre rimedio, l'assemblea "sancì la costituzione di assemblee provinciali, una regolamentazione del commercio dei cereali, l'abolizione delle corvée, e una nuova marca da bollo; si ruppe il 25 maggio 1787". [2]

La lotta susseguente con i parlements in un tentativo senza successo di applicare queste misure, mostrò i primi segni aperti che l'ancien régime stava cedendo. Nella lotta seguente,

ai protestanti vennero restituiti i loro diritti.
Luigi XVI promise una pubblicazione annuale dello stato delle finanze.
Luigi XVI promise di convocare gli Stati Generali nel giro di cinque anni
I parlements contestarono questa come "tirannia ministeriale". In risposta, diversi nobili, incluso Luigi Filippo II, Duca d'Orleans vennero banditi, il che provocò un'altra serie di decreti in conflitto tra il re e i parlements. Il conflitto uscì dalle corti e (oltre la nobiltà) con turbolenze in Delfinato, Bretagna, Provenza, Fiandre, Linguadoca, e Béarn.

Nonostante la teoria che vedeva l'ancien régime della Francia come una monarchia assoluta, divenne chiaro che il governo reale non poteva fare i cambi che desiderava senza il consenso della nobiltà. La crisi finanziaria era diventata anche crisi politica.

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1788 - maggio 1789: Luigi XVI convoca gli Stati Generali
Il 13 luglio 1787 il parlamento e la nobiltà avevano richiesto che il re chiamasse gli Stati Generali; questa richiesta era stata assecondata dagli Stati del Delfinato nell'assemblea di Vizille; il 18 dicembre 1787, il re promise di convocare gli Stati Generali nel giro di cinque anni; dopo le dimissioni di Brienne, il 25 agosto 1788, e con Necker di nuovo in carica per le finanze nazionali, il Re, l'8 agosto 1788, acconsentì a convocare gli Stati generali nel 5 maggio 1789, per la prima volta dal 1614.

La prospettiva degli Stati generali evidenziò il conflitto di interessi tra il Secondo stato (la nobiltà) e il Terzo stato (in teoria, tutta la gente comune, in pratica la borghesia). Gli aristocratici pensarono di servirsi del loro predominio nell'assemblea per riconquistare i propri tradizionali privilegi, mentre i borghesi, ispirandosi al modello inglese, sperarono trasformare la monarchia assoluta in una monarchia costituzionale più rispondente alle reali necessità del Paese. La borghesia, in contrasto con la nobiltà e con l'alto clero, rappresentava gli interessi e le aspirazioni della maggioranza della popolazione francese. La società era cambiata dal 1614. Il Primo Stato (il clero) assieme al Secondo Stato rappresentavano solo il 2 percento della popolazione francese. Il Terzo Stato, teoricamente rappresentante del restante 98%, e in pratica rappresentante di una fetta crescente del benessere nazionale, poteva ancora essere messo in minoranza dagli altri due, che storicamente avevano spesso votato assieme. Molti nella classe emergente videro la chiamata degli Stati Generali come una possibilità di guadagnare potere.

In base al modello del 1614, gli Stati Generali sarebbero consistiti di un numero uguale di rappresentanti per ogni Stato. Il Terzo Stato chiese una rappresentanza doppia (che già aveva nelle assemblee provinciali). Questo divenne un soggetto per gli opuscolisti, l'opuscolo più notevole fu quello dell'abate Emmanuel Joseph Sieyès: "Cos'è il Terzo Stato?". Necker, sperando di evitare il conflitto, riunì una seconda assemblea di notabili il 6 novembre 1788, ma, per il suo imbarazzo, questi rigettarono il concetto di rappresentanza doppia. Chiamando l'assemblea, Necker aveva meramente sottolineato l'opposizione dei nobili all'inevitabile politica.

Un decreto reale del 27 novembre 1788 annunciò che gli Stati generali sarebbero ammontati ad almeno un migliaio di deputati; garantiva inoltre la rappresentazione doppia. In aggiunta, i semplici sacerdoti (curés) potevano servire come deputati per il Primo Stato, e i protestanti per il Terzo Stato. Secondo Mignet, dopo delle elezioni ragionevolmente oneste, "I deputati della nobiltà erano composti da 242 gentiluomini e 28 membri del parlamento; quelli del clero, di 48 vescovi e arcivescovi, 35 abati e decani, e 208 curati; e quelli del Terzo Stato, di due ecclesiastici, 12 nobili, 18 magistrati cittadini, 200 membri delle contee, 212 avvocati, 16 medici e 216 mercanti e agricoltori". Altre fonti danno cifre leggermente differenti, vedi Stati Generali.

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5 maggio 1789 - 17 giugno 1789: dagli Stati Generali all'Assemblea Nazionale
Quando gli Stati Generali convennero a Versailles il 5 maggio 1789, tra l'acclamazione generale, molti nel Terzo Stato videro la rappresentanza doppia come una rivoluzione già pacificamente conseguita. Comunque, con l'etichetta del 1614 strettamente rinforzata, il clero e la nobiltà in pompa magna, l'ubicazione fisica dei deputati dei tre Stati dettata dal protocollo di un'era precedente, fu immediatamente evidente che in realtà era stato ottenuto molto meno. I rappresentanti del Terzo stato portarono dalle città e dalle province i "quaderni di lagnanze" (cahiers de doléances) in cui erano elencati i soprusi ai quali contadini e borghesi erano ancora sottoposti.

Quando Luigi XVI e Barentin (il guardasigilli) si rivolsero ai deputati il 6 maggio, il Terzo stato scoprì che il decreto reale che garantiva la rappresentanza doppia celava un trucco. Avevano sì più rappresentanti degli altri due Stati combinati, ma il voto si sarebbe svolto "per ordini": i 578 rappresentanti del Terzo Stato, dopo aver deliberato, avrebbero avuto il loro voto collettivo pesato esattamente come quello di uno degli altri Stati. L'intento apparente del re e di Barentin era quello che tutti andassero direttamente al problema delle tasse. La maggior rappresentanza del Terzo stato doveva essere solo simbolica, senza dargli nessun potere extra. Necker aveva più simpatia per il Terzo stato, ma in quell'occasione parlò solo della situazione fiscale, lasciando a Barentin il compito di parlare su come gli Stati Generali avrebbero operato.

Cercando di evitare il problema della rappresentanza e di focalizzarsi unicamente sulle tasse, il re e i suoi ministri avevano gravemente malgiudicato la situazione. Il Terzo stato voleva che gli stati si incontrassero come un unico corpo e votassero per deputato. Gli altri due stati, pur avendo le loro doglianze contro l'assolutismo reale, credevano, correttamente, come la storia avrebbe dimostrato, che avrebbero perso più potere verso il Terzo stato di quello che avrebbero guadagnato dal re. Il ministro del re, Necker, simpatizzò con il Terzo stato, ma l'astuto finanziere era un politico non altrettanto astuto. Decise di far continuare l'impasse fino al punto di stallo prima di entrare nella mischia. Il risultato fu che per il momento in cui il re cedette alle domande del Terzo stato, sembrò a tutti una concessione estorta alla monarchia, piuttosto che un dono magnanimo che avrebbe convinto la popolazione della buona volontà del re.

L'impasse fu immediata. Il primo argomento di trattativa degli Stati Generali fu la verifica dei poteri. Mirabeau, nobile egli stesso ma eletto per rappresentare il Terzo stato, cercò senza riuscirci di tenere tutti e tre gli ordini in un'unica sala per la discussione. Invece di discutere le tasse del re, i tre Stati iniziarono a discutere sull'organizzazione della legislatura. La spola diplomatica andò avanti senza successo fino al 27 maggio 1789, quando i nobili votarono per prendere una posizione ferma sulla verifica separata. Il giorno seguente, l'abate Sieyès (un membro del clero ma, come Mirabeau, eletto a rappresentare il Terzo stato) mosse affinché il Terzo stato, che ora si riuniva come i Communes ("Comuni"), procedesse con la verifica e invitasse gli altri Stati a prendere parte, invece di aspettare gli altri due Stati.

Il 17 giugno 1789, con il fallimento degli sforzi per riconciliare i tre Stati, i Communes completarono il loro processo di verifica, diventando l'unico stato i cui poteri fossero stati appropriatamente legalizzati. I Communes quasi immediatamente votarono una misura molto più radicale: essi si dichiararono come Assemblea Nazionale, un'assemblea non degli Stati, ma del popolo. Essi invitarono gli altri ordini ad unirsi, ma resero chiaro che intendevano fare gli interessi della nazione con o senza di loro.


La Bastiglia[modifica]
14 luglio 1789 - 1791: l'Assemblea Costituente e la Presa della Bastiglia
Questa assemblea costituita di fresco si collegò immediatamente ai capitalisti -- la fonte del credito necessario per finanziare il debito pubblico -- e alla gente comune. Essi consolidarono il debito pubblico e dichiararono che tutte le tasse esistenti erano state precedentemente imposte illegalmente, ma votarono le stesse provvisoriamente, solo fintanto che l'assemblea continuava a riunirsi. Questo ridiede fiducia al capitale e gli diede un forte interesse nel tenere l'assemblea in sessione. Per quanto riguarda la gente comune, un comitato di sussistenza venne stabilito per affrontare la carenza di cibo.

Il precedente piano di conciliazione di Necker -- uno schema complesso di concessioni ai comuni su alcuni punti e di forte resistenza su altri -- era stato superato dagli eventi. Non più interessato ai consigli di Necker, Luigi XVI, sotto l'influenza dei cortigiani del suo consiglio privato, si risolse a rivolgersi all'assemblea, annullare il suo decreto, comandare la separazione degli ordini, e dettare che le riforme fossero effettuate dagli Stati Generali restorati.

È (a malapena) immaginabile che se Luigi avesse semplicemente marciato dentro la Salle des États, dove l'Assemblea Nazionale si incontrava, il suo piano avrebbe potuto riuscire. Invece, se ne restò a Marly e ordinò la chiusura della sala, aspettandosi di impedire all'assemblea di riunirsi per diversi giorni, mentre lui si preparava. L'Assemblea spostò semplicemente le proprie deliberazioni nel campo da pallacorda del Re, dove procedette al Giuramento della Sala della Pallacorda (20 giugno 1789), con il quale si accordò per non sciogliersi finche non fosse stata data una costituzione alla Francia.

Due giorni dopo, privata anche dell'uso della Sala della Pallacorda, l'Assemblea Nazionale si riunì nella chiesa di Saint-Louis, dove venne raggiunta dalla maggioranza dei rappresentanti del clero: gli sforzi per ripristinare il vecchio ordine erano serviti solo per accelerare gli eventi. Quando, il 23 giugno 1789, in accordo con il suo piano, il re si rivolse finalmente ai rappresentanti dei tre Stati, si trovò di fronte a un silenzio di pietra. Egli concluse ordinando a tutti di disperdersi, e venne obbedito dai nobili e dal clero. I deputati della gente comune rimasero seduti in un silenzio che venne finalmente rotto da Mirabeau, il cui breve discorso così culminò, "Una forza militare circonda l'Assemblea! Dove sono i nemici della nazione? C'è Catilina alle nostre porte? Io richiedo, investite voi stessi con la vostra dignità, con il vostro potere legislativo, accludete a voi la religione del vostro giuramento. Questo non vi permette di sciogliervi finché non avrete formato una costituzione". [3] I deputati resistettero.

Necker, cospicuo con la sua assenza dal partito reale in quel giorno, si trovò in disgrazia con Luigi, ma nuovamente nelle grazie dell'Assemblea Nazionale. Quelli del clero, che si erano uniti all'Assemblea nella chiesa di Saint-Louis, rimasero; 47 membri della nobiltà, incluso il duca d'Orléans, si unirono a loro; per il 27 giugno, il partito reale aveva ceduto apertamente, anche se la probabilità di un contraccolpo militare rimase nell'aria. I militari francesi incominciarono ad accorrere in grande numero attorno a Parigi e Versailles.

Messaggi di supporto inondarono l'Assemblea da Parigi e da altre città della Francia. Il 9 luglio 1789 l'Assembea si ricostituì come Assemblea Nazionale Costituente, rivolgendosi al re in termini educati ma fermi, richiedendo la rimozione delle truppe (che ora includevano reggimenti stranieri, la cui obbedienza al re era molto più grande di quella delle truppe francesi), ma Luigi dichiarò che lui solo poteva giudicare il bisogno delle truppe, e li rassicurò che queste erano una misura strettamente precauzionale. Luigi "offrì" di muovere l'Assemblea a Noyon o Soissons: il che vale a dire, di porla in mezzo a due eserciti e privarla del supporto dei parigini.

Parigi fu unanime nel supportare l'Assemblea, vicina all'insurrezione e, nelle parole di Mignet, "intossicata di libertà ed entusiasmo". [4] La stampa pubblicò i dibattiti dell'Assemblea; la discussione politica si estese oltre ad essa e arrivò nelle piazze e nei salotti della capitale. Il Palais Royal e l'area circostante divennero il luogo di continui incontri. La folla, con l'autorità degli incontri al Palais Royal, aprì le prigioni dell'Abbazia per rilasciare alcuni granatieri delle Guardie Francesi che erano stati imprigionati per essersi rifiutati si aprire il fuoco sulla gente. L'Assemblea li raccomandò alla clemenza del Re, questi tornarono in prigione e ricevettero il perdono. Il loro reggimento ora pendeva dalla parte della causa popolare.




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Presa della Bastiglia
Per approfondire, vedi la voce Presa della Bastiglia di Parigi.
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Incendi nelle campagne

La Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadinoMentre la borghesia si impadroniva del potere, in provincia, bande armate di contadini percorrevano le campagne, incendiando i raccolti e soprattutto i castelli dei nobili, nelle cui biblioteche erano da secoli custoditi i documenti che imponevano ai contadini i diritti signorili. Fu questa la grande paura che per diverse settimane esplose spesso con inconsulta violenza anche contro borghesi e mercanti, accusati di accaparrare le derrate, contro magistrati invisi, contro gli agenti delle imposte che rappresentavano l'odiato potere regio. Di fronte alla grave situazione determinatasi nelle campagne, il 4 agosto 1789, l'Assemblea Nazionale deliberò l'abolizione del feudalesimo, abolendo sia i diritti signorili del Secondo Stato che le decime raccolte dal Primo Stato. Il 26 agosto pubblicò la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, che negli anni a venire avrebbe costituito l'ideale delle lotte politico-civili per la libertà dei popoli. A tali principi s'ispirò l'Assemblea Nazionale, che elaborò una costituzione monarchica simile a quella inglese, fondata sulla separazione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario.




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La questione religiosa
Per porre rimedio alla crisi economica, le leggi passate il 2 novembre 1789, 13 febbraio 1790 e 19 aprile 1790, confiscavano i terreni della Chiesa in favore dello Stato. La Costituzione civile del clero venne passata il 12 luglio 1790 e firmata dal re il 26 dicembre 1790, trasformando la restante parte del clero in impiegati dello Stato ai quali veniva richiesto un giuramento di fedeltà alla costituzione. In base a questa decisione vescovi e parroci, in quanto funzionari dello stato, avrebbero dovuto prestare giuramento di fedeltà alla nazione e alla legge. Il pontefice Pio VI diffidò i vescovi e i parroci francesi dal prestare il giuramento. In Francia il clero si divise: una minoranza di vescovi e un buon numero di parroci - in primis il famoso abbé Grégoire - aderirono alla Costituzione civile del clero e prestarono giuramento (clero giurato), ma una maggioranza obbedì agli ordini del pontefice e rifiutò di giurare (clero refrattario). Tale fatto creò una grave crisi religiosa, perché il clero refrattario andò ad accrescere le file dei controrivoluzionari, i quali in tal modo potevano adesso atteggiarsi, oltre che a difensori del sovrano assoluto, anche a paladini della fede cattolica perseguitata, mentre tra i più accesi sostenitori della rivoluzione si andavano diffondendo violenti sentimenti anticlericali che cominciarono presto a manifestarsi con atti di violenza contro i parroci ostili alla Costituzione civile.

Il primo segno di tale evoluzione anticlericale, e poi antireligiosa tout court, fu il decreto del 29 novembre 1791, il quale costrinse i preti refrattari a prestare giuramento alla Costituzione a pena di essere dichiarati sospetti, di perdere ogni indennità e di essere allontanati dal proprio domicilio.

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Il lavoro della costituente
Tra il 1790 e il 1791, l'Assemblea Nazionale Costituente lavorò per dare alla Francia un assetto monarchico costituzionale, ma dovette anche affrontare gravi problemi politici ed economici. Delle nuove banconote vennero introdotte lo stesso anno, causando un'alta inflazione. Nell’assemblea, alla destra del presidente sedevano gli aristocratici e i rappresentanti dell'alto clero, che costituivano la parte reazionaria dell'assemblea; al centro sedevano i cosiddetti costituzionali, cioè i rappresentanti dell'alta borghesia e qualche nobile come La Fayette, che volevano fermamente una costituzione monarchica e la divisione dei tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario); alla sinistra del presidente, sedevano elementi della borghesia radicale, più ansiosa di riforme, mentre all'estrema sinistra si trovavano i democratici più intransigenti, tra le cui fila sedeva Maximilien Robespierre. Il dibattito delle idee avveniva nei club che riunivano gli aderenti ai differenti gruppi politici. Nei club si mettevano a confronto le idee e si discutevano le proposte da presentare all'Assemblea. Il club dei giacobini riuniva i rappresentanti della borghesia e i democratici, come Robespierre e Desmoulins. Il club dei cordiglieri raccoglieva uomini di più accese idee democratiche, come Danton e Marat. L'Assemblea Nazionale tentò inutilmente di convincere il re alla collaborazione.

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1791-1792: l'Assemblea legislativa e la caduta della monarchia
La nuova costituzione fu emanata nel 1791. Il sovrano deteneva il potere esecutivo. In aperta contraddizione con i principi della Dichiarazione dei diritti dell'uomo, l'Assemblea, in cui prevaleva la borghesia conservatrice, stabilì che la pienezza dei diritti politici sarebbe spettata solo ai cittadini attivi, cioè a coloro che godevano di un certo reddito; tutti gli altri, i cosiddetti cittadini passivi, non potevano eleggere propri rappresentanti. Nella prima fase del processo rivoluzionario, guidata dalla borghesia più facoltosa, il re non seppe cogliere l'opportunità di una valida collaborazione con l'Assemblea nazionale, anzi si irrigidì nell'assurdo rifiuto di concedere la propria sanzione sia alla Dichiarazione dei diritti, sia all'abolizione dei privilegi feudali; inoltre il sovrano si lasciò convincere dagli aristocratici a radunare attorno a Versailles nuove truppe. A questo stato di cose si aggiungeva il malumore popolare per il rincaro dei prezzi, causato dai torbidi dell'estate nelle campagne. A Parigi il malcontento serpeggiava, alimentato dagli agitatori che diffidavano, non a torto, del re e della corte.

Il re, però, si legò agli aristocratici più intransigenti, spinto anche dagli scrupoli religiosi che gli vietavano di approvare i provvedimenti contro il clero refrattario, ed infine decise di fuggire con tutta la famiglia per unirsi ai nobili in esilio. La fuga fu attuata il 20 giugno 1791, ma il sovrano fu riconosciuto e arrestato l'indomani a Varennes. L'Assemblea decretò la chiusura delle frontiere, ma, temendo che la detronizzazione di Luigi XVI avrebbe provocato una guerra con le monarchie europee e che la proclamazione della repubblica avrebbe scatenato la guerra civile, cercò di riabilitare il re sostenendo la tesi di un tentativo di rapimento, mentre i cordiglieri raccoglievano firme per una pubblica petizione con la quale si chiedeva la fine della monarchia.

Il 17 luglio 1791, al campo di Marte, una folla si riunì per firmare, ma, a causa di un grave incidente, l'Assemblea ordinò alla Guardia nazionale di disperdere la folla causando la morte di una cinquantina di persone. In settembre la nuova Costituzione, che rendeva la Francia una monarchia costituzionale, era pronta, il re l'accettò e l'Assemblea costituente si sciolse, trasmettendo il potere ad un'Assemblea legislativa. Il re doveva dividere i poteri con l'Assemblea legislativa eletta (che succedeva all'Assemblea nazionale), ma manteneva il veto reale e la possibilità di scegliere i ministri. Alla fine del 1791 la situazione interna era ancora problematica, mentre i prezzi dei generi di prima necessità continuava a salire e sia nelle province, sia nella capitale, serpeggiava il malcontento. All'inizio del 1792, furono confiscati i beni del clero refrattario e degli emigrati.

Emersero nuove fazioni come i foglianti (monarchici costituzionali), i girondini (repubblicani liberali) e i giacobini (radicali rivoluzionari). Il re sperava in un intervento straniero, ma l'imperatore d'Austria, fratello della regina, e il re di Prussia esitavano ad intraprendere una guerra. L'Assemblea invece sperava che una guerra obbligasse il re ad accettare la nuova realtà costituzionale. Il re, i foglianti , i girondini e i cordiglieri volevano andare in guerra. Il re voleva la guerra per diventare popolare o essere sconfitto: entrambi i casi lo avrebbero reso più forte. I girondini la Rivoluzione in tutta Europa. Infine i cordiglieri desideravano la guerra perché questa avrebbe costretto il re a palesare le sue reali intenzioni riguardo alla rivoluzione. Robespierre e parte dei giacobini, invece, temevano una guerra, sapendo che l'esercito francese era male organizzato.

Nel 1792, morì Leopoldo II d'Austria e salì al trono il figlio Francesco I. Quando a Parigi presero il potere i girondini, Austria e Prussia scesero in guerra contro la Francia (20 aprile 1792), iniziarono così le Guerre Rivoluzionarie Francesi.

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1792: la Repubblica
L'offensiva francese fallì, molti ufficiali aristocratici disertarono e si sospettò che il re avesse tradito. A Parigi la comune, cioè l'autorità municipale, catalizzò i malumori del popolo. L'assemblea legislativa, guidata dai girondini, votò a favore della deportazione dei preti refrattari e dell'acquartieramento di soldati federati (provenienti dalla provincia) per proteggere la capitale da un colpo di Stato. Il re pose il veto a tali provvedimenti. La folla il 20 luglio 1792 invase il palazzo reale, ma l'opinione pubblica si sollevò a favore del re e questi mantenne il veto, mentre gli austro-prussiani passavano all'offensiva e i girondini, sperando di tornare al governo, facevano capire di essere contrari alla deposizione del re. La Fayette propose al re di abbandonare Parigi, dove Robespierre propugnava l'abbattimento della monarchia. Nella notte tra il 9 ed il 10 agosto 1792 fu creata una comune insurrezionale, gli insorti assalirono il palazzo reale delle Tuileries, l'Assemblea legislativa dichiarò decaduto Luigi XVI che fu arrestato ed imprigionato con la famiglia. I deputati dell'assemblea legislativa convocarono una nuova assemblea, la Convenzione, eletta a suffragio universale maschile, con il compito di trasformare la Francia in Repubblica.

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1792-26 settembre 1795: la Convenzione
I drammatici e sanguinosi avvenimenti del 10 agosto 1792 segnarono la scomparsa della monarchia assoluta in Francia. L'Assemblea Legislativa, che non aveva saputo controllare la situazione, era ormai screditata e si impose in Parigi e sul movimento rivoluzionario, la Comune, che aveva organizzato le forze popolari per dare il colpo di grazia alla monarchia e per orientare la rivoluzione nel senso voluto dalla piccola borghesia giacobina, dagli operai e dagli artigiani, ossia una politica radicalmente antinobiliare, capace anche di limitare il potere della ricca borghesia e di colpire gli avversari della rivoluzione. In attesa di una Convenzione, cioè di una nuova assemblea costituente, il potere esecutivo passò nelle mani di un Consiglio Esecutivo Provvisorio, costituito dai girondini e dominato da Danton e il potere legislativo, formalmente riservato alla Legislativa, era esercitato dalla Comune, ma tra la Comune e la Legislativa esistevano forti tensioni, perché i membri dell’Assemblea si erano sempre dimostrati troppo riguardosi nei confronti del re. Alla fine dell'agosto 1792 la situazione era drammatica perché ormai Prussiani e Austriaci erano penetrati in terra francese, mentre in alcuni dipartimenti si verificavano violenti tentativi controrivoluzionari.

La Comune e l'Assemblea adottarono misure straordinarie: nuovi volontari furono reclutati, le case furono perquisite alla ricerca di armi e di persone sospette, attorno a Parigi si approntarono opere di difesa, mentre aumentavano i sospetti, l'odio, i timori. Tra il 2 e il 5 settembre, bande armate, tra l'indifferenza della popolazione e dei governanti, invasero le prigioni e massacrarono aristocratici, preti refrattari, delinquenti comuni, innocenti, dopo processi farseschi e ignobili. Danton, ministro della giustizia, non intervenne. La nuova assemblea costituente, la Convenzione, si riunì il giorno 20 settembre, mentre a Valmy la superiorità dell'artiglieria francese costringeva gli invasori e gli emigrati a retrocedere.

Il 21 settembre fu proclamata la repubblica mentre si susseguivano le vittorie francesi e, a novembre, iniziava l'occupazione francese del Belgio. Il potere legislativo della nuova repubblica venne conferito alla Convenzione Nazionale, mentre il potere esecutivo andò al Comitato di Salute Pubblica. I girondini divennero il partito più influente della convenzione e del Comitato. La Convenzione, i cui membri erano stati eletti senza distinzioni tra cittadini attivi e passivi, era più aperta dell'assemblea precedente alle esigenze popolari e democratiche. L'ala destra era rappresentata adesso dai girondini, interpreti soprattutto delle esigenze della borghesia benestante, repubblicana, ma contraria a ogni riforma sociale che potesse compromettere la posizione di predominio delle classi più agiate. Al centro sedevano i deputati indipendenti della cosiddetta Pianura o Palude. La sinistra era rappresentata dalla cosiddetta Montagna, costituita dai giacobini appoggiati dai club popolari e democratici della capitale.

Nel gennaio del 1793 il sovrano venne condannato alla pena capitale, per "cospirazione contro le libertà pubbliche e la sicurezza generale" per un voto di maggioranza alla convenzione (361 a 360). In gran parte i montagnardi erano borghesi intellettuali seguaci delle teorie illuministiche. I rapporti tra Gironda e Montagna divennero difficili a causa del processo al sovrano, infatti, i girondini cercarono di salvare Luigi XVI mentre i montagnardi, erano decisi a votare la condanna a morte. I girondini allora chiesero che la condanna fosse sottoposta alla ratifica popolare, ma questo estremo tentativo fallì. Il 21 gennaio 1793 l’ex sovrano di Francia Luigi XVI fu ghigliottinato. Quest'uomo, che in fondo scontava colpe non sue, affrontò la fine coraggiosamente, e la sua morte scavò un abisso incolmabile tra il presente e il passato, tra la Francia repubblicana e le potenze monarchiche europee.

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La guerra e la controrivoluzione vandeana
Nel febbraio 1793, l'Inghilterra, guidata da William Pitt il Giovane (figlio dell'omonimo ministro), prendendo a pretesto l'esecuzione di Luigi XVI, ma in realtà preoccupata dall'avanzata francese nel Belgio verso l'Olanda, entrò in guerra, alleandosi con l'Austria e la Prussia e trascinando con sé la Russia, la Spagna, il Portogallo, lo Stato Pontificio e gli altri stati italiani: nacque così la prima coalizione antifrancese, che costrinse le truppe francesi ad abbandonare il Belgio. Poco tempo dopo, la Vandea e le altre province dell'ovest, di sentimenti monarchici, colpite dall'esecuzione del sovrano, dai provvedimenti contro il clero refrattario e dalla coscrizione imposta dai Convenzionali, si ribellarono e massacrarono i repubblicani devoti al governo parigino. Sotto la guida degli aristocratici, le bande armate dei contadini in rivolta assunsero il controllo di vaste zone dell'ovest della Francia e occuparono anche alcune città, superando la resistenza della Guardia Nazionale.

L'entrata in guerra dell'Inghilterra, che appoggiava una rivolta indipendentista in Corsica costituiva un grave colpo per la Francia, che ben presto risentì delle conseguenze negative del blocco dei mari e vide quindi acuirsi la crisi economica interna, che contribuì a esasperare il popolo. La Convenzione prese qualche provvedimento per contenere gli effetti più dannosi della crisi, varando un prestito pubblico obbligatorio e un calmiere sui prezzi del grano, ma quando si trattò di procedere oltre, i girondini si irrigidirono e, anche se molti di essi, impauriti dalla piazza, si schierarono con la Montagna, una minoranza rimase salda nella difesa dei principi sociali tradizionali, pertanto alcuni girondini, in seguito ai tumulti scoppiati furono arrestati e qualche mese più tardi ghigliottinati. La Montagna rimaneva così la dominatrice della Convenzione, mentre Danton, che invano aveva tentato dl stabilire un accordo con la Gironda, vedeva diminuire il proprio prestigio alla Convenzione a tutto vantaggio di Robespierre che si era energicamente battuto a favore delle esigenze popolari.

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Terrore e congiura termidoriana

Maximilien de RobespierreLa Montagna, vittoriosa contro la Gironda, ereditò una situazione politica assai difficile. Gli eserciti nemici riportarono durante l'estate del 1793 numerosi successi, la Vandea era in rivolta, in numerosi dipartimenti del Centro-Sud i girondini fuggiaschi provocavano la rivolta contro la capitale. Nel luglio del 1793 Charlotte Corday, uccise Marat, uno dei più sanguinari capi della rivoluzione, poco dopo, le città del Sud, massacrati i giacobini, chiesero l'intervento degli Inglesi, che occuparono Tolone.

Con il peggiorare della guerra, i prezzi salirono ulteriormente e i sanculotti (lavoratori poveri e giacobini radicali) si ribellarono. Questo portò i giacobini a prendere il potere con un colpo parlamentare. I giacobini, a Parigi, decretarono leva in massa e il calmiere sui beni di maggior consumo e adottarono disposizioni a favore dei contadini. Nel giugno 1793, entrò in vigore la Costituzione dell'anno I che eliminava ogni distinzione tra i cittadini e riformava il calendario (Calendario Rivoluzionario Francese), assumendo come data di riferimento il 21 settembre 1792, giorno in cui era stata proclamata la repubblica. La guida del Paese fu assunta dal Comitato di Salute Pubblica, di cui faceva parte Maximilien Robespierre, che cercò di creare un sistema di sicurezza che impedisse ogni tentativo controrivoluzionario.

Attraverso una catena di Comitati di sorveglianza i sospetti furono arrestati e giudicati da sbrigativi Tribunali rivoluzionari inappellabili. Inoltre fu riorganizzato l'esercito. Almeno 1200 persone trovarono la morte sotto la ghigliottina dopo accuse di attività contro-rivoluzionaria. Il minimo indizio di pensiero o attività contro-rivoluzionaria (o, come nel caso di Jacques Hébert, zelo rivoluzionario superiore a quello di coloro che avevano il potere) poteva porre una persona sotto sospetto, e i processi non erano troppo scrupolosi. Questa serie di eventi può essere ragionevolmente paragonata alla Rivoluzione Culturale Cinese.


la festa dell'Essere Supremo al Champ-de-Mars (8 giugno 1794)Tra la fine del 1793 e la prima metà dell'anno successivo, l'esercito francese, guidato dai nuovi ufficiali formatisi con la rivoluzione, ricacciò oltre i confini gli invasori, la rivolta vandeana dei realisti fu domata con inflessibile energia. Il Comitato di Salute Pubblica inoltre attenuò i provvedimenti demagogici presi per accontentare la piazza, che avevano gravemente danneggiato il commercio e l'industria, e ridiede respiro all'economia del Paese. Robespierre nel frattempo eliminava chiunque ostacolasse i suoi obiettivi e adottò leggi di una durezza eccezionale, che aprirono il periodo detto del Grande terrore. Nel giugno 1794 la vittoria di Fleurus e la riconquista del Belgio convinsero i membri della Convenzione che ormai si poteva fare a meno delle misure d'emergenza e del predominio opprimente di Robespierre e del suo gruppo. Il 27 luglio 1794 (9 Termidoro), il popolo francese si ribellò agli eccessi del Regno del Terrore, in quella che divenne nota come la Rivolta di Termidoro. Questa risultò nella deposizione ed esecuzione di Robespierre e molti altri membri di spicco del Comitato di Salute Pubblica, da parte dei membri moderati della Convenzione.

La Convenzione, ormai guidata dai termidoriani mirò soprattutto a rafforzare il dominio della borghesia riaffermando la pienezza della libertà economica individuale, il principio della proprietà privata e il privilegio del censo. Fu abrogata la Costituzione dell’anno I e si preparò una nuova costituzione, detta Costituzione dell’anno III, perché fu approvata il 17 agosto del 1795, ed entrò in vigore il 26 settembre 1795. Tale costituzione ristabiliva la distinzione tra cittadini attivi e passivi e rafforzava il centralismo amministrativo e politico. Fu adottato un sistema bicamerale, fondato su due assemblee legislative, capaci di controllarsi reciprocamente: il Consiglio dei Cinquecento e il Consiglio degli Anziani, il potere esecutivo fu affidato a un Direttorio di cinque membri. La Convenzione termidoriana tollerò, se non favori, un nuovo Terrore bianco rivolto contro i giacobini. L'ondata antigiacobina rischiò però di favorire una ripresa dei realisti, e la Convenzione dovette reprimere, il 5 ottobre 1795, una tentata insurrezione monarchica a Parigi. Fu domata da un giovane generale, Napoleone Bonaparte che già si era distinto come capitano di artiglieria durante l’assedio di Tolone, occupata dagli Inglesi. Mentre i termidoriani erano impegnati a domare la minaccia realista, cercarono di concludere anche la pace con le potenze della coalizione guidate dall'Inghilterra e dall'Austria (Granducato di Toscana, Prussia, Spagna, e riconoscimento dell'Olanda) La Convenzione commise però l'errore di annettere alla Francia il Belgio, che era un possesso austriaco, e tale decisione non permise di raggiungere la pace né con l'Austria, che continuò a impegnare la Francia sulla terraferma, né con l'Inghilterra che proseguì la guerra sul mare.

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26 settembre 1795 - 9 novembre 1799: il Direttorio
La nuova costituzione installò il Directoire e creò la prima legislatura bicamerale della storia francese. Il parlamento consisteva di 500 rappresentanti (il Conseil des Cinq-Cent) e 250 senatori (il Conseil des Anciens). Il potere esecutivo era conferito a cinque "directors" che venivano nominati annualmente dal Conseil des Anciens in base a una lista proposta dal Conseil des Cinq-Cent.

Il Direttorio era espressione della borghesia affaristica e moderata la stampa attaccava tutti coloro che avevano appoggiato la politica di Robespierre ed erano guardati con sospetto i simpatizzanti giacobini. Il Direttorio, nonostante la miseria delle classi popolari schiacciate dall'aumento dei prezzi e dall'inflazione, non volle colpire i grandi speculatori e non seppe prendere i provvedimenti necessari per frenare l'ascesa dei prezzi. I giacobini più radicali, guidati di François-Noèl Babeuf organizzarono la congiura degli Eguali che, al di là della semplice uguaglianza civile e politica, intendeva realizzare un'uguaglianza economica e sociale di fatto, ma nel maggio la congiura fu scoperta e repressa ed il Babeuf fu condannato a morte. In questo clima ormai scopertamente antigiacobino finì col rafforzarsi la destra monarchica che nel 1797 organizzò un complotto. Il Direttorio reagì appoggiandosi ai militari tra i quali vi era il generale Bonaparte, impegnato nella campagna d'Italia contro gli Austriaci. Fu quindi ripresa una politica persecutoria contro i monarchici e i preti refrattari, che furono deportati in Guyana.

Il 9 novembre 1799 (18 Brumaio dell'anno VIII) Napoleone esegui un colpo che portò all'installazione del Consolato; ciò porto effettivamente alla sua dittatura e in seguito alla sua proclamazione come Imperatore, il che portò alla chiusura della fase specificamente repubblicana della Rivoluzione Francese.

La rivoluzione, nata da ideali di libertà e di giustizia elaborati dalla cultura europea del '700, aveva avuto un immediato precedente nella Rivoluzione Americana, dalla quale erano sorti gli Stati Uniti d'America. Gli eventi di Francia allarmarono i governi assoluti e accesero le speranze di tutti coloro che speravano in un futuro più giusto. L'Italia illuminista era pronta ad accogliere le idee rivoluzionarie. Alcuni studiosi elaborarono progetti di costituzioni che suscitarono energiche reazioni governative. In questi anni trono e altare si allearono per una difesa comune. Le simpatie per la rivoluzione si diffusero invece tra borghesi e intellettuali. Negli anni immediatamente successivi al 1789, molti uomini di cultura si resero conto che anche in Italia si poteva e si doveva tentare una trasformazione rivoluzionaria politica e sociale. Allo scoppio della rivoluzione si formarono in Italia, a imitazione di quelli francesi, i primi club frequentati da borghesi e anche da qualche rappresentante del clero più modesto.

LiviaGloria
00sabato 1 luglio 2006 22:00
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